Il regno della Luna

di Strega_Mogana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Che ci Era da un po 'pensavamo uno questa fanfiction ma visti gli Impegni lavorativi e le altre storie in corso avevamo accantonato il progetto per poi riprenderlo in secondo momento!
Ed ora, non Chiedetemi come mai ... E forse solo Perché abbiamo Entrambi Giusta l'ispirazione, il momento è arrivato!
Vi presentiamo la nostra FF, Speriamo che vi piaccia, vogliamo tanti commenti ma vi diciamo subito di non abituarvi uno Veloci aggiornamenti Perché litighiamo anche sui vestiti Che DEVE indossare Usagi! ^ ^ "
Buona lettura!
Elena & Alessandro

PROLOGO

La donna sorride. Un sorriso di cortesia, falso decisamente, gli occhi non ridono affatto, sono spenti e morti venire Quelli di una persona rassegnata. Ma è pur sempre un sorriso.
- Entra pure. - Dadi. - E così anche tu vuoi ascoltare la storia di Che ho da raccontarti, eh? - Fa una smorfia, Chiudendo la porta e precedendoti nell'ampia sala ornata di quadri e tappeti antichi. A prima vista sembra un Museo di Storia Antica. - Beh, Il tempo è tuo. Siediti e METTITI UNO tuo agio. Quello che devo dirti non è corto, ci vorranno parecchie ore.
Il volto è come la voce, senza emozioni. Puo Avere forse trentacinque anni Portati, Trenta bene. I capelli sono coperti da un lungo e pesante Fazzoletto nero Che li nasconde Dando completamente, l'idea Che si tratti di una sorta di suora, se non Fosse per il vestito, AMPIO E nei toni accesi del rosso e del bianco. I tuoi occhi si perdono un secondo Nelle pieghe e Nella Foggia inusuale del vestito, Simile a Quelli che ci si aspetta indossino i personaggi dei racconti fantastici Che VANNO di moda adesso. Si Siede su una comoda poltrona di pelle lucidata dal tempo, accavalla Sotto la gonna lunga le gambe e appoggia la testa, Chiudendo gli occhi.
- Serviti pure. Non ho alcolici, ma per il resto tutto è uno tua disposizione. - Dice, riferendosi agli stuzzichini dolci e salati e alle bibite Che sono disposte ordinatamente sul basso tavolino fare fronte a te. - Questa storia inizia troppo tempo fa, Quando ancora la Luna era una florida sorella minore di questa martoriata Terra e il Mare della tranquillità era CHIAMATO Oceano dei Venti. Da Quella placida distesa di acqua partivano Le Coste di un regno Governato Dalla stirpe degli Tsukino, da tempo immemore Che Aveva Nelle sue gentili mani quasi tutte le Terre Emerse ora Arido del nostro satellite. All'inizio della nostra storia la reggente era la principessa Usagi, una ragazza poco Più che ventenne, un sorriso dolce come il miele ei capelli color del grano maturo. Era amata da tutti per I suoi modi, per il Suo carattere e per la sua simpatia. Ma non dirlo in Presenza di Luna, o ti smentirebbe subito ...

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


- Usagi! Ti odio quando fai così! Vieni qui immediatamente! - urlò la donna correndo quanto poteva, il busto e le braccia strette in un fasciante abito quanto le gambe erano ingombrate dall’ampia gonna sostenuta da crinoline.
- Ma le hai sentite anche tu! Le trombe, le hai sentite? - rise la ragazza, incollata alla finestra della sua camera, il sottile corpo coperto solo in parte da un vaporoso abito bianco ornato da passamanerie in oro, a fare a gara per lucentezza con i lunghissimi codini che sfioravano il suolo, fermati a lato della testa da due fermagli in argento e smalto rosso circolari.
- Certo che le ho sentite, ma non è conveniente che la principessa si affacci seminuda solo per un militare. - borbottò Luna raggiungendola e ricominciando a stringere i lacci lungo la schiena per chiudere l’abito. Quasi con nervosismo spostò dal volto una ciocca dei lunghi capelli neri e ondulati, in netto contrasto con la carnagione quasi diafana e l’abito nei toni del giallo e del bianco avorio. - E’ solo il nuovo capo delle guardie di palazzo, dopotutto…
- E’ pur sempre una novità in questo castello. Speriamo che sia biondo, magari con un sorriso come le perle e gli occhi color del cielo d’estate.
Luna sorrise.
- Hai letto troppi romanzi d’amore, mia principessa. In genere i capi delle guardie sono rudi guerrieri, gente che conosce il termine cortesia solo per sentito dire. Avrà l’aspetto di un orco, con denti storti e l’alito puzzolente quando urlerà con la sua voce roca gli ordini alle truppe.
- Lo fai apposta. Dillo che lo fai apposta per rovinarmi l’evento. Sei una megera… - singhiozzò come una bambina piccola la principessa, la stessa luce negli occhi che Luna poteva ritrovare in un bambino in un negozio di caramelle.
Si concesse un sorriso appena abbozzato constatando come le gravose responsabilità che il ruolo di reggente al trono comportava non avessero rovinato il carattere ancora giovane, e per certi versi infantile, della principessa.
- Sarò anche una megera, - disse tornando a mostrarsi rigida e severa - ma sono pur sempre la tua tutrice e la tua dama di compagnia. Ora spostati da quella finestra e lascia che ti aiuti a vestirti, o non potrai davvero vedere il nuovo capitano.
La giovane diede ascolto alla donna, dell’età di circa trenta, trentacinque anni, il fisico minuto ed aggraziato che però mancava di quel tocco di morbida compostezza che invece aveva Usagi e che la rendeva a tutti gli effetti la signora del Regno della Luna da quando i suoi genitori e suo fratello minore erano mancati in un incidente di caccia, quasi dieci anni prima. Il consiglio degli Anziani e le maghe di corte avevano deciso di gestire il regno fino alla sua maggiore età, mentre a lei era toccato l’arduo compito di crescere una bambina che aveva sulle spalle la responsabilità di un regno enorme, ricco di bellezze come di pericoli. Quando chiuse l’ultimo bottone sotto il collo della principessa, Luna non poté fare a meno di congratularsi per un istante con se stessa per l’ottimo lavoro che aveva compiuto in quell’occasione e in quegli anni.
- Sono a posto?
- Si dice “Sono in ordine”. Non sei un soprammobile che può essere fuori posto…
- Va bene. Allora, come sto?
- Sembri una principessa… - la prese in giro la donna, accarezzandole la guancia sinistra e approfittando per lisciare un’ultima volta il tessuto bianco come la neve che componeva il davanti dell’abito, di seta preziosa che cadeva morbido sulle curve della giovane donna, i ricami d’oro sulla gonna e formavano complicati arabeschi che si intrecciavano tra di loro in un continuo groviglio di fili da sembrare quasi impossibile seguirlo senza perdersi.
- Grazie. Dici che è già arrivato?
- Immagino di sì. Penso inoltre che converrà sbrigarsi, o quei poveri trombettieri finiranno il fiato a forza di annunciarlo.
Usagi annuì e si mise a camminare con a fianco la sua dama lungo i corridoi del castello, scortata inoltre da quattro guardie, due che la precedevano annunciandola, e che seguivano. Arrivarono dopo quasi cinque minuti di porte, stanze riccamente addobbate e corridoi ornati di quadri, arazzi e oggetti antichi e di pregio davanti alla porta che permetteva l’accesso alla sala del trono da parte dei regnanti. Tale porta era nascosta dietro un grande arazzo che rappresentava la mappa del regno e che sovrastava i troni, uno dei quali vuoto e inviolato dalla morte del vecchio re. La principessa si mosse verso lo scranno più piccolo, ma cesellato da dita di rara abilità, e si sedette dopo aver salutato con un tenue gesto della mano i presenti, che fino a quel momento erano genuflessi o inchinati, con il capo chino rivolto verso il terreno.
- Ho convocato questa riunione come vogliono le consuete leggi stabilite da mio padre, e dal padre di mio padre, e dai miei antenati fin dall’inizio della casata degli Tsukino. – esordì la giovane, mentre Luna prendeva posto su una poltrona della fila di destra, riservata alle carche più importanti. Accanto a lei le due maghe di corte, Ami della casta dei Mizuno e Rei, erede della saggezza degli Hino, i sacerdoti più potenti del satellite. – Oggi tra di noi c’è una persona che sicuramente impareremo ad apprezzare per la sua forza, il suo coraggio e la sua fedeltà al regno, doti che ogni nostro soldato…
Luna si accorse che Usagi non aveva ancora posato gli occhi sulla figura ancora genuflessa e coperta da un mantello di seta nero ornato di segni distintivi bianchi, il capo nascosto dall’elmo intero da parata, brunito fino a sembrare fatto di notte coagulata e lucidata. La principessa doveva finire il discorso rituale, ma aveva deciso di completarlo senza farsi travolgere dalle emozioni che fino a dieci minuti prima mostrava tanto apertamente.
- Brava piccola. Hai imparato una lezione importante che non ti avevo mai insegnato. – sorrise compiaciuta la dama, tornando ad ascoltare la voce della bionda.
- …e quindi io, Usagi degli Tsukino, principessa del Regno della Luna, reggente dello stesso, ti chiedo di mostrati e di presentarti a noi, Endimion dei Chiba, nostro nuovo capitano delle guardie di palazzo.
La figura si alzò lentamente, con un movimento del corpo e della testa che denotava tanto carattere quanto consapevolezza del proprio ruolo in quel momento, e si avvicinò di alcuni passi al trono, separato dal pavimento della stanza da tre gradini semicircolari. L’uomo era alto circa un metro e ottanta, dal fisico asciutto ma vagamente muscoloso, visibile a tratti quando il mantello si apriva per mostrare la corazza a piastre da parata, realizzata come l’elmo con una brunitura particolare e intarsiata da leggeri motivi geometrici argentati che l’alleggerivano fino a farla diventare una sorta di opera d’arte. Fermatosi nuovamente gettò indietro le due falde del mantello, mostrando tutta la parte anteriore della protezione, quindi si sfilò la copertura del volto, ponendosela tra il fianco e il braccio sinistro.
- Mia principessa, mi presento a voi e alla vostra corte per tentare con tutte le mie forze di essere il vostro capitano delle guardie. Che la mia vita riscatti il mio eventuale fallimento. Sono Endimion della casata dei Chiba, al vostro servizio.
Usagi era senza parole, e dallo sguardo generale che aveva gettato Luna, non era l’unica. Molte delle ragazze e delle donne, sposate o meno, erano rimaste affascinate dall’aspetto e dai modi dell’uomo. Aveva corti capelli neri, tagliati forse un po’ troppo corti per essere il taglio adatto al suo viso regolare e sbarbato. Sorrise mentre pronunciava il suo giuramento rituale, mostrando denti bianchi e modi gentili anche solo in un gesto così apparentemente semplice.
- Per gli dei… - mormorò Rei, sperando nel momento in cui l’aria usciva dalla sua bocca di non essere stata udita da nessuno, ma l’occhiata della maga di palazzo accanto a lei la convinse del contrario, e arrossì di imbarazzo per alcuni secondi.
- Tranquilla. – le sussurrò Ami. – Posso capirti.
Rei fece finta di non averla sentita e riprese a concentrarsi sulla cerimonia.
- Che la corte sappia che da oggi voi sarete il responsabile della sicurezza per il regno. Accettate quanto vi sto chiedendo come principessa, come reggente e come rappresentante del popolo?
- Ne sono onorato. – rispose guardandola negli occhi per un secondo più di quanto prevedeva l’etichetta, facendo sollevare un debole brusio di alcuni dei presenti.
- Ha faccia tosta, devo ammetterlo… - pensò Luna. – La sfrontatezza può essere sintomo di coraggio o stoltezza. Mi auguro la prima.
Endimion si voltò per ricevere lo stendardo del palazzo dalle mani del capitano in carica fino a quel momento. Makoto, una delle ultime rappresentanti della razza dei Kino, formatasi nei tempi remoti quando gli uomini e le forze della natura scotevano incontrare, pose il vessillo piegato tra le braccia stese dell’uomo, e sorrise inchinandosi in modo marziale davanti a lui, anche lei indossando l’armatura di cerimonia tipica della sua razza e fusa con gli elementi tipici del regno. La pesante protezione a larghe scaglie di bronzo scurite dal tempo si fece sentire nel silenzio della stanza, come si poterono sentire i vari gioielli, bracciali e ciondoli metallici che indossava e che ne indicavano il suo status nella comunità sempre sfortunatamente più minuta dei suoi simili.
- Sarò ai suoi ordini fino alla morte e oltre, capitano Endimion. – gli sussurrò mentre retrocedeva lentamente di tre passi prima di voltarsi e avvicinarsi alla porta a due battenti che fungeva da entrata ufficiale.
- Grazie, sarà un onore morire in battaglia accanto a voi. – le rispose lui sempre sottovoce, sorridendo prima di tornare a guardare la principessa e terminare il rituale, che continuò per circa cinque minuti ancora.
Mentre la sala si svuotava, la dama di compagnia della principessa si avvicinò a lei visibilmente soddisfatta.
- Sono felice di dirvi che avete assolto ai vostri compiti in maniera egregia, mia principessa. – le disse sapendo che altre persone stavano ascoltando. – I suoi genitori ne saranno felici.
- Vi ringrazio, dama Luna. Vorrei ritirarmi, ho alcune doveri improrogabili a cui devo assolvere. – rispose ugualmente a tono la bionda, sparendo con lei dietro l’arazzo, da dove iniziarono a percorrere nuovamente i corridoi per tornare alle loro stanze.
- Sei sicura che sia andato tutto bene?
- Certo Usagi. Sei stata perfetta, anche quando lui ha contravvenuto alle regole e vi ha osservato più a lungo del necessario.
- Sempre troppo poco… - mormorò sorridendo Usagi.
- Ma… - quasi urlò tra lo spaventato e lo sbigottito la dama. – Usagi! Non puoi dire certe cose.
Usagi ridacchiò divertita. Luna era sempre stata rigida e severa sulle regole di corte e sul protocollo e lei si divertiva moltissimo a stuzzicarla in quel modo.
- Sai... non mi sembrava un orco... come l’hai definito tu.
- Hai visto solo quello che lui voleva mostrarti Usagi, - le rispose la dama continuando a giocare alla dama cattiva e arcigna, ben sapendo che l’impressione che tutti avevano avuto dal capitano Endimion era oltre ogni aspettativa. – Sono certa che sarà un arrogante pallone gonfiato con i suoi subalterni.
Nello stesso momento, ma in altri corridoi, due figure tra di loro incredibilmente dissimili stavano chiacchierando sottovoce.
- Non ti spiace? – chiese la maga, avvolta nel suo ampio mantello azzurro che le copriva anche la fronte con il largo cappuccio a nasconderle i capelli corti e color turchino.
- Che cosa? – rispose Makoto, che la sovrastava di quasi trenta centimetri, essendo lei alta circa due metri. – ah, dici di non essere più il capo delle guardie ma il suo secondo?
- Già. – C’era una nota di tristezza nella voce. – Sei stata responsabile dell’esercito per così tanti anni…
- Forse troppi. Forse è per questo che sono molto felice di aver scaricato delle responsabilità sulle spalle robuste di quell’uomo… Endimion. Ora avrò più tempo libero per dedicarmi a quello che mi piace.
- A parte accogliere a palazzo trovatelle sopravvissute a un massacro dei demoni Tenzo e accudirle e farle diventare le maghe di corte?
- Ah, beh, quello è stato uno sbaglio che mai ripeterò in tutta la mia lunga vita. E dire che i miei centoventi anni di esperienza non mi hanno impedito di fare quella sciocchezza… - scherzò la guerriera.
- Ah, allora io sarei uno sbaglio e una sciocchezza? Vuoi conoscere la potenza distruttiva dei miei incantesimi unita alla rabbia di una donna?
- No. Voglio sperimentare le tenere labbra di una ragazza ormai troppo impegnata per avere tempo per un capitano delle guardie ora quasi in pensione… - le rispose osservandola con i suoi enormi e profondi occhi marroni e stringendola leggermente a sé.
- Non qui, non ora. Come sempre, questa sera dopo la quarta ora del tramonto. – le sussurrò, la sua bocca a pochi millimetri da quella di Makoto, che ne aspirò l’alito fresco e profumato di fiori primaverili.
- Spero di resistere fino a stasera. A dopo, Ami dei Mizuno. – la salutò con un gesto marziale prima di accomiatarsi.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


- Usagi non puoi farlo!- urlò Luna nella stanza della principessa – Non é il comportamento che devi tenere!
- Luna...- fece l’altra legandosi i capelli con un nastro bianco – smettila di fare la dama di corte antipatica, é solo una passeggiata a cavallo!
- Da sola!- precisò la donna – Tu vuoi andare sola! Almeno fatti accompagnare da un paio di soldati o da Ami. Makoto, portati Makoto. Ti prego Usagi.
- Puoi venire tu.
Luna sgranò gli occhi indietreggiando senza accorgersene.
- Odio i cavalli... lo sai che da piccola sono caduta e non ci sono mai più risalita.
- Stiamo parlando di secoli fa allora. – insinuò la principessa con un sorriso.
- Usagi!
- Bene. - continuò l’altra finendo di chiudere la casacca di pelle marrone con i bottoni in madreperla – Visto che tu non vuoi venire... io andrò da sola. Non fare quella faccia... il parco attorno al castello é immenso, resterò dentro le mura, promesso.
Luna sospirò scoraggiata dalla determinazione che aveva Usagi in certi momenti, sapeva bene che era inutile discutere oltre, lei aveva deciso e nulla poteva farle cambiare idea.
- Non stare via molto. – le raccomandò un’ultima volta.
Usagi fece un vago gesto con la mano e uscì dalla sua stanza.
Il suo cavallo era già pronto da diversi minuti, gli stallieri avevano preso il suo purosangue bianco e l’avevano sellato con la sella nera ricamata con fili d’argento. Le briglie che lo legavano sul muso richiamavano i ricami sulla pelle lucida. L’animale sembrava impaziente di vederla, muoveva la coda con foga come se volesse scodinzolare come un cane, aveva due grandi occhi neri che rispecchiavano il mondo che aveva attorno come due specchi. Usagi stava spesso a fissarlo in quei pozzi senza fondo color del giaietto cercando di capire i pensieri che poteva avere quell’animale straordinario.
Arrivò lentamente finendo di sistemarsi i corti guanti neri di pelle come la sella, accarezzò la criniera candida dell’animale e salì in groppa.
- Ti va una bella passeggiata Crystal?- le disse la donna in un orecchio con un sussurro dolce.
Per tutta risposta la cavalla mosse il capo come segno d’approvazione.
- Bene. - sorrise la principessa afferrando le redini – Andiamo!
Il cavallo iniziò a galoppare veloce verso il parco attorno al castello. Usagi amava sentire il vento tra i capelli, chiudere gli occhi e lasciare che fosse Crystal a seguire un percorso nella sua mente. Conosceva quell’animale da quando era solo una bambina, l’aveva vista nascere e, da quando aveva fissato per la prima volta quelle pozze nere dei suoi occhi, aveva desiderato che quel cavallo fosse suo e di nessun altro.
Provava sempre una vaga euforia quando la cavalcava, una sensazione di libertà che non aveva mai assaporato prima. La prima volta che aveva avvertito quella sensazione si era spaventata, ricordava molto bene quel pomeriggio, aveva sedici anni, era da poco salita al trono e il suo incarico pesava come una tonnellata di mattoni sulle sue esili spalle di ragazza. Aveva chiesto un’ora per stare sola e aveva deciso di cavalcare come un tempo faceva assieme alla sua famiglia.
Crystal, avvertendo lo stato d’animo della sua padroncina, aveva iniziato a galoppare sempre più forte, fino a quando non si sentì quasi priva di peso. Era come volare, aveva avuto la sensazione che il suo corpo non esistesse più, lei non era Usagi degli Tsukino, non era una neo-regina sedicenne, era solo una ragazza, una ragazzina appena diventata donna.
Era arrivata all’improvviso quella sensazione di libertà, l’aveva travolta come un’onda in pieno viso, aveva afferrato le redini e aveva tirato. Crystal, visto la manovra brusca e così repentina, si bloccò come se qualcuno le avesse immobilizzato le gambe, facendo cadere la sua proprietaria, che aveva rischiato di rompersi l’osso del collo. Lei aveva fissato il cavallo tremante, aveva paura di quella sensazione. Essere la principessa non era mai stato un grosso problema, le responsabilità erano pesanti, ma le aveva sempre affrontate senza esitazioni ben sapendo che quello era il suo ruolo. Non aveva mai pensato diversamente la sua vita da come la stava vivendo. Eppure in quel momento era successo, proprio mentre cavalcava. Quella sensazione di libertà aveva preso per qualche secondo il sopravvento facendole desiderare di non esser Usagi dei Tsukino. Si era accorta di tremare come una bambina che vede le ombre distorte nella sua cameretta di notte durante un temporale. Si era messa a sedere rannicchiando le gambe al petto cercando di scacciare via la paura, di combatterla. La libertà l’aveva spaventata, forse perché non sapeva affrontare il mondo da sola, forse era troppo giovane per desiderare di volare da sola con le proprie ali... Lei questo ancora non lo sapeva, sapeva solo che non voleva più sentire quella sensazione bellissima e terrificante, non voleva più perdere il controllo perché aveva paura di non riuscire più a tornare indietro, a tornare ai suoi doveri di principessa del regno della Luna.
Usagi aprì gli occhi, le sembrava così lontano quel giorno, quasi un’altra vita... Un’altra Usagi, la paura era svanita nel corso degl’anni, aveva imparato a gestire la sensazione che provava a cavallo, aveva imparato ad apprezzarla ed a lasciarsi andare senza timore di perdersi.
Ora tutto era diverso... nello stesso modo in cui tutto era uguale.
Ordinò al cavallo di rallentare la sua corsa. Crystal eseguì l’ordine alla perfezione rallentando l’andatura così da permettere alla sua padroncina di osservare il paesaggio boscoso che le circondava.
Usagi si guardò attorno mai sazia della vista dei boschi del suo regno, amava la natura, i suoi colori e i suoi odori, sentiva la vita pulsare negli alberi, poteva quasi avvertire i semplici pensieri degli animali, amava perdersi nella natura, contemplando le sue bellezze perdendosi in essa estasiata.
Mentre fissava un abete centenario Crystal si bloccò di colpo come se avesse avvertito qualcosa. Un cespuglio alla loro destra, proprio accanto alle zampe muscolose del cavallo, si mosse appena, un lieve movimento delle foglie e un piccolo serpente uscì allo scoperto osservando le due nuove venute con un’aria di sfida.
Il serpente era piccolo, quasi insignificante, ma se c’era una cosa che Crystal odiava erano proprio i rettili, era terrorizzata e quel piccolo serpentello, grosso poco più che un lombrico, la spaventò fino a farla bloccare del tutto.
- Calma Crystal. – le sussurrò dolcemente Usagi in un orecchio a punta. – Va tutto bene... é solo un piccolo, innocuo serpente.
Usagi iniziò a preoccuparsi nel momento in cui sentì i muscoli dell’animale tremare sotto la spessa pelle bianca. Crystal non era un animale che si spaventava facilmente ma quei piccoli esseri striscianti erano il suo punto debole, come il suo erano i dolci.
Come risposta alla sua affermazione il serpente fece scivolare all’esterno della bocca la lingua biforcuta in mezzo ai denti.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Crysal impennò sulle zampe posteriori spaventata a morte. Usagi non riuscì ad agganciarsi in tempo e cadde all’indietro pestando la testa contro un masso e perdendo i sensi.
Il cavallo scappò via nitrendo spaventato lasciando la sua padroncina sola nel bosco.

***

Luna camminava nervosamente lungo i portici del castello. Ogni trenta secondi il suo sguardo si perdeva all’orizzonte cercando, sperando di vedere la sagoma della principessa che tornava a casa sana e salva.
Ma non si era ancora vista.
Era via da troppo tempo... non aveva mai fatto una cavalcata così lunga.
Le era successo qualcosa, se lo sentiva... non avrebbe dovuto lasciarla andare da sola!
- Ti prego. – pregò congiungendo le mani e rivolgendosi al cielo – Fa che stia bene... non farle succedere nulla...
Sentì dei passi e si voltò, speranzosa che fosse Usagi che la rimproverava per la sua esagerata preoccupazione, invece era Endimion, che con il suo passo svelto e sicuro si stava avvicinando alla dama.
- Mi avete fatto chiamare Luna?- disse con un tono di voce caldo e vellutato.
Ora che indossava l’armatura del regno e non più quella da cerimonia Luna constatò che era ancora più bello di quanto avesse immaginato. Sebbene non fosse quella da cerimonia, l’armatura del capitano delle guardie era una piccola opera d’arte di metallurgia e di incisioni e riporti in argento e oro rosso. Sopra una cotta di maglia lucente molto fine che offriva già di per sé un’ottima protezione anche contro le frecce, l’uomo indossava dei parafianchi che continuavano verso l’alto in una protezione a piastre sagomate e unite tra loro che gli copriva tutto il petto e la schiena, accentuando vagamente le forme di una muscolatura tornita ma non ipertrofica. Non essendo un esperto nell’uso dello scudo a targa, Endimion aveva fatto modificare la protezione delle braccia in modo da rendere quella che si innestava sul braccio sinistro più spessa e resistente, permettendogli di parare colpi anche potenti con l’avambraccio o addirittura il guanto, lasciando invece quasi indifeso il braccio destro, che però poteva contare su una robusta quanto leggera lama a una mano damascata dal pomolo sagomato a bocciolo di rosa che in quel momento riposava nel fodero di cuoio bollito e torchiato in bronzo lucidato. Degli schinieri metallici bruniti, come il resto dell’armatura, completavano la sua protezione. Non indossava l’elmo e si era concesso di lasciare il camaglio alle sue spalle, sopra il mantello nero, come un cappuccio metallico che non faceva altro che accentuare i lineamenti fini del viso.
Si accorse di arrossire sotto lo sguardo penetrante dell’uomo.
- Sì, Endimion – rispose con il suo consueto tono di voce severo ed autoritario anche se il rossore sulle sue guance tradiva un certo imbarazzo – La principessa é uscita per una cavalcata e non é ancora tornata.
- Perché non sono stato informato?- domandò il capitano stupito – Avrei ordinato ad un paio di miei uomini di farle da guardia.
- La principessa ama cavalcare sola. – spiegò la donna con un sospiro rassegnato.
- Può essersi attardata...- cercò una risposta più semplice Endimion – Magari ha allungato il suo consueto giro.
- Non é da lei... non farebbe mai una cosa simile... voglio che andiate a cercarla.
Endimion stava per rispondere quando si udirono le urla di alcuni soldati.
- Il cavallo della principessa é tornato!
Luna non perse tempo, raccolse le gonne del suo lungo vestito e corse verso le scuderie, Endimion la seguì superandola poco dopo e arrivando prima di lei.
Il cavallo era imbizzarrito, nitriva e scuoteva il capo spaventato da qualcosa o qualcuno, nessuno riusciva a prendere le redini per calmarlo.
Della principessa nessuna traccia.
Endimion raggiunse l’animale sotto lo sguardo stupito degli altri soldati e degli scudieri, afferrò le redini di cuoio e obbligò il cavallo a fissarlo, lentamente gli passò una mano sulla criniera accarezzandolo leggermente mentre con gli occhi chiusi poggiò la fronte sul suo muso cercando di trasmettergli un po’ di calma.
- E’ tutto finito...- mormorò con dolcezza come se fosse un bambino spaventato da un incubo – E’ tutto a posto.
Quando sentì i muscoli rilassarsi sotto la pelle dell’animale aprì gli occhi incontrando le iridi nere di Crystal.
- Tu sai dov’é la principessa vero?- le chiese con un filo di voce.
L’animale sbuffò dell’aria calda dalle narici scompigliandogli i capelli neri.
- Mi porti da lei?
Crystal mosse il capo come silenziosa risposta, Endimion non perse tempo, si issò sul cavallo e corse vita lasciando dietro di se solo una nube di terra e polvere.
Cavalcava da qualche minuto, spronando quella povera bestia a dare il meglio di se aumentando sempre di più la velocità.
Aveva il terrore che fosse stata rapita, o che fosse ferita... o peggio... nella sua testa gli apparve la nitida immagine della principessa riversa a terra in un lago di sangue. Non riusciva a scacciarla via dalla sua mente come se fosse un infausto presagio di quello che era successo alla giovane regnante della Luna.
Si sentiva un fallito.
Era al comando solo da qualche giorno e già aveva perso di vista la principessa, aveva lasciato di si addentrasse in un bosco sola e che si ferisse.
Se non peggio.
Doveva trovarla.
Quando era piccolo, e il suo futuro da soldato era solo il sogno nascosto di suo padre, immaginava sempre di salvare la principessa in pericolo, racchiusa in una torre e sorvegliata da un drago sputafuoco e mangiatore di cavalieri.
Ricordava come brandiva la sua piccola spada in legno e come fingeva si lottare, spavaldo, intrepido e senza paura.
La realtà era ben diversa.
Anche se non lo faceva vedere era terrorizzato da quel compito così gravoso sulle sue spalle anche se forti e robuste. Spesso durante quel solo giorno al comando si era ritrovato pensare che non fosse all’altezza di quel ruolo ma, come se gli potesse leggere nella mente e nel cuore, Makoto, il suo secondo, forse il suo compagno più fidato grazie al carattere e all’indole della sua razza, gli aveva detto un paio di volte che solo lui poteva prendere il suo posto, che solo con la sua determinazione poteva proteggere la principessa da eventuali pericoli.
Bella determinazione.
La principessa era sparita e lui stava cercando di trovarla con un cavallo.
Bel capitano!
Un altro colpo e Crystal aumentò la corsa mentre i suoi pensieri andarono inevitabilmente al giorno della sua nomina.
Quando era un soldato semplice, poi sergente e poi capitano nel regno limitrofo a quello della Luna, aveva visto la principessa in rare occasioni e quasi sempre di sfuggita, durante le visite ufficiali, ma in tutte quelle rare volte che l’aveva intravista si era sempre stupito della sua bellezza, di quel suo sorriso innocente e quello sguardo luminoso che aveva sempre.
Ma in quei giorni aveva anche visto anche la principessa posata e seria che era ogni volta che saliva sul trono, aveva visto come le sue responsabilità le gravano sul capo, senza però schiacciarla come spesso accadeva con sovrani anche ben più vecchi ed esperti di lei.
E poi di colpo, il giorno prima, si era accorto che quella non era più una ragazzina che giocava a fare la principessa.
Quella era una donna.
Per questo l’aveva guardata più di quanto dovuto durante la cerimonia. Quella donna l’aveva folgorato con la sua bellezza.
Una bellezza abbagliante ma non accecante, una bellezza che non stancava mai come accedeva con molte donne belle ma sostanzialmente vuote con cui aveva giaciuto. Loro avevano solo una bellezza superficiale. La principessa era bella in tutta la sua complessità ed era certo che tutti l’avessero notato man a mano che lei cresceva.
Lui si sentiva quasi ridicolo a confronto, sapeva di esser un uomo degno di nota, fin da ragazzo aveva sempre avuto delle spasimanti, si era divertito ma non aveva mai promesso nulla a nessuno, non si era mai impegnato seriamente con una di loro per via della sua ambizione a diventare capitano, ma anche perché sapeva che, in fondo, quelle donne potevano solo offrirgli un bel corpo e a lui questo non bastava.
Arrivò nei presi di un piccolo bosco. Crystal si fermò appena superato l’inizio come se volesse mostrare all’umano la via per trovare la ragazza, facendo ben intendere che lei non avrebbe più fatto un passo.
Endimion scese da cavallo, fece qualche passo poi si voltò vero il cavallo come per assicurarsi che non scappasse via di nuovo, ma dalla sua posizione Crystal non aveva paura e aspettava che tornasse quell’umano, mai visto ma che le ispirava fiducia e calore, con la sua padroncina.
Il soldato prese a camminare più verso l’interno immaginando quale sentiero potesse aver preso la principessa, ma i suoi pensieri furono bruscamente interrotti quando la vide a terra priva di sensi.
Corse verso di lei con il cuore in gola, temendo di esser arrivato troppo tardi, la prese in braccio cercando una ferita ma l’unica traccia era una piccola macchia di sangue su una roccia lì accanto, le passò una mano dietro la testa constando c’era aveva un bernoccolo proprio in mezzo la nuca, quando ritrasse la mano era lievemente sporca di sangue.
- Maledizione. – imprecò sotto voce alzandosi con lei tra le braccia – Principessa...- la chiamò mentre si dirigeva verso il cavallo. – Principessa mi sentite?
Usagi aprì appena le palpebre, il dolore alla testa le offuscava la vista. Sentiva che qualcuno la stava chiamando, una voce che lei conosceva. Sentiva anche che stava tra le braccia forti di un uomo.
- Endimion... – biascicò con un filo di voce – Siete voi?
- Sì. - confermò il soldato lievemente sollevato nel sentir la voce, seppure debole, della ragazza – Ora vi porto al castello... le maghe vi cureranno.
- Grazie...- sussurrò mentre stava per perdere di nuovo i sensi.
- Non dovete addormentarvi! – urlò l’uomo arrivando al cavallo di corsa – State sveglia!
- Ho... tanto... sonno...
- State sveglia!- fece di nuovo Endimion sistemandola su Crystal e poi salendo a sua volta. - Usagi, stai sveglia!
Usagi lottava con tutte le sue forze, voleva stare sveglia, ma le sue palpebre si chiudevano senza il suo permesso, chiuse definitivamente gli occhi e, prima di perdere di nuovo i sensi, sentì Endimion urlare il suo nome.

***
Ami teneva le mani attorno al capo di Usagi. Un debole alone turchese si sprigionò dalle mani della maga fino ad avvolgere la testa della ragazza a letto, svenuta.
Velocemente la magia fece riassorbire l’ematoma e rimarginare il piccolo taglio che si era aperto quando aveva sbattuto contro quella roccia.
Luna stava seduta a lato del letto mordendosi un labbro e torturando la stoffa del suo vestito preoccupata oltre ogni limite, Rei stava in un angolo osservando la sua amica mentre curava la principessa.
Di tanto in tanto lanciava un’occhiata a Endimion che stava appoggiato alla parete pallido in volto. Fissava Usagi, gli occhi stretti in due minuscole fessure, le braccia incrociate al petto ed un’espressione indecifrabile sul volto.
- Ho finito. – sorrise Ami togliendo le mani dal capo della principessa.
- Starà bene?- domandò apprensiva Luna.
- Sì, era solo una botta... nulla di serio. Avrà un forte mal di testa quando si sveglierà.
Senza dire una sola parola Endimion uscì silenziosamente dalla stanza. Rei lo seguì senza riflettere.
- Capitano Endimion?
Il soldato si fermò, sembrava quasi più rilassato rispetto a quando era dentro quella stanza.
- Aveva bisogno di me?
- Volevo ringraziarla per aver trovato la nostra principessa e per averla portata in salvo.
- E’ il mio compito. – tagliò corto l’altro voltandosi ed allontanandosi.
Rei osservò il movimento che faceva il mantello alle sue spalle, sospirò mordendosi un labbro e rientrò nella camera della principessa.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Alcuni giorni dopo tutto quello che era successo alla principessa era stato dimenticato, o apparentemente così sembrava. Usagi si era rigettata senza pensarci troppo nei compiti che il suo ruolo imponeva, aiutata e sostenuta da Luna, Ami era ritornata a studiare incantesimi e pozioni per tenersi in esercizio, e Makoto era con il capitano Endimion era impegnata ad allenarsi. Alacremente.
- Dammi un secondo di tregua, Endimion! – gridò la donna mentre assorbiva l’impatto della spada del suo superiore.
- Come?! – gridò lui di rimando tornando in posta di coda longa la spada dietro di sé, nascosta dal suo corpo, portando poi un altro pesante fendente che mirava ad aprire la testa dell’essere in due come un melone maturo.
- Ho detto fermati! – rispose lei, bloccando il colpo con il pesante scudo rotondo fissato all’avambraccio sinistro, mentre la mano destra lasciava la mazza chiodata e si serrava sul polso di Endimion. – Calmati, umano, o finirai per scoppiare!
Lui ansimò, lasciando la presa sull’elsa dell’arma e annuendo.
- Va bene, ma solo per poco. Dobbiamo essere in forma se succedesse qualcosa.
- Endimion, l’ultima guerra si è conclusa prima che io nascessi. Cosa vuoi che capiti? – gli sorrise lei mentre si spostavano ai bordi dell’arena in cui vari soldati si stavano esercitando, offrendogli un bicchiere di acqua fresca.
- Potrebbe capitare qualsiasi cosa. – mormorò mentre bevevano. – Grazie. Ci voleva. – sospirò.
- Come cavalli imbizzarriti e colpi di fulmine che nessuna armatura può parare?
- Makoto!
- Ho colto nel segno, vero? – sorrise quasi maliziosa l’altra mostrando la sua natura femminile che spesso non veniva scorta sotto la corazza da soldato.
- Non ti permetto di insinuare certe cose sul conto della principessa.
- Non ho mai parlato di lei, ma di te. Certo è che la tua reazione e il colore paonazzo del tuo volto mi danno conferma di quanto ho appena detto. Lei lo sa?
- Per gli dei, spero di no. La mia testa penderebbe dalla torre più alta del castello se lo venisse a sapere. Sono solo il capitano delle guardie. Solo il fatto di pensare di poter avere un piccolo spazio nel suo cuore fa di me quasi un traditore…
- Esagerato! – rise lei controllando i segni lasciati dalla spada nel suo scudo di oricalco. – Non ragionare come se esistessero ancora le caste. Chiunque può essere chiunque. Guarda me.
- Perché? Tu che c’entri?
- Nata Kino nella più umile delle classi, quella dei Servi, grazie alla mia forza, alla mia tenacia e a molta fortuna sono arrivata a liberarmi dal giogo della mia classe e a scappare dal mio villaggio prima che scomparisse, soffocato dall’indole di autodistruzione propria della mia razza. Lentamente sono entrata al castello e a farmi strada fino ad arrivare dove sono ora.
- Ti ho scalzato. Mi odierai.
- Anzi. Ti ringrazio. Hai le spalle larghe, e sei perfetto nel posto che occupi ora. Io sono troppo impulsiva, nonostante la mia età che per voi è oltre che veneranda. Mi sta bene il ruolo di secondo, mi da tanto tempo libero.
- E come lo passi? Non sei mai alle baracche quando non sei di turno. E so che odi andartene in giro da sola…
Lei lo guardò.
- Endimion… - disse con un piccolo sorrisetto ironico.
- Scusa, non volevo essere invadente. Ricominciamo? - scattò alzandosi in piedi e mettendo mano alla spada. Lei lo bloccò.
- Tu mi hai praticamente confessato il tuo segreto. Ora sarò io a dirtene uno mio, rispondendo alla tua domanda.
- Non sei tenuta a…
- Zitto. Fai finta di essere il capitano delle guardie. - lo derise gentilmente. - Su diritto, spalle dritte, su con la testa. Forza, forza… - rise, mentre l’uomo eseguiva come un bravo soldatino, quasi senza rendersene conto. – Comunque, io il mio tempo libero, ora che ne ho, lo uso tentando di capire come si possono spostare i monti con una parola. La mia maestra dice che ho cervello, ma che sono negata a causa della mia discendenza…
Endimion la guardò per un secondo, quindi capì, sgranando gli occhi.
- Quindi quelle voci che ho sentito su come la maga sia arrivata a corte…
- Dipende. Se stai parlando di quella relativa al suo arrivo a cavallo di una scopa in una notte di luna piena, direi che è totalmente fasulla, ma relativamente all’altra. Beh, è vera. In parte almeno.
- Ma la corte sa che…
- Perché dirlo? Di certo non potremo combinare dei guai peggiori di quanto altri non hanno già fatto. Non facciamo male a nessuno e ci divertiamo. Spero che manterrai il segreto.
- Non ti preoccupare.
Lei annuì e si alzò.
- Ricominciamo?
Lui si inchinò leggermente e si spostò verso uno spazio libero da combattimenti.
- Soddisfatta?
- Certo. Oh, Luna, non fare quella faccia, non è la prima volta che vengo a vedere gli allenamenti dei guerrieri.
- Verissimo, ma è la prima volta che me lo chiedi ogni giorno da tre giorni. Non è regale mischiarsi troppo spesso con gente di una classe così diversa.
Usagi alzò gli occhi al cielo.
- Faccio finta di non averti sentito. Se ti dessi retta torneremmo indietro di secoli.
- Ma le leggi…
- Luna, le leggi si cambiano, se non vanno bene. Sono la Principessa reggente di questo paese, avrò il potere e l’autorità di cambiarne una che non mi piace. O devo chiedere il permesso alla mia dama di corte?
- Come sua Altezza desidera. – disse fredda la donna.
- Dai Luna, non essere dura con me. Sai cosa vuol dire per me poter vedere chi mi ha salvato la vita.
- Io vedo invece un capitano che non ha fatto subito il suo dovere, visto che eri in pericolo. Il suo dovere è evitare che tu ti potessi trovare nei guai, non risolverli una volta formati.
- Io ho deciso di fare il giro nel parco, lui non c’entra. Non scusare me incolpando gli altri. – si stava alterando la bionda, alzando la voce. - Va bene essere la mia dama, ma incolpare gli altri non mi sembra nel tuo carattere.
- Come vuoi. Vedo che ho punto sul vivo. Forse troppo per quello che potrei pensare come dama di compagnia. – sorrise Luna. – Ma hai superato anche questo trabocchetto.
La giovane la guardò stranita.
- Hai preso le tue responsabilità, quando semplicemente potevi concordare con me mentre scaricavo la colpa della tua bravata su Endimion.
- Arriverà il giorno in cui la smetterai di pormi questi stupidi tranelli?
- Forse...- sorrise la donna compiaciuta da suo lavoro – quando sarò certa che la tua istruzione sia giunta al termine.
Una delle spade cozzò troppo forte contro un’altra, spezzandosi di netto. Il moncone appuntito e affilato volò in aria, diretto verso la schiena della dama, vestita di giallo antico come la sua principessa era vestita in un leggero vestito color avorio.
- Dama Luna! - gridò Endimion inorridito muovendosi verso di lei, già certo nel cuore di non poter intercettare il metallo.
La donna reagì prima che l’uomo finisse la prima sillaba. Si voltò torcendo il busto, osservò la lama come a calcolarne la traiettoria, quindi si diede una spinta all’indietro con un potente colpo di reni, finendo per aria, vestito, gonna e sottogonne. Con un colpo secco del tacco del piede destro colpì in volo il moncone, deviandone la traiettoria e facendolo finire in un paglione al momento non utilizzato per l’allenamento degli arcieri. Ricadde a terra, appoggiata sul piede sinistro e sulle mani, le gonne a coprire lentamente le lunghe e affusolate gambe. Si rialzò, pulendosi le mani una nell’altra e si voltò verso il capitano delle guardie, tutti i soldati ad osservarla esterrefatti.
- Stia attento, Endimion. I suoi soldati sono sotto la sua responsabilità, così come la principessa è sotto la mia. Mi ha fatto fare dell’esercizio oggi, e di questo la ringrazio. Ma che sia l’ultima volta. – gli disse dura, prima di affiancarsi alla principessa e portarla via.
- Come? – balbettò lui.
- Per oggi ci siamo allenati abbastanza. Tutti negli alloggi fino a nuovo ordine. Voi due, siete in punizione fino a domani, e due settimane di ronda notturna. Così imparerete a non curare le vostre armi o a colpire troppo forte. – urlò Makoto. Immediatamente tutti obbedirono, lasciando solo lei e l’umano nell’arena terrosa. – Come va, Endimion?
- Ho fallito per l’ennesima volta. – rispose cupo il comandante rifoderando la sua spada.
- No. Semplicemente direi che sei davvero sfortunato. Ma direi anche che sei simpatico a Luna.
- Simpatico? Ma hai visto come mi ha guardato?
- Fidati. La prima volta che ho fatto qualcosa che non era esattamente quello che lei si aspettava ho dovuto passare una settimana sotto le amorevoli cure di Rei e di Ami. Non avevo un osso sano. - rise rabbrividendo comicamente al pensiero delle potenzialità di quella donna.
- Tu? Non ci credo.
- Eppure l’hai vista. Non solo è una dama di compagnia tra le più intransigenti del regno, ma è anche un’ottima guerriera. Non ha rivali nel corpo a corpo, e anche con i coltelli multipli direi che pochi esseri la potrebbero battere.
- Questo non mi tira su di morale. Sapere che una dama di compagnia può farmi fuori quando vuole…
- Ma non vuole. E se non vuole, direi che c’è una buona ragione. Molto buona.
- Cosa intendi?
- Nulla. Sono solo una sciocca donna a cui piace fare pettegolezzi. – sorrise sorniona lei. – Invece, ascolta un consiglio. Se puoi, parla con la Hino.
- La sacerdotessa dei fuochi sacri? Perché?
- Da quando sei arrivato non ha occhi che per te. Ieri o sentito alcune accolite del tempio mormorare tra di loro che non riesce più a svolgere i suoi compiti nel modo giusto da quando il suo cuore è occupato da un uomo, e una giurava di aver visto l’ombra di una spada e di un elmo scuro nel fuoco quando lei lo consulta prima di fuggire sconvolta. Fai tu i tuoi conti, spadaccino dall’elmo brunito.
- Non vorrai mica dirmi che la sacerdotessa ha…? No, dimmi che non è vero e che è solo un brutto scherzo.
- Sfortunatamente no. Dico, ma ti sei mai guardato allo specchio in questi anni? Se non fosse che sono di una razza diversa ti avrei già chiesto di sposarmi. Mi preoccupo di quelle dame che non ti sono ancora crollate ai piedi.
- Vorrei ridere, ma l’idea della sacerdotessa Rei innamorata di me non mi piace per nulla.
- Non è poi così brutta…
- Non intendevo quello. E’ potente, la più potente da anni, decenni a questa parte, e deve ancora crescere come potenziale. Il suo invaghimento nei miei confronti può essere solo presagio di sventure.
- Esagerato. Ti preoccupi troppo. Dai, è quasi mezzogiorno. Ti offro il pranzo e un boccale di birra al miele.
- Sarei tentato, ma preferisco darmi una pulita e riposare un attimo. Mangerò un boccone in camera. Dovrei avere ancora qualche mela avanzata dai giorni scorsi.
- Sei un orso solitario.
- Groaaar, groooar! - la salutò lui ridendo mentre si allontanava, diretto ai suoi alloggi.
Rei aspettò che la Kino abbandonasse l’arena prima di muoversi dal nascondiglio che si era trovata, poco distante il deposito delle armi.
- Non sono riuscita a sentire quello che si dicevano, ma non importa. Quello per cui ero venuta è vedere il capitano Endimion, e così è stato. Per gli dei, quell’uomo è un avatar, non ci sono altre possibilità. Solo una divinità in forma umana potrebbe essere altrettanto bella, e io, come rappresentante del popolo più vicina agli dei, ho il dovere e il diritto di essere al suo fianco. Chi meglio di me può capire e amare appieno un dio come lui? - pensò, il cuore e la mente traboccanti di scene per lei deliziose in cui Endimion era al suo fianco. - Ho passato la mia vita a pregare, a sperare che gli dei ascoltassero la mia preghiera, ho passato una vita a utilizzare i miei poteri di preveggenza e di divinazione per gli stolti contadini assetati di pioggia o affamati di vacche grasse, e la mia preghiera di felicità si è ora realizzata. Ogni volta che lo vedo il mio cuore piange di gioia, e nella notte il suo volto mi permette di prendere sonno serena. Io e lui siamo stati creati per essere una cosa sola. Sono sicura di questo. - continuò il ragionamento pedinando l’uomo per i corridoi, inseguendolo a una decina di passi di distanza, la sua lunga veste rossa e le pedule in velluto fruscianti attorno a lei, rendendola virtualmente invisibile alle orecchie di Endimion, abituate al costante rumore dell’usbergo e delle placche dell’armatura che lo ricoprivano.
- Se Luna scopre che ho perso uno dei fermagli in oro mi spella viva! - pensò la principessa correndo come una pazza per i corridoi, essendosi accorta in camera sua che una delle sottili spille che le tenevano l’acconciatura era sparita. - Posso averla persa solo all’arena. Speriamo solo che Luna non venga a cercarmi per almeno cinque minuti… - pregò la bionda, voltando a tutta velocità nel corridoio di pietra levigata.
Di fronte a lei si parò improvviso un oggetto nero e grande, che le occupò l’intera visuale un secondo prima che ci andasse a sbattere.
- Chi? - gridò sorpreso il capitano delle guardie, che aveva visto venirsi addosso una nuvola color avorio sormontata da lunghi codini color oro. - Principessa?!
- Mamma che botta… - borbottò l’altra massaggiandosi la fronte dove aveva cozzato contro la dura armatura, sicura di essere a terra, sorpresa invece di sentire due forti e calde mani stringerle gentilmente le spalle. Endimion la stava sostenendo. - Capitano Endimion? – mormorò mettendo bene a fuoco la figura davanti a lei.
- Cosa è successo? Da chi scappavate? – domandò apprensivo il soldato certo di aver commesso un altro errore che, sicuramente, gli sarebbe costato il posto che aveva sempre sognato e soprattutto, di non poter più stare accanto alla sua principessa.
Lei alzò lo sguardo, incrociando i suoi profondi occhi. Per un istante nulla al mondo importava se non quelle pozze senza fondo. Stava tremando, forse un effetto della corsa e del colpo contro il petto coperto dall’armatura. Forse era solo la sua presenza a farla tremare.
- Da nessuno. Io stavo cercando di… No, volevo dire che… - disse ansimando confusa ed imbarazzata.
- Calmatevi, mia principessa.
Lei inspirò per riprendere fiato. L’uomo osservò il petto alzarsi e abbassarsi tirando leggermente la stoffa del vestito. Il suo fiato sapeva di rose e di sole d’estate.
- Endimion, stavo solo cercando una cosa che avevo perso. Io credevo che voi, cioè, io pensavo che ormai…
- Va tutto bene. Se mi permettete, vi aiuterò a cercare quanto avete perso. – le propose liberandola a malincuore dalla sua dolce seppur energica stretta.
Usagi sorrise lievemente sentendo le sue guance imporporarsi all’improvviso.
- Vi stavate dirigendo alle vostre stanze...- valutò inclinando appena il capo – Sarete stanco dopo l’allenamento, non voglio che sprechiate il vostro tempo libero con me.
- Non sono stanco. – rispose velocemente il giovane che si sentiva rinvigorito nei pochi attimi che era stato con lei quando, solo qualche secondo prima, l’unica cosa che voleva era starsene a letto a riposare.
Usagi allargò il sorriso, il cuore di Endimion mancò un colpo.
- Grazie, Endimion.
Camminarono lungo il corridoio fino ad arrivare all’arena, la principessa si fermò proprio nel punto il cui era qualche minuto prima intenta ad osservare il bel cavaliere che l’aveva salvata.
Endimion non aveva la minima idea di quello che doveva trovare, ma non gli importava, avrebbe cercato anche l’acqua nel deserto se lei gli fosse rimasta accanto.
Usagi osservava il pavimento di terra battuta cercando il prezioso gioiello pregando in cuor suo di metterci un’eternità perché voleva stare il più possibile vicino a quell’uomo.
- Di preciso cosa stiamo cercando Altezza?
La principessa si lasciò sfuggire un debole, quanto impercettibile, sospiro.
- Endimion... – esitò un attimo soppesando ogni parola – vorrei... vorrei che mi chiamaste con il mio nome.
Il soldato la guardò stralunato.
- Come dice?
Usagi sospirò voltandosi verso di lui, il respiro le si mozzò in gola quando vide il suo sorriso.
- Vorrei... vorrei che mi chiamaste Usagi...
- Ma voi siete la principessa...- tentò di spiegare Endimion con poca convinzione – non posso chiamarvi per nome... il protocollo...
- Mi sembri Luna! - sbuffò l’altra contrariata al suono di quelle parole, passando direttamente al tu senza neppure accorgersene – Ti ho solo detto che mi farebbe piacere che mi chiamassi con il mio nome. Nel bosco sono certa che tu mi abbia chiamato Usagi... perché ora no?
Endimion sussultò colto in fallo, era vero... preoccupato per la sua salute si era lasciato sfuggire il suo nome con un urlo di disperazione.
- Se qualcuno dovesse sentirmi...
- Solo quando siamo soli! – insistette la ragazza.
Endimion voleva precisare che in nessun caso la principessa doveva stare sola con il capitano dei soldati, ma non aveva il coraggio di negare, anche a se stesso, che gli avrebbe fatto piacere trovarsi ancora solo con lei in una qualsiasi soluzione.
- Va bene...- acconsentì felice, arrendendosi alla richiesta della donna – ma solo quando saremo soli.
- Grazie Endimion.
- Chiamami Mamoru... Usagi.
- Come?
- Endimion è solo il titolo onorifico che viene dato a mio paese per i migliori guerrieri, il mio nome é Mamoru.
Usagi si avvicinò al soldato con un sorriso luminoso sul volto angelico.
- Mamoru? - lo guardò.
Il suo cuore perse un colpo picchiando contro la piastra che proteggeva il suo petto dagli assalti nemici. Si rese conto di non poter più tornare indietro. Era certo che qualsiasi fossero gli effetti delle sue azioni ne sarebbe valsa la pena. Quelle labbra, quegli occhi sarebbero stati la sua gioia e la sua rovina. Le bloccò le braccia con le sue mani guantate, attirandola leggermente a sé.
- Dimmi, Usagi. – mormorò soavemente avvicinandosi a lei, avvicinando il suo volto a quello di lei.
Con una mano tremante Usagi gli accarezzò una placca di metallo che gli copriva il torace muscoloso, poteva sentire ogni singola differenza di calore delle mani dell’uomo, che ancora la teneva stretta, impedendole di fuggire, avrebbe pensato Luna, ma lei era felice. Sentiva il suo profumo misto al sudore dell’allenamento, sentiva le fasce muscolari delle braccia, vedeva quel volto così vicino, e voleva assaggiarlo, assaggiare le labbra che tanto bene avevano pronunciato il suo nome.
- Proteggimi. - gli sussurrò, le loro labbra a pochi millimetri una dall’altra.
- Ai tuoi ordini, mio amore. - sorrise premendo la sua bocca su quella della bionda, che contraccambiò con ardore, un fuoco impossibile da contenere che la stava bruciando dall’interno, partendo e ritornando al cuore.
Lo stesso fuoco ardeva nel petto di Rei, ma lo sguardo triste e il cuore pieno di dolore e di astio verso di loro non avrebbe lasciato le stesse sensazioni nei suoi ricordi.
Sentiva il suo cuore andare in pezzi, un dolore dilaniante che nessun’arma avrebbe mai potuto infliggerle, si sentiva tradita dall’uomo che amava e dagli stessi dei, sentiva il sangue pulsarle nelle tempie mentre le unghie graffiavano la pietra levigata della colonna dov’era nascosta, lasciando dei solchi profondi, fumanti e ben visibili.
- Me la pagherai Principessa della Luna. - promise allontanandosi velocemente con i veli della gonna che le svolazzavano attorno alle gambe rappresentando le fiamme ardenti della sua gelosia.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


La sua stanza era ricolma di libri. Antichi tomi ingialliti e pieni di polvere troneggiavano sulla sua scrivania di pietra grigia ereditata dalla precedente sacerdotessa
Rei leggeva velocemente tutte le formule che trovava su quelle pagine ammuffite dal tempo, incantesimi proibiti, vecchie maledizioni, ma nulla sembrava soddisfare la sua sete di vendetta.
La principessa doveva soffrire. Nel modo più atroce, più cruento e più doloroso che esistesse. Le avrebbe portato via tutto quello che aveva di più caro, le avrebbe fatto pentire il giorno in cui aveva messo gli occhi sul suo uomo.
- Quella sciatta principessa, quella piccola serpe dai capelli dorati, si pentirà di avermi rubato Mamoru! – gridò folle di gelosia.
Chiuse l’ennesimo, per i suoi scopi inutile volume polveroso e lo lanciò alle sue spalle, incurante dei disastri e del disordine che, ormai, regnava sovrano in quella stanza.
Quando la luna era già alta nel cielo notturno, la strega trovò quello che stava cercando così disperatamente.
- Ecco la mia vendetta...- mormorò soddisfatta leggendo avidamente la formula – questo farà al caso mio.
La risata echeggiò per tutto il tempio, molte delle sue adepte si svegliarono scosse da tremiti per quella risata diabolica.
Molto più in là, in una delle torri più in alto e più a nord del castello, una figura coperta da un mantello turchese stava sul balcone intenta ad ammirare il cielo, ignorando il freddo vento che avvolgeva il suo esile corpo di maga. Il capo rivolto verso l’alto, il cappuccio di spesso tessuto era scivolato all’indietro liberando il viso dalla sua ombra che lo copriva per quasi tutto il giorno, gli occhi, dello stesso colore della sua tunica, osservavano rapiti la volta celeste intenti a cercare qualcosa che non riuscivano a trovare.
Le sue labbra rosa si incurvarono in un lieve sorriso mentre sentiva i passi della sua compagna alle spalle, quando le sue forti braccia le circondarono la vita si sentì in pace con se stessa e con il mondo.
Per un attimo la sua preoccupazione svanì.
- Qualcosa ti inquieta. – le sussurrò Makoto all’orecchio.
Ami si lasciò sfuggire un gemito preoccupato.
- Sta succedendo qualcosa vero? - fece Makoto con un sussurro.
- Guarda il cielo.
La soldatessa alzò gli occhi, il cielo era nero, completamente privo di stelle anche se era, ormai, notte inoltrata, la luna era solo uno spicchio sottile poco luminoso che dava quasi l’impressione di un ghigno beffardo sul volto scuro della notte.
- Io non sono potente come Rei... – fece Ami con un tono di voce molto preoccupato. – ma riconosco un segno nefasto quando lo vedo.
La stretta attorno alla sua vita aumentò.
- Cosa vedi?
Ami chiuse gli occhi e respirò piano, annusando l’odore della notte mischiato con quello della sua compagna.
- Buio... - rispose prendendole le mani – solo buio...
Luna picchiettava il piede sul prezioso marmo rosato del pavimento della sua stanza, era ansiosa, da qualche giorno la principessa stava chiusa nella sua stanza senza vedere nessuno, era certa che non stesse male perché, quelle rare volte che usciva, aveva un sorriso sul volto che faceva invidia a tutte le donne di corte.
C’era qualcosa che non andava, a volte spariva per delle ore senza che nessuno sapesse dove fosse diretta, nessuno la trovava, nessuno l’aveva vista o sentita, spariva... per poi tornare radiosa come non era mai stata.
Era strana... e lei, quale dama, tutrice e amica della ragazza, doveva sapere dove si andava a cacciare in quei momenti!
- Sei troppo ansiosa. – la rimproverò con finto sarcasmo una voce maschile dietro di lei – Usagi non é più la tua bambina.
Luna sospirò ben sapendo dove voleva andare a parare l’altro.
- Lo so. – rispose celando il suo dispiacere. Gli dei non le avevano dato la gioia di un figlio suo e, con il passare degli anni, si era spesso trovata a considerare Usagi come sua figlia. Il legame che le univa andava spesso oltre il solito rapporto tra dama di corte e principessa, spesso lei la sgridava proprio come una madre fa con la figlia e Usagi, quando era più piccola, l’aveva chiamata mamma un paio di volte.
- La principessa é grande Luna. - continuò l’altro con voce vellutata avvicinandosi alla donna – Devi lasciarla camminare con le sue gambe.
La donna si voltò di scatto trovandosi a pochi metri da lei l’uomo che stava cercando di farle ammettere che Usagi, la sua piccola ed indifesa Usagi, non aveva più bisogno di lei.
L’uomo era più alto di lei di almeno venti centimetri, la sua testa gli arrivava sì e no alle larghe spalle. Era magro e non troppo muscoloso permettendo al suo corpo di esser agile e veloce, caratteristiche adatte per il compito che svolgeva. I lunghi capelli bianchi erano in piacevole contrasto con la pelle olivastra del giovane, così come i suoi occhi, di un azzurro così chiaro da sembrare due pezzi di ghiaccio. I lineamenti erano decisi, ben marcati e non facevano altro che aumentare la sua bellezza. Indossava un vestito di cotone verde chiaro con ricami in argento, alla vita portava una cintura di cuoio marrone, lisa dal tempo e dalle lotte corpo a corpo che aveva dovuto affrontare per arrivare dov’era ora, una cintura così vecchia che stonava vistosamente con gli indumenti nuovi e perfettamente in tono con il posto in cui viveva. Sei pugnali, lucidi come specchi e letali nelle mani dell’uomo penzolavano dalla cintura picchiettando lievemente sui fianchi ogni volta che camminava con il suo passo deciso e silenzioso come quello di un gatto. Luna ricordava bene tutte le volte che si era allenata con lui usando altri sei pugnali identici, sei pugnali che lui stesso le aveva regalato quando era il suo maestro, prima che diventasse il suo amante e poi suo marito. Gli stessi cinque pugnali che aveva nell’armadio mentre uno lo portava sempre legato ad una gamba sotto le gonne in caso di emergenza.
- So bene che la principessa é grande ormai Artemis. – disse risoluta, ben sapendo che i suoi occhi lucidi tradivano la sua piccola tristezza – Ma deve anche capire che ha un regno da gestire, mille impegni che solo lei può adempiere.
Artemis incurvò le labbra sottili in un sorriso.
- La principessa sa molto bene quali siano i suoi compiti. – mormorò fissandola negl’occhi – Non devi preoccuparti di questo Luna.
- Invece mi preoccupo molto! Da quando c’é quel soldato... quell’Endimion... ha la testa tra le nuvole, i suoi pensieri sono altrove e il suo sguardo... beh io so cosa vuol dire quello sguardo che ha quando lo vede. E’ lo stesso che ho io quando...- non finì la frase arrossendo come una bambina e voltando il viso dall’altra parte.
Un candido sopracciglio dell’uomo si sollevò curioso mentre la piega beffarda delle sue labbra non accennava a diminuire.
- Quando tu?- la invitò a continuare divertito da quel momento di imbarazzo che raramente aveva la moglie.
Luna si morse un labbro, difficilmente era in imbarazzo davanti agli altri, ma Artemis aveva sempre avuto il potere di metterla in soggezione facendola arrossire anche dopo anni.
Sentì le delicate dita del compagno prenderle il mento e costringerla a fissarlo negli occhi, quegli occhi che tutti ritenevano di ghiaccio ma che mandavano fiamme infuocate quando si incrociavano con i suoi. Tremava sempre quando la guardava in quel modo, quel modo così dannatamente sensuale, quello sguardo che poteva leggerle anche l’anima. Il suo viso era dannatamente vicino, ma il suo orgoglio le impediva ancora di baciarlo con l’immenso amore che provava.
- Quando tu? – ripeté l’uomo anche lui incapace di reggere il gioco ancora per molto. Voleva la sua donna, la voleva subito e non voleva più aspettare oltre, ma prima Luna doveva superare il suo orgoglio.
- Lo stesso sguardo che ho io quando... – si mordicchiò il labbro inferiore per un attimo prima di continuare – quando sto con te... amore mio.
L’altra mano di Artemis l’afferrò per la vita stringendola al proprio corpo facendole sentire la sua eccitazione, scese sulle sua labbra senza lasciarle il tempo di pensare in bacio violento ma carico di passione. Luna rispose al bacio con la stessa passione anche se un angolo della sua mente continuava a ricordarle che doveva assolutamente ritrovare Usagi.
- Non posso...- mormorò poco convincente, cercando di allontanarsi mentre suo marito scendeva per assaggiare la pelle vellutata e fresca del suo collo – Artemis... devo trovare Usagi.
L’uomo alzò la testa lanciandole uno sguardo che la fece sciogliere tra le sue forti braccia.
- Sei prevedibile mia signora...- le sussurrò all’orecchio mandandole scariche di pura eccitazione per tutto il corpo mentre la sollevava dolcemente da terra. – ho già mandato qualcuno a cercare la Principessa... quindi ora puoi occuparti di tuo marito che inizia a sentirsi trascurato in questi giorni.
Luna ridacchiò mentre suo marito la portava nella loro stanza.
Quello che Luna non sapeva era che Usagi non stava tutto il tempo nella sua stanza, da piccola aveva trovato nella sua camera un passaggio segreto che conduceva in un cortile poco lontano dalle scuderie, non aveva mai parlato di quel passaggio segreto a nessuno e, ogni tanto, scappava di notte per andare a trovar il suo cavallo, soprattutto quando era ancora piccola e non poteva cavalcare sola.
Ora quel lungo corridoio di pietra, le serviva per ben altri scopi.
Quando chiudeva a chiave la porta, afferrava il suo mantello e apriva il buco nella parete, camminava veloce per il lungo corridoio di pietra scura, totalmente differente dal resto del castello, e usciva all’aria aperta. Dietro una colonna c’era sempre Mamoru ad attenderla, i cavalli erano già pronti, salivano in groppa e, coperti da Makoto, uscivano per fare una passeggiata.
Spesso andavano nel bosco dove Crystal l’aveva disarcionata, legavano i cavalli ad un albero e stavano seduti sull’erba, parlavano, ridevano, spesso non dicevano nulla e lasciavano che i loro baci e le loro carezze parlassero al loro posto. Sapeva che Luna era sospettosa riguardo al suo comportamento e sapeva che non amava trovare la porta della sua stanza chiusa a chiave, avrebbe dovuto dare delle spiegazioni ma ora non voleva rovinare quel momento. Voleva tenere quell’amore segreto ancora per un po’, giusto il tempo per godere fino in fondo quella sensazione magnifica che provava quando stava con lui. Sospirò poggiando la testa sulla spalla dell’uomo, gli aveva chiesto di non indossare l’armatura quando si vedevano, non voleva nessuna lastra di metallo che la dividesse dal calore del suo corpo. Aveva accettato, ma si rifiutava di lasciare al castello la sua spada.
- Cos’era quel sospiro?- le domandò Mamoru voltandosi verso di lei e stupendosi ogni volta della sua bellezza.
- Era un sospiro di soddisfazione. – rispose la principessa stringendosi di più al corpo dell’altro – Sono felice Mamoru.
Il soldato si voltò verso di lei scendendo sulle sue labbra rosse per un dolce bacio, l’ennesima prova del suo amore. Lentamente la fece adagiare sul soffice manto erboso che ricopriva il terreno, senza mai staccare le labbra dalle sue, incapace di trattenere il suo amore per quella ragazza, per quell’angelo biondo che gli era caduto tra le braccia all’improvviso.
Lentamente fece scivolare una mano sulla vita della giovane dove il calore della sua pelle si sentiva anche sopra le vesti.
Usagi ridacchiò sopra le sue labbra.
- Soffro il solletico. – si giustificò lievemente imbarazzata.
- Oh...- mormorò Mamoru divertito - sul serio?
Usagi sgranò gli occhi prima di scoppiare a ridere mentre il capitano le solleticava i fianchi.
I cavalli alzarono per un attimo il muso dall’erba tenera che stavano mangiando, quando capirono che i due stavano solo giovando tornarono a concentrasi sul loro pranzo, la risata cristallina e spensierata della principessa della Luna si sparse per tutto il bosco, i tronchi facevano rimbalzare la sua voce fino a raggiungere le orecchie di una donna che li stava osservando da molto tempo.
Rei versò l’ultimo ingrediente nel calderone che bolliva a fuoco vivo davanti a lei. I lunghi capelli neri erano appiccicati al suo volto per colpa dei fumi che emanava quel liquido puzzolente. Quando uno sbuffo viola si alzò dalla pentola, la maga ci guardò dentro per verificare che la pozione avesse fatto il suo lavoro. Sul fondo concavo del calderone splendeva un gioiello. Incastonate nella montatura d’argento vi erano quattro pietre preziose. Prese il gioiello con mani tremanti e lo osservò attentamente, cercando di vedere se imperfezioni o altro potessero minare l’efficacia dell’incantesimo che avrebbe pronunciato nel giro di pochi secondi. Sorrise soddisfatta, complimentandosi con se stessa per la perfezione dell’artefatto.
Ami alzò di scatto la testa dal libro che stava studiando.
- Magia...- mormorò alzandosi di scatto incurante della sedia che si era rovesciata alle sue spalle – magia potente... Rei! Ha appena recitato un incantesimo proibito da tempi immemori.
Sollevò un poco la gonna e corse fuori.
Felice e del tutto inconsapevole di quello che stava succedendo nel suo castello, Usagi fece scorrere la porta del passaggio segreto e tornò nelle sue stanze. Cacciò un urlo quando si trovò davanti Luna inferocita e un’altra donna che conosceva molto bene.
Minako della famiglia degli Hino.
Assieme ad Artemis erano le due spie del regno. Minako era seria e scrupolosa nel suo lavoro quanto sensuale e provocante quando si trattava di conquistare un uomo anche solo per una notte. La ragazza aveva la sua età, una corporatura esile, ma letale quando si trattava di combattere. I lunghi capelli d’oro erano perennemente legati in una treccia mentre gli occhi azzurri erano vigili e attenti qualsiasi movimento facessero le persone accanto a lei. Mentre Luna la fissava in cagnesco quasi volesse divorarla in pochi bocconi, Minako sembrava quasi sorriderle, come se fosse impressionata per il suo comportamento. Più di una volta si era resa conto che quella ragazza la sottovalutava, ma i pensieri di Minako erano l’ultimo dei suoi problemi.
- Dove sei stata?- chiese duramente Luna sorvolando su quel passaggio segreto di cui non conosceva l’esistenza.
- A fare una passeggiata. – rispose Usagi non curante dell’espressione dell’altra – Come hai fatto ad entrare?
- Ho trovato la chiave di servizio che tu hai così ingegnosamente nascosto nelle cucine. Eri sola nel bosco?
- Come fai a sapere che ero nel bosco?- domandò insospettita la principessa mordendosi subito la lingua per aver parlato troppo.
Sempre con quell’espressione arcigna, Luna si avvicinò alla ragazza e le tolse un filo d’erba incastrato tra i suoi capelli.
- Non sono stupida. – mormorò – E so che eri nel bosco con Endimion.
- Mamoru...- la corresse Usagi – si chiama Mamoru.
- Adesso siamo anche passati a chiamarlo per nome! – si voltò verso la ragazza – Minako puoi andare... grazie per il tuo aiuto.
La ragazza non rispose, fece un lieve inchino e si liquidò in fretta.
- Mi hai fatto seguire! – fece Usagi scandalizzata – Non posso crederci!
- Dovevo pur far qualcosa! – rispose a tono Luna – Lo capisci che ero preoccupata? Da quanto va avanti?
- Non sono affari tuoi. – la liquidò velocemente la bionda iniziando a slacciarsi il vestito.
- E’ un soldato Usagi! E tu una principessa! Per quanto i suoi modi possano esser eleganti e gentili é pur sempre di un rango sociale ben più basso del tuo.
- Parli come la mia trisnonna! – la rimproverò la donna – Mamoru é un uomo e io una donna, ci amiamo e non puoi fare nulla per farmi cambiare idea. Accettalo Luna e stanne fuori.
Luna sospirò sedendosi pesantemente sulla poltrona di velluto rosso ai piedi del letto.
- Ti ama sul serio? Non mira al trono?
Lo sguardo di Usagi si illuminò di colpo, Luna non si era sbagliata in proposito, Usagi aveva gli occhi di una donna innamorata.
- Mi ama Luna... mi ama tanto... so di non sbagliare.
La dama fece un sorriso annuendo stanca.
La porta della stanza si spalancò all’improvviso ed entrò Artemis visibilmente preoccupato.
- Perdonate la mia intromissione così poco dignitosa. – si scusò l’uomo velocemente – Luna... devo parlarti...
Luna conosceva bene il marito, sapeva che non avrebbe mai fatto una cosa del genere se non ci fosse una vera urgenza. Uscì di corsa socchiudendo la porta alle sue spalle.
Usagi si avvicinò cautamente e aprì un poco di più la porta per sentire meglio.
- Ne sei certo?- mormorò Luna e Usagi sapeva che quando usava quel tono c’era qualche pericolo nell’aria.
- Sì, le ancelle del tempio sono corse via... la maga Rei sta scatenando potenze maligne... Ami stava correndo da lei quando l’ho intercettata nel corridoio.
- Dobbiamo radunare i soldati... va fermata...
Usagi si mise una mano davanti alla bocca per reprimere qualsiasi parola.
- Mamoru...- pensò immediatamente e, senza aspettare che Luna tornasse dentro prese il suo mantello e imboccò il passaggio segreto.
Mamoru era nelle scuderie, stava finendo di strigliare il suo cavallo, Isaac, il purosangue nero che suo padre gli aveva regalato quando gli avevano conferito la nomina di sergente. Solitamente quello era un compito degli stallieri, ma lui amava quel cavallo e voleva farlo di persona. Credeva che quel piccolo gesto aumentasse il legame che aveva con l’animale. La sua mente si apriva nella calma delle stalle, non sentiva l’odore degli animali o del letame, non sentiva il ronzio delle mosche o gli sbuffi che i cavalli facevano ogni tanto. C’erano solo lui e Isaac. La sua mente rievocava i momenti felici della sua vita e, negli ultimi tempi, quei momenti coincidevano con il tempo che passava con Usagi.
Non aveva mai provato un amore così forte, non per una donna almeno, era una sensazione forte, che rendeva invincibili e fragili nello stesso tempo.
Si sentiva diverso, forse appariva diverso davanti ai suoi uomini ma a lui non interessava, contava i secondi che lo separavano dal prossimo incontro con Usagi e stava un tempo indefinito nella sua stanza a pensare a lei.
- Sei proprio cotto. – fece una voce dall’entrata.
Mamoru si voltò, il sole batteva contro la facciata delle stalle ma anche incontro luce poteva ben distinguere la sagoma del corpo di Makoto dagli altri soldati.
- Smettila si prendermi in giro. – fece lui serio finendo di pulire il cavallo.
- Come siamo permalosi...- ridacchiò l’altra molto divertita – tu lo sai che il mio aiuto non sarà gratis vero?
- Oh certo che lo so... cosa vuoi in cambio?
- Non saprei... ci devo pensare bene... quando deciderete di diffondere la notizia?
- A tempo debito Makoto... ora non vogliamo che girino strane voci. Per ora siamo felici così.
La soldatessa annuì dando una forte pacca sulla spalla al capitano.
- Andiamo uomo innamorato... ho proprio voglia di batterti a duello oggi.
Mamoru sorrise prendendo la spada che aveva poggiato a terra.
- Ride bene chi ride ultimo. – fece uscendo dalle stalle.
Si misero in posizione, ma, dopo pochi colpi di spada, Makoto dovette fermarsi. Aveva visto Ami correre per il portico che univa la parte nord con quella a sud. Ami non correva mai, camminava sempre molto lentamente per il maniero, talmente piano che spesso le faceva saltare i nervi. Lei diceva che non c’era motivo di avere fretta nella vita, che la calma e la pazienza erano le armi migliori per aumentare le proprie capacità magiche e per vedere il mondo nella sua completezza.
Ora, della sua infinita calma, non vi era traccia.
- E’ un brutto segno...- mormorò seguendola con lo sguardo – sta succedendo qualcosa.
In quel momento un boato tagliò in due il cielo sereno.
Makoto ricordò le parole della sua compagna quella notte, quando nel cielo sereno non c’erano stelle, quel presagio di morte che anche lei poteva riconoscere facilmente.
Un’ombra le passò accanto velocemente. Le ci volle poco per capire che era Mamoru che correva in direzione di quel boato. Raccolse le sue armi a terra e si mise a rincorrere il suo capitano.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Anche senza l’allarme che Ami e Artemis avevano lanciato, tutto il castello e parte della città che lo circondava si era reso conto che qualcosa che non andava stava succedendo al tempio.
- Avete visto? – si udivano voci nelle strade, e indici a puntare una zona ben precisa della rocca che era la sede della principessa.
- Cosa starà succedendo? - chiedevano altre voci.
- Certo nulla di buono. Sembra essere sopra il tempio. – rispondevano i più informati.
- Gli Hino ci proteggeranno. Lo hanno sempre fatto nei secoli. I demoni hanno deciso di attaccare i loro nemici più grandi. – annuivano i vecchi e le anziane mentre iniziavano a pregare silenziosamente. – Saremo al sicuro, certamente. Il tempio è la sede del fuoco sacro. Nulla può sconfiggerlo.
Ed effettivamente i bagliori che si alzavano dal castello venivano dalla zona dedicata al tempio dei sacerdoti e delle sacerdotesse, dalla stanza che ospitava la pira di legno benedetto che ardeva senza interruzione, alimentato dalle orazioni e dalla fedeltà degli adepti, e fino a qualche secondo prima, dalla forza della prima sacerdotessa, Rei. L’altissima fiamma aveva divorato il tetto, affumicato le pareti e aveva iniziato ad avvolgere le travi che componevano la struttura portante dell’edificio come se fosse una strana quanto pericolosa piovra gigante. Il colore stesso delle fiamme era inquietante, assumendo le stesse tutte le tonalità del viola, del nero e del verde, non il carico e tranquillizzante rosso e giallo a cui tutte le novizie e le sacerdotesse ammesse alla stanza erano abituate.
- Cosa sta succedendo?! – gridò Makoto a Mamoru, fermandosi dietro di lui a pochi metri dal recinto esterno del tempio.
- Se lo sapessi, sarei un uomo felice…
Una delle sacerdotesse comparve dal banco di fumo che stava nascondendo gli edifici, sorretta da alcune novizie. Tossì un paio di volte, quindi sembrò accasciarsi, ma venne sostenuta dalle tre ragazze, che tentarono di farla sedere su una vicina panchina di pietra lavorata.
- E’ un attacco dei demoni? – chiese il capitano delle guardie, avvicinandosi al gruppetto.
- Non sappiamo nulla! – piagnucolò una bionda in lacrime. – Siamo scappate in preda al panico, e abbiamo trovato la sacerdotessa distesa sul pavimento poco lontano dalla nostra camera.
La donna, dai lunghi capelli grigi, vestita come le altre novizie con una tunica bianca coperta con una sorta di vestaglia rossa, tossì vistosamente tenendosi il petto con la mano destra, la sinistra a sostenersi sulla lastra di pietra su cui era seduta.
- Rei… - mormorò.
- Come? – chiese la Kino.
- Rei… E’ stata lei a far impazzire il fuoco sacro. La follia l’ha presa. La follia nei suoi occhi… - balbettò sgranando gli occhi.
Con un ultimo colpo di tosse svenne, gettando nella disperazione le tre ragazze che la stavano aiutando. Makoto intravide un’ombra blu nella notte rischiarata dai bagliori del fuoco.
- Ami! – gridò iniziando a correre nella direzione dell’ombra. – Ami, sono io!
La figura si fermò.
- Il peso che ho sul cuore è orribile… - pianse la maga gettandosi nelle braccia della sua amata. – Cosa ha mai potuto spingere Rei a compiere un atto così turpe?
- Perché sua la sacerdotessa che voi incolpate Rei di questo?
- Endimion, l’animo di Rei è stato sviato dalla retta via che si era data fin da piccola da qualcosa che nessuna filosofia, nessun allenamento possono bloccare.
- Chi può essere tanto potente? Cosa può aver superato le difese della migliore sacerdotessa del regno? – chiese preoccupato l’uomo, che in fondo al cuore sperava di avere tutte le risposte possibili tranne quella che sapeva essere la verità.
- L’amore, Endimion. L’amore. E lei ne sa qualcosa, vero? – disse caustica la voce di Luna, giungendo alle sue spalle.
- Dama Luna! Nobile Artemis!
- E’ un brutto momento per incontrarsi, Makoto dei Kino. – sorrise stanco l’uomo che come la sua compagna non sembrava affatto affaticato dalla lunga corsa che avevano sostenuto. – Spero che presto ci sia un'altra possibilità, magari di fronte a quegli ottimi biscotti che sa preparare con tanta cura.
- Credo che se non fermiamo immediatamente Rei, nessuno potrà più godersi un attimo di pace. Mai più.
- Cosa sa che noi non sappiamo, Signora delle magie?
- Poco, Artemis. Non ne so molto. Da quello che posso intuire e da quello che i miei poteri mi possono dire, Rei ha utilizzato un incantesimo oscuro, uno di quelli che da secoli sono stati banditi dal regno. Un incantesimo tanto potente da poter piegare il tessuto stesso della realtà secondo i desideri dell’evocatore. Il rituale si è quasi completato, siamo ancora in grado di fermarla, forse. Il suo legame con il fuoco sacro le ha permesso sì di compiere l’incantesimo, ma allo stesso tempo ora la sta rallentando. Il fuoco ha sentito che il suo animo non è più totalmente puro, e la sta combattendo.
- Allora andiamo, non perdiamo tempo!
- No Dama Luna, quello è compito mio. Tale problema è in parte causato da me, e oltre a questo è mio compito difendere la principessa e il suo regno con essa da ogni pericolo. Sarò io a fermare la sacerdotessa Rei.
- Non credo che sarete in grado di farcela. Avrete bisogno di qualcuno esperto di magia. Verrò con voi. E se tenterete di impedirmelo, credo che solo uno dei due arriverebbe alla camera dove è Rei. E voi non fareste una bella figura steso per terra svenuto mentre io tento di salvare la realtà, no? – sorrise cattiva Ami.
Lui annuì, ed entrambi si mossero verso la fonte dei bagliori, sapendo che la stanza della sacerdotessa era quella accanto al locale dedicato al fuoco sacro.
- Se credono di lasciarmi fuori dalla faccenda, si sbagliano di grosso. Sto rischiando di perdere amante e capo in un colpo solo. Non se ne parla nemmeno. – borbottò Mako inseguendoli.
I due rimasti si guardarono in giro per un istante, sorridendo debolmente, quindi saltarono fulminei, la donna verso un vicino cespuglio, l’uomo verso i rami più alti di un albero. Da entrambi i luoghi provennero delle urla femminili spaventate.
- Come sei riuscita a trovarmi?
- Usagi, se credi di riuscire ad eludere la mia sorveglianza due volte nella stessa sera, decisamente mi hai sottovalutato. E poi, rispetto a te anche un elefante è più silenzioso nel nascondersi. Mi sono accorta di te prima ancora che trattenessi l’urlo strozzato di paura quando Ami si era messa a parlare dell’incantesimo. – spiegò la donna mentre riemergeva dal cespuglio, la sua mano destra avvinghiata al polso della principessa per evitare che scappasse.
- Ora non dirmi che devo tornare nelle mie stanze. Lo sai che non lo farò.
- E credo che tentare di rimandarti sotto la scorta della pupilla di Artemis non servirebbe a molto, vero?
- Direi di no, mia cara. Anche la mia allieva migliore ha dimostrato di non essere esattamente un esempio. – rispose l’uomo, scendendo con un aggraziato salto dal ramo dell’albero, accompagnato da una contrita Minako, gli occhi bassi e la bocca tirata per il disagio. – Ragazza mia. – disse rivolto alla bionda. – se vuoi essere davvero un’Ombra, hai ancora molto da imparare. Il tuo corpo ancora ti condiziona. Devi essere tu a condizionare lui.
- Mi scuso, maestro. Quando ho visto scappare la principessa, mi sono sentita in dovere di seguirla per poi riferire. Eravate tanto occupati, lei e Dama Luna, che ho pensato di fare una cosa giusta.
- Ora fanne una ancora più giusta, e riaccompagna la nostra reggente nella sua stanza. Con ogni mezzo.
- Artemis! – gridò di dolore soffocato la sua compagna. – Usagi…
La ragazza, sfruttando un momento di disattenzione della donna, l’aveva colpita con una gomitata in faccia e si era liberata, correndo verso il pericolo, negli occhi e nel cuore solo l’immagine di Mamoru che rischiava la vita, pronta a perdere la sua piuttosto che vivere da sola.
- Maledizione! Quella ragazzina mi farà impazzire. - mormorò l’uomo, lanciandosi in corsa per recuperarla, ma un edificio in fiamme che la principessa aveva superato pochi istanti prima cedette, andando a bloccare Artemis, che si ritrasse immediatamente per evitare di rimanere ustionato dai tizzoni ardenti e dalle pietre roventi che il crollo aveva lanciato tutto attorno. - Non è possibile…
- So un’altra strada. Ci penso io! - gridò Minako, sparendo nelle ombre.
- Ed ora? - chiese in lacrime Luna, mostrando che al contrario di quanto voleva normalmente apparire e di come era stata educata, il suo cuore era fragile quando si trattava delle persone che amava.
- Se conosci delle preghiere, è il momento di insegnarmele… - le rispose mesto il compagno, osservando cadere un altro edificio poco lontano, uno di quelli che circondava Ami, Mamoru e Makoto, intrappolati dal fumo e dal calore.
- Non possiamo fare nulla per arrivare in una zona sicura?
- No, Mako. Dobbiamo trovare prima una via di fuga, ma non riesco a vedere nulla. Solo quando l’avremo trovata potrò eventualmente proteggerci con un mio incantesimo. Sono fiamme magiche, anche con tutte le mie forze non posso fare molto contro di loro.
- E intanto Rei si starà scatenando… - Come se fosse una risposta alla frase del capitano, una sorta di colonna di luce violastra si sollevò, liscia e ben delimitata, esattamente al centro della stanza del fuoco sacro. Un urlo femminile si udì in quella direzione, un rumore che fece ghiacciare il sangue di Mamoru sotto la rovente armatura metallica. - Usagi! Devo andare là.
- Non è possibile! La principessa è al sicuro nelle sue stanze. Ti sarai sbagliato.
- Makoto, credi che possa non conoscere la voce della mia amata?
- Andiamo, anche se me ne pentirò… - disse la maga, creando attorno a loro una sorta di bolla azzurrina che tenne lontane almeno le fiamme più piccole e la sensazione soffocante di calore.
Corsero per pochi metri, superando uno sbarramento di legno bruciante che la Kino abbatté con una spallata senza nemmeno rallentare l’andatura e si ritrovarono nel giardino interno del tempio. Là, sull’erba avvizzita e nerastra, Minako stava aiutando a rialzarsi la principessa, apparentemente illesa.
- Mamoru!
- Cosa ci fai qui, sciocca? Dovresti essere al sicuro nelle tue stanze.
- Non senza di te! - pianse lei correndogli incontro e abbracciandolo, le lacrime agli occhi - Non potevo lasciarti andare contro un pericolo sconosciuto. Non dopo quello che siamo diventati.
- Cucciola… - le prese la testa gentilmente alle tempie, baciandole la fronte sporca di fuliggine. - Sei una pazza.
Un altro boato, una trave che si spezzava nel locale del fuoco sacro, un'altra nuvola di polvere e schegge infuocate che riempì l’aria nascondendo per un attimo l’edificio ai loro occhi. La spia dai capelli biondi emise un debole gemito di spavento indicando la colonna di luce, che era virata ad un rosso acceso e sanguigno, quasi pulsante.
- Cosa?
- Stupita, sciocca maga? - la derise la voce di Rei. La figura emerse dalla nuvola di fuliggine e fiamme, fermandosi a pochi metri da loro. Nelle mani teneva uno strano oggetto, una sorta di maschera argentea che brillava di osceni riflessi rossastri dovuti dalla colonna alle sue spalle. - Hai di fronte il flusso della realtà. Io l’ho evocato, ora io lo controllerò.
- Cosa ti ha spinto a tanto, sacerdotessa? - chiese Usagi, tentando di avvicinarsi, ma fu gentilmente trattenuta dalle braccia di Mamoru, che scosse la testa lentamente per farle capire di rimanere dove si trovava. - Il tuo compito è di proteggere il regno, di far si che gli dei siano benevoli con noi…
- Piccola sciocca, impertinente ragazzina che gioca a fare la principessa, tu mi parli di compiti e di doveri? Di dei? Tu che hai osato andare contro la volontà superiore delle divinità e stregare il cuore dell’uomo che mi spettava di diritto. Gli dei mi hanno mandato Endimion, gli dei mi hanno ascoltato mandandomi l’uomo che mi amerà alla follia fino alla fine dei tempi, gli dei vogliono che io e lui si sia una cosa sola. E tu, insignificante pezzo di carne mossa da un alito di vita, hai osato rubarmelo, hai osato rubarmi Mamoru, il mio regalo degli dei!
- E’ impazzita… - mormorò Makoto.
Ami annuì.
- Ma ora… - rise, una risata che mostrava tutta la labilità del suo cervello. - Ora tutto tornerà come dovrebbe essere. Con questo incantesimo io potrò plasmare la realtà a mio piacimento, e tutto tornerà come vorrò io, come dovrebbe essere. Ciò che la mia vista, trasfigurata dalle lenti di questa maschera magica, colpirà, verrà modellato sulla mia idea di perfezione. Mi spiace, principessina, ma non c’è posto per te né nel cuore di Mamoru, né nel mio mondo.
La maga mormorò alcune strane parole intrecciando le dita in maniera particolare, ma quasi al completamento della formula un colpo, simile ad una piccola sfera di fuoco, proveniente dalla mano destra di Rei la colpì in pieno petto, facendola cadere a terra dolorante, subito aiutata da Makoto.
- Credevi di potermi fermare con un incantesimo così… - si bloccò, sentendo qualcosa che le stava strappando di mano la maschera magica. - Usagi? Hai avuto il coraggio di venire a combattere davvero con me? - le chiese vedendo che la bionda si era lanciata su di lei e stava tentando di strapparle l’artefatto con tutte le sue forze. - Stupida pazza. Ora assaggerai la mia ira!
La sacerdotessa evocò un’altra sfera di fuoco, ben sapendo che Usagi non avrebbe resistito all’urto come Ami, protetta passivamente da alcune magie intessute nelle vesti stesse da incantatrice. Quello che non si aspettò fu la forza incredibile, forse dettata dalla disperazione, forse dall’amore, che la donna mise nelle sue braccia, arrivando a strappare la lamina argentea, modellata sul voto di una donna sorridente, dalla sua mano. La palla di fuoco partì in direzione del petto della ragazza, ma lo scudo offerto dalla maschera la deviò contro un edificio già in rovina e fumante. Il colpo in qualche modo fece reagire l’oggetto, che mutò parte del suo aspetto nel volto grottesco e nero, come carbonizzato, di una donna rabbiosa, l’angolo delle labbra rivolto verso il basso, il taglio dell’occhio non dolce e benevolo, ma inclinato e cattivo.
- Non riuscirai a vincere così facilmente, Rei! - le gridò la principessa, correndo verso il suo amato, che si pose immediatamente tra lei e la sacerdotessa.
- Tu credi? Posso uccidere tutti, tanto il mio potere mi permetterà di portarvi di nuovo in vita, se vorrò. Perdonami, amore mio, ci rivedremo tra poco… - sorrise triste, mentre da ogni dito usciva una freccia di pura energia rossa, puntata sul petto e sul busto di Mamoru.
- Scappa. Almeno morirò sapendo che tu ti salverai… - sussurrò l’uomo alla giovane dietro di lui, che scosse la testa e lo spinse a lato, gettandolo a terra e facendosi di nuovo scudo della maschera ormai rovinata.
Le frecce colpirono in pieno lo stomaco e parte del busto della principessa, ma alcune vennero assorbite o deviate lontano dall’artefatto, che sembrò brillare di luce propria per un istante. La colonna di luce pulsò, si inclinò, ondeggiò paurosamente mentre cambiava colore vorticosamente dal bianco più acceso a una sorta di nero che assorbiva anche la luce attorno a lui, finché con un ultimo guizzo la colonna scoppiò in mille frammenti che si dissolsero nell’aria. Nello stesso istante la maschera sembrò anche lei esplodere avvolgendo l’intera zona in un bagliore biancastro e accecante. Le quattro gemme incastonate volarono nell’aria come proiettili, così come le due parti del volto si separarono, dirette quasi con una loro volontà verso due specifiche persone.
Quando il bagliore si spense, le quattro donne, la Kino e Mamoru erano spariti.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


INTERMEZZO

- Sembra che la mia storia sia interessante… - scherza la donna, sistemandosi meglio sulla poltrona, quasi affossandosi in essa. – Come lo capisco? Beh, sono cinque minuti che la tua bocca è aperta. Attenzione, qualche uccellino potrebbe decidere di fare il nido da quelle parti.
Chiudi la bocca facendo risuonare i denti e ti schiarisci la gola. Lei ride, una risata fredda, distaccata.
- Conviene che tu beva qualche cosa, il mio racconto non è nemmeno a metà. Certo, sembrerebbe che tutto sia finito, tutti i contendenti siano spariti nel nulla, ma non è così. – si sporge, afferrando un bicchiere di vetro colorato ripieno di acqua naturale. Dopo averne bevuti un paio di sorsi, lo posa e sospira. – Ora che ho ripreso fiato, direi che è anche ora di riprendere il racconto. Sono passati due anni dalla notte in cui il fuoco sacro bruciò l’intero complesso del tempio. Molto è cambiato nel regno della Luna, forse in meglio, forse in peggio. Ma una cosa non è cambiata. Le urla di dama Luna…

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- Principessa! La smetta. Rischia di farsi davvero male!
- Luna. Smettila di urlare come una vecchia megera. – le rispose sempre urlando la bionda, che al momento le dava le spalle, la testa coperta da un elmo metallico che le nascondeva i capelli e parte del collo, vestita con una leggera armatura di pelle borchiata fatta da una casacca a maniche lunghe e da una gonnellina che le proteggeva non oltre la metà coscia. – Tra un po’ ti sentiranno fino sulla Terra.
- Non è da principesse allenarsi a combattere.
Lei si voltò, mostrando che la faccia era nella parte destra coperta da una maschera di argento lucido rappresentante mezzo volto sorridente. Nelle mani, guantate di cuoio coperto di anelli di maglia d’argento, impugnava due scimitarre sottili dal pomolo a forma di mezzaluna come la guardia.
- Non è da principessa dover affrontare chi ha stravolto la realtà, Luna. E sai che io non rinuncio a Mamoru. Non ci rinuncerò mai! – gridò, girando su se stessa colpendo il legno dall’allenamento con un mandritto potentissimo, che staccò di netto una grossa parte del materiale, che cadde a terra con un tonfo sordo.
- Capisco, ma…
- So cosa vuoi dire. Farò anche la mia parte burocratica, non ti preoccupare. Saprò continuare ad essere anche la guida di questo paese, oltre che il capo dell’esercito. Ma abbiamo ancora tempo. Vediamo se questa volta riuscirai a battermi.
La donna scosse la testa, e estrasse da sotto la gonna due strani guanti che infilò agilmente, mostrando che ogni dito terminava con lunghe e ricurve lame affilatissime. I guanti continuavano fino al gomito, realizzati in cuoio bollito e coperto di scaglie metalliche che le permettevano di parare anche colpi potenti come quelli che Usagi aveva imparato a tirare da quando si era risvegliata, nuda e dolorante, poco lontano dal castello. Assieme a lei, trasformate nel fisico, quanto nella psiche, c’erano Ami e Minako, che con lei e con tutti gli altri rimasti a lei fedeli iniziarono a combattere una cruenta guerra contro Rei e la sua alleata, un essere che era nato grazie alla visione distorta del mondo che aveva la sacerdotessa, un essere in grado di risvegliare i morti e di condurli in battaglia.
- Sei pronta?
Usagi annuì.
- Ferme! – risuonò nella loro mente la voce di Ami. – Ci sono cose più importanti di cui occuparsi ora. Ad est del castello un piccolo gruppo di morti viventi sta per colpire il villaggio lì vicino. Minako è già diretta al campo di battaglia. Principessa, le chiedo di intervenire. Le sue capacità credo saranno necessarie.
- Capisco. – rispose sempre tramite il pensiero la bionda. – Crystal! – gridò. - Qui, la tua padrona ha bisogno di te.
Dalle vicine stalle la cavalla, già bardata con una sottile cotta di maglia morbida come velluto ma resistente oltremisura galoppò al suo fianco, guardandola con l’occhio sinistro, l’unico rimastole dopo uno scontro risalente a circa un anno prima.
- Hai sentito l’odore della battaglia, mia cara?
L’animale nitrì scuotendo la testa in maniera affermativa.
- Principessa…
- Tornerò, stai tranquilla. Sai che non posso morire. Non l’ho ancora salvato. – le sorrise infilando le lame nelle fodere gemelle incrociate sulle sue spalle e lanciandosi sul cavallo, che partì al galoppo.
- Dei proteggetela. Io non posso più… - mormorò Luna, alzando gli occhi al cielo.
- Non si preoccupi, dama Luna. La principessa ha dalla sua una forza inarrestabile. L’amore. – tentò di consolarla la maga nella sua mente.
Da quando era ricomparsa vicino alla principessa e all’attuale capo delle spie di palazzo, la maga aveva scoperto che la sua magia era aumentata tanto quanto i suoi sensi erano spariti. La gemma azzurra che si era staccata dall’artefatto creato da Rei e che si era piantato nel centro della sua fronte l’aveva dotata di potentissimi incantesimi e capacità di preveggenza, ma le aveva tolto tutto. Letteralmente. I suoi occhi, il suo naso, le sue labbra, tutto nel suo volto era stato eliminato, lasciando una sorta di volto abbozzato come se la sua pelle e le sue ossa fossero state di creta. Non aveva unghie, né altro che si potesse definire umano. Certo, non aveva nessuna necessità di mangiare, bere, respirare o altro, ma la totale deprivazione sensoriale l’aveva anche resa sterile di sentimenti. L’amore per Makoto era stato attutito a un lieve affetto, mentre la sua fedeltà al regno era stata ingigantita, come se fosse stata l’ancora di salvezza alla realtà di una mente ormai minata nel profondo, permettendole comunque di accettare la sua situazione paradossale di non poter sentire con i suoi sensi ma di poter spaziare con gli infiniti sensi della sua mente ovunque lei volesse. Tranne che nel regno sempre più vasto di Rei. Il suo sogno folle di governare secondo il disegno degli dei l’aveva trasformata nella più grande minaccia mai esistita. E al suo fianco, plagiati e annebbiati dalla fortissima potenza magica della sacerdotessa, Mamoru e Makoto l’aiutavano con tutte le loro forze, portando in battaglia orde di umani mutati e di morti viventi agli ordini di Hotaru, la Signora della Morte.
Usagi spingeva Crystal a correre oltre il proprio limite.
Il tempo dove si perdeva in mille ricordi mentre galoppava felice era finito da un pezzo. Dove correva per fuggire, anche solo per qualche istante, dalla sua corona, dalle responsabilità era svanito come il battito d’ali veloce di una farfalla. Ora andava di corsa verso il proprio destino, ogni battaglia sempre con più ferocia e con più grinta con la consapevolezza che non poteva fallire fino a quando non avesse strappato dalle grinfie di quell’arpia il suo uomo.
Da lontano vedeva delle piccole colonne di fumo salire verso il cielo celeste. Rei aveva allungato le sue mani su tutto il territorio, ogni posto cambiava drasticamente quando il suo occhio magico si posava da qualche parte. Dove c’era vita ora c’era solo morte, dove c’era gioia solo dolore e disperazione si poteva trovare. In quel momento la gente aveva paura e Usagi non sempre riusciva a farcela. Il suo regno di odio e vendetta si stava espandendo a macchia d’olio e la resistenza che incontrava non faceva altro che aumentare la sua rabbia facendole colpire sempre con più ferocia gli indifesi abitanti.
I rumori di spade e scudi che cozzavano tra di loro si udì ben presto, seguito a ruota dal tipico odore che aveva la paglia quando veniva bruciata. Mentre continuava a galoppare Usagi estrasse dal fodero le due scimitarre. Due zombie dalla pelle grigiastra e dalle iridi gialle piene di pus le si avventarono contro, con i loro gridi soffocati dalla pelle in putrefazione della gola. Senza scendere da cavallo, senza neppure rallentare l’andatura dell’animale, Usagi saettò davanti a loro muovendo velocemente le braccia. I due non-morti guardarono per un attimo la figura bianca ed argento che si allontanava prima di cadere in pezzi putridi sul terreno arido. Usagi scese da cavallo alle porte del piccolo villaggio, la sua mente aveva appena registrato il velocissimo scontro di prima, le sue lame avevano tagliato quella carne morta così rapidamente da non avere neppure un brandello della fredda pelle sui fili affilati delle lame.
Chiuse gli occhi annusando l’aria che le stava attorno, l’odore di quei cadaveri che camminavano nella terra dei vivi lo si poteva sentire a chilometri di distanza, il suo stomaco fece una capriola dal fetore che emanava quel posto ma non storse il naso, non diede segni di cedimento… oramai era quasi abituata all’odore di morte.
Si mosse furtivamente, le scimitarre ben salde tra le sue mani guantate, lo sguardo vigile, che saettava da un angolo all’altro pronta a qualsiasi attacco improvviso. Il cozzare delle armature e delle armi era sempre più vicino, un vecchio era seduto sulla strada sterrata, appoggiato alla parete di una casetta di mattoni a vista, aveva mezzo viso coperto di sangue che colava da una ferita in testa aperta da una spada, mugugnava qualcosa, segno che era ancora vivo.
Si inginocchiò a lui constatando l’entità delle sue ferite.
- Non stai morendo. – gli sussurrò stringendogli una mano ossuta e pallida – Tornerò dopo… cerca di non muoverti.
Tornò sui suoi passi questa volta aumentando l’andatura, man a mano che si avvicinava al cuore della battaglia vedeva cadaveri a terra, giovani soldati, civili e nemici morti durante quell’ennesimo scontro.
Il suo cuore piangeva per ogni vittima innocente della follia di Rei.
- Ben arrivata principessina…- fece una voce, gelida come i ghiacci del nord, al di sopra della sua testa.
Usagi si voltò di scatto. Sopra le macerie di una piccola casa semi distrutta c’era una ragazza che dimostrava sedici anni o pochi di più. Indossava una lunga veste viola con ricami neri, le fini spalline coprivano le spalle dalla pelle bianca e liscia come la porcellana, al collo aveva un collarino nero che sottolineava le sue linee delicate, i neri capelli a cassetto incorniciavano il viso pallido messo ancora più in risalto degli occhi neri e freddi come la lama di un pugnale, evidenziati dal pesante trucco violaceo e dalle labbra rosse come il denso sangue umano. Nella mano destra teneva una lunga falce ornata da pietre preziose provenienti dalle viscere della Terra e sature degli incantesimi più antichi e pericolosi del regno.
- Hotaru. – sibilò Usagi in posizione di battaglia – Ci rivediamo.
Le labbra rosse della ragazza si in curvarono in un ghigno diabolico e beffardo.
- Ancora una volta sono riuscita a coglierti di sorpresa, Principessa della Luna.
- Solo perché i tuoi uomini camminano sotto terra invece che sopra… ma non posso pretendere che tu giochi secondo le regole.
Con un salto aggraziato la Signora della Morte scese sul terreno sollevando la sua arma.
- Vediamo quando Dama Luna ti ha addestrato questa volta.
Con forza picchiò il suo lungo bastone al terreno aprendo una crepa nel suolo arido. Una densa nube nera uscì dalle viscere della terra avvolgendo tutti i corpi che c’erano caduti in battaglia.
Uno dopo l’altro gli uomini e le donne aprirono gli occhi, iniziando a dimenarsi per poi alzarsi e dirigersi verso il nemico della loro padrona.
- Mandi sempre i tuoi lacchè…- fece Usagi pronta a combattere – Perché non combatti mai in prima persona, Signora della Morte?
- Perché non è questo il mio compito, principessina della Luna…- squittì l’altra con voce quasi infantile sembrando per un momento innocua – E poi sai che io non posso morire. Ma è una cosa che abbiamo in comune.
- Prima o poi ti dimostrerò che esiste un modo per distruggerti, e allora rimpiangerai il giorno in cui hai siglato l’orrendo patto con Rei! – urlò furiosa Usagi, mentre muoveva una delle scimitarre e decapitando all’istante un morto vivente.
Hotaru gettò la testa all’indietro ridendo con una voce stridula che fece rabbrividire la principessa e poi sparì inghiottita dal terreno lasciandola sola con una ventina di zombie che la stavano lentamente circondando.
- Bene…- sorrise l’altra individuando il suo secondo bersaglio – ora mi divertirò un po’…
Minako parò l’ennesimo colpo infertogli dal soldato dell’esercito di Rei. Questa volta erano proprio stati colti alla sprovvista. I non-morti erano arrivati di notte e un incantesimo della Hino aveva avvolto i suoi soldati in un manto invisibile che Ami aveva scoperto solo quando erano, ormai, troppo vicini al villaggio.
Erano arrivati tardi, molti abitanti erano morti in quello scontro, molti senza un motivo, altri solo perché avevano cercato di difendersi, tutti per rinforzare l’esercito strisciante della sacerdotessa impazzita.
Con la sua spada infilzò uno dei soldati nemici e si guardò attorno. La battaglia era quasi alla pari, i soldati della Luna e quelli di Rei erano di eguale forza se non fosse stato per Makoto. Il mezzo orco, o qualsiasi atro scherzo della natura fosse, aveva atterrato due uomini con un colpo solo e stava puntando dritto verso di lei.
- Ci rivediamo Minako degli Aino.
- Salve Makoto dei Kino… - ripose l’altra – E’ passato quasi un anno dall’ultima volta. Le tue ferite fanno ancora molto male?
Makoto serrò la mascella irritata, ricordava con un misto di disgusto e vergogna le ferite che Minako le aveva inferto durante la scorsa battaglia.
Tutto per colpa di quel suo stupido potere.
Guardò per un attimo l’armatura che indossava Minako, quella gonnellina bianca costituita da migliaia di maglie di metallo inanellate una dentro l’altra, il bustino in lamina d’argento che aderiva al suo corpo come una seconda pelle senza però impedirle i movimenti, senza maniche ma dal collo alto e relativamente spesso, come una gorgiera, a proteggerla dai colpi dei nemici come i lunghi guanti che le nascondevano le braccia, laminati come il bustino e altrettanto aderenti, ma come inesistenti come impiccio quando si trattava di utilizzare la sua spada.
Sembrava una sciocchezza in confronto alla sua armatura in pesante metallo nero forgiata appositamente per lei dai demoni più in gamba degli Inferi, i servi più fedeli di Hotaru. E quella spadina era uno stuzzicadenti se messo in contrasto alla sua ascia dal freddo metallo letale.
Sì, Minako poteva anche sembrare uscita da una festa in maschera ma sapeva che non era una nemica da sottovalutare.
- Iniziamo?- la invitò la bionda quasi con fare annoiato.
- Ti accontento subito Donna Ombra. – sorrise di rimando la capitana iniziando ad infliggerle i suoi colpi che venivano prontamente schivati grazie all’incredibile agilità dalla donna.
Usagi atterrò il decimo zombi. Sembravano non diminuire mai, ogni volta che ne abbatteva uno altri due prendevano il suo posto rendendo difficoltoso il contro attacco, non che temesse di perdere, ma solo rischiava che diventassero troppi perfino per lei.
Mentre estraeva la lama della sua scimitarra dalla testa, spaccata come un melone maturo, di un ex soldato del regno sentì una fredda mano afferrarle la gola, si voltò di scatto trovandosi davanti il viso di un giovane ragazzo del paese con la gola tagliata da parte a parte.
Le dita attorno al suo collo si strinsero nella loro morsa gelata, Usagi sentiva l’aria venirle sempre meno. Presto sarebbe svenuta e lei sapeva bene quali rischi correva se si perdevano i sensi tra un gruppo di non-morti. Si sentì sollevare da terra di una spanna per la gioia quando un pugnale trapassò il polso dello zombi tagliandogli di netto la mano. Usagi cadde a terra tossendo mentre i polmoni si riespandevano cercando l’ossigeno.
- Grazie… Artemis…- annaspò portandosi una mano al collo rosso per via della stretta.
- E’ mio dovere principessa. – rispose l’uomo afferrando da terra la sua preziosa arma – Sono qui per darvi una mano.
Minako assestò l’ennesimo colpo all’armatura della Kino, ma il metallo robusto non cedeva. Quell’essere continuava a lottare sempre con più ferocia, sempre con più forza. Notò un luccichio verde sul suo torace, fu allora che vide un buco tra il metallo della sua armatura scura, un cerchio piccolo come una noce ma abbastanza per vedere lo smeraldo conficcato nel petto della soldatessa. Quella gemma era un altro pezzo della montatura del gioiello che aveva creato il regno di Rei, durante l’esplosione si era conficcato nel petto della donna prima che la sacerdotessa impazzita la portasse via con se.
- E’ quello che le da questa forza. – pensò la giovane ma i suoi ragionamenti furono interrotti da un colpo che non era riuscita ad evitare e che la colpì alla scapola sinistra.
Un forte crack e il dolore lancinante le confermavano che la sua spalla si era appena spezzata.
- Bene…- pensò portandosi la mano destra alla bocca ed iniziando a sfilarsi il guanto con i denti – qui ci vogliono le maniere forti.
Si tolse tutto il guanto mettendo in vista luce la sua mano dove incastonata sul dorso c’era una pietra gialla, grande come quella di Makoto. Il quarto pezzo del gioiello. Ricordava quel lugubre pomeriggio di due anni fa quando si era svegliata accanto al corpo della principessa, dolorante e con una mano sanguinante. Aveva alzato il braccio durante l’esplosione per evitare di ferirsi gli occhi e la gemma l’aveva colpita alla mano rendendola quella che era ora.
Makoto sembrò accorgersene di quello che stava per fare, afferrò un soldato morto da terra senza il minino sforzo, come se fosse fatto di paglia, e lo scaraventò verso di lei.
Minako allungò la mano. Dalle due dita partirono cinque fasci di luce che si mossero come cinque tentacoli. I lunghi fasci dorati avvolsero il cadavere che stava per venirle addosso e, con un lancio ben calcolato, lo rispedirono vero Makoto che ne fu travolta.
Allungò il braccio verso la capitana di quell’esercito e la sollevò da terra come se fosse un fiore selvatico scaraventandola verso il muro di una casa. I mattoni cedettero di fronte alla mole della donna. La casa crollò su se stessa seppellendo la soldatessa sotto un cumulo di polvere e mattoni.
I soldati si voltarono a fissare il punto dove Makoto era sparita.
Furtivamente Minako si avvicinò alla casa distrutta, il braccio sinistro disteso lungo il fianco come se fosse un arto morto, le dita della mano destra che si chiudevano cercando di diminuire il torpore che le colpiva ogni volta che usava il suo potere. Si accucciò a terra dove una mano della donna sporgeva fuori dalle macerie apparentemente priva di vita, la sollevò con cautela constatando che non rispondeva, si alzò soddisfatta, stava per parlare quando la mano le afferrò la caviglia facendola cadere. Makoto si alzò emergendo dalle macerie come se nulla fosse, si vedeva qualche taglio sul suo viso ma nulla che potesse vagamente somigliare ad una ferita mortale. La stretta era salda attorno alla fragile caviglia della donna, i lunghi capelli d’oro sfioravano il terreno tinto di sangue. Tentava di tenersi la spalla con la mano buona mugugnando dal dolore.
- A quando sembra la situazione si é invertita...- ghignò soddisfatta la donna soldato – Ora tocca a me divertirmi un po’ con te Donna Ombra.
La lama affilata di una scimitarra le si piantò a pochi millimetri dalla gola, conficcandosi impercettibilmente su una delle travi rimaste in piedi dal crollo. Makoto si bloccò all’istante.
- Principessa Usagi...- fece senza voltarsi – Hotaru persevera nel perdere, a quanto pare…
- Ci vuole molto più di quattro cadaveri per sconfiggermi, Makoto. – rispose risoluta la donna che non mostrava segni di stanchezza dopo la battaglia. – Hotaru lo sa bene... si diverte solo a provocarmi...
- Dunque Signora della Luna… - la sbeffeggiò l’altra – dobbiamo scendere ad un compromesso?
- Lascia queste terra, allontanati dal villaggio e striscia in quel buco puzzolente che Rei ha creato per nascondersi.
- Altrimenti?- la provocò l’altra.
Per tutta risposta Usagi spinse sull’elsa, premendo la lama affilata contro il collo della donna, aprendole un piccolo taglio. Una goccia di sangue scese lungo il collo della soldatessa che non voleva trovarsi con la testa tagliata di netto.
- Vuoi che continui? – domandò irritata la principessa.
Makoto grugnì qualcosa lasciando cadere Minako, prestando una sadica attenzione che cadesse sulla spalla già fratturata. La spia urlò per il dolore contorcendosi come un verme sull’amo per alcuni secondi.
Con un ghigno soddisfatto si allontanò dalla lama e fece un cenno ai suoi uomini di ritirarsi. Usagi restò dritta in piedi osservando attentamente ogni soldato che se ne andava con la coda tra le gambe. Quando i soldati si allontanarono abbastanza Usagi si abbassò verso Minako, alla quale si era affezionata negli ultimi due anni come una sorella.
- La spalla... – mormorò la donna con una smorfia dolorosa in volto.
- Ci penso io.
Con l’espressione più seria e concentrata che Usagi avesse mai avuto in tutta la sua vita, allungò le mani sulla ferita della giovane donna chiudendo gli occhi e concentrandosi. La sua energia si accumulò tra le sue mani per poi sprigionarsi nella ferita dell’amica. Mianko avvertì un forte calore avvolgerla la spalla fratturata, poteva quasi sentire le ossa rimarginarsi senza il minino sforzo. Una luce argentata avvolse i palmi della sua principessa fino a quando la giovane spia non riprese il controllo del braccio che era di nuovo sano.
- Non mi ci abituerò mai. – sorrise Minako alzandosi in piedi ed esaminando il braccio perfettamente sano.
- Andiamo... – disse Usagi osservando i soldati a terra agonizzanti – abbiamo un sacco di lavoro ora.
Makoto aveva il capo chino sul pavimento di marmo nero perfettamente lucido della sala del trono del castello di Rei. Il suo comandante urlava da dieci minuti contro di lei per la sua imbarazzante sconfitta, l’ennesima sconfitta.
- Sei debole, Makoto! – urlò l’uomo alzandosi dal trono posto accanto a quello della Regina sua amante – Un’altra sconfitta e saremo lo zimbello di tutta la Luna. Dovevi uccidere ed invece ti sei lasciata abbindolare da una ragazzina con un’arma.
- Usagi é migliorata. Io...
- Fa silenzio!- gridò ancora più forte l’altro.
Makoto, se possibile, chinò ancora di più la testa stringendo i pugni.
- Mi deludi profondamente Makoto... un tempo non era così... o devo pensare che l’amore che provi per una certa maga offuschi ancora la tua forza?
- Io non provo amore!- gridò la soldatessa infuriata – Io sono fedele solo alla mia Regina, la Signora Rei degli Hino.. solo a lei...
Rei era stata in silenzio per tutto il tempo, seduta elegantemente sul suo trono spostava lo sguardo dal suo compagno al capitano del suo potente esercito.
- Se solo potessi diventare più forte, io...
- Allora c’é un modo. – echeggiò la sua voce fredda nella sala deserta. – Un modo molto semplice mia cara Makoto...

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


- Non ho capito cosa ti ha fatto Rei, ma sembra che inizi a funzionare… - ridacchiò malvagio Mamoru saltando indietro e assestandosi sulle gambe dopo l’ennesimo scontro con il sergente Makoto.
- Grazie. – ringhiò lei, facendo ruotare nell’aria le due asce bipenni che erano state forgiate appositamente dopo le magie che l’avevano trasformata in quello che era in quel momento.
Ognuna delle due armi arrivava a pesare senza alcun dubbio più di dieci chili, ma erano come fuscelli nelle grandi mani artigliate della donna. Il resto del suo corpo era coperto dalla stessa pesante armatura che aveva precedentemente, semplicemente allargata per far posto alla nuova massa muscolare e ingrandita per l’aumento di altezza. I demoni degli inferi partirono da un carapace adatto ad un demone maggiore, aumentandone il peso e aggiungendoci corna, spuntoni e altri orpelli che se ai loro occhi avevano ingentilito la superficie massiccia dell’armatura, per qualsiasi altro essere il risultato, allacciato correttamente sui quasi tre metri di altezza della Kino era impressionante, spaventoso e osceno nella sua bruttezza.
- Ma non ancora abbastanza per poter pensare di battermi, mostriciattolo dai lunghi denti aguzzi…
- Spiritoso… - sbavò lei, il massiccio volto simile a quello di un orco, i canini superiori sporgenti verso i basso di pochi centimetri, mentre quelli inferiori erano cresciuti a dismisura arrivando quasi ad una trentina di centimetri, alloggiati in speciali cavità che il cranio aveva creato per evitare di essere trafitto ogni volta. Gli occhi tondi, neri e senza pupille non mostravano nessuna emozione se non la gioia per il combattimento, il sangue e il dolore. Mosse due passi in avanti, gli artigli, sui piedi nudi e squamati, verdognoli come tutto il resto del corpo, grattarono e segnarono il pavimento della sala di allenamento della Torre-Tempio del Fuoco Nero. – Ma non basteranno le battute per salvarti, caro Mamoru. Ho sopportato atroci sofferenze fisiche e mentali per essere quello che sono, e solo per farti vedere chi è il più forte.
La risata con cui rispose il comandante dell’armata di Rei, dell’Armata della Signora del Fuoco Nero, fu di scherno, alta e sottile come quella di un pazzo.. Si posizionò con le gambe e la pesante spada. Aveva ancora addosso, sebbene modificata per avere un aspetto più pittoresco e demoniaco, l’armatura che portava come comandante delle guardie di palazzo. Il braccio sinistro poteva reggere pesanti colpi come il migliore degli scudi, e la sua spada aveva ormai assorbito tanto di quel sangue da sembrare venata da orrende striature color rosso cupo..
- Vieni avanti, mostriciattolo.
Lei caricò con tutte le sue forze, le due asce pronte per colpire ai lati dell’avversario mentre la sua massa di centinaia di chili lo avrebbe travolto senza dargli speranze. Mamoru attese fino all’ultimo, quindi si buttò su lato sinistro, usando il suo braccio corazzato per assorbire l’impatto con il terreno, quindi rotolò lontano un paio di metri e si rialzò, tentando un fendente diretto a colpire il polso destro della donna, ma lei fu pronta a intromettere sulla traiettoria verticale della lama la sua arma, che spinse verso il braccio il colpo, facendolo finire sull’armatura, che emise alcune scintille.
- Tocca a me! – ringhiò lei, lo smeraldo nel suo petto, visibile attraverso un piccolo foro nella pettorina metallica, a brillare di una luce malsana.
Le due asce compirono una sorta di danza nell’aria, acquistando velocità e quindi potenza, facendo sibilare l’aria, per poi abbattersi come tuoni devastanti sull’uomo, che frappose sia la spada che il braccio corazzato. Makoto chiuse gli occhi, impaurita di quanto poteva essere successo. Non si era controllata, aveva rilasciato tutta la sua potenza nel colpo, una forza capace di distruggere una casa senza nessuno sforzo, un colpo che aveva sperimentato abbastanza potente da far volare un centinaio di metri lontano anche un potente non-morto perfettamente corazzato. Li riaprì, indecisa tra la gioia di aver sconfitto il suo avversario e la tristezza di aver ucciso il suo superiore, oltre al terrore della possibile vendetta della sua bellissima, ma mentalmente instabile padrona, quando avrebbe saputo che lei aveva ammazzato il suo amante. Strabuzzò gli occhi, vedendo che non solo Mamoru era ancora vivo, ma sembrava aver parato senza problemi la sua devastante mossa.
- Non male, Makoto, non male. Se la userai in battaglia con la stessa foga che hai dimostrato qui, centinaia di uomini periranno all’istante per la gloria della nostra Signora. – Sorrise, il suo cocchio destro illuminato internamente da una luce rossastra che lo rendeva sinistro e simile alla schifosa luminescenza che si poteva vedere nelle orbite vuote degli scheletri animati. – Ma non abbastanza. Sai qual è il mio potere, vero?
Lei annuì, deglutendo e spostandosi indietro di un passo, le asce ancora in posizione.
- Non credevo che…
- La forza non è tutto in battaglia, e poter potenziare tutto ciò che ho addosso o in mano mi aiuta enormemente a non perdere. Mai. – Si rialzò dalla posizione genuflessa in cui era e sferrò un mandritto all’ascia sinistra dell’avversaria. La lama che incrociò si piegò e si contorse come burro caldo, mentre la Kino lasciava l’arma ormai inservibile. Anche l’altra lama cadde a terra, il braccio destro a reggersi il sinistro, spezzato nell’impatto. – Mai. E a non lasciare superstiti. Soprattutto se pericoli come te…
- Mamoru. Capitano…
Lui passò la lingua sulla lama, che sembrava pervasa da una tenue energia rossastra come l’armatura e tutto il suo corpo, una luminescenza che aveva origine nel rubino che si era conficcato dietro il suo occhio destro, ultima delle quattro pietre che assieme alle due parti della maschera una volta componeva il Volto della Realtà, e afferrò a due mani l’elsa della spada.
- Addio, Makoto.
- Fermo. Nulla mi farebbe più piacere che vedere del sangue scorrere, ma non in questo momento. – gli disse la voce di Rei. Lui si voltò, una sottile vena di disappunto nel volto. La donna si avvicinò, un fruscio di vesti di seta nera e rossa scura che la avvolgevano come un fuoco che non si spegneva mai. Le lunghe maniche dell’abito le coprivano le mani come l’ampio cappuccio ne nascondeva il volto. La voce era calda, suadente, ma irrimediabilmente malvagia. La figura coperta si fermò, i suoi piedi nascosti dalla lunga e morbida gonna, esattamente di fronte al guerriero, la lama ancora in pugno, vagamente puntata contro il volto invisibile di Rei. – Sei stanco amore mio, sei molto stanco… - gli sussurrò, mentre una mano candida come la neve e fredda altrettanto gli sfiorava il volto.
Lui abbassò l’arma, ad un tratto pesante come piombo, quindi la rinfoderò.
- Hai ragione, mia signora, è uno spreco di forze uccidere in questo modo. Meglio conservarle per i nostri veri nemici.
- E di questo io volevo parlarti. Ma non qui. Nelle mie stanze.
Lui annuì lentamente.
- Makoto, per oggi può bastare l’allenamento. Vai a passare in rassegnale tue truppe demoniache, e dammi buone notizie sull’esercito dei morti viventi della Regina dei morti.
- Sì mio comandante. Mia signora… - si congedò, quasi correndo via dalla stanza, ancora la paura della morte nel cuore. – Sempre peggio. Il potere incredibile che possiede il mio comandante inizia a possedere lui… - pensò camminando lentamente verso i quartieri freddi e maleodoranti dove Hotaru radunava il suo esercito di cadaveri animati.
- Come va Makoto? – gli chiese Rei, camminando lentamente, assaporando ogni secondo con cui stava con lui. Sapeva che in quel momento, come negli anni passati, lui era suo, solo suo. Sebbene deturpata nel viso a causa della mezza maschera bruciata che si era apparentemente fusa sulla sua pelle, la sacerdotessa sapeva che questo le aveva dato pieno controllo sui suoi enormi poteri di evocazione, sebbene trasformati in maniera orrenda, permettendole di evocare portali di accesso ad una dimensione che lei aveva giurato da quando era nata di eliminare, mentre in quel momento stava considerando il mondo demoniaco come la più grande benedizione per lei. Era riuscita a controllare il cuore puro di Mamoru, traviarlo verso una via dove la sua gentilezza, il suo amore e la sua cavalleria erano state trasformate nel più oscuro odio, nella più crudele cattiveria del creato, sebbene doveva continuamente legarlo a sè. La sua volontà continuava a resistere, e solo con potenti pozioni e incantesimi nascosti in canzoni e sussurri amorevoli nella loro alcova riscaldata dal riflesso nerastro del fuoco buio che ardeva come un monito sulla cima della Torre-Tempio, il centro nevralgico e reale dell’impero che la donna stava creando, e a cui mancava di assorbire solo alcune parti del Regno della Luna. – E’ abbastanza forte per poter combattere come vorremmo?
- Credo decisamente di sì, sebbene non possieda quelle capacità che faranno di lei una buona combattente, una che si possa staccare dalla media. Certo, è fortissima, ma non può competere con me.
- Nessuno può competere con te, mio amore.
- Dimmelo ancora. Lo sai che amo quando lo dici… - ridacchiò lui.
Lei gli strinse forte la mano, ricambiata, ma non c’era quella passione, quel trasporto che lei voleva, che lei sapeva esserci tra due innamorati. Il cuore le si incrinò un altro pezzettino, come ogni volta che notava attrazione fisica per lei in Mamoru, ma non quel sentimento così chiaro nel bacio che lei aveva visto quel giorno di vari anni prima. Lui la desiderava, ma non l’amava. Una cosa che nessuna pozione, nessuna invocazione, stregoneria o incantesimo poteva fare.
- Dare l’amore… - mormorò.
- Scusa?
- Nulla, pensieri di donne. Volevo farti vedere quello che ho preparato per la nostra mossa finale. Schiacceremo il Regno della Luna e la sua stupida principessa con lui.
- Ci sarà sangue e morti?
-Tanti, così tanti che ti stancherai di vederli.
- Non credo. – sorrise lui, un leggero brillio rossastro negli occhi. – Raccontami tutto, mia adorata.
Arrivarono nelle stanze personali della sacerdotessa, cupe e rosse come il suo cuore e la sua mente. Lei drappeggiò il cappuccio che le copriva il volto sul collo, il suo viso perfetto pitturato di ombre cangianti ogni istante come le fiamme delle candele che le creavano, la parte sinistra deformata dalla maschera di argento bruciato e contorto.
- Baciami.
- Come ordini, mia signora. – disse, facendo seguire immediatamente un appassionato e quasi animale bacio che durò molto tempo, lasciando entrambi senza fiato quando si staccarono. Si sedettero, lei su una poltrona di pelle lucida, da una parte di un tavolo su cui stava la cartina delle sue terre e di quelle ancora che voleva conquistare, lui sul letto, le mani incrociate dietro la testa. Si tolse l’arma dalla vita e iniziò a slacciarsi le parti principali dell’armatura. – Quale è il tuo piano, Rei?
- Semplice. Abbiamo fino adesso tentato di penetrare in vari punti, vedendo se potevamo trovare dei punti deboli nella difesa del regno della cara principessa. – iniziò, pronunciando le ultime due parole con tono ironico e beffardo. – Ma non abbiamo avuto fortuna. Anche le tue scorribande non sono servite a molto, se non ad ingrossare in parte il nostro esercito.
- Già. La nostra Regina dei Morti ci sta dando una grossa mano. Ma u giorno vorrà essere pagata.
- Non preoccuparti di quello. Lei è affare mio… - esclamò lei muovendo la mano e il braccio destri sulla mappa, che prese vita, trasformandosi in una sorta di visione tridimensionale della Luna, perfetta fino all’ultimo particolare. – Guarda quello che ho intenzione di fare.
Lui si sollevò dal letto, ormai coperto solo dalla sua camiciola di cotone nero e da un sottile gilet imbottito per proteggere il busto dallo sfregamento delle piastre dell’armatura.
- Un esercito enorme?
- Esatto. Sto radunando tutti i non morti di Hotaru, e da parte mia ho incrementato il flusso di demoni adatti al combattimento provenienti dalle lande infuocate degli inferi. Tra poco più di due settimane saremo pronti a sferrare un attacco così potente che nulla, nulla di ciò che esiste potrà fermarci. Arriveremo vittoriosi nel castello di Usagi, e là otterremo ciò che bramiamo di più.
Lui sorrise malvagio come stava facendo lei e la attese nel letto, la tunica di lei a cadere leggera sul pavimento. Il fuoco nero rispese per un secondo mentre l’ennesimo demone poggiava le sue pesanti zampe sul terreno di uno dei cancelli infernali.
Ami tremò, la visione che ancora le stava riempiendo la mente era stata così orrenda che il suo cervello non aveva registrato totalmente la gravità di quanto aveva visto.
- Principessa, Luna, Minako, ho bisogno di voi qui, ora. – gridò telepaticamente la maga, alzandosi e iniziando a muoversi verso l’armadio da cui prese una tunica per coprire il suo corpo, come il suo volto assolutamente privo di ogni particolare che la potesse rendere umana.
- Arriviamo! – gridarono come risposta quasi all’unisono le tre donne.
Un lampo di luce e la guerriera dai capelli biondi apparve nella stanza, la spada in pugno nella mano destra e un lungo e luminescente tentacolo a uscire dalla mano sinistra. Non aveva con sé i guanti, ma il resto del corpo era protetto dalla sua particolare armatura.
- Cosa succede?
- Ho avuto una visione, una visione orrenda, e dobbiamo immediatamente fare qualcosa per evitare che quello che ho visto diventi realtà. Ti ringrazio per la celerità della tua venuta, Donna Ombra. Ora riposa, o le tue amiche potrebbero spaventarsi vedendoti in questo stato. Il trasporto mentale che hai utilizzato ha drenato molte delle tue energie. Se posso esseri utile… - disse allungando una mano.
- No, grazie. Ho bisogno solo di un paio di minuti, e loro saranno qui decisamente dopo. – rispose con voce gracchiante la ragazza, sebbene il suo aspetto sembrasse quello di una mummia rinsecchita e scura, come carbonizzata, la pelle tirata sulle ossa, gli occhi gialli incavati, le labbra quasi sparite, ritirate per mostrare i denti. – Ho ancora una considerevole quantità di energia a disposizione. Il tempo di concentrarmi…
Chiuse gli occhi e respirò profondamente, permettendo al suo potere di assorbire l’energia vitale di cui si era nutrita nei giorni precedenti e di ripristinare il suo naturale aspetto. I capelli si fecero morbidi e fluenti, non più radi e biancastri, il volto cesellato, la pelle morbida.
- Appena in tempo, sembrerebbe… - commentò Ami, mentre le due altre donne che avevano risposto al suo appello entravano nella stanza, entrambe in camicia da notte ma con le armi in mano.
- Decisamente terrificanti, con le vostre lunghe camice di notte bianche e rosa…
- Minako, stupida. Non tutti possono permettersi di non togliersi mai l’armatura come fai tu. – le rispose falsamente acida la principessa, osservando la stanza. Abbassò le armi. – Cosa succede?
- Ho appena avuto una visione, una visione orribile che aveva tutta l’aria di essere non solo una possibilità remota, ma qualcosa che si sta quasi già per avverare.
- Riguarda Rei, vero?
- Già, Dama Luna. Ho visto un enorme esercito radunarsi sotto la fiamma nera della torre dove abita la nostra nemica, un esercito come mai nessuno ne ha visti. Demoni e scheletri in quantità orrende, esseri che la mia mente fatica ad immaginare e che porterebbero distruzione e morte in ogni angolo della Luna e della Terra, se riuscissero a raggiungerla…
- E’ già reale?
- No, ma non abbiamo molto tempo. Dobbiamo raggiungere la Torre-Tempio e fare quanto dovevamo fare fin dall’inizio. Dobbiamo uccidere Rei e il suo amante.
- Mamoru. No. Non possiamo farlo!
- Usagi… Sai anche tu che la mente di Mamoru non è quella che conosci tu…
- Solo per via degli incantesimi della sacerdotessa, Luna. Sono certa che nel cuore ancora è puro come quando l’ho conosciuto. Lo sento nel mio cuore. Non può essere menzognera una sensazione del genere. Non può. Lui mi vuole ancora, come io voglio lui…
- Adesso non importa. – esclamò la maga, alzandosi dalla sedia in cui era e avvicinandosi ad una finestra, il volto vuoto ad osservare con gli occhi della mente un punto lontano, un punto nero che le era precluso alla vista. – Adesso dobbiamo fermare l’esercito che ho visto. Con ogni mezzo. Se Mamoru potrà essere salvato bene, altrimenti dovrà perire.
Usagi strinse i pugni prima di iniziare a singhiozzare sommessamente.
- Principessa, anche Ami ha un’amata che dovrà combattere e forse uccidere. La pena che provi tu credo sia pari anche in lei.
- Capisco… Ma l’idea di… di…
- Da fastidio anche a me pensare a Makoto morta. Fortunatamente la mia trasformazione ha ottenebrato i miei sentimenti, permettendomi di utilizzare la logica ben più che il cuore, quindi non esiterò io stessa ad ucciderla se necessario. Ma avremo tempo durante il tragitto per pensare cosa fare e se farlo.
- Raduniamo l’esercito?
- No, Minako. L’esercito serve qui, contro le scorribande dei non-morti che Hotaru continuerà a mandare per tenerci occupate. Andrà un piccolo gruppo.
- Io ci sono.
- Ne ero certa, Donna Ombra. Ma dovrà esserci anche una maga per proteggerci, e una guaritrice…
- La principessa non si muove dal castello!
- Luna, sono una guerriera prima di tutto. Servo al gruppo molto più di quanto serva qui. Ci sono altri guaritori nell’esercito. E poi… - deglutì. – E poi se Mamoru deve morire, sarò io ad ucciderlo, se non posso salvarlo da se stesso.
- Allora è deciso. Verrò anche io. Dove va la mia pupilla, vado io. – sorrise triste Luna. – Non mi perdonerei mai di lasciarla nel pericolo, mentre io sono al sicuro nel castello.
- Luna…
- No. Ho deciso, e se non mi permetterai di venire con le buone, ti seguirei comunque di nascosto, per cui… - Lei l’abbracciò, mentre una lacrima le rigava la guancia. – Niente smancerie, principessa. Non sono adatte alla reggente di un grande stato come il nostro. – disse con voce rotta.
- Bell’esempio, mia cara…
- Artemis!
- L’ho chiamato io mentalmente. Immaginavo che se Luna venisse, anche il suo compagno volesse partecipare.
- E io ringrazio la maga per quanto ha giustamente pensato. Quando si parte? – chiese l’uomo, mettendosi vicino a Luna e abbracciandola attorno alle spalle, mentre lei si appoggiava al suo petto.
- Domani. Useremo strade secondarie.
- Devo immediatamente convocare il Consiglio degli Anziani. – mormorò assorta nei propri pensieri la bionda, tormentandosi un codino con la mano. – Devo avvertirli della mia partenza e decidere quali linee guida debbano rispettare mentre sono via. Luna!
- Dimmi.
- Sveglia immediatamente gli Anziani e di loro di riunirsi nella Sala del Cristallo argenteo. Io mi cambio e li raggiungo.
- Subito.
- Minako, Artemis… - I due si inchinarono aggraziati di fronte a lei. – Date istruzioni all’esercito per poter gestire gli assalti anche senza il nostro comando. Che i generali si coordino tra loro in modo da poter salvaguardare perlomeno i confini del regno. Che chiunque sia vicino ai territori minacciati si sposti se può verso la capitale. Sarà più facile difendersi…
- Agli ordini. – dissero all’unisono sparendo come per magia dalla stanza.
- Ami…
- Mia principessa…
- Li salveremo tutti…
- Se questo è quanto desideri, allora sarà così… - le rispose, un tono gentile nella voce che le rimbombò nella mente.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


- Ormai dovremmo esserci…
- Direi di sì, Minako. Dalle informazioni che sono state riportate sulla mappa ci stiamo avvicinando al confine occidentale dell’antico Regno della Luna, quello che esisteva prima dell’ascesa della mia dinastia.
- Prima che il regno diventasse la sorta di impero che è adesso. - mormorò Luna, come le altre e come il suo compagno intabarrata in un pesante mantello di lana cotta color grigio con bordi neri, adatto al doppio scopo di proteggere dalla pioggia sferzante che li stava come inseguendo da due giorni e di nascondere il loro volto, il loro corpo e le loro armi dagli occhi indiscreti dei pochi avventurieri e dei un po’ più numerosi mostri e spie di Rei che si aggiravano spavaldi in quasi tutto il regno, e ancora di più nei territori che stavano oltrepassando, da quasi un anno sotto il controllo della sacerdotessa impazzita.
- Che era, Luna. E’ inutile che ci tappiamo gli occhi. La situazione è quasi drammatica, ma non mi interessa perdere terre o coltivazioni. Sono le vite, le anime dei contadini, degli abitanti che una volta risiedevano qui che mi preoccupano, che mi lancinano il cuore come frecce incandescenti…
La dama di compagnia potè solo rispondere con un leggero inchino, notando come il primo pensiero della ragazzina che una volta era la principessa era per i suoi sudditi.
- E’ cresciuta. E’ cresciuta bene, fin troppo… - pensò
- Già. Mi scuso per l’intrusione, Dama Luna, ma i suoi pensieri sono duri come il ferro e impossibili da non notare. E’ maturata, quanto e forse più un’intera vita di studi poteva fare. Forse è maturata troppo in fretta. La guerra, la perdita dell’Endimion… - esclamò nella sua mente la maga.
- Non lo ha ancora perso, Ami. Sebbene non approvi ancora del tutto la sua idea di partecipare a questa spedizione, capisco il suo fardello e la sua idea. Farei lo stesso per Artemis. Senza ripensamenti.
- Immaginavo. Sto tentando da quando abbiamo lasciatoli castello di capire cosa potrei fare io se vedessi Makoto, ma non riesco ad andare oltre alle logiche possibilità di averla come alleata o ucciderla come nemica…
- I gioielli che avete in voi vi hanno cambiato profondamente. E qui viene l’altra mia paura. Quanto di quello che sta facendo Usagi è suo, e quanto è la parte della maschera che le ricopre il volto? Se non avesse quella cosa sul volto, come si sarebbe comportata?
- Non ti preoccupare, dama Luna. - sorrise nella sua mente il volto di Ami, che amava comparire a volte esattamente come era prima della trasformazione. - Se questo può rincuorarti, i gioielli, e quindi credo anche la maschera della principessa sono solo dei catalizzatori di una nostra parte, di un nostro animo più o meno nascosto. Essi ingigantiscono tale parte e la dotano di poteri straordinari, ma non ci hanno cambiato. Usagi avrebbe avuto meno sicurezza, ma le decisioni a cui sarebbe pervenuta sarebbero state identiche anche se non avesse avuto tale gioiello sul volto. Così come io avrei continuato a studiare la magia per essere la migliore, o Minako avrebbe imparato le tecniche segrete dell’arte della spia.
- Ciò che mi preoccupa è il potere di Makoto e dell’Endimion…
- No. In tale caso essi sono anche sotto l’influenza di Rei. La sua follia ha agito da rafforzatore ai poteri della maschera nera, e le ha permesso di soggiogare perlomeno la volontà di Mamoru e di, mi spiace dirlo, fare leva sul desiderio di affermazione e di lotta che è insito nei Kino. Sono quasi certa che se riuscissimo a liberare i nostri amici dall’influsso della Signora del Fuoco Nero, essi dovrebbero tornare alla normalità.
- Ne sei certa?
- Ho detto quasi.
- quindi…
- Già. Potremmo anche ucciderli, se si renderà necessario per la salvezza del Regno. Lo ha detto anche Usagi, no?
La donna non rispose, sospirando pesantemente.
- Cosa ti preoccupa, Luna? - le chiese il compagno, stringendole la mano.
- Nulla. Pensiri di donna…
- Questo mi è nuovo, amore. Cosa mi nascondi?
- Nulla, solo… - si bloccò, come se stesse fiutando l’aria. - Non siamo soli…
Anche Artemis scrutò l’aria, socchiudendo gli occhi fino a che non divennero due nere fessure allungate.
- Hai ragione. Non sono tanti, ma sono pericolosi. Lo avverto dalla loro sete di sangue.
- Non morti? - chiese Minako.
- No.
- Sono demoni. - rispose mentalmente la maga. - Ho azzardato ad usare una frazione dei miei poteri per saperlo. Sono sei, forse sette, non riesco a dirlo con precisione senza rischiare che Rei o uno dei suoi maghi mi possa individuare.
- State pronti, armi alla mano. Artemis, Luna, difendete Ami. Minako, a te l’onore, giusto per far capire loro chi siamo…
- Evitate di usare i poteri. Ogni fonte di energia mistica può essere fatale per il nostro piano. Dobbiamo evitare di farci scoprire!
- Va bene, maga. Vedrò cosa posso fare con le sole armi… - sembrò sospirare dispiaciuta la bionda, che estrasse la lunga e sottile lama da dietro la schiena. - Ogni volta me lo dimentico.
Il rumore delle spade che uscivano dai foderi della principessa fecero eco allo stridio metallico ma armonico dell’arma di Minako.
- Dove sono?
- Due fronti. Ai lati della strada, poco avanti. Quegli arbusti e il masso alla destra.
- Che fantasia… - borbottò la spia, saltando con leggerezza sulla cima della massa rocciosa. - Salve. Non siete un po’ cresciutelli per giocare a nascondino? - ironizzò.
Come risposta i tre esseri nascosti sibilarono orrende parole distorte e tentarono di colpirla con i loro artigli e i loro tentacoli, ottenendo solo di sferzare l’aria e scalfire la roccia. Minako era tornata vicino a Usagi.
- Fortuna che volevo utilizzare l’elemento sorpresa…
- Oh, ma direi che si sono stupiti. Non vedi che facce contente? - ridacchiò lei, mettendosi in posizione di attacco.
Anche gli altri tre mostri uscirono dagli arbusti, riempiendo la strada. Erano esseri poco più bassi di un uomo, dalle facce tozze e dai denti aguzzi e sporgenti su corpi ipertrofici e coperti di scaglie o squame rossicce con bordi verdastri marcescenti. Tutti si reggevano su gambe possenti e artigliate, sebbene gli arti superiori fossero delle forme più disparate e in numero variabile da uno a quattro, addirittura cinque nel caso di un demone somigliante ad una piovra dalle fauci colanti una bava biancastra che sfrigolava leggermente al contatto con il terreno, vetrificandolo per l’aggressività.
- Pensa quando sono arrabbiati.
- Ma anche noi siamo brutte quando attacchiamo. Che ne dici, glielo facciamo vedere?
- Minako, non ti permetto di offendere la tua principessa. Portale rispetto.
- Luna,, pensa a difendere Ami,. Che la mia dignità la difendo io! - le rispose quasi ridendo la bionda infilando la lama della sua spada nel braccio del primo demone che era avanzato contro di lei. Lo stesso aveva fatto la spia, sfruttando la sua incredibile agilità. - Due verso di voi. Ce la fate?
- Un’offesa del genere l’avrei lavata nel sangue, anni fa, ma voi siete la mia principessa, e quindi… - rispose Artemis impugnando due dei sei pugnali che penzolavano al fianco e lanciandoli nell’aria solo un luccichio indistinto che si rimaterializzò nelle orbite del demone all’apparenza più pericoloso, tre massicce braccia dotate di affilate unghie arcuate.
L’essere emise un grido di dolore e di rabbia dalle varie bocche che si aprirono sul suo corpo, ma continuò ad avanzare, sebbene più lentamente. L’altro demone, più leggero e scattante saltellò velocemente sulle spalle di quello ferito e si gettò in aria usandolo come trampolino, tentando di cogliere di sorpresa Luna e la maga.
- Non hai le ali, è inutile che tenti di volare… - borbottò la donna afferrando le sue armi preferite, i pugnali gemelli e saltando anche lei in aria per intercettare il nemico. Le sottili ma resistenti unghie metalliche della guerriera si scontrarono con quelle spesse e coriacee del mostro, provocando un rumore molto sgradevole che sembrò rimanere sospeso nell’aria un istante dopo che i due ricaddero a terra, uno ringhiando, l’altra sorridendo e impugnando meglio le strane armi che le permettevano di combattere come se le sue mani fossero state sostituite con letali artigli, tre per parte. - Ora che siamo a terra, vediamo chi dei due è più veloce…
- Stai attenta. Sono decisamente forti, non i soliti che trovavamo in giro nei giorni scorsi.
- Può essere che sia la vicinanza con la torre della nostra nemica? - chiese parando un tentacolo e recidendolo allo stesso tempo.
- No, principessa. - rispose l’uomo. - Non a questa distanza. E poi sono tanti, e in qualche modo organizzati. Aspettavano qualcuno.
- Ma non noi. - disse la maga, che aveva girato il volto vuoto verso un punto imprecisato alle loro spalle, nella direzione da cui erano venuti. - Qualcuno o qualcosa sta arrivando, e la sua magia è tale che posso sentirla anche da qui. Quello che mi lascia allibita è che non fa nulla per nascondere la sua potenza. Un’emanazione del genere sarà sicuramente visibile anche a Rei o ai suoi scagnozzi.
- Quindi o è maledettamente… - Minako colpì al petto uno dei suoi avversari, la mano a penetrare come un coltello nel costato del mostro, uscendo0ne nuovamente inzuppata di sangue nero e stringendo tra le mani qualcosa che pulsava pesantemente. Il mostro cadde a terra e iniziò a dissolversi. - …maledettamente forte e sicuro di sé, o è alleato con questi esseri.
- Speriamo di avere per una volta fortuna…
- Me lo auguro anche io. - sospirò la bionda. - Attenta, principessa, alle tue spalle! - gridò, tentando di raggiungerla.
- Usagi! - gridò la donna mentre si voltava, il suo avversario agonizzante, la gola squarciata, il liquido nerastro a inzuppare il terreno della strada. La bionda dai lunghi codini non fece in tempo a spostarsi dalla traiettoria degli artigli del nemico, che le trapassarono la pancia incuranti della leggera armatura imbottita che magicamente era stata resa resistente come metallo. I suoi occhi si spalancarono ma non emise neppure un piccolo gemito. Stringendo i denti, chiudendo gli occhi inspirò violentemente, impugnò con più forza le else delle sue due armi e incrociandole tagliò quasi di netto l’arto che l’aveva colpita. – Usagi! –corse la donna verso di lei.
- Luna! Sa cavarsela! – gridò Artemis continuando a combattere. – Ami è indifesa!
- Ma…
- Ami! – le ripeté duro il compagno, uccidendo il suo avversario. – Hai dei doveri verso il regno prima che verso la sua principessa.
Lei ingoiò un’espressione dura ma annuì, lanciandosi contro l’ultimo dei nemici, mentre Minako si occupava di finire i demoni feriti e di proteggere la principessa che si era dovuta accasciare vicino ad un albero, ansimando pesantemente, il sangue a colare lentamente, quasi con ritrosia dalla ferita. La battaglia finì pochi minuti dopo, senza ulteriori feriti nel gruppo di umani, ed immediatamente i rimasti si avvicinarono ad Usagi, che respirava a fatica, quasi rantolando.
- Principessa…
- Non è… - tossì, un filo di sangue a colarle dalla bocca semichiusa per facilitare il passaggio dell’aria. – Non è quasi nulla. Ho subito ferite peggiori tempo fa. Datemi solo il tempo di riprendere le forze per estrarre il braccio dallo stomaco…
Luna si voltò, incapace di mostrare alla sua pupilla le sue lacrime.
- Dovrei essere abituata, ma non ci riesco. Non ci riuscirò mai… - pensò chiudendo gli occhi mentre sentiva l’urlo di Usagi, un urlo soffocato, a denti stretti.
- Hai…
- No! – gridò come risposta a Minako.
La ferita iniziò a muoversi, come animata di vita propria. I due lembi sembrarono cercarsi, allontanarsi e riavvicinarsi finché non si toccarono, saldandosi e velocemente sigillando le pelle, nascondendo alla vista la ricostruzione dei tessuti, dei muscoli e degli organi interni che avvenne nei trenta secondi che seguirono.
- Come va?
- Bene ora… - sospirò la principessa, rialzandosi. – Alla fine è stata solo l’armatura a rimetterci…
- Se ne avesse avuto su una più resistente…
- Dai, Luna… - sorrise lei, rialzandosi. – Mi ci vedi a girare come se fossi una scatoletta di latta… E poi non può certo succedermi nulla…
- E questo lo chiami nulla! – sbottò lei voltandosi, le strane armi in cui era maestra ancora ben salde nelle sue mani. – Lo chiami nulla! – ripetè, la voce rotta da una imminente crisi di pianto.
- Direi di mantenere la calma. Abbiamo ancora da capire cosa può essere ciò che sta arrivando… - disse nelle loro menti la maga.
- E voi chi siete? – chiesero all’unisono due voci femminili alle loro spalle.
Il gruppo si voltò, scosso non tanto dalle voci quanto dall’assoluta silenziosità con cui erano giunte, invisibili alla mente di Ami e ai fini sensi di Artemis e di Minako. Due donne, dall’età apparente di trenta, forse trentacinque anni erano in piedi in mezzo al sentiero. Alte e slanciate, erano una l’opposta dell’altra. Quella più alta aveva corti capelli biondo chiaro, quasi bianco, un lungo bastone da combattimento in mano, ornato da pesanti borchie in bronzo lucidato dagli anni per rinforzare la struttura e per renderla ancora più letale. Il busto era coperto da un giubbetto di cuoio nero su cui erano state rivettate delle lastrine metalliche in acciaio, in bronzo e in altri materiali più o meno pregiati, mentre le gambe erano semplicemente rivestite da un paio di larghi pantaloni di pelle nera cuciti ai lati da una sorta di spesso filo marrone. Piccole scarpe senza tacco, adatte per lunghi tragitti completavano, assieme a guanti in maglia brunita al polso, quanto indossava la guerriera. Accanto a lei, con uno sguardo a metà strada fra la concentrazione più totale e l’assenza, una donna dai capelli ricci, il corpo formoso avvolto in una tunica bianca e verde cupo dalle ampie maniche che ne indicavano in maniera quasi certa la professione di maga, o comunque di utilizzatrice delle arti magiche. Non aveva nessuna arma, ma impugnava uno specchio in argento lavorato, osservandolo di tanto in tanto come se vedesse cose che non gradiva.
- Haruka! Michiru! Non siate scortesi. Bisogna prima presentarsi, soprattutto se abbiamo di fronte la principessa Tsukino, la sua dama di compagnia con il compagno, la potente maga dei Mizuno e un’aspirante spia che ha poco da invidiare al suo maestro. Dico bene, Minako, Luna, Artemis e Ami?
- Scusateci, maestra. Non accadrà più. - si prostrarono le due sconosciute di fronte alla figura che comparve dalla curva della strada.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


strega_mogana e Querthe si scusano per il ritardo mostruoso... ma ci sono stati problemi e una vaga carenza di ispirazione per questa storia particolare.
Ora siamo tornati!
E' giusto dire che per questo capitolo tutti i meriti vanno a Querthe.


***


- E tu chi sei? – chiese Luna, risistemandosi impercettibilmente le lame gemelle ancora sulle sue mani, pronta al combattimento. – Come fai a sapere i nostri nomi?
- Calmati. Credo che anche in momenti come questi si debba essere gentili e seguire l’etichetta. Lei conosce in nostri nomi e le nostre professioni, se così possiamo chiamarle, e sarebbe cosa gradita che noi si potesse sapere con chi stiamo parlando, e che cosa dobbiamo aspettarci in questi tempi così strani.
- Ottime parole, principessa del Regno della Luna. Non potevo aspettarmi di meno da una nobile del tuo lignaggio. – sembrò sorridere la figura, che si presentava alta e snella, avvolta in un pesante mantello verde scuro che la copriva totalmente, se non per una zona che lasciava intravedere gli occhi. – Io sono conosciuta con molti nomi, alcuni dei quali così vecchi o poco usati da essere dimenticati da chiunque, me compresa. Dalla vostra gente, in questi ultimi secoli, sono conosciuta come Setsuna, la Meiou.
- Interessante. Dovrei essere molto sorpresa di trovarmi faccia a faccia con Setsuna la Guardiana dei Flussi, la Chiave della Sfera Granata.
- Un altro dei miei nomi, anche se molto poco usato, maga Mizuno. E’ da tempo che non lo sentivo. Conosci almeno superficialmente me e i miei poteri quindi.
- Abbastanza da sapere che potreste essere un grande aiuto o un nemico terribile. La domanda che mi pongo è su quale dei due sentieri ha scelto di incamminarsi.
- La risposta è semplice. Nessuno dei due.
- Intende dire che non si schiererà con noi o contro di noi? – chiese Usagi.
- Esattamente, principessa.
- Ma è da folli! Rei…
La guerriera armata di bastone lo impugnò saldamente, puntandolo verso la bionda dai lunghi codini, con chiari intenti bellicosi.
- Offendila o anche solo parlale senza il rispetto che merita per ancora una volta, e sarà l'ultimo respiro che la tua bocca potrà emettere, stolta nobile. Tuo è solo il diritto di inchinarti davanti alla nostra maestra.
In un secondo si sentì il rumore delle lame estratte dai foderi, mentre le due maghe sembrarono fissarsi negli occhi.
- Calmati, Haruka. – disse la sua compagna, appoggiandole la mano sinistra sul braccio, l'altra a reggere lo specchio in cui lei era tornata a riflettersi apparentemente interessata. – Non serve a nulla scaldarsi. E poi perderesti sicuramente con loro. Conserva le tue forze per le battaglie che verranno.
Setsuna la osservò per un istante, mentre la guerriera si poneva in una posizione di attesa con il bastone, pronta comunque a passare all'attacco o difendersi.
- Cosa hai visto?
- Nulla di certo, mia maestra. Eppure lo specchio offuscato, e un vago timore scuote le mie membra, come di una stanchezza di una battaglia contro qualcosa di enorme e malvagio.
- Rei. – disse Minako.
- Non lo credo.
- Perché ne siete così certa, Chiave della Sfera Granata?
- Se loro combatteranno, sarà solo una battaglia interna. Né io né le mie discepole ci faremo coinvolgere in questo sguazzare di pesci ciechi in un fangoso acquitrino.
- Ciò che chiamate in questo modo è la realtà distorta voluta da una donna pazza, il cui cervello non è meglio di ciò che ha immaginato e creato.
- Ma quella sua pazzia è dovuta all'amore, Mizuno. Tu potresti dirmi con certezza assoluta essa sia nel torto? Non è forse pazzia anche che una principessa abbia deciso di abbandonare il suo regno e di combattere come i più rudi e crudeli guerrieri per lo stesso motivo per cui una Hino ha deciso di non essere più sola? E se così dovevano essere le Vie del Tempo? Nulla è immutabile. Forse il Regno della Luna deve scomparire, e i suoi abitanti con esso.
Minako fremeva di rabbia, ma vide che sia Artemis che Luna osservavano immobili la scena. Decise di aspettare una loro mossa. Sapeva inoltre che non poteva usare i suoi poteri, o Rei avrebbe potuto trovarle prima del necessario. Inoltre non sapeva quanto del suo potere le era rimasto prima che venisse scoperta dalle altre.
- Anche voi ne fate parte. Vorreste morire quindi? Credete forse che Rei vi lascerà libera di fare e agire come adesso. Dovrete schierarvi, o morirete.
- Principessa, io non mi annovero, e ti prego di avere la gentilezza di non farlo nemmeno tu, tra i tuoi sudditi, o in quelli della Hino. Io comunque sopravvivrò.
- E come? Nascondendovi in qualche vicina caverna, mia signora? – chiese Luna. Non vi era emozione nella sua voce, solo una semplice domanda disinteressata, apparentemente. – Attendendo che tutto sia passato per poter continuare a trascrivere ciò che avviene, come è suo compito, Guardiana dei Flussi?
- Nascondersi non è il termine giusto, ma direi che sei andata molto vicina alla realtà. Attenderò che tutto sia passato, come ho sempre fatto.
- Ma se Rei vi trovasse, se vi scoprisse? Ha detto che non vi nasconderete, ma alla fine è ciò che farete, voi e le vostre allieve.
- Sta scendendo la sera. Venite, credo che potrò rimediare alcuni letti di paglia e delle lenzuola non certo perfette, ma sicuramente meglio della dura terra per dormire una sera. Domani potrete ripartire riposate. – disse sorridendo Setsuna, voltandosi e iniziando ad incamminarsi, dando loro le spalle.
Michiru la imitò, mentre la sua compagna osservò per un istante ognuno dei presenti.
- Allora, non avete sentito la mia maestra? Seguiteci. – grugnì, decisamente alterata dal dover dividere il loro rifugio con altre persone.
- Usagi?
- Facciamo come ci ha detto, Luna. Non sembra pericolosa, e se anche lo fosse, direi che siamo abbastanza per vincere contro di lei.
- Non crederlo, principessa. – disse nelle loro menti Ami. – Non è ciò che sembra. E non è ciò Luna ha detto. Lei non trascrive.
- Ovvero? – chiese Artemis, sempre tramite il pensiero.
- Non è educato bisbigliare alle spalle, anche se con il pensiero. – disse allegra Setsuna, senza voltarsi, rivolta al gruppo.
L'uomo sbiancò, e nessuno disse più nulla.

***

L'abitazione di Setsuna e delle sue due allieve risultò essere un tempio direttamente scavato nella pietra di una piccola collina poco lontana dalla strada, nascosto da un fitto bosco.
- Sembra antico.
- Più di quanto immagini, Guerriera-Ombra. Il tempio è stato creato dalla nostra signora, quando decise di essere.
- Scusa?
- Haruka! – le disse quasi in tono di rimprovero la compagna, aprendo il portone per Setsuna e facendola entrare con un inchino appena accennato.
Una volta che tutti furono entrati, il portone si richiuse pesante, con un rumore sordo, e allo stesso tempo decine di torce si acceso, illuminando l'interno, realizzato scavando e lisciando la pietra della collina al pari del resto dell'edificio.
- Mettetevi comodi, ve ne prego, mentre Haruka preparerà la cena. Michiru, saresti così gentile da allietare me e i nostri ospiti con della musica?
- Come desiderate, maestra. - rispose la maga con un inchino, prendendo quello che sembrava uno strano violino e iniziando a riempire l'enorme stanza con le note dolci e lente di una musica quasi impossibile da descrivere, che velocemente divenne sottofondo, mentre con un gesto Setsuna fece emergere dal pavimento sedie, poltrone e tavoli a sufficienza per tutti. Sebbene in pietrae sabbia, erano in qualche modo comodi.
Si tolse il mantello, rivelando una massa di capelli verdi, lunghi e lisci, pettinati a coda di cavallo. Indossava una lunga tunica senza maniche color violetto, plissettata, con passamaneria dorata alle spalle e al collo. Gli occhi erano profondi, come persi, ma vuoti, freddi e quasi aridi come quelli dei non-morti, cosa che fece fremere di timore Usagi, la cui mano si mosse da sola a tastare le sue armi.
- Sedetevi, vi prego. Non posso offrirvi gli agi del palazzo a cui sarete abituati, ma vogliate scusarmi. – sembrò prenderli in giro. – Slacciate pure le vostre armi dal corpo, nessuno qui vi farà del male. O la principessa ha avuto paura di aver perso le scimitarre?
Usagi abbassò lo sguardo mostrando vergogna, e pose le lame ai piedi della sedia su cui si era seduta, alla sua destra.
Anche le altre fecero lo stesso.
- Vi siamo già debitori e debitrici per averci accolto nella vostra abitazione. Emi scuso per la mia non voluta mancanza di rispetto, ma sono tempi strani questi. Le chiedo inoltre di perdonare la mia impudenza e la mia irruenza più adatta ad un rude mercenario che alla figura che dovrei rappresentare, ma desidererei parlare ancora un attimo relativamente al discorso che avevamo iniziato sulla strada. – sorrise Usagi, gli occhi fissi sulla donna, che dopo essersi seduta materializzò quella che sembrava un bastone dalla forma di enorme chiave in ottone lucidato, posandoselo in parte sulla spalla, in parte sulle ginocchia. In cima allo stesso, racchiuso in quella che sembrava l'impugnatura della chiave, vi era una sfera granata che roteava velocemente e che sembrava a volte emettere strani e sinistri bagliori.
- Ah, già. Ma prima che tu faccia domande, credo che sia meglio che Ami vi spieghi un po' meglio chi sono io.
- La vostra maga servitrice era in disaccordo quando la guerriera ha iniziato a parlare di voi e del tempio in cui siamo.
Setsuna rise, sebbene non vi fosse sentimento nel suono che uscì dalle sue labbra.
- Michiru a volte è troppo protettiva nei miei confronti, così come Haruka è impulsiva, tendendo a volte a farsi trasportare. Ma ti prometto, Ami, che potrai dire tutto ciò che vuoi.
- Si può sapere che cosa state dicendovi?
- Abbi pazienza un attimo, Minako, e ti spiegherò tutto, o meglio, tutto ciò che so. – disse la maga nelle loro teste. – Fin dai tempi più antichi, quando ancora non esistevano regni e probabilmente la razza umana e le altre razze non erano ancora nate, esisteva comunque una entità che controllava il flusso del Tempo. Tale entità è conosciuta con molti nomi diversi, tra cui quello di Chiave della Sfera Granata, in quanto il tempo è una sorta di sfera dove noi ci muoviamo sulla superficie, costretti da un certo tipo di flusso, come barche alla deriva. Esso non è l'unico, ve ne sono moltissimi, che spesso si intrecciano per un istante, a volte invece non si toccano mai. Un po' come se noi fossimo costretti su un filo solo della trama di un tappeto molto grosso che si chiude su se stesso.
- Perché su se stesso? – chiese Usagi.
- Principessa, i dejà vu, le sensazioni di aver avuto altre vite, aver vissuto altre storie, sono dovute al flusso del tempo che si piega su se stesso, andando a toccare un altro punto di sé più avanti o più indietro rispetto al suo concetto di presente. – spiegò Setsuna.
- Una sorta di visione di vite passate o future?
- Esattamente, assassino. I grandi amori, i grandi odi, quelle cose che senti che sei nato per fare, sono come nodi costanti nel flusso del tempo. Fatto la prima volta, lo ritroverai sempre.
- Eppure esiste qualcosa che, esente dal Tempo, non ne è condizionata, essendo essa al di fuori della sfera.
- Setsuna?
- Esatto. – disse la maga a Minako.
- Non proprio. Io sono una rappresentazione minima di ciò che è davvero la Chiave della Sfera Granata. Essa non è al di fuori del tempo, essa è parte di esso. Sono in questo momento qui a parlare con voi, ma allo stesso momento sto osservando me stessa contemporaneamente prima e dopo che lo sto facendo, e anche quando non vi ho mai incontrato, o quando Rei ha conquistatola Luna, e quando è morta nell'incendio che ha dato vita a questa realtà. Una Setsuna sta giocando con una piccola Hotaru in un mondo in cui lei è solo una neonata e voi, compresa Rei, siete solo studentesse, mentre un'altra sta mostrando ad una trista mietitrice i percorsi principali del Tempo per permettere ad un'altra Ami e ad un altro Mamoru di tornare in vita in un mondo simile a questo.
- Ho perso il filo del discorso…
- Non sei l'unica. – bisbigliò Usagi a Minako. – Ma non dirlo a nessuno.
- Io sono detta Chiave della Sfera Granata perché posseggo il potere di aprire il tempo e di essere ovunque, in ogni momento, e per questo non esistere, poiché sono ovunque. Ho deciso di mia spontanea volontà di esistere, e credo che ciò abbia creato quello che voi chiamate Tempo. Forse io sono il Tempo.
- Questo però non spiega perché voi non potete aiutarci. Siete qui, ora, in questo momento, anche se solo una piccola parte di voi. E da quello che ho capito,anche una sola piccola parte di voi è estremamente potente.
Setsuna sorrise a Luna, ma non rispose, attendendo che Haruka tornasse con dei piatti contenenti della carne stufata e del pane un po' duro, ma ancora commestibile. Sebbene la guerriera avesse posto una porzione davanti alla sua maestra e ad Ami, nessuna delle due la toccò.
- Luna, io non voglio partecipare, in quanto il mio compito che mi sono imposta è quello di osservare, al più di riparare gli eventuali danni al Tempo, a me stessa. Ammetto che l'incantesimo che Rei ha formulato ha creato un'onda che sta avendo ripercussioni più o meno pesanti in tutto il Tempo, ma credo che la cosa si esaurirà da qui a breve, nel giro di qualche millennio. Ma mi ha stuzzicato un sentimento nuovo questo fatto, una sorta di curiosità, e così ho deciso di creare delle discepole, delle serve, che siano i miei occhi e le mie orecchie in questo flusso, almeno finché questo gioco non mi stuferà.
- Eppure voi siete ovunque. – mormorò la bionda dai lunghi codini, addentando il pane. – Non capisco il perché di loro due?
- Vedere tutto sempre tende a renderti un po'… superficiale a volte, mentre loro possono darmi una visuale molto particolare, interna della vicenda. Ma dovranno restarne fuori, per non alterare i fatti. Ho concesso loro una piccola frazione del mio potere, per potermi servire al meglio.
- A proposito di potere, come mai voi non li nascondete a Rei? I mostri contro cui abbiamo combattuto cercavano voi, immagino.
- Ormai sono giornalmente presenti nella zona dove ho deciso ristabilire la mia momentanea residenza. Un altro motivo di avere due serve, ovvero quello di agire il minimo indispensabile per non darmi noie. E attacchi verso la mia persona sono quello che intendo come noie. Io non voglio intromettermi con il flusso locale, e combattere contro quei demoni è solo uno spreco di potere. Non che la ma riserva abbia fine, ma comunque mi da fastidio usarlo per nulla.
- E allora perché continuare ad accendere l'equivalente di un faro nella notte?
- Ciò che la maga ha sentito è la frazione minima dei miei poteri. Li sto frenando quanto posso. E comunque se arrivassero abbastanza vicini a me, dopo aver ucciso le mie due schiave, potrei semplicemente immetterli in una corrente di tempo in cui loro non esistono, e svanirebbero.
Le donne, ad eccezione di Ami, si guardarono negli occhi incredule, con la chiara faccia di chi non ha capito nulla.
Setsuna rise nuovamente, e si alzò. La sedia svanì, come pietra erosa da milioni di anni di intemperie, non più utilizzata. Mosse pochi passi verso Ami, che alzò quella che sarebbe dovuta essere la sua faccia come per guardarla.
- Ti manca?
- Non capisco la domanda.
Setsuna toccò la fronte di Ami, chiudendo gli occhi. Fu come vedere le due figure in una giornata assolata, quando l'aria trema e deforma tutto ciò che si vede.
- Ora capisci?
Ami tossì, la sua bocca si aprì mentre calde lacrime scendevano dai suoi occhi spalancati. I suoi polmoni faticavano a ricordarsi come pompare aria nel suo corpo, e le sue dita sfiorarono con le loro lunghe e curate unghie le fattezze di un viso che era il suo, sebbene lo sentiva estraneo.
- Cosa? – gracchiò, la gola secca, la lingua impastata. Il tumulto di sensazioni che si stavano accavallando nella mente la stavano portando a piangere ininterrottamente, mentre voleva ridere e singhiozzare allo stesso tempo.
- Stammi vicino, e potrò darti una nuova vita. Questa sei tu, in un altro tempo, in un altro luogo. La vuoi? Stai con me, come hanno fatto Michiru e Haruka, e lo avrai. Ho bisogno di te, una mente come la tua mi farebbe comodo in questo flusso. Tu mi basteresti, e loro potrebbero svanire, ormai inutili. Avresti poteri immensi, nessuno ti sarebbe superiore, tranne me, la tua padrona, ma dovrai essere solo una spettatrice. Attaccare solo se attaccata, indolente verso tutti e tutto. La vita altrui ti sarà indifferente, ma potrai viverne un numero infinito, nell'immortalità.
- Ami… - mormorò Usagi.
- Principessa, io…
- Avrai secoli per studiare tutto ciò che vuoi, potrai essere la prima in qualsiasi campo tra gli esseri viventi.
- Chiave della Sfera Granata, io…
- Basta che tu dica una sola parola. Loro non saranno più, e saremo solo io e te e il Tempo.
Michiru aveva smesso di suonare, attenta a ciò che stava accadendo.
Ami, chiuse gli occhi e inspirò profondamente.
- No.
Setsuna si ritrasse come se fosse stata insultata, e il volto di Ami tornò ciò che era stato negli ultimi anni.
- Come puoi aver… aver rifiutato?
- Avere tutto, conoscere tutto, ma non poter far nulla non mi interessa. Il sapere, la conoscenza devono essere utilizzate nel mondo, non lasciate nella mente per puro piacere personale. Io vi ringrazio immensamente della vostra offerta, ma comprendete le mie ragioni, ve ne prego.
La donna osservò con il collo leggermente piegato la maga, quindi sorrise appena e si rimise seduta, avendo ricreato la sedia.
- Bene, la tua decisione è presa. Rimarrete per la notte, ma domani mattina all'alba ve ne andrete, o verrete considerate da me come nemiche, e vi lascerò nelle capaci mani delle mie due serve, delle mie allieve fidate.

***

Haruka si girò per l'ennesima volta nel suo letto di paglia coperto da un lenzuolo che aveva visto giorni migliori, ma alla fine si decise e si alzò, avvicinandosi lentamente e silenziosamente a dove Minako stava dormendo. Un istante prima che lei le toccasse la spalla con la mano, la lama di un sottile pugnale le sfiorò la gola, appoggiandosi ad essa.
- Cosa vuoi? – chiese, sussurrando, l'assassina.
- Parlare.
- Non puoi aspettare domani mattina?
- Siamo sveglie entrambe, no? – sorrise Haruka.
- Vero.
- L'entrata.
Silenziose si avviarono ai portoni del tempio, che vennero aperti e poi richiusi senza nessun rumore, in modo da non disturbare le altre che dormivano.
- Allora?
- Perché vi date tanto da fare per una lotta che è persa in partenza?
- E chi lo ha detto?
- Le forze della sacerdotessa sono centinaia di volte, se non migliaia di volte più potenti delle vostre, nemmeno tutto l'esercito del Regno della Luna potrebbe sconfiggerle, eppure voi perseverate nel voler vincere, e addirittura andate con uno sparuto gruppetto contro di loro. E' un suicidio.
Minako rise.
- Verissimo, se la nostra intenzione fosse quella di affrontarli in uno scontro frontale. Probabilmente ne uccideremmo tanti quanto un intero esercito, visti i nostri poteri, e se Setsuna si fosse unita a noi, forse avremmo potuto sconfiggerli tutti, ma non era comunque il nostro piano.
La bionda dai capelli corti la guardò senza capire.
- E' comunque un suicidio.
- Probabile, ma vedi, almeno nel mio caso, sarebbe solo un passo avanti. E nel caso delle altre, beh, una morte da libere è meglio che un'immortalità da schiave. Come la tua o quella della tua compagna.
- Come osi dire che…
- Haruka, per favore. L'hai sentita anche tu, anche se non hai voluto intendere. Vi ha chiamate schiave, ma anche se vi avesse chiamate sorelle sarebbe stata la stessa cosa. Voi siete i suoi animali da compagnia. Se Ami avesse accettato di rimanere con voi, cosa credi che sarebbe successo a voi due? Vi avrebbe fatte sparire, o nel caso più fortunato, vi avrebbe messo in un angolo, come una bambola di pezza vecchia quando ne arriva una nuova di porcellana.
- Non puoi parlare così della nostra maestra.
- Lo ha appena fatto, Haruka.
- Michiru, come mai sveglia anche tu?
- Credi di essere l'unica ad avere dubbi e ansie? Loro sono solo l'ultimo tassello di un quadro che da mesi si stava formando nella mia mente e che vedevo nel mio specchio. Ora mi è chiaro che la scelta che abbiamo fatto è stata sbagliata. O meglio è errato perseverare in ciò che stiamo facendo.
- Cosa stai dicendo?
- Non dovevamo toglierci dalla vita, dovevamo viverla per capirla, non osservarla come si guarda una palla di cristallo piena di neve che cade.
- Vorresti abbandonarla? Abbandonarci?
Michiru sorrise, ponendo una mano sulla guancia di Haruka.
- Amore mio, non ti abbandonerei mai. Non capisci che se sono qui con lei è per te? Ovunque vai tu io ci sarò, sempre.
- Michiru… - chiuse gli occhi l'altra, sfiorando con la sua mano quella della compagna, avvertendone il profumo e il calore.
- Visite.
Immediatamente le due donne si voltarono verso la direzione in cui stava guardando Minako, che aveva parlato. Due figure massicce e nere si stavano avvicinando velocemente al tempio.
- Chi diavolo…
- Deimos e Phobos. – rispose nelle loro menti Ami.- I Mercenari dell'Inferno. Setsuna si è già accorta di loro. Sono venuti per lei, non per noi.
- Dobbiamo proteggerla!
- Non è necessario. E' scomparsa. Loro sono come lei, esistono senza essere stati creati. Non può sconfiggerli, e ha scelto la fuga.
Haruka sgranò gli occhi, mentre Michiru si concesse un sorriso triste.
- Ora che cosa facciamo, Michiru?
- Viviamo. – rispose lei. – Forse per la prima volta in vari anni. Prepariamo loro un benvenuto che non si potranno dimenticare.

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