I wanna hold your hand

di Willy Wonka
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quando Georgie si ritrovò in ritardo ***
Capitolo 2: *** Quando la pioggia lo fece ridere come un bambino ***
Capitolo 3: *** Quando alla fine decise di rimanere ancora un po' ***
Capitolo 4: *** Quando Ringo riuscì a prendere sonno ***



Capitolo 1
*** Quando Georgie si ritrovò in ritardo ***


Quando Georgie si ritrovò in ritardo


Tic tac. Tic tac. Tic tac. Non sapeva nemmeno lui da quanto tempo si trovava in quella stanza a fissare il pendolo dell'orologio oscillare di qua e di là attraverso la sottile lastra di vetro. Tic tac. Tic tac. Ci si poteva persino riflettere in quella trasparenza. Seguiva quel bagliore con gli occhi mezzi socchiusi, il corpo secco lungo disteso su un vecchio divano di pelle mezzo sfondato e la testa inclinata ed abbandonata nel vuoto oltre il bracciolo, con i capelli sottosopra e le guance che cominciavano a diventargli di un rosso tenue. Fuori il tempo era alquanto uggioso, di certo non una novità nel centro di quel groviglio di strade chiamato Londra, il vento fischiava tranquillo fra le fronde degli alberi magri che ogni tanto affiancavano le vie mentre le nuvole nel cielo si preparavano ad accogliere un breve ma violento temporale. In quella stanza invece l'aria si stava riempiendo a poco a poco del fumo di una sigaretta che bruciava sconsolata nel posacenere, iniziata minuti prima e mai finita completamente. Qualcos'altro affollava i pensieri di quell'uomo, qualcosa di confuso ma allo stesso tempo affascinante, qualcosa che non credeva nemmeno lui potesse essere vero. Non si era mai considerato un tipo che parlasse molto, per carità, era socievole e tutto, ma possedeva un delizioso carattere riflessivo e riservato, preferiva di gran lunga perdersi nella marea dei suoi pensieri piuttosto che parlare a sproposito e fare la figura dell'idiota. Di tanto in tanto, immerso nel silenzio più totale, alzava una mano e si concentrava sulle sue dita affusolate che galleggiavano nel vuoto. E mentre se ne stava lì a darsi del pazzo, un tipo aprì piano la porta facendo scricchiolare appena appena i cardini arrugginiti, e con passo felpato si avvicinò al divano convinto che l'altro non potesse notarlo. Che diamine di posizione stramba aveva. Ma d'altronde lui era sempre un po' strambo, anche quando non faceva niente. Stette lì a guardarlo per qualche secondo, con il volto leggermente inclinato e le sopracciglia aggrottate incapace di comprendere a pieno che diavolo ci facesse con la testa sottosopra a puntare un vecchio orologio a pendolo. Fece spallucce, probabilmente era solo in stato catatonico.
“Ah ma allora sei qui!!!!!!!!!” gridò parandosi di fronte al volto capovolto del chitarrista.
“AAAAAAH!” d'un tratto si agitò come una trota e per poco non cadde a terra dalla paura, non lo aveva nemmeno sentito arrivare, era troppo perso nei suoi ragionamenti contorti per accorgersi del mondo intorno a lui.
“R-Ringo per la miseria! Mi hai fatto prendere un colpo brutto-”
“Ehi ehi! Ti stavo solo cercando! Ma che ti prende Georgie? In studio son tutti che t'aspettano! E sai quanto Lennon odi la gente che arriva in ritardo... minaccia di ingaggiare Fred-il-sergente come nuovo chitarrista se non ti sbrighi a muovere il culo, così ha detto...”
“Fred-il-sergente? Il barbone ubriaco di Mill Street?”
Ringo annuì con la sua tipica aria da bambino innocente.
“Allora dovrò sbrigarmi!” disse Harrison alzandosi e riabbottonandosi i primi bottoncini della camicia. “Comunque tu volevi farmi crepare altro che...” mugugnò guardandolo di sottecchi.
Il batterista gli rispose con un sorriso a pieni denti, osservò il suo compagno passargli davanti e dirigersi verso la porta sorreggendosi il capo mezzo rimbambito. Dio, persino quando non ci stava con la testa Harrison riusciva ad apparire così dannatamente elegante e slanciato.
Ringo, colto dalla delusione che George non si fosse accorto del suo gran bel sorrisone acchiappa-femmine, abbassò lo sguardo con una smorfia e fece per andarsene anche lui, quando non si vide sbarrare l'uscio dal braccio teso di Harrison.
“Ah Ringo... la prossima volta che mi chiami ancora Georgie, quei bei denti te li butto giù uno ad uno!” disse in tono ironico con un mezzo sorriso sghembo.
“Beh ma almeno sono riuscito a farti sorridere!"
George lo scrutò per un attimo, poi tolse arreso il braccio dallo stipite e percorse un lungo corridoio semi illuminato che portava a delle fredde scale di marmo.
L'altro lo seguì a ruota sempre con quel suo fare buffo e spacciato.
“Eddai Georgie è un nome carino tutto sommato”
“No che non lo è”
“E allora come posso chiamarti?”
“Mmmh... George ti piace?”
“No, è troppo banale!”
“Anche Harrison non è male!”
“Che ne dici di Harry?”
“No”
“Joe?”
“Nooo!”
“Jack!”
“Ringo dannazione io ce l'ho un-”
“Martha?”
“Cos- il cane di Paul si chiama Martha!!!”
“Davvero? Diamine deve avermi copiato l'idea”
George fissò Ringo malissimo, come si guarda un bimbo di cinque anni e mezzo, ma a quelle “discussioni” ormai ci era abituato da una vita, andava sempre a finire così fra quei due, non si prendevano mai sul serio, ma sapeva bene che in fondo in fondo quelle frecciatine facevano piacere ad entrambi. Li univa in maniera particolare.
“Hmm” il più alto si avvicinò divertito all'altro, con un sorriso beffardo che gli illuminava tutto il volto e due occhietti indagatori “io lo so come chiamarti invece”
“Ahn sì?” fece Ringo voltandosi leggermente e fingendo una patetica aria da snob.
“Oh sì signor Beatle... mi sembra chiaro che lei sia un elefante!”
“Un elefante?!” rispose confuso “che diavolo dici? Il sangue deve esserti salito al cervello!”
“Ma come? Non è una proboscide quella che vedo lì?” esclamò soffocando una risatina e dirigendo l'indice verso il volto di Ringo.
“Aaah questa me la paghi!!!”
“Solo se riesci a prendermi!” scappò via il chitarrista ridendo come un pazzo.
“Ti ammazzo musicista da quattro soldi!!! Il mio bellissimo naso!” urlò l'amico rincorrendolo a perdifiato giù per le scale (e per poco non rischiò di rimetterci una gamba percorrendo gli scalini a due alla volta).



[Per il Copyright meglio specificare che nessuno dei personaggi che appaiono in questa storia mi appartengono (magari fosse così!), ma appartengono solo meravigliosamente a loro stessi <3. Invece Freddie Mercury è tutto mio e ci faccio quel che voglio trololololololo.]


Scusatescusatescusatescusatescusate. Adoro i Beatles, e ho avuto la grande idea di provare a scrivere una ff comico/romantica su un pairing sebbene non abbia mai scritto cose del genere >_< perciò fan dei Beatles di tutto il mondo, imploro perdono. *regala fiorellini

Consideriamolo come un piccolo esperimento e vediamo come vanno le cose, intanto cercherò di continuare a scrivere e postare se vi va! Besos!

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Capitolo 2
*** Quando la pioggia lo fece ridere come un bambino ***



Quando la pioggia lo fece ridere come un bambino


George quel pomeriggio dovette sorbirsi mezz'ora solamente di lamentele, sembrava quasi che John non suonasse da una vita. E cercò pure di scusarsi, ma niente da fare, John era fuori di sé, così, a testa bassa, afferrò la sua chitarra gentile e cominciò a provare la nuova canzone scritta da Paul.
Riuscirono a concludere qualcosa verso le sette e mezzo, giusto per l'ora di cena.
“Ehi John” gridò George rincorrendo l'amico fuori dagli studi di Abby Road “Dai, mi faccio perdonare, ti offro la cena”
“Oh, sarebbe il minimo George ma...” rispose l'altro saltellando sul posto per combattere il freddo.
“Eddai non sarai mica ancora arrabbiato! Ti ho già chiesto scusa!”
“Non è questo tesoro, è proprio-”
George si fece più vicino “... guarda che ordino delle pizze, mica cucino io”
“E ci mancherebbe altro! No vedi è che questa sera avrei già altro da fare...”
“Ah sì?!” chiese George stupito. “Cioè con questo non voglio farmi gli affari tuo-”
“Sono con Paul”
Il chitarrista si ammutolì di tutta fretta. Questa volta fu John ad avvicinarsi.
“A casa sua”
“...oh”
“Soli”
“...ooh! Ho afferrato!” tagliò corto arrossendo un po' “a-allora buona ser- no aspetta, non farmici pensare!” finì strizzando gli occhi con una smorfia.
“Ci si vede!” disse infine Lennon correndo via e saltando in macchina con Paul.
George si voltò credendo di aver fatto la completa figura dell'idiota, le sue scarpe risuonarono sull'asfalto bagnato delle strade confondendosi nei mille clacson delle auto che impazzivano per il traffico. Alzò per un attimo la testa, fissando quei nuvoloni neri farsi sempre più minacciosi. I suoi occhi furono attraversati da un lampo. Continuò a camminare sistemandosi il bavero del suo cappotto e tirando dei calci ad un sassolino. Puntò gli occhi su delle pozzanghere ai lati del marciapiede. Si fermò. Era da quando era bambino che non ci saltava più dentro. Ricordava chiaramente che poteva infangarsi fino alle ginocchia e che poi doveva scappare via da sua madre. Era una gran bella pozzanghera. Si guardò attorno. Magari per questa volta... Si ficcò le mani in tasca. Ma no, che diavolo gli saltava in mente.
Beh, visto che proprio non si aspettava che John avesse... ehm per così dire “altri impegni”, non sapeva proprio che cosa fare quella sera. Poteva tornarsene a casa e mettersi su un 45 giri fino a quando il sonno non lo avrebbe colto, ma doveva pur mangiare qualcosa e la strada di ritorno era ancora lunga.
Dall'altro lato c'era un piccolo e colorato bar, uno di quei locali tipici degli anni 50/60.
Attraversò di tutta fretta la strada ed entrò appena in tempo per scampare a quello che sembrava l'inizio di un acquazzone.
Si sfregò le mani per scaldarsi un po' e cercò infreddolito un posto libero. Ce ne era uno proprio vicino ad una grande finestra. Si sedette su un comodo divanetto color rosa sporco, con davanti un piccolo tavolino bianco pieno di briciole, si sistemò i capelli con le dita e ricadde nuovamente nei suoi pensieri guardando la pioggia bagnare il vetro. Magari avrebbe piovuto fino alla fine della settimana. Fino alla fine dell'anno. Ne sarebbe caduta talmente tanta che quella finestra non sarebbe stata più una finestra, ma un oblò attraverso il quale ci avrebbe potuto vedere i pesci nuotare. E magari una sirena. Sì, una bellissima ragazza con la coda che avrebbe appoggiato la sua mano al vetro, e lui avrebbe fatto lo stesso facendo combaciare i palmi. E se avesse aguzzato lo sguardo, avrebbe notato degli alligatori suonare lungo la strada sommersa per arrivare fino ad un enorme sottomarino giallo. Poi vide il capo della banda, vestito da sergente e con un grande cappello con una lunga e morbida piuma. Signore. Signore.
“Signore!”
“Mmmh?!” George scosse appena il capo e ruppe quella follia di mondo che si era creato.
“Lasci signora, ordino io per lui... qualcosa di caldo per favore”
“Vi va bene la zuppa?”
“Perfetto, molto gentile”
George scosse nuovamente la testa. Mise a fuoco la figura che aveva seduta davanti a sé. Udì gente parlare e una canzone di Elvis scorrere da un juke-box.
“C-che ci fai qui?!”
“Ho fame anch'io che credi” esclamò Ringo togliendosi il cappello e il cappotto e gettandoli a un lato del divanetto. “E guarda caso proprio qui c'era un posto libero!”
“Allora mi metto il cuore in pace. Offri tu stasera!”
“Mica ho detto questo!”
“Sì, ma tu sei il più grande fra noi due”
“Ma tu hai dei canini grossi così!”
“E va bene hai vinto...” sbuffò George versandosi un bicchiere d'acqua.
Ci fu qualche minuto di silenzio.
“Ehi” si fece improvvisamente serio Ringo “che ti prende in questo periodo?”
“In che senso?”
Ringo si preoccupava sempre.
“Nel senso che sei sempre con la testa altrove” rispose appoggiandosi ad un gomito “anche oggi pomeriggio...”
“Sarà questo tempaccio” fece spallucce George “mi fa deconcentrare”. Ma c'era un'altra cosa che lo deconcentrava in quel momento, ancora una. Erano due universi blu che lo fissavano. Sembrava di specchiarsi in un cielo terso. Quegli occhi lo mettevano sempre in pace con se stesso, avevano un potere indescrivibile su di lui. Sembrava quasi che quella pioggia grigia facesse risaltare ancor di più quelle pupille in cui era sempre estate. Senza nemmeno che se ne accorgesse, si ritrovò a sorridere.
“Geoorge... non sarai mica ritornato nel tuo stato di coma vero? Hellooo...” disse Ringo scuotendolo per una spalla.
“Hmm?” lo guardò George sgranando lo sguardo.
“Accidenti Georgie” esclamò Ringo accomodandosi sullo schienale del piccolo divano “speriamo che questa pioggia passi presto!”
“Scusa Ringo è più forte di me” mugugnò giocherellando con le posate. “E' stata una giornataccia...”
“Devi solo dormire un po', tutto qui... ah ma tu non dormi vero signor Dracula?” provocò mordicchiando un grissino.
“Oh lascia in pace i miei splendidi denti!”
“Sei un pescecane”
“E tu un elefante!”
“E tu dormi in una bara!”
“Ah sì?! Vediamo allora questi canini cosa riescono a fare” si sporse George ridacchiando. Senza nemmeno che se ne rendesse conto, Ringo se lo ritrovò a qualche centimetro di distanza. Lo vide mordere con aria compiaciuta l'altra estremità del grissino che aveva in bocca. In un batter d'occhio, le guance di Ringo si infuocarono.
“Ma che d-diamin-...”
“Ahahahahah! Ti ho fatto arrossire!”
“Non dire cretinate scemo”
“Sei un bambino Ringo”
Questo lo guardò malissimo, fino a quando le zuppe non arrivarono al tavolo e non si occuparono con qualcos'altro. Tra una cucchiaiata e l'altra, il batterista non disse nemmeno una parola. Mangiava con gli occhi bassi tentando invano di far andare via il rossore dalle sue guance, e questo dettaglio non sfuggì di certo a George. Ma anche quando se ne stavano in silenzio, questo si sentiva bene, era come riscaldato dalla presenza dell'altro.
“Grazie” se ne uscì il chitarrista guardando la sua minestra finire.
Ringo alzò le sue iridi chiare.
“Come?”
“Ti preoccupi per me” appoggiò con un tintinnio il cucchiaio al piatto ormai vuoto “grazie”
Perfetto, il rossore tornò su Ringo più forte di prima. Riuscì a rispondergli solamente con un sorriso sincero. George si pulì gli angoli della bocca con il tovagliolo, aspettò che anche l'altro finisse di mangiare e poi, dopo aver discusso su quale aspetto avrebbero avuto John e Paul fra vent'anni, si accordarono sul fatto che Paul sarebbe diventato un organizzatore di matrimoni e John una sorta di Highlander/Messia e alla fine toccò a George, come al solito, pagare tutto. Si misero i cappotti ed uscirono verso quello che sembrava il più violento temporale che avessero mai visto. Il vento fischiava minaccioso e faceva svolazzare le vesti di entrambi. Il chitarrista si inzuppò subito e i suoi ciuffi di capelli si appiattirono e sgocciolarono senza sosta.
Ringo tremò come una foglia e disse qualcosa che però George non riuscì a cogliere a causa del soffiare del vento. L'altro parlò più forte mettendosi le mani ai lati della bocca. “Che diavolo fai ora???”
“Me ne vado a casa!” un lampo li illuminò e un tuono li fece sussultare.
“Sei un pazzo Georgie denti d'oro!” esitò un attimo l'altro, poi decise che in fondo non c'era niente di male ad offrirgli ospitalità “Casa mia è più vicina...”
“Come?”
“Ho detto che-”
“Sì sì ho capito! E' solo che-”
“Andiamo non ti farai la strada tutta a piedi! Stai dall'altro lato della-”
Un nuovo lampo, troppo vicino, e questa volta un cartello stradale brillò e con un tonfo sordo cadde sul marciapiede a pochi metri da loro. Rimasero entrambi di sasso.
George sentì afferrarsi la mano. Guardò Ringo stupito.
“Dai vieni! Non riesco nemmeno a pensare con questo tempo!”
L'altro cercò di rifiutare dicendo che non voleva disturbare e questo e quest'altro, ma alla fine il più grande ebbe la meglio. Lo seguì con una mano davanti agli occhi per quella che era una strada semi-buia e resa scivolosa dall'acqua che cadeva, poi ad un certo punto si fermò.
Si fermò a guardare Ringo più avanti rispetto a lui.
Lo guardò saltare sulle pozzanghere infangandosi tutto.
George si mise a ridere come un bambino.
















Bene bene, secondo capitolo. Spero vi piaccia, di certo l'ispirazione è venuta da tutto quel gelo che sto sopportando in questi giorni a causa della neve!
Un bacio a tutti! <3




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Capitolo 3
*** Quando alla fine decise di rimanere ancora un po' ***


Quando alla fine decise di rimanere ancora un po'



Ringo continuava a saltare dentro a tutte le pozzanghere che vedeva, sembrava un cane con il muso contro la pioggia.
E questa scendeva, scendeva feroce, scivolava sui capelli di George, sul suo viso, sui suoi vestiti, sulle sue scarpe. Cercava di correre e di seguire Ringo verso casa sua, ma veramente tutta quell'acqua impediva anche solo di scorgere l'orizzonte.
“Hey Ring-” cercò di gridare George, ma un tuono gli fece morire le parole in gola, così dovette ripetersi urlando più forte. “RINGO!”
“Che c'è?” chiese l'altro voltandosi e tenendosi il cappello fermo sulla testa in modo da combattere il vento.
“Se continui così ti verrà un accidente!”
“Cos'è che ha il mio agente???”
“Daah!” lo mandò al diavolo George. E sempre mandandolo al diavolo, saltellò verso di lui mezzo spazientito. “Sei davvero insopportabile Ringo!”
“Sì! Ti adoro anch'io George!” gli gridò in faccia sorridendo.
Il chitarrista lo guardò confuso.
“Ringo che ore sono?”
“Di solito il Lunedì!!!”
L'altro scosse la testa arreso, e gli si avvicinò ancor di più borbottando fra sé e sé. Gli afferrò i baveri del suo cappotto troppo leggero per quell'acquazzone.
“G-George ma cosa stai-”
“Sta zitto!” rispose abbottonandolo sul davanti “sei sordo più di una campana! Sei tutto aperto sul davanti! Capito? Sul davanti!!!”
“Oh ma chi se ne importa! Dai che ho freddo!”
George nemmeno lo stette a sentire e continuò a sistemagli il cappotto. Quando ebbe finito, e dopo essersi preso un'occhiata terribile dall'altro, della serie ti-comporti-come-mia-madre, lo fissò ancora qualche istante, fece una smorfia, esitò un attimo e poi si decise.
Trafficò con la sua lunga sciarpa rossa, se la tolse e paratosi nuovamente di fronte all'amico gliela sistemò per bene attorno al collo stringendola appena. Vedendo gli occhi confusi dell'altro, cercò di dare spiegazioni, ma ben presto si ricordò che i tuoni, la gente intorno a loro che parlava e le auto che incessantemente passavano sopra alle grandi pozzanghere della strada non aiutavano di certo.
Tenne le sue mani salde sulla sciarpa, inclinò leggermente la testa e curvatosi appena verso di lui avvicinò le sue labbra al suo orecchio.
“...sennò morirai assiderato...” bisbigliò con voce calda ma sufficiente per farsi capire dall'altro.
Ringo rimase di pietra. L'amico si allontanò da lui con un dolce sorrisetto, e lo lasciò lì, per qualche secondo buono, impalato in mezzo al marciapiede mentre la gente gli passava da ogni parte. Non sapeva spiegarselo, davvero. Solo una canzone di John e Paul ci sarebbe riuscita. Sentiva una specie di tremore, di formicolio, salirgli su per tutta la spina dorsale ed arrivare fino alle punte dei capelli. E che cos'erano in quel momento i clacson delle auto in coda, gli uomini che sbraitavano ordini al telefono, il cielo che suonava le percussioni? C'erano solo lui e George. La sua voce. Il suo odore. Le sue...
“Dai vieni!” lo scosse dal suo stato semi-cosciente. “Ringo!”
“S-sì! Arrivo!” e lo seguì a passo affrettato fino all'incrocio, per poi girare a sinistra.


Dopo un paio di minuti i due erano già fortunatamente rinchiusi in casa di Ringo, a cercare di accendere il camino sgocciolando acqua da tutte le parti. George si avvicinò un attimo alla finestra del salotto e con una mano scostò la tenda leggera. “Appena si sarà calmato là fuori, me ne andrò non preoccuparti”
Ringo lo guardò sconcertato tirando fuori da un cassettone coperte e cuscini e gettandoli sul divano.
“Tranquillo, questi temporali non durano mai troppo a lungo”
“Sei un cretino George!”
“Ti ringrazio per la dolce risposta” disse sarcastico.
“Non puoi uscire in piena notte!”
“Hai ragione! O-oddio R-ring-go....”
“COSA? CHE C'E'?”
“E SE INCONTRASSI JACK LO SQUARTATORE???????” gridò voltandosi di scatto ed afferrando la lampada accesa che stava sul mobile lì vicino.
“A-ah piantala dai” gli rispose seccato l'altro.
“Ehi dai, scherzavo” si scusò “ma che hai?”
“Nnnh? Nulla nulla”
George lo esaminò per bene e lo seguì ovunque stesse andando.
“Sei tutto rosso in volto...”
“h-ho solo un po' di mal di testa, tutto qui”
“Sicuro?”
“Certo! E ora vattene di sopra prima che t'ammazzi...” gli ordinò stringendosi gli occhi con le dita.
“Oh Ringo ma io non voglio-”
“No. Voglio io. Fila in camera Harrison! O dirai addio alla tua carriera da chitarrista!”
“Ok ok vado! Ma sappi che non è perché mi fai paura!!!”
Il batterista aspettò che l'altro avesse salito completamente le scale, poi esausto si buttò sul divano, e senza forze, piombò nel sonno senza nemmeno sistemarsi le coperte.
George di sopra rimase stupito dall'ordine che regnava in quella camera da letto non grandissima ma confortevole. Si sedette sul letto togliendosi le scarpe e diede velocemente un'occhiata in giro. Su una scrivania di legno c'erano una radio con l'ago fisso su un canale di musica di Elvis ed alcune foto incorniciate. Si alzò e ne guardò qualcuna, giusto per farsi gli affari di Ringo. In una c'erano lui e suo padre in quello che sembrava il retro della loro casa, lui avrà avuto sì e no cinque anni. Aveva un'espressione talmente divertita che fece sorridere Harrison stesso. Poi, circondata da una preziosa cornice in legno nero, c'era una stupidissima foto di loro due e Paul, con lui che teneva in mano un cuscino tondo con su cucito: I love George. E lui stesso aveva un'aria terribilmente ebete che non poteva nemmeno credere di essere lui. Mamma mia, penso George scuotendo la testa e ridacchiando. Chiuse per bene la porta finestra che dava su un piccolo balcone, in modo che il vento non l'aprisse di colpo e non l'avesse fatto morire di paura, così si ficcò sotto le coperte e dopo essersi gonfiato per bene il cuscino allungò il braccio e spense la luce. Chiuse gli occhi pensando a qualcosa che potesse farlo addormentare. Però un po' gli dispiaceva che Ringo dovesse starsene di sotto a dormire in divano, specie se quella era casa sua! Si sentiva come un ladro ricattatore che si era impadronito del suo spazio. Si girò su un fianco riflettendo su come si sarebbe comportato se la polizia lo avesse scovato. Quando improvvisamente i suoi pensieri vennero spezzati in due.
Un colpo sordo e il suono cristallino di qualcosa che andava in frantumi.
Proveniva dal piano di sotto.
George scattò sul posto, si liberò in fretta del groviglio di lenzuola che lo teneva imprigionato e si precipitò giù per le scale preoccupato per quel rumore.
“Ringo! Ringo cos'è successo??”
A metà scala rimase immobilizzato a guardare Ringo steso per terra davanti al divano ed un bicchiere a pochi centimetri da lui completamente in pezzi. “Ehi Ringo!”
Corse verso di lui e lo scosse appena continuando a chiamarlo con la tensione che saliva sempre di più. “Andiamo non far scherzi!!!”
Si sentì rispondere con un gemito strozzato, e un piccolo “stava cercando di prendere... ma....” e quando cercò di farlo alzare mettendosi un suo braccio intorno al collo si accorse che le sue guance stavano andando a fuoco, ma tremava come un pulcino. “Dai stenditi sul divano, così-”
Lo sistemò meglio poteva sopra le coperte, e non gli servì nemmeno appoggiargli una mano sopra la fronte: aveva la febbre alta.
“S-scusa George... non sto molto-”
“Lo vedo!” ribatté l'altro sedendosi vicino a lui.
“Nel- nel secondo cassetto in cucina... c'è.. il termometro e un'aspirina...”
“Altro che aspirina” si alzò andando di fretta verso la stanza adiacente “ti ci vorrebbe l'ospedale!”
Quando tornò con l'occorrente, si risedette sul divano dove un Ringo ammalato si sorreggeva la testa con entrambe le mani.
“Hai ancora freddo?” gli chiese premurosamente il chitarrista.
“M-meno grazie...”
Tolse il termometro dalla custodia di plastica, lo scosse un po' e lo porse a Ringo.
“Prendilo e mettilo in bocca”
Immediatamente Ringo balzò sul posto sgranando gli occhi come due palline da ping-pong fissandolo con aria sconvolta.
“C-che diavolo ti prende????” gli domandò stupito l'altro. Nessuna risposta, ma solo uno sguardo sconvolto ed allucinato. “Ringo.... il termomeeeetroooo.... devi misurarti la febbre...”
“IL TERMOMETRO! MA CERTO!!!!!!IL TERMOMETRO! IL MIO CARO TERMOMETRO!” Ringo tornò coricato coprendosi gli occhi con una mano.
“Tu non stai molto bene” borbottò Harrison.
Alla fine, risultò che aveva 39 e uno di febbre e che una semplice aspirina non avrebbe fatto alcun effetto.
George frugò in tutti i cassetti della casa, poi finalmente riuscì a trovare una scatola di pastiglie contro l'influenza e febbre alta.
“Questa dovrebbe essere più efficace di un'aspirina” disse George facendo ingoiare all'altro la medicina.
“Grazie...” la voce dell'amico si era ormai ridotta ad un bisbiglio, così gli appoggiò sulla fronte un panno che aveva precedentemente bagnato con dell'acqua gelida. Il malato mugugnò e rabbrividì per un attimo. Aveva gli occhi chiusi ma non appena George si accorgeva che stava per addormentarsi, subito si risvegliava con un sussulto a causa di una febbre che non voleva lasciarlo riposare. Gli tolse lo straccio ormai tiepido.
“Shhh... cerca di dormire” gli sussurrò accarezzandogli piano i ciuffi di capelli castani, ma poi pensò che quello era il gesto più stupido che avesse mai fatto e così spostò subito la mano. Eppure non poteva lasciarlo lì solo e ritornarsene a letto.
Così, rimboccandosi una coperta sulle ginocchia, si appoggiò allo schienale del divano, accanto a Ringo, e socchiuse appena gli occhi, tentando di riposare ma stando attento a svegliarsi in caso di bisogno.
Abbandonò la mano fra i cuscini ed inclinò un po' il capo, e come se fosse il gesto più naturale del mondo, percepì le dita dell'altro farsi sempre più avanti, timide, ed intrecciarsi con le sue. L'ultima cosa che le sue orecchie sentirono prima di addormentarsi fu un sospirato “grazie di essere qui con me”.





Scusate il ritardissimissimo!!!!!!!!!!!!!!!!
Per questa storia mi sono ispirata a...... a me stessa, perchè in questi giorni sono chiusa in casa con la febbre e l'influenza );
Quindi niente besos perchè sennò vi attacco la mallllora (ma vi voglio bene lo stesso *O*)
Ringraziamenti:

a  malandrini_xs: anch'io vorrei saltare nelle pozzanghere con George! :D :D :D sono davvero felice che questa storia continui a piacerti, spero che anche questo capitolo sia di tuo gradimento! <3

a CarrieGallagher:  Grazie mille!!! *www* sei dolcissima, e mi fa davvero tanto piacere che ti piaccia la storia! Spero tu possa continuare a leggerla e a trovarla bella come dici! un abbraccione! <3

a Silv_: Eheheheheheheheh *sguardo perverso Non osiamo immaginare cosa stiano combinando quei due u___u o osiamo? >:3
            Ti ringrazio per aver continuato a seguire questa fanfic, un mega abbraccione e speriamo che anche questo capitolo ti possa piacere! <3

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Capitolo 4
*** Quando Ringo riuscì a prendere sonno ***


Quando Ringo riuscì a prendere sonno


Ringo si svegliò tossendo e con la testa che ancora gli faceva male. Di certo la febbre non era scesa di molto, ma comunque si sentiva meglio della sera precedente. Si sfregò gli occhi con entrambe le mani e si sporse appena per dare un'occhiata fuori dalla finestra che dominava il salotto. Notò che doveva essere ancora presto perché dalla tenda non filtrava nemmeno un filo di luce. Improvvisamente, come se si fosse dimenticato della sua presenza, si accorse che George stava dormendo seduto sul divano vicino a lui, in una posizione che gli sembrò del tutto scomoda. Spostò piano piano le gambe in modo da non svegliarlo, appoggiò le mani al divano e si mise lentamente a sedere. Cercava persino di respirare il meno possibile da quanto aveva paura di rompere il suo sonno. Se ne stava con la testa appoggiata alla spalla a sognare chissà che cosa. Il batterista si perse ad osservare la sua espressione distesa, le sue labbra leggermente schiuse, i suoi lineamenti duri ma allo stesso tempo così dolci. Ogni volta che Ringo pensava a Harrison, pensava all'eleganza. Lui non se ne era mai accorto, ma in certi casi adorava guardarlo anche solo camminare perché il suo portamento e la sua andatura lo facevano semplicemente impazzire. Quei pensieri, ad essere sincero, cominciavano a spaventarlo un po' ed avrebbero inquietato anche lui se li avesse saputi. Che gli stava capitando? Era questa la domanda che affollava la sua mente. Era già da un po' di tempo, anche se non voleva davvero ammetterlo, che ogni volta che si trovava vicino al suo amico si sentiva strano dentro. Come quell'episodio di ieri: quando gli si era avvicinato all'orecchio e aveva provato un tale brivido, una scossa così profonda che avrebbe voluto... ma che diavolo andava a pensare?? Tentò di scacciare via quei pensieri dando un po' la colpa alla febbre alta, così decise di ritornare a dormire. Fissò il soffitto tentando di riaddormentarsi, ma George proprio non riusciva a toglierselo dalla mente, esattamente come succedeva già da un po' di notti. Era stato così gentile ad assisterlo pensò. Se non ci fosse stato lui probabilmente sarebbe ancora sdraiato per terra a lamentarsi del dolore. Lo sentì mugugnare nel sonno e spostarsi appena. Com'era tenero. Ringo si girò su un fianco e mise una mano sotto al cuscino per stare più comodo; non riusciva proprio a dormire, e questo gli dava sui nervi, anche perché la sua temperatura si stava alzando poco alla volta. Provò a mettersi in qualsiasi posizione iniziando quasi a fregarsene del sonno di George, doveva combattere la sua terribile insonnia. Sbuffò e sprofondò nel cuscino con un tonfo sordo, ma niente, era più sveglio di prima. Era una battaglia persa in partenza. Improvvisamente, quando sembrava davvero sul punto di arrendersi, sentì uno strofinio di coperte e qualcosa scivolargli addosso. Non ebbe nemmeno il tempo per inquadrare la situazione che percepì un calore salirgli su per la spina dorsale ed accarezzargli un fianco. Quella presenza alla fine la sentì un po' dappertutto, e ciò lo fece rabbrividire. No, non poteva essere vero. Dire che quel momento era imbarazzante era poco. Ringo divenne porpora in viso mentre Harrison, accanto a lui, stringeva il suo braccio attorno al suo fianco. Lo avvertì appoggiare la sua guancia alla sua schiena e le sue gambe sfiorare appena le sue sotto tutto quel gomitolo di coperte. Le sue dita calde accarezzarono il suo ventre.

...adesso promettimi che dormi però...” lo sentì bofonchiare con voce impastata di sonno. Non capiva se stesse sognando o se effettivamente era cosciente di quello che diceva. Fatto stava che Ringo non poté essere più felice e allo stesso tempo sconcertato di così. Ma non poté farci niente, presto sentì il sonno arrivare alle sue palpebre esattamente come il respiro calmo di Harrison sulla sua nuca. Chiuse completamente gli occhi ed iniziò a sognare.


a Silv_: grazie per i complimenti! Sei sempre gentilissima!!! Un abbraccio! <3

a Malandrini_xs: Spero che questo nuovo capitolo ti piaccia! Ci metteremo tutti e cinque d'accordo e andremo insieme a saltare nelle pozzanghere! u___u Viene anche Freddie. <3

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