Something for the pain

di FairLady
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** They need me and I can help them ***
Capitolo 2: *** A big power brings a big responsability ***
Capitolo 3: *** They're My Nephews, My Nieces. My Brothers and Sisters. My Family. ***
Capitolo 4: *** Ctrl+Alt+Canc ***
Capitolo 5: *** Learning how to fall ***
Capitolo 6: *** The more, the merrier. ***
Capitolo 7: *** If anyone knows it's as if it never happened. If I dont say it out loud, I can delete it all. ***
Capitolo 8: *** It comes the sun ***
Capitolo 9: *** Get the party started ***
Capitolo 10: *** Life's Tree ***
Capitolo 11: *** BBF ***
Capitolo 12: *** Fears & Hopes ***
Capitolo 13: *** Past Present Future ***
Capitolo 14: *** Longest Night ***
Capitolo 15: *** It's not always so easy ***
Capitolo 16: *** We have a problem. And when I say problem I mean a global crisis. ***
Capitolo 17: *** Play one's cards right ***
Capitolo 18: *** Hello Meg. Goodbye Meg. ***
Capitolo 19: *** Quite after the storm ***
Capitolo 20: *** Ain't no sense in love ***
Capitolo 21: *** Previously... ***
Capitolo 22: *** Pieces of heart ***
Capitolo 23: *** *I Love You* ***
Capitolo 24: *** Manuela ***
Capitolo 25: *** Shadows ***
Capitolo 26: *** Never give up ***
Capitolo 27: *** New Life, New Worries ***
Capitolo 28: *** One thing at a time ***
Capitolo 29: *** Cry me a river ***
Capitolo 30: *** I just don't belong here. I hope you'll understand. ***
Capitolo 31: *** Nothing last forever ***
Capitolo 32: *** Ray of light ***
Capitolo 33: *** Earthquake ***
Capitolo 34: *** There's a rose outside your window, the first snow is falling down ***
Capitolo 35: *** How to Save a Life ***
Capitolo 36: *** Keep the faith ***
Capitolo 37: *** Never be apart again ***
Capitolo 38: *** Not a word. Not a chance. Not now. Not you. ***
Capitolo 39: *** The truth is, baby, you're all that I need ***
Capitolo 40: *** Thank you for loving me ***



Capitolo 1
*** They need me and I can help them ***




 
La mia giornata iniziò, come tante altre prima di allora, alle quattro di mattina, quando la sveglia mi tuonò nelle orecchie: era ora di alzarsi.
Ero felice del mio lavoro, soddisfatta di aiutare il prossimo e, più di tutto, di vedere il sorriso dei bambini del reparto pediatria dell’ospedale; era la cosa che più mi faceva amare la mia professione.
Una volta giunta al Riverside Hospital, Macy mi comunicò che in sala operatoria era già tutto pronto, aspettavano solo me per l’intervento della piccola Ariel, che era stato anticipato a causa di un suo alquanto repentino peggioramento. 
In men che non si dica ero pronta. 
Quando entrai nella sala e mi vide il suo sorriso si aprì, illuminandole il volto pallido, ma sempre bellissimo. Ogni volta che vedevo il viso di un bambino sorridere alla mia vista il cuore mi si allargava nel petto di una gioia indescrivibile. Era davvero una sensazione impagabile.
Ci sapevo fare coi cuccioli d’uomo, più che con gli adulti, come avevo potuto constatare negli ultimi mesi, e ogni bimbo del reparto mi vedeva un po’ come la sorella maggiore da cui farsi coccolare.  
«Ciao tesoro mio» le sussurrai accarezzandole i capelli.
«Avevo detto al dottor Bunton che se non fossi arrivata, non mi sarei fatta operare.»
«Piccola, sono tutti bravissimi qui. Non c’è nulla di cui aver paura» la rassicurai con un sorriso.
«Sì, lo so, ma le tue carezze mi fanno stare bene.»
Presi con la mano a massaggiarle piano i capelli corvini, poi glieli raccolsi in una crocchia e li coprii con la cuffia sanitaria. Mi lavai le mani e indossai i guanti. 
«Tranquilla, adesso sono qui. Tu respira bene in questa conchiglietta colorata e chiudi gli occhietti. Non ti accorgerai di nulla, per quanto saremo veloci.»
«Dottoressa Findle, siamo pronti.» Mi comunicò l’anestesista. 
La piccola principessa era caduta nel sonno farmacologico. I valori erano stabili ed iniziammo ad operare.  
Avevo sempre avuto l’abitudine di unire alla mia professionalità e conoscenza una buona dose di fede. Ero molto legata a Dio, seppur in un modo che solo io in famiglia capivo: mia madre non aveva mai concepito il fatto di professarsi credente pur non andando mai a messa, ma questo non mi aveva mai portato a cambiare l’idea che mi ero fatta riguardo la chiesa. In particolare, avevo sviluppato una certa idiosincrasia per i parroci, i pastori. Non sopportavo la chiesa in quanto istituzione, e tantomeno i bigotti e perbenisti che si recavano ogni domenica alla funzione per farsi vedere dalla comunità e nella vita di tutti i giorni erano le persone della peggior specie. Se credevo e praticavo, potevo farlo a modo mio, e Dio sapeva bene chi ero. 
Pregavo tanto, specie per tutti i miei angioletti, e anche Ariel avrebbe avuto bisogno delle mie preghiere. Quando tutto fu finito, sospirai di sollievo. L’operazione era andata meglio di quanto ci si saremmo aspettati e Ariel, con buone probabilità, avrebbe avuto una vita piena e felice.
 
L’indomani, mentre facevo il giro dei pargoli in reparto, mi sentii chiamare a gran voce.
«Roxie, Roxie!» mi voltai e Ariel, dal suo lettino, mi fece segno di raggiungerla.
Le sorrisi benevola. Per quanti brutti pensieri o preoccupazioni potessi avere in testa, bastava uno di quei piccoletti a rendermi la giornata meravigliosa.
Fermai il gruppo di tirocinanti che mi stavo portando appresso dalle sei di quella mattina, in mezzo al corridoio, e raggiunsi lo scricciolo dai capelli color dell’ebano. 
«Tesoro mio…»
«Roxie, ho una notizia fantastica, sai?»
«Ah sì? E quale sarebbe?»
«Ho sentito mio zio questa mattina e ha detto che nel pomeriggio finalmente verrà a trovarmi!»
Aveva gli occhi celesti, così chiari da fare davvero impressione, spalancati e sorridenti. Era reduce da un’operazione che avrebbe buttato giù il più forte degli uomini, eppure lei, seppur sdraiata nel suo piccolo lettino, riusciva a gioire per ogni piccola cosa e a contagiare chiunque le fosse intorno. Avremmo dovuto tutti prendere esempio dai bambini!
Le accarezzai la folta chioma e le sorrisi, baciandole la fronte.
«Sono davvero felice per te, tesoro mio.»
«Ha detto che poi vuole parlare con il mio dottore – guardò i suoi genitori e sorrisero tutti e tre contemporaneamente – e il mio dottore sei tu, giusto?»
«Certo, piccola.» Guardai Robyn e Luke sorridendo, ma senza capire come mai lo zio di Ariel volesse parlarmi. Loro però fecero spallucce con noncuranza. «Starò qui intorno allora. Robyn, Luke…» li salutai con un cenno del capo e mi voltai verso la piccola.
«Fiorellino, ora devo tornare al mio lavoro», le schioccai un bacio sulla fronte. «Ci vediamo più tardi.»
Lei mi sorrise come faceva sempre e mi accarezzò con la manina. «Ciao, Roxie.»
 
Più tardi, durante la pausa, troppo stanca per raggiungere i colleghi in mensa e fingere una qualunque conversazione, mi rintanai nel mio studio con la mia insalata. 
Avevo ancora un sacco di cose da sbrigare, tra cui chiamare il locale dove stavo organizzando l’addio al nubilato della mia migliore amica Anne, e poca forza per farlo, ma presi un lungo respiro e alzai il ricevitore.
Dopo aver confermato un paio questioni per la festa, presi la mia insalata di pere e noci e, come capitava sempre più spesso, aprii il mio diario. Poteva sembrare davvero infantile, per un medico in carriera pieno di impegni e responsabilità, tenere un diario segreto, ma era una di quelle cose che mi faceva stare bene e, grazie ai quei pensieri messi nero su bianco, riuscivo ad avere un quadro, seppur a volte sconnesso, di ciò che era diventata la mia vita; e, miglior aspetto di tutta la faccenda, da quei fogli di carta non mi sarei mai sentita giudicata.
“Caro Diario,                                                                                     
Stamattina Ariel sembrava stare davvero meglio. È incredibile quanto i bambini riescano a riprendersi velocemente! Poter far star bene questi bambini mi rende davvero felice. In questo mio mondo è tutto diverso, tutto è migliore, e sono migliore anche io. Qui mi sento utile, le persone mi apprezzano per ciò che sono e per ciò che so fare. Questi bambini tornano a sorridere anche grazie a me, al mio aiuto. Hanno bisogno di me e non c’è altra cosa al mondo che mi faccia sentire così bene come questa.”
Ecco perché forse la mia vita, fuori di qua, non va granché bene: incontro sempre gente che non ha bisogno di me, gente che basta a se stessa e presto smette di volermi intorno. Servo solo a soddisfare dei bisogni superficiale, primordiali, dopodiché non vado più bene e vengo buttata nel cassone degli oggetti dimenticati. 
Ogni tanto, lo ammetto, ripenso a Nick e alle altre mie storie passate finite da schifo, specie in questo periodo che mi trovo a dover organizzare l’addio al nubilato di Anne: ci sarà mai qualcuno che si troverà a dover organizzare il mio? Ne dubito fortemente. Sto rinunciando all’idea di avere qualcuno che non sia peloso e a quattro zampe, nella mia vita; o che non sia costretto in un letto d’ospedale e misuri in altezza meno di un metro e trenta.
Ma in fondo, mi dico, va bene così… Anche se alla fine non ci credo nemmeno io.
Due colpi alla porta mi deviarono da quello che stavo facendo – e dai miei pensieri senza senso. Buttai un occhio al cercapersone silenzioso e alzai lo sguardo, contrariata: ero nella mia pausa pranzo e non doveva essere così urgente quell’apparecchietto quadrato non stava trillando impazzito!
Mi sforzai comunque di alzarmi e andare ad aprire. Un secondo dopo mi ritrovai di fronte un uomo. Un bell’uomo, dovetti constatare, mio malgrado.
I suoi lineamenti marcati e la mascella volitiva stridevano alquanto con la dolcezza e la trasparenza d’un paio d’occhi color del cielo, che mi ricordavano tanto qualcuno; i suoi capelli, scompigliati ad arte e neri come il carbone, completavano il quadro che le fece in mente solo una persona. 
«Lei deve essere lo zio di Ariel, giusto?»
L’espressione seria del suo volto si ammorbidì in un istante, aprendosi in un sorriso e confermando la mia ipotesi. Non so perché, immaginai che avesse più o meno la mia stessa età.
Mi porse elegantemente una mano lunga, affusolata:
«Dottoressa Findle, piacere di conoscerla, sono Ian.»
«Piacere mio, Ian. La prego, mi chiami pure Roxie. Qui tutti lo fanno.» Spalancai del tutto la porta con un sorriso e gli feci spazio. «Prego, si accomodi. Ariel mi ha detto che voleva parlarmi. L’ascolto.»
Sedette sulla poltrona di fronte a me e, mentre si muoveva, non potei fare a meno di notare la sua fisicità; da buon medico, presi atto di trovarmi di fronte ad un corpo pressoché perfetto. 
Roxie, piantala di divagare. Sei una professionista, accidenti! 
Di nuovo sorrise e accavallò le gambe con fare disinvolto e sexy. 
Da troppo tempo non incontri qualcuno dall’aspetto così, come dire, piacevole. Eh, Rox? 
Chiusi con troppa enfasi il monitor del portatile, come a voler cancellare con quel gesto, anche le mie elucubrazioni mentali. 
«Sì, - mi disse dopo una pausa che mi sembrò fin troppo lunga – in effetti è così.»
Gli sorrisi cordiale, cercando di evitare ai miei pensieri superficiali e infantili di prendere il sopravvento.
«Bene, mi dica!» lo invitai.
Mi guardò dritto negli occhi. Il suo sguardo pulito e privo di giochi mentali era uno shock per me, abituata ultimamente a ben altri generi di maschio adulto. Forse arrossii, ma non me ne curai.
«Volevo semplicemente ringraziarla tanto per tutto quello che ha fatto per mia nipote.»
Soffiai fuori l’aria che involontariamente avevo trattenuto e appoggiai la schiena.
«Ian, mi creda, non serve ringraziarmi. È il mio lavoro e lo faccio con grande passione e gioia.»
«Da quello che mi raccontano Robyn e Ariel, non sembra proprio che questo sia solo un lavoro per lei.»
Sorrisi genuinamente a quelle parole. «Ho scelto un lavoro che amo, che mi appassiona. – feci una pausa mentre appoggiavo i gomiti sulla scrivania, e abbassai il tono della voce, come a volergli svelare un segreto – e non è merito mio se i miei pazienti sono tutti tremendamente adorabili.» 
«Già…» disse, sospirando di beatitudine. «Lo sono, vero?» dalla curva dolce delle sue labbra pensai che amasse i bambini tanto quanto me.
«Comunque, ci tenevo davvero a ringraziarla – cavò fuori dalla giacca una busta da lettera piegata in due e la poggiò sul tavolo di fronte a me –, e questo è un piccolo gesto per farle capire quanto lei sia stata perfetta.» 
Non mi era dato ricevere regali o ricompense per il mio operato e mi sentii incredibilmente in imbarazzo perché, onestamente, non mi era mai capitato prima che qualcuno mi donasse qualcosa con gratitudine.
E soprattutto non mi era mai capitato un “qualcuno” come lui, ma abbandonai presto quel pensiero frivolo.
«Io…» ormai il disagio si era impadronito di me.
Ma quell’uomo si era alzato e aveva già aperto la porta.
«Le siamo tutti molto riconoscenti. Grazie, Roxie. Di cuore.»
Solo quando la porta si richiuse lasciandomi di nuovo sola, trovai il coraggio di aprire la busta: conteneva un assegno da venticinquemila dollari, intestati a me! Il respiro mi morì in gola.
Ero una dottoressa e quei bambini avevano semplicemente bisogno di me, la questione era solo questa. Ero una persona che poteva aiutarli e lo faceva senza riserve, senza risparmiarsi.
Non potevo accettare quei soldi. Oltre a non essere eticamente corretto, non era semplicemente una cosa da me. Non volevo farlo e non lo avrei fatto!

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Capitolo 2
*** A big power brings a big responsability ***


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Buonasera !!!!
Ecco un nuovo capitolo fresco fresco....scusate se un pò noioso...ma è di stallo...altrimenti le cose non possono partire come dico io!!! :)))
enjoy !!!!


Quella sera mi accoccolai sul divano con la mia cena giapponese “a portar via” e un bicchiere di vino rosso. Un Chateux Latour del 2001 da farsi piegare le ginocchia. Avevo ereditato l’amore per il buon vino da mio padre, pensai. 
L’assegno che mi aveva lasciato lo zio di Ariel, riposava sapientemente sul tavolino di fronte a me ed ogni tanto lo guardavo, per poi tornare a bere. Sarebbe stato meglio che quello fosse l’ultimo bicchiere, se l’indomani volevo riuscire a restare in piedi.
Mi alzai e presi quel foglio di carta così piccolo, ma così prezioso, tra le mani. 
Mi avvicinai alla finestra sospirando e guardai all’esterno. Franklinton, la piccola cittadina dove ero nata e cresciuta, era di fronte a me, frustata da una forte pioggia. 
Pensai a quanto mi fosse costato lasciare il mio luogo natio per studiare Medicina alla Johns Hopkins e quanto poi fui felice di tornare in questi luoghi per aiutare la mia città.
Mi sentivo in missione. E sapevo che aiutare il Riverside era il mio scopo nella vita. 
Ed è vagando tra quei pensieri che mi venne l’idea. A quell’uomo dagli occhi di ghiaccio, avrebbe fatto piacere che i suoi soldi sarebbero serviti davvero, dopotutto.
 
La mia sveglia trillò per l’ennesima volta alle quattro in punto.
La radio esplose con Jailhouse Rock mentre mi preparavo la colazione. Ero allegra. Anzi, mi sentivo ebbra di gioia, al pensiero di quello che avrei fatto solo qualche ora più tardi.
Quando Jill, una delle infermiere del mio turno, mi vide arrivare con in mano una busta di Buck’s e un sorriso che mi divideva in due il volto, mi seguì circospetta. 
“Jilly, è inutile che fai Sherlock Holmes…” sorrisi, voltandomi. Fingeva di controllare qualcosa nel carrello delle emergenze, che neanche a farlo apposta, stazionava proprio tra me e lei. 
“Sto andando da Richardson a parlargli e tu non ne saprai niente!”
Mi fece sorridere il suo volto da luna piena, disilluso.
“Eddai, Rox. Almeno fammi dare una sbirciata nel sacchetto!” mi implorò.
“Ma non ti eri messa di nuovo a dieta?” continua imperterrita a tenerla alla larga.
Nel frattempo giunsi di fronte all’ufficio di Richardson, il primario di pediatria. Il mio capo. 
Sapevo che era già al suo posto, seppur fosse molto presto. A volte in reparto si accettavano scommesse riguardo al fatto che avesse o meno dormito in ospedale!
“Avanti!” sentii la sua voce profonda provenire dall’interno.
Aprii la porta lentamente e intrufolai solo la busta di Buck’s contenente la nostra colazione preferita. 
“Roxie… entra pure!” sentivo la sua voce incrinarsi in un tono paterno. Stava sorridendo quando varcai la soglia. 
“Speravo proprio di trovarla qui, capo.”
“E io speravo che venissi con la colazione…” tappò la penna con la quale stava scrivendo e sistemò ordinatamente i documenti che stava valutando. Li spostò, come faceva sempre, per lasciare posto a cappuccini e donut. 
“Come stai Roxanne? Va tutto bene?” mi chiese poi, quando già stavamo addentando i Donut più buoni della città.
Annuii sorridendo. “Si, capo. E’ tutto ok… e lei? Ha dormito qui anche stanotte?”
Solo io potevo realmente vincere le scommesse del reparto riguardo al capo. Perché con me parlava. 
“No, sono arrivato semplicemente presto.” Guardò un messaggio sul cellulare, poi alzò gli occhi su di me.
“Adesso dimmi, avevi qualcosa di cui parlarmi o è stata semplicemente una colazione di cortesia?”
Quello che imparai appena approdata al Riverside e conobbi il capo, fu che a lui non potevi nascondere niente. Lui capiva, lui sapeva, lui intuiva sempre tutto.
Indossai il miglior sorriso che avessi in repertorio. I miei occhi brillarono.
“Avrei un regalo da fare al Centro.”
 
Quando finii di raccontare la breve storia di quell’assegno, mi fissò per un lungo istante. Poi giunse le mani davanti a se, appoggiandosi meglio allo schienale della poltrona.
“Quei soldi sono una bella cifra, Roxie.”
Capitan Ovvio era atterrato. 
“Lo so, capo.” Sospirai. Presi quel pezzettino di carta da 25.000 dollari e glielo porsi, dopo averlo firmato con la sua stilo. 
“Sei sicura di volerlo regalare all’ospedale?”
Annuii. Non ero mai stata più sicura di qualcosa in vita mia.
“Abbiamo bisogno di una nuova area per la radioterapia. La stanza dei giochi va sistemata e se riuscissimo ad avere anche il macchinario per la Total Body sarebbe davvero grandioso…”
Mi stavo esaltando al pensiero di quante cose saremmo riusciti a fare con 25.000 dollari. 
Il capo mi sorrise e prese in mano l’assegno.
“Lo accetto solo se ti occuperai di tutto tu.”
“Sarà un grande onore per me, capo!” 

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Capitolo 3
*** They're My Nephews, My Nieces. My Brothers and Sisters. My Family. ***


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Buonasera a tutti!!!
Come andiamo? Io oggi sono particolarmente stanca...tra ieri e oggi proprio giornatacce ma, come si suol dire, the show must go on! 
Ecco a voi il nuovo capitolo...... letto e riletto mi scuso se troverete ancora qualche errore di battitura.... 
enjoy!!! smackkkk


I giorni a seguire furono un vero e proprio delirio.
Il personale del reparto non era sufficiente a coprire tutti i turni e mi ritrovai a lavorare ininterrottamente per quarantotto ore di fila, senza un attimo di respiro. Un minuto di riposo. 
Quando ormai erano diventate quasi sessanta, Richardson venne a cercarmi. Ero in sala operatoria. Una semplice appendicectomia. La terza in due giorni. 
In realtà io non mi sentivo affatto stanca e il pensiero che a casa nessuno agognava il mio rientro, rendeva ancora più appetibile l’idea di essere utile in ospedale. 
“Dottoressa Findle.” la voce profonda del capo venne diffusa dagli altoparlanti della sala. Guardai in alto verso l’osservatorio. Mi scrutava, un po’ brusco.
Gli feci un cenno di saluto e tornai al mio intervento. Stavo per asportare il tessuto ormai in necrosi di una bella peritonite da un bambino di dodici anni. 
“Dottoressa Findle.” Mi richiamò la voce. Il tono mi fece lievemente rabbrividire. 
Sbuffai cercando di non darlo a vedere.
“Dottor Sender - dissi al chirurgo in seconda – lascio a lei il bisturi…” Prese lo strumento e mi allontanai dal tavolo operatorio.
Tempo di uscire dalla stanza asettica e Richardson era di fronte a me.
“Capo, con tutto il rispetto, c’era bisogno di interrompermi nel bel mezzo di un operazione?”
“Roxanne, con tutto il rispetto, sono più di sessanta ore che sei in questo ospedale. Sarà ora che te ne vai a casa a dormire un po’.”
“Ma…”
“Niente ma – protestò perentorio – tu adesso te ne vai a casa e ti riposi.”
Abbassai il capo e sfilai i guanti sanitari, conscia del fatto che niente e nessuno gli avrebbe fatto cambiare idea. 
“D’accordo.” Slacciai la mascherina e buttai tutto nel cesto del materiale da disinfettare.
“Come procede quel tuo progetto per il centro?” mi chiese, sottile, mentre stavo per uscire.
Mi voltai verso di lui. Mi sentivo un po’ in colpa perché, impegnata come ero stata, non avevo ancora alzato un dito al riguardo e quei 25.000 dollari riposavano quieti dove erano sempre stati.
“Ci sto lavorando…” mentii. Come se il capo già non sapesse che non avevo neanche versato l’assegno, pensai. 
Ma ecco che il suo lato paterno fece capolino, come ogni volta. Ogni tanto, pensando a lui, mi chiedevo come mai non si fosse sposato e non avesse avuto dei figli. Una vita dedicata agli altri e nessuno con cui condividere le gioie di una carriera folgorante e meravigliosa. 
“La mia vita è già piena così, Roxie. Condivido tutto quello che sono con i miei pazienti. Con le persone fantastiche con cui lavoro. Gioie ed insuccessi. Lacrime e sorrisi. Sono soddisfatto così.” Mi aveva detto una volta in cui avevo espresso le mie riflessioni ad alta voce. 
Dopotutto non eravamo tanto diversi, io e lui. Forse era quello il motivo che ci faceva sentire legati. L’avevo sempre visto come un modello da seguire ed in quel momento mi resi conto che ci stavo riuscendo. Stavo vivendo come aveva fatto lui. 
“Vai a casa, Roxie. Riposati e dedica qualche ora al tuo bellissimo progetto. Qui riuscirò a tenere tutto sotto controllo per un po’, tranquilla…”
Gli sorrisi. Chissà dove avrebbe dormito quella notte?
“Buona notte, capo.”
 
Quando mi fui cambiata, senza prendere una decisione cosciente, mi fermai da Ariel. Ero stata così presa in quei giorni da non essere riuscita a passare che per un saluto sfuggevole. 
“Roxie!” Era sempre così allegra quella bambina! Ed io, invece, sentivo la stanchezza scivolare su di me, piano piano. Come una nebbia che si fa lentamente sempre più fitta.
“Ciao fiorellino, come ti senti?” le chiesi, infilando le dita nei suoi capelli neri.
“Molto meglio, davvero. Non posso dire la stessa cosa di te, mi sembra…”
Le sorrisi, continuando ad accarezzarla. “Ho solo bisogno di dormire un po’, fiorellino. Sono passata a salutarti. Sto andando a casa.”
“Da quante ore non dormi, scusa?” Mentre parlavo con lei ogni tanto scordavo la sua età. 
“Uhm, qualcuna.” Presi una caramella gommosa alla menta dal taschino della borsa e la divisi in due. Una parte, quella più grande, gliela diedi.
“Mio zio mi ha detto che è venuto a parlarti!”
Come tipico di lei, passava da un discorso all’altro, con estrema tranquillità, lasciandoti basita.
“Già, è passato a ringraziarmi.”
“Mi ha detto anche questo.” Sorrise, un po’ maliziosa, ad essere sincera. “E’ bellissimo, vero?”
Come era accaduto con Ian solo un paio di giorni fa, arrossii, senza curarmene troppo. 
“Certo che lo è! – feci una pausa, pizzicandole per finta un braccino – E’ tuo zio!”
“Sei arrossita! – mi prese in giro lei – zio mi ha detto che sei diventata rossa anche con lui!”
“Ma smettila. Non è vero!” Risi, completamente a mio agio nel rapportarmi con una bambina di dieci anni. 
Era inutile. Forse il mio lato infantile non mi avrebbe mai abbandonata e mi rendeva più compatibile con i bambini che con gli adulti.  
“Comunque pensavo – interruppe la giocosa diatriba lei – che con i soldi che ti ha regalato lo zio potrai andare qualche giorno in vacanza e comprarti finalmente la macchina.”
Mi bloccai di colpo. “Sei… sei stata tu a consigliargli di donarmi…” 
Non riuscii a finire la frase. Mi sembrava tutto così assurdo.
“No, no. – abbassò lo sguardo – in effetti mi sarebbe piaciuto se l’idea fosse stata mia.” Sorrise. “Comunque è stato lui a dirmi che voleva ricompensarti per avermi salvato la vita.”
Presi un respiro e le schioccai un bacio sulla fronte. “Io dovrei andare, fiorellino – le dissi – ringrazia da parte mia tuo zio quando lo senti…”
“Non deve ringraziarmi, dottoressa. Era il minimo che potessi fare per la persona che si è presa così buona cura della mia nipotina…”
Mi voltai e Ian era lì sul ciglio. Accanto a lui sua sorella Robyn che sorrideva. Solo in quel momento riuscivo a notare quanto si somigliassero. Eccetto che per la lunga chioma bionda e liscia di lei e gli occhi, mostruosamente azzurri, di lui, erano molto simili.
Stessi lineamenti, stesso sorriso. Entrambi bellissimi. 
“Come le ho già detto, Ian, ho fatto solo il mio dovere.” Gli sorrisi, però. Robyn si avvicinò e mi abbracciò delicatamente. 
“Ti vedo davvero sbattuta, Roxie.” Mi disse poi guardandomi meglio.
“Non dormo da qualche ora, in effetti. Stavo andando a casa…”
La donna si girò verso il fratello. “Perché non l’accompagni, Ian?”
Lui, in un primo momento sorpreso, mi sorrise. “Certamente! Andiamo…”
“Oh, no. No. Non c’è bisogno davvero. Abito solo ad un paio di isolati…”
“Insistiamo.”
Ero troppo stanca e non avevo la forza di tener testa a tre persone contemporaneamente, perciò li lasciai fare. Salutai di nuovo la piccola Ariel e ci avviammo verso l’esterno dell’ospedale. 
Pioveva ancora, forte. Le strade erano immense pozzanghere e il fiume minacciava di straripare. Guardai quel muro d’acqua e mi sentii improvvisamente un po’ sola. 
Sperai di non dover intrattenere una conversazione troppo complicata. Non ero sicura di riuscirci. Per svariati motivi. Il viaggio sarebbe durato poco, dopotutto.
“Questa pioggia mette addosso una malinconia. Non trova anche lei?” Sebbene non avessi molta voglia di parlare, percepii la voce calda del mio accompagnatore, come una carezza. 
“Fintanto che sono in ospedale, non me ne curo.” Sorrisi al pensiero che nelle trascorse settanta ore, non mi ero affatto accorta che il tempo si fosse guastato ulteriormente.
“Passa parecchio tempo tra quelle mura, vero?”
“Quanto più possibile…” risposi senza pensare.
“Ha un legame davvero straordinario con quei bambini. Ariel l’adora – disse sorridendo – letteralmente.” 
“Sono la mia famiglia, Ian. Anche lei ha un legame davvero unico con la sua. Viene naturale.” Mi risultava parecchio strano quel mio riuscire a parlare tranquillamente con un esemplare di essere umano maschio, adulto, e non voler fuggire lontano immediatamente.
“Quelli per me sono cugini e cugine. Sono dei nipoti. Sono i miei fratelli e le mie sorelle. Ogni tanto bisticciamo anche. Ma il legame che ho con loro va al di là di tutto. – lo guardai mentre le luci delle altre auto lo illuminavano. Si fermò ad un semaforo rosso e, girandosi, mi colse mentre lo fissavo. Avvampai.
Complimenti, Roxie! Fatti beccare un’altra volta a fissarlo in quel modo e vincerai il Beota D’Oro 2009! 
Poi disse una cosa che non mi sarei aspettata davvero. Di certo non subito dopo avermi beccata a sbavare come una quindicenne, guardandolo. 
“E’ troppo stanca per lasciarsi offrire la cena?” 
Ogni cellula del mio corpo, ogni fibra, urlava a gran voce: Sii, siamo troppo stanche! 
Sentivo le mie ossa sgretolarsi sotto al peso di tre giorni passati in piedi. Eppure gli sorrisi e risposi:
“No, certo che no. Ma pago io.”

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Capitolo 4
*** Ctrl+Alt+Canc ***


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Buon pomeriggio a tutti!!!!! 
Rieccomi qui a rompervi le scatole! Ho scritto questo capitolo di getto. In realtà l'idea che avevo in mente era lievemente diversa ma quando le dita iniziano a digitare di solito non le interrompo, nè le contraddico. xD perciò beccateve questa! Spero vi piaccia.... e ovviamente aspetto i vostri commenti. 
xoxo
Fairy

p.s. la ragazza che vedete nella foto è Amy Adams come forse qualcuno di voi sa già... diciamo che quando penso a Roxie io ci vedo una proprio come lei.... perciò l'ho fatta. :) a presto!



Era normale sentirmi terribilmente a mio agio con quell’uomo che conoscevo si e no da un paio d’ore e provare contemporaneamente imbarazzo ad ogni suo sguardo? 
No. Non lo era.
Ma quando mai avevo vissuto “normalmente”?
Che poi, in base a quale criterio si poteva ritenere una situazione, una sensazione, normale? 
Mentre la mia mente partoriva pensieri che mi sarebbero costati qualche centinaio di dollari in analisi, Ian leggeva accuratamente il menù ed ogni tanto mi faceva qualche domanda. Cosa mi stesse chiedendo, onestamente, lo ignoravo. 
“Quindi cosa dice? Bistecca o Ceasar’s Salad?”
Mi domandò, riportandomi alla realtà. Mi chiedevo come mai si ostinasse a darmi del lei. Forse non riteneva opportuno oltrepassare un certo limite. Ma che diamine! Mi aveva dato un assegno di 25.000 dollari per aver semplicemente fatto bene il mio lavoro e mi aveva invitata a cena. Forse era il caso di andare oltre.
“Penso che, anzitutto, potremmo passare a darci del tu. Ovviamente se per lei va bene.” Dissi, mantenendo una parvenza di distacco professionale. 
Abbassò il capo e percepii l’angolo delle sue labbra alzarsi in un sorrisino malizioso. Mi ricordò molto Ariel in quel momento.
Non attesi una risposta e dando una sbirciata all’elenco, scelsi il primo piatto appetibile che lessi. 
“Io prenderò un risotto all’arancia.” Chiusi il menù e lo riposi sul tavolo. 
“Mmm, - mugugnò continuando ad analizzare la lista attentamente – non sembra male la sua – fece una pausa e mi sorrise, questa volta guardandomi dritta negli occhi – tua idea.” 
Chiuse il menù ed alzò un dito per attirare l’attenzione della cameriera. 
Quando quella arrivò, restai leggermente perplessa dal suo comportamento. Si rivolgeva a lui con reverenza. I capelli mossi, di un biondo fragola indecente, le cadevano perfettamente sulle spalle, come se fosse appena uscita dal parrucchiere, e aveva le guance eccessivamente imporporate. Gli occhi castani erano così spalancati che mi fece pensare a qualche disturbo neurologico. 
Alla fine della serata le avrei lasciato il numero del dottor Fulton, mi promisi. 
“Attiri spesso l’attenzione di persone affette da patologie del sistema nervoso – feci una pausa mentre tornò a guardarmi in quel modo devastante – o sei tu a causare questo scompiglio cerebrale?” 
Mi resi conto, solo dopo aver chiuso la bocca, di aver praticamente ammesso di essere stata folgorata dal suo aspetto avvenente. Il suo sguardo compiaciuto e quel ghigno irresistibile ne erano una prova schiacciante. La mia testa sarebbe scoppiata, lo sentivo.
“…sono un medico – mi affrettai ad aggiungere, prima che potesse dire qualunque cosa (come se l’espressione sorniona del suo viso avesse bisogno di essere commentata!) – e sono un ottima osservatrice.” Sentenziai solenne. “Per questo te lo chiedo.”
Lo avevo detto davvero? Mi stavo scavando la fossa da sola, con le mie piccole manine. Una manciata di terra alla volta. 
“Non lo so, - mi rispose riducendo gli occhi a due fessurine – sei tu il dottore, forse puoi illuminarmi…” Aveva il sorriso più bello che avessi mai visto. Mi sentivo incantata come un serpente dal flauto magico.
“Io beh… al momento non sono in servizio.” Risposi, sperando di cavarmene fuori. 
“E così…” disse “…non hai ancora versato l’assegno.” 
Non sapevo se essergli grata per aver cambiato argomento e sorvolato sul mio imbarazzo o prenderlo a male parole per aver fatto un osservazione così indelicata. 
Decisi per la seconda opzione.
“Non pensavo di avere un termine.” Risposi, piccata. Mi aveva dato quel maledetto assegno? L’avrei utilizzato come e quando avrei avuto voglia! Giusto?
“No, no. Infatti. E’ solo che ti avevo percepita un po’ restia ad accettare quella ricompensa… - fece una pausa e sorrise. Questa volta, dolcemente – Non vorrei che tu abbia deciso di non utilizzarlo.” Mise in bocca un pezzo di pane.
Ero stata un po’ troppo acida, dopotutto? 
“Mi dispiacerebbe.” Finì la frase con una lieve alzata di spalla. 
Semplicemente gli dispiacerebbe se non gli spillassi quei 25.000 dollari dal conto?! Probabilmente ne avrà avuti molti altri, per staccare dal carnet assegni del genere. Oppure quell’uomo era Robin Hood. O Gandhi. 
Rox, dovresti piantarla di divagare! 
Bevvi un altro sorso d’acqua e poggiai il bicchiere per poi raccogliere le mani in grembo, sotto la tovaglia. Non volevo fargli vedere quanto mi martoriavo le dita a causa del nervosismo. Era l’unica debolezza che mi sarei concessa.
“In effetti non li accetterò.” Dissi poi, guardandolo. 
Ostentavo sicurezza per non ammettere quanto in realtà quell’uomo mi disarmasse. 
Non potevo permetterlo.
Vidi le sue sopracciglia inarcarsi e la sua bocca schiudersi. Era pronto ad esporre le sue opinioni al riguardo. Ma lo bloccai con una mano.
“Prima che tu dica qualsiasi cosa, fammi finire.” 
Gli sorrisi per ammorbidire quel gesto. 
Io odiavo quando qualcuno mi tacitava in quel modo! 
“Ho detto che non lo accetterò ma solo come ricompensa personale.”
“E quindi?” mi chiese mentre il sopracciglio destro si arcuava in un espressione interrogativa che lo rendeva davvero buffo.
“Quindi farai una donazione al Riverside Medical Center.” 
 
Poco dopo, con un risotto all’arancia fumante davanti, parlavamo di quello che la sua donazione ci avrebbe permesso di fare. 
Di quanto fosse importante per me quel centro. 
Di tutte le volte che avevo sognato di aiutare le sorti del reparto pediatria. 
E di quanto i suoi occhi azzurri, trasparenti e profondi mi creassero scompiglio. 
Ah, no. Di questo non parlammo! Ma era la verità. Ad ogni suo sguardo interessato, mentre parlavo di ciò che più mi appassionava, i miei bambini, mi sentivo sempre più spettinata, scompigliata, scarmigliata. 
Appena tornavo in possesso di me stessa, avevo come l’impressione di essere stata frullata dall’occhio di un ciclone. 
Ed era tutto assolutamente nuovo. Spaventoso.
“Comunque, pensavo che siccome mi fermerò qui per un po’ – perché accidenti continuava a sorridere in quel modo fastidiosamente sublime? – potrei aiutarti a sistemare le cose.”
“Cioè?” a cosa mi erano valsi anni di studi? Dove finivano le mie conoscenze e la mia intelligenza quando lui incrociava i miei occhi? Ogni tanto mi sorprendevo a parlare proprio come una donna senza facoltà mentali. 
“Il progetto al centro…”
Ovviamente! Cos’altro, se no? Roxanne, torna in te. Per favore!
“Ah si! Beh…”
“Potremmo fare un elenco di ciò che dobbiamo fare. Cosa devi acquistare, chi dobbiamo contattare…” ma già io non c’ero più.
Ad ogni sua domanda, ad ogni suo passo verso di me, sentivo che avrei potuto tranquillamente creare un rapporto di dipendenza con quel viso. Con quella voce morbida e profonda, come una carezza donata con amore. 
Perciò feci ciò che mi veniva meglio: chiudere la comunicazione. 
Premere ctrl+alt+canc e riavviare il processore. 
Io, con la mia bravura nel girare film mentali, avevo fatto tutto. Lui era ancora li seduto di fronte a me, sereno. Convinto di prendere parte ad un meraviglioso progetto di beneficenza. A cena con una dottoressa appassionata e capace, probabilmente di bell’aspetto (sperai tanto lo pensasse) ma con la quale stava intraprendendo un semplice discorso di collaborazione professionale. E totalmente ignaro di quanto una donna assennata come potevo apparire io, riuscisse a diventare patetica.
Ecco perché era meglio per me restare chiusa in ospedale o in casa. Ecco perché non accettavo inviti a cena, allo stadio o al cinema da uomini, più o meno conosciuti, da parecchio tempo. Ecco perché in quel momento guardai l’orologio, arrancai una scusa riguardo al portar fuori Buck, promisi che mi sarei fatta sentire io e, lasciando una banconota più che sufficiente a saldare due cene, me ne andai, lasciando Ian da solo. Avevo fatto tutto io e ora stavo disfacendo tutto. 
“Roxanne…” lo sentii chiamarmi. 
Ma io ero già fuori dal ristorante. Sotto la pioggia battente. 

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Capitolo 5
*** Learning how to fall ***


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Buon Pomeriggio a tutti! 
eccoci qui. ho pronto un altro capitolo per voi! 
Il titolo l'ho preso in prestito da una canzone dei Bon Jovi che secondo me è bellissima... e racchiude in se i dubbi e le incertezze che tolgono i sogni alla nostra protagonista.
Diciamo che questa è la prima parte di un capitolo che mi sembrava troppo lungo e che quindi ho dovuto dividere in due. 
Qui inizieremo a sentire anche Ian... ciò che sente, che pensa e che prova. Spero vi piaccia tanto quando mi è piaciuto scriverlo.
Enjoy!
Smack! 


Un grazie a Sweet Fairy per le sue bellissime e fedeli recensioni e ad aleeroxy :) E un grazie a tutti quelli che semplicemente seguono o anche solo leggono le mie righe. 



La pioggia aveva smesso di tartassarci, anche se le strade erano ancora percorse da rivoloni d’acqua e piccoli vortici che andavano a morire nei tombini colmi, e il cielo plumbeo non prometteva niente di buono. Camminai per i tre isolati che mi dividevano dalla Main, cercando di sciogliere i nervi, di rilassarmi il più possibile in vista dell’incontro. 
Arrivata davanti a Buck’s, dall’esterno, riuscii a scorgere le spalle larghe di Ian coperte da una giacca di pelle nera. Era già seduto ad un tavolo e il suo panama nero e beige ciondolava appeso alla spalliera della sedia mentre sfogliava distrattamente il menù.
Spinsi la porta ed entrai permettendomi un ultimo lungo, profondo respiro. 
“Ciao Ian.” Lo colsi alla sprovvista, giungendo da dietro.
Si alzò e mi porse la mano. “Ciao.”
“E’ molto che aspetti?” 
Iniziai a rilassarmi un po’, notando con gioia la mia apparente calma.
“No, sono appena arrivato…” rispose tranquillo, tornando a sedere. Giocò brevemente con il menù e senza guardarmi mi chiese se volessi mangiare qualcosa. A sentire il verbo “mangiare” il mio stomaco brontolò contrariato. In effetti non mangiavo dalla sera prima. Dalla disastrosa cena, pensai. 
Gli sorrisi, stupendomi sempre più di quanto riuscissi a tenere a bada cuore ed ormoni.
“Direi che non sarebbe male…” annuii mentre tiravo fuori dalla borsa il tablet, utile per buttare giù i primi spunti del nostro progetto.
Come di consueto fu lui ad attirare lo sguardo del cameriere. Uomo questa volta. Ma anche questo, come la bionda della sera prima, sembrava affascinato ed intimidito dalla persona seduta di fronte a me. Mi chiesi se anche io apparissi alla loro stregua, agli occhi degli altri. 
“Tu cosa prendi?” Guardai il cameriere che attendeva un mio cenno. 
“Hamburger di tofu e verdure e un acqua naturale.” Ordinai senza guardare la lista.
Notai lo sguardo incuriosito di Ian mentre ordinava la stessa cosa. 
Volli dare risposta a quell’enorme punto di domanda che si portava appresso.
“Si, se te lo stai chiedendo: sono vegetariana.” Sorrisi mentre spiluccavo un pezzettino di pane.
“Mi stupisci sempre di più…” soffiò con un espressione indecifrabile in volto. 
Il cuore perse un battito ma lo frustai mentalmente, obbligandolo a tornare al ritmo regolare. 
“Ci sono molti più vegetariani di quanto immagini.” Scossi le spalle e bevvi un sorso di acqua che avevano appena portato.
L’ora successiva scivolò via placidamente. 
Ero piacevolmente colpita da quanto potesse essere facile stare seduta vicino a lui, con le nostre spalle che quasi si toccavano, e non sentire quel tumulto interno che mi spettinava. Il trucco stava nel concentrarmi su altro. In questo caso, il nostro meraviglioso progetto. 
“Conosco uno scenografo televisivo che potrebbe darci una grande mano…”
disse mentre cercavamo qualche idea per la Happiness Room. 
 
Ian Pov
 
Nonostante avessi capito subito che Roxanne non sapesse chi fossi, ogni volta che ne avevo conferma, restavo ammaliato. Ultimamente mi era difficile andare in giro indisturbato. Con lei era come tornare ad essere me stesso. Il vecchio Ian che se ne usciva per mangiare un boccone, quello ignoto. Lo sconosciuto.
“Ah si?… - rispose colpita – sarebbe davvero una grande cosa poter chiedere aiuto a qualche esperto…” 
Le avevo detto che conoscevo uno scenografo televisivo e non mi aveva fatto domande al riguardo. Non era minimamente curiosa del perché e del per come! Io lo sarei stato. Tutti lo sarebbero stati! 
Ma del resto lei non era come tutti. Era una creatura fantastica. Di quelle che trovi solo nelle fiabe.
Il sorriso non accennava a scomparire dal suo volto delicato. I capelli di un rosso tenue e dolcissimo le carezzavano una guancia. Istintivamente imprigionò la ciocca ribelle dietro l’orecchio e richiamò la mia attenzione appoggiando la mano sul mio braccio e mostrandomi sul tablet il sito di alcuni Street Writers di Kentwood.
Mi ritrovai a sperare di poter un giorno sfiorare quella pelle sottile e candida; ad immaginare la sensazione che avrei provato nel carezzare il suo viso e veder spuntare un sorriso sulle sue labbra, tutto per me. 
Piantala Ian. Lei è di un’altra categoria. 
Qualcosa che tu non puoi permetterti neanche di sognare. 
Come l’angelo e il diavoletto, avevo due voci dentro di me. 
Una che mi spronava e mi lasciava libero di provare le sensazioni che il nostro semplice stare spalla a spalla, mi donava. 
L’altra che invece mi metteva in guardia. L’avrei agganciata a me, indissolubilmente per poi un giorno sganciarla senza preavviso? E senza paracadute? 
Mi sentivo indegno e allo stesso tempo meritevole di quelle mani su di me, di quegli occhi nocciola incatenati ai miei, che mi lasciavano senza respiro.
Mi era difficile, estremamente difficile, tenermi a bada vicino a lei. 
Non ero io quell’uomo seduto a quel tavolo e allo stesso tempo lo ero. Un io autentico ma del tutto nuovo. L’uomo che avrei potuto essere per lei. 
“Potremmo comprare i materiali, tutti ipoallergenici e biocompatibili, senza alcool o derivati chimici dannosi per il corpo e per l’ambiente, ovviamente, e chiedere a qualcuno di questi street writers di riempire la stanza di murales…” 
La sua espressione, i suoi gesti, diventavano appassionati ed incantevoli, quando parlava di quello che più amava: aiutare gli altri. Ci vedevo parecchio di me, in lei. 
Anche io avrei voluto fare qualcosa di veramente concreto per aiutare il prossimo. E Roxie me ne stava dando l’opportunità. 
“Se vuoi posso chiamare subito il mio amico, così, per vedere se è disponibile.”
Fece un rapido cenno di assenso con il capo mentre con un dito chiamava il cameriere.
“Un succo di pomodoro…” gli chiese.
“Per me una birra, grazie…” ordinai, mentre già componevo il numero di Garreth.
 
Roxie Pov
 
“Ok – trionfò Ian dopo aver concluso la telefonata – Gar ci raggiungerà nel week end per dare un occhio e buttare giù le prime idee…” prese in mano la sua birra e mi sorrise, alzandola per brindare. Appoggiai il mio bicchiere al suo.
“Al Riverside e alle novità.” Recitò con fare solenne. I suoi occhi brillarono, guardandomi.
Ogni cosa di lui mi attraeva e se mi soffermavo troppo a pensarci rischiavo di mandare a ramengo tutti i discorsi di buona volontà. 
Il dramma era che più lo conoscevo, più quell’attrazione cresceva. 
Non un neo fuori posto, non un lato negativo. 
Ovviamente, ora non potevano essercene, pensai. 
Mentre stavamo dando un occhio ai prezzi delle apparecchiature mediche che avevo intenzione di acquistare, mi resi conto dell’ora. Era tardissimo e l’indomani, alle quattro, la mia sveglia avrebbe ripreso a suonare inesorabile. 
Il tempo era trascorso così velocemente, constatai con un po’ di malinconia.
“Ian, - dissi mentre salvavo i dati e spegnevo il tablet – non avevo notato quanto fosse tardi.”
Guardò l’orologio e sorrise. Era da sciogliersi, pensai. 
Ma ero riuscita ad arrivare a fine sera senza grandi intoppi, non avrei certo rovinato tutto come la sera prima, correndo via come una pazza, presa da un attacco ormonale in piena regola!
“Non ci si accorge quando si sta bene…” mi sorprese con quella risposta ma non potevo dargli torto.
“Vero…” raccolsi la mia roba e tirai fuori di tasca una banconota per pagare la cena.
“Ah no, - la sua mano strinse la mia e la riportò appoggiata al tavolo – stasera tocca a me…” 
Non ero certa che avesse percepito la scossa che scaturì dal quel contatto. 
Forse l’avevo sentita solo io. 
No, non era possibile. Era stata troppo intensa.
Il cuore prese a battere incontrollato mentre i suoi occhi azzurri si fecero liquidi. 
Allora aveva colpito entrambi!
Deglutii a fatica e poi sorrisi incerta. 
Distolsi lo sguardo con la scusa di raccattare la borsa.
“Beh, quindi ora vado.” 
“Ci vediamo domani?” mi chiese, alzandosi.
“Sarò a lavoro fino al pomeriggio. – gli risposi cercando di rimettermi insieme – Ti aspetto verso le quattro così facciamo il punto della situazione e iniziamo coi lavori?”
“Perfetto. – mi regalò un altro sorriso sghembo che senza la mia forza di volontà, mi avrebbe sciolta ai suoi piedi come burro. – a domani, allora.”
Mi schioccò un bacio veloce sulla guancia e se ne andò. 
Ero proprio certa di non essermi sciolta? Sentivo dentro un’altra me che mi scuoteva le viscere, decisa ad uscire fuori. Cercavo di tenerla imbrigliata. Non potevo permettermi altri errori, delusioni, dolori. Eppure mi sentivo già in un altro mondo, tutto diverso da quello che era stato fino a pochi giorni fa. 
Non potevo nasconderlo, neanche a me stessa. 
Forse, Rox, devi solo imparare come cadere. E allora anche gli scivoloni potrebbero diventare piacevoli.

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Capitolo 6
*** The more, the merrier. ***


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Buonasera a tutti!!!
Non ero certa di riuscire a pubblicare ma eccomi qui. E' un capitolo forse un pò noioso ma è di stallo e va a continuare il precedente. 
Spero vi piaccia! Inizieremo a capire qualcosa in più dei due ragazzi e ci saranno delle new entry! :)
Enjoy e buona serata!!!


Quando arrivai a casa, ciò che prima riconoscevo e mi dava sicurezza, aveva cambiato aspetto. Come se fossi entrata nell’appartamento di qualcun altro.  
Ero stata talmente tanto tempo da sola, da essermi seriamente convinta che ci sarei morta, in solitudine. E il mio appartamento rispecchiava appieno questa convinzione.
Guardai la grande bacheca dove raccoglievo le foto coi miei piccoli soldatini e sorrisi. Loro erano il mio mondo. Ma forse davvero non erano sufficienti. 
Nel mio universo c’erano troppi spazi vuoti. 
Alcuni che non si sarebbero mai più colmati.
Altri che forse potevano essere riempiti. 
Ma non era facile saltare quando vedevi buio davanti a te. 
Esaminai con scrupolosa attenzione la serata appena trascorsa, mentre mi facevo il bagno. 
Ian e il suo sorriso. 
Ian e i suoi occhi, che spesso indugiavano più del dovuto sul mio viso, sulle mie mani. 
Ian e la sua smaniosa voglia di aiutarmi, di fare di più. Di esserci. 
Ian e la sua attenzione per i particolari. La sua disponibilità. 
Onestamente all’inizio non ero sicura di cosa aspettarmi da lui. Poteva aver tanti soldi ma non ero certa ci fosse la reale intenzione di mettere in atto ciò che gli avevo proposto. 
Ed invece, come stavo imparando a fare, dovetti ricredermi. 
Era nel progetto con me. C’era dentro fino al collo! 
Non riuscii a capire perché, ma la cosa mi entusiasmava da morire!
E poi ripensai a quando le nostre mani si erano sfiorate, unite. 
Alla scossa che aveva risvegliato i miei sensi definitivamente. 
Era possibile innamorarsi di qualcuno così velocemente?  
Certo che se non era amore, era qualcosa che gli somigliava paurosamente. 
Non ero mai stata una sostenitrice dei colpi di fulmine. Anzi, non avevo mai creduto potessero esistere. Tutti i miei rapporti passati erano cresciuti con il tempo. E con il tempo si erano logorati e poi sbriciolati, lasciandomi solo la polvere. 
Ecco, forse il problema stava tutto lì. 
Forse aveva più probabilità di resistere alle intemperie della vita, un rapporto nato all’improvviso!
Uno sguardo, una parola, una stretta di mano et voilà: c’est l’amour! 
Oddio! Avevo una confusione in testa che avrebbe fatto rabbrividire anche la mia analista. 
Frizionandomi i capelli, tornai in cucina. Il telefonino vibrò.
“Dottoressa, il gruppo d’aiuto cresce. Verrà fuori una cosa davvero sensazionale. Grazie per questa opportunità. Buona notte. I.”
 
Ian Pov
 
Girai e rigirai il cellulare nelle mani come se scottasse. Avevo una voglia pazzesca di scriverle qualcosa, di farmi vivo. Solo per darle la buonanotte e farle vedere che comunque pensavo a lei. Poi l’apparecchio suonò. Era Paul.
“Hey buddy… cosa sono questi complotti alle mie spalle?”
Restai un attimo perplesso. “Scusa?”
“Gar ci ha raccontato del vostro progetto. Sai che non mi piace se fai le cose tutto da solo!” rise all’altro capo, della sua risata piena e contagiosa.
“Scemo, mi stavi facendo prendere un colpo!”
“Come sta la piccola Ariel?” volevano tutti bene al mio scricciolo e m’intenerii.
“Lei sta benone. Dovrà stare ancora un po’ in ospedale ma si riprenderà completamente.”
“Siamo davvero tutti contenti di questo. Comunque, volevo dirti, che venerdì sera con Garreth arriveremo anche io, Torrey, Nina, Matt, Candice e Kat a dare una mano.” 
Sorrisi quasi fino alle lacrime. E subito pensai a quanto tutta questa partecipazione avrebbe fatto felice Roxie. Ne sarebbe stata entusiasta!
Potevo mai già averla posizionata nelle mie priorità?
Sospirai dopo aver salutato Paul. Finalmente avevo trovato un giusto pretesto per scriverle.
“Dottoressa, il gruppo d’aiuto cresce. Verrà fuori una cosa davvero sensazionale. Grazie per questa opportunità. Buona notte. I.”
Diretto. Informale. Ma per niente incauto né compromettente. 
Ero stato equilibrato, dopotutto. 
Pensai al progetto che stavamo mettendo in piedi insieme e sorrisi. 
La soddisfazione che il mio lavoro e la notorietà mi regalavano era niente in confronto alla felicità che provavo in quel momento. 
Il telefono s’illuminò. Roxie.
“Fantastico. Più siamo meglio è! Buona notte. A domani.”

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Capitolo 7
*** If anyone knows it's as if it never happened. If I dont say it out loud, I can delete it all. ***


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Ciao a tutti! Scusate il ritardo ma ho avuto qualche problema..... eccomi qui.... l'ho scritto un pò di fretta perciò mi scuso per eventuali errori...
anche in questo caso doveva essere un pò diverso...ma alla fine la storia va avanti da se.... :) attendo i vostri commenti!
un abbraccio. 


Arrivai a casa fradicia ed infreddolita. Avrei giurato che un isolato sotto la pioggia sarebbe stato una passeggiata. Un gioco da ragazzi. Ed invece stavo rischiando l’assideramento. O forse i miei fremiti erano riconducibili ad altro?
Mi appoggiai al mobile dell’ingresso per riprendere fiato e scrutai la donna riflessa nello specchio. Solo in quel momento feci i conti con la mia idiozia. Come avevo potuto lasciare Ian al ristorante con quell’atteggiamento da bambina stupida? Non me lo spiegavo. Eppure c’era una voce dentro di me, sicura e logica, che mi parlava e mi capiva. 
Ian era il primo uomo che dopo tanto tempo aveva risvegliato in me qualcosa di simile all’attrazione. Molto forte. Un impellente desiderio di contatto, identico al potere che spinge una falena a toccare la luce. 
Come una farfalla che, attirata dai colori di una pianta carnivora, vi si appoggia, per poi venire intrappolata e masticata. Uccisa. 
Certo che, Roxie, paragonare un uomo ad una pianta carnivora!
Ma è così che mi sono sempre sentita alla fine di una relazione. Non che abbia avuto chissà quante esperienze, per carità! Ma quella scottata sono sempre stata io. 
Ultimo in ordine cronologico, dopo il quale decisi che mai a nessun altro uomo avrei permesso di andare oltre al “ciao, come ti chiami?”, Nicholas. 
Stavo già facendo un bagno caldo, quando, come un cadavere che tornava a galla con la piena, il ricordo di Nick mi fece trasalire. 
Il dramma di quando m’innamoravo era sempre stato uno: l’annullamento di me stessa. E la cosa peggiore era che tutti gli idioti di cui m’innamoravo, mi avevano sempre lasciata fare! Nessuno che si accorgesse di quanto fossi stupida, di quanto fossi penosamente zerbina pur di tenerli legati a me. Mai uno di loro che con amore, tentasse di farmi trovare il giusto equilibrio tra IO e NOI. 
Fino a che, esausta e svuotata di ogni risorsa, mi abbandonavano sul ciglio di un rapporto che non poteva più stare in piedi. O meglio, finché non trovavano qualche sgallettata meno impegnativa. 
Era inutile che nel profondo dentro me serbassi qualche speranza per il futuro. Per quanto nel mio cuore avessi ancora voglia di innamorarmi e di trovare il mio “per sempre felici e contenti”, la mia vita sentimentale era destinata a ripetersi all’infinito. Ero una calamita per disgraziati. Tanto valeva evitare le situazioni. Non interessarmi. 
Non innamorarmi più. 
Mi addormentai sul divano con la tv accesa e quando mi svegliai era appena sorto il sole. Mi sentivo meglio rispetto alla sera prima. Mi sentivo comoda, sollevata. Come quando indossi le pantofole dopo un giorno intero di tacco 12, in piedi, sulla ghiaia. Avevo solo un fastidio. Una cosa che guastava leggermente quel riacquistato senso di me stessa: 
Ian e il modo in cui lo avevo lasciato. 
Presi il cellulare, che non avevo più controllato da non so quanto, e vi trovai un suo sms della sera prima.
“Ciao Roxanne. Non so cosa sia realmente capitato stasera. Mi auguro solo di non aver fatto qualcosa di sbagliato od incauto. Spero di sentirti per parlare del progetto. Ciao. I.”
Nonostante l’ora, gli risposi. 
“Ciao Ian. Scusami per ieri ma non ero propriamente in me. Stanchezza! Chiama appena puoi, così ci mettiamo d’accordo sul da farsi. A presto. Roxanne.”
Sospirai, sentendomi un po’ più leggera, e andai a letto. Ne avevo proprio bisogno. 
 
Dormii tutta la mattina e gran parte del pomeriggio. Nessuno mi aveva disturbato. Nessuno mi aveva cercato. Era il lato positivo di non avere famiglia, fidanzati o simili. Non dover dar conto a nessuno se non a me stessa. 
Quando mi alzai dal letto ebbi un lieve capogiro, causato forse dal troppo riposo. Non ero certo abituata a dormire più di quattro/cinque ore per notte e quella volta superai di gran lunga il mio record personale. Mi feci una doccia e accesi il pc. 
Scrissi ad Anne, in Europa per lavoro, di quello che mi stava capitando. Era l’unica a cui riuscissi a raccontare tutto quello che la mia mente bacata partoriva. E forse era l’unica in generale, disposta ad ascoltarmi. Quando la mail fu completa, la rilessi. 
Le mie sensazioni verso Ian, quello che mi aveva fatto provare in quelle ultime ore, erano lì nero su bianco. Trovarmele davanti, leggerle, gli dava un non so che di autentico. Le rendeva reali. E mi spaventai di nuovo, come era accaduto la sera prima. 
Se nessuno lo sa è come se non fosse mai successo. Se non lo dico ad alta voce allora posso cancellare tutto. 
Chiusi la finestra della email. “C’è un messaggio non inviato. I dati verranno persi. Continuare?” “Si, si. Cancella…” Cliccai su si e spensi il computer. 
In quell’istante il cellulare prese a squillare. Il display sembrava diventare sempre più grosso e la suoneria sempre più forte mentre leggevo il nome: Ian. 
Avrei dovuto tirare fuori tutta la mia forza di volontà e concentrazione per mettere a tacere quel cuore balordo che aveva ripreso a battere furioso. Avrei dovuto mettercela davvero tutta! 
“Pronto…”
“Ciao Roxie… - mi aveva chiamata Roxie! – ti ho chiamato adesso perché immaginavo volessi riposare.”
“Ciao – sospirai senza volere mentre stavo divagando su quanto bene suonasse il mio nome pronunciato dalla sua voce – in effetti mi sono alzata da poco…” non seppi che altro dire. Ero già in un brodo di giuggiole.
“Se ti senti meglio potremmo vederci … - fece una pausa o forse era così che volevo immaginare io – per il progetto. Dobbiamo metterci in opera…”
Respirai più a fondo un paio di volte, cercando di tranquillizzarmi.
“Dammi il tempo di vestirmi e ci vediamo da Buck’s sulla Main Street.”
Potevo percepire che stava sorridendo. Sorrisi anche io, d’istinto.
“D’accordo, a dopo.”
Tu-tu-tu-tu
Potevo farcela. Salvavo vite umane. Operavo cuori. Asportavo tumori. E non ero in grado di resistere a semplici e meccaniche pulsioni fisiche? 
Mi vestii, presi la borsa ed uscii. A noi due mister Somerhalder.

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Capitolo 8
*** It comes the sun ***


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Ciao a tutti!!! Rieccomi qui! 
scusate il ritardo ma in sti giorni tra casa e lavoro è un delirio.... 
comunque ecco qui. Questo è un capitolo "apriporta", come mi piace chiamare quei capitoli di mezzo che chiudono una porta e ne aprono un'altra.... perdonate se Ian qui sarà presente solo di riflesso ma è necessario.... :)
spero, nonostante tutto, che vi piaccia come gli altri, soprattutto perchè si profilano ancora meglio le caratteristiche della nostra piccola grande Roxie. Ne ha viste davvero tante nella sua vita, credetemi! 
Ok...mi sono dilungata sin troppo....ecco a voi il "little chapter".... smack....
enjoy!!!!


E di nuovo la sveglia tuonò il suo richiamo alla quattro spaccate di quella mattina. 
Avevo dormito poco e male, nonostante questo mi sentivo energica e non vedevo l’ora di arrivare in ospedale. Quanto mi erano mancati quei corridoi, l’odore di disinfettante e, più di tutto, i miei bambini! 
Sapevo che il mio benessere non era legato solo al mio ritorno al lavoro. Dopotutto ero mancata solo un giorno (anche se per me poteva davvero considerarsi un’eternità!). 
Ero conscia che molto era scatenato dal fatto che nel pomeriggio avrei rivisto Ian.
Nel tragitto verso il centro cercai nei meandri del nuovo mondo riscoperto, di trovare un barlume di lucidità. Era vero che le mie sensazioni avevano avuto il sopravvento ma era altrettanto sicuro che non avevo nessuna intenzione di buttarmi ai suoi piedi. Niente zerbinate, com’era solita chiamare le mie prostrazioni sentimentali, Anne! 
E soprattutto, non dovevo scoprire subito le mie carte. 
Mi sentii improvvisamente sicura di me, come non lo ero stata forse mai nelle questioni private. 
Quando giunsi nel mio ufficio, trovai Richardson ad aspettarmi con la nostra colazione.
“Oggi tocca a me, o sbaglio?” mi accolse con uno dei suoi sorrisi paterni, chiusi la porta dietro di me e mi sdraiai sul divanetto.
“Non lo so, capo. Ho perso il conto…” gli sorrisi e presi dalla scatola che mi porgeva un donut al caramello.
Mi crogiolai in uno di quei rari momenti in cui, chiudendo gli occhi, potevo quasi fingere di aver accanto a me mio padre e non solo il mio capo.
Da quando mio papà, Jonathan Findle, era mancato circa dieci anni prima, non avevo più avuto una figura maschile cui far riferimento. Il capo, anche se piombato nella mia vita in età adulta, era un po’ come se ricoprisse tacitamente quel ruolo. Nessuno dei due vi aveva fatto mai riferimento ma entrambi sapevamo che era così. 
“Che hai che sei così allegra stamattina?” masticava pigramente, sorseggiando di tanto in tanto il suo cappuccino espresso. Mi sorrise, curioso.
“Niente, che devo avere?” scrollai le spalle e mi misi seduta, allungando un braccio per afferrare la seconda gustosa ciambella.
“Non dovrei mangiare tutte questa calorie…” sbuffai, senza però evitare di trangugiare il dolcetto. 
“Perché adesso cambi discorso? Guarda che non me la racconti…”
“Sono contenta, capo.” Bevvi un lungo sorso di caffè, bruciandomi quasi la lingua.
“Per caso c’entra qualcosa lo zio della nostra piccola Ariel che l’altro giorno ti ha accompagnata a casa?”
Ecco, questa era la prova schiacciante che Richardson, ricoprisse ormai il ruolo di papà e mamma. Dal momento che io non avevo più né uno né l’altra. 
Sbuffai, sorridendo sotto i baffi. 
“Certo che in questo ospedale non si può avere un briciolo di privacy!” 
Presi l’ultima ciambella. “Comunque lui c’entra relativamente – mentii – il fatto è che oggi finalmente inizieremo a lavorare sul progetto. Ian mi darà una mano, insieme ad alcuni suoi amici o non so chi altri…”
Non disse nulla al riguardo, cosa di cui gli ero grata. Non sapevo ancora bene come muovermi io, figuriamoci se avrei avuto la capacità di formulare certi pensieri a voce alta!
“Se hai bisogno di qualcosa non hai che da chiedere, Roxie…”
Non capii a cosa si riferisse realmente. Alla mia vita privata o al progetto? O ad entrambe le cose?
Finii il suo cappuccino e si alzò. “Adesso sarà meglio andare a lavoro!”
 
La giornata trascorse prevalentemente tranquilla. 
Visitai i miei piccoli pazienti e tenni una lezione di diagnostica ai dottorandi. 
Per l’ora di pranzo ero rinchiusa, come di consueto, nel mio studio. Mi guardai intorno e mi chiesi per la prima volta a cosa mi servisse un ufficio tutto mio. Sbuffai nel rendermi conto che a parte per i miei pranzi veloci in solitaria, qui c’ero stata davvero poco. Quasi niente. 
Qualche istante più tardi sentii la voce di alcuni bambini. Ridevano e parlavano. Qualcuno tirava uno dei piccoli palloni in un canestro. 
La sala giochi era proprio accanto al mio studio. 
Mi alzai e raggiunsi i piccoli, sorridendo. Avevo avuto un’altra bellissima idea e loro ne avrebbero fatto parte al cento per cento.
Sentivo che dopo tanto tempo, il sole stava risorgendo su di me. 
Era come se la mia pelle fosse più calda e i miei capelli più luminosi. Come se i miei occhi fossero dolcemente pizzicati dai raggi e le mie guance tornassero a colorirsi. 
Era come avere l’estate in pieno inverno. 

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Capitolo 9
*** Get the party started ***


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Buon Pomeriggio a tutti! 
Eccomi di nuovo tra voi! Inizia a profilarsi questo bellissimo progetto.... Roxie è piena di idee ed inventiva e Ian sembra proprio apprezzare questo lato di lei! :)
Non mi dilungo troppo e vi lascio leggere.... Scusate se non sarà tantissimo ma il lavoro mi sta risucchiando in questo giorni. :) mi farò perdonare! Un abbraccio... Enjoy!


Più tardi ero di nuovo in quello che ancora per poco sarebbe stato il mio angolino privato. 
Cercavo sul web qualche spunto per la Happiness Room quando qualcuno bussò alla porta.
Il cuore, prima dei miei occhi, seppe chi c’era la dietro.
Presi un bel respiro e mi preparai mentalmente ad affrontare la situazione. Stava diventando quasi un lavoro, non cedere in tentazione!
“Avanti!”
La maniglia si abbassò e il volto solare e sornione di Ian fece capolino. 
“Ehy, dottoressa!”
Entrò e prese posto sulla poltroncina sull’altro lato della scrivania, dove solo meno di tre giorni fa tutto era cominciato. 
Roxie, non è proprio cominciato un bel niente! Concentrati!
“Ciao Ian! Tutto bene?”
Gli parlavo ma continuando a scrutare il monitor, imperturbabile. Sapevo che se mi fossi concessa un solo sguardo, i miei battiti avrebbero perso il controllo.
“Si, Roxie… alla grande!” era a suo agio, tranquillo. Rilassato. 
“Tu? Ti vedo davvero bene oggi.” Il tono disinteressato e incantato con cui pronunciò quelle parole mi fece cedere. Il mio sorriso si aprì e gli occhi sorrisero con lui quando incrociarono i suoi.
“In effetti mi sento davvero in forma!” soffiai, sorpresa e grata che me l’avesse fatto notare. “Questo progetto mi sta davvero entusiasmando sempre di più!”
Era difficile nascondere il fatto che la più alta percentuale di benessere scaturiva dalla nuova percezione che avevo di me stessa e della mia vita e che la causa di tutto ciò fosse per lo più lui. Ma ci si deve tutelare un minimo!
“A proposito di questo vorrei farti vedere un paio di cose. Ho avuto altre idee…”
Mi guardò interessato ma non si mosse.
“Vieni – lo invitai – porta qui la sedia che ti mostro alcuni siti.”
Non se lo fece ripetere due volte e, ingaggiando una gara di velocità con un concorrente invisibile, corse sulle ruote della poltroncina, ridendo come un matto. 
Gli diedi un finto buffetto sul braccio.
“Ian! – lo ammonii con un espressione divertita dipinta sul viso – siamo in un ospedale!”
“Stiamo ideando o no una meravigliosa area gioco per i tuoi bambini?!”
Mi chiese retorico. “
“Si, e tu sarai il clown di corte!” sentenziai.
Con lo spostamento d’aria, il suo profumo forte mischiato a quello della sua pelle, mi colpì facendo pericolosamente vacillare il mio autocontrollo. Trattenni il respiro sperando che il training autogeno servisse a qualcosa. 
Per fortuna, funzionò.
Poco dopo gli svelai alcuni dei pensieri riguardo il progetto, per ultimo quello di sacrificare il mio ufficio per allargare lo spazio di svago dei piccolini.
Non disse niente ma il suo sguardo parlava per lui. 
“Questa stanza serve più a loro che a me…” sottolineai.
 
Ian Pov
 
Avevo una maledetta voglia di prenderle quel viso delicato tra le mani e baciarla. 
Avevo un viscerale desiderio di sapere che quel fiore candido sarebbe stato mio e soltanto mio. 
Dovetti ficcare le mani in tasca per cercare di trattenermi dal farlo seduta stante. 
Era cosi appassionata per le cose che amava, così altruista, così dolce. Così… Così diversa da tutte quelle che mi giravano intorno continuamente da quando ero sotto le luci della ribalta, che quasi fui scioccato. 
Sfoderai le mie doti da attore, per placare i miei animi che si stavano pericolosamente sbizzarrendo. Mi guardai intorno studiando l’ufficio.
“Dovremo buttare giù una parete, - constatai ritrovando una parvenza di normalità – bisogna vedere se si può.” Finii, in modo così professionale che potevo anche sembrare un mastro costruttore o roba simile.
“Ian, queste sono tutte paratie divisorie di cartongesso…” mi disse sorridendo, in tono ovvio. 
Ah, ecco. Cartongesso. Piegai un braccio in alto e mi carezzai la nuca, come facevo sempre nei momenti di imbarazzo.
“E’ ovvio che non lavori nell’edilizia.” Continuò, sottolineando la gaffe, ridendo sotto i baffi ma il suo sguardo mi disse semplicemente che era divertita. 
Si alzò e prese una grossa scatola da uno stipetto. L’aprì scoprendo il contentuto: una montagna di dolcetti di tutti i gusti e di tutte le forme. 
E senza minimamente aspettarmi quel contatto, mi prese la mano e mi tirò su dalla poltroncina. 
“Forza, andiamo a raccontare ai nostri piccoli aiutanti cosa devono fare.”

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Capitolo 10
*** Life's Tree ***


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Ciao a tutti!!! Rieccomi qui dopo le vacanza pasquali! 
Tutto bene?? Avete trovato dei bei regali nelle uova!?? :D
Io no! -.- una lente d'ingrandimento! 
Vabbè.... scusate il ritardo ma tra feste e malanni vari non sono riuscita a proseguire.... 
E' un capitolo un pò particolare... Spero vi piaccia. 
Ora lascio la parola ai protagonisti! :)
kiss ...enjoy! 

Ian pov.
 
L’avevo vista all’opera con Ariel qualche volta ma la sensazione che provai quando entrammo nello spazio gioco dei piccoli pazienti e questi le saltarono letteralmente addosso con affetto, fu di totale commozione. Le grida di giubilo che la sua presenza scaturì erano, non solo contagiose, ma perforanti. Ti entravano dentro ed era inutile tentare di rimanerne fuori. Mi venne voglia di buttarmi in mezzo a quell’abbraccio e stringere tutti forte a me. Compresa Roxanne. 
“Ehy, ehy! Calma tesori. Un attimo…” cercava di richiamarli all’ordine ma stava così bene tra quelle braccia che in realtà sarebbe stata li per delle ore intere.
Quando le feste si calmarono la prima cosa che fece fu guardarmi.
“Bimbi, vi presento un nostro nuovo amico…” disse, sorridendo. “Lui è Ian e siamo venuti qui insieme per chiedervi un immenso favore!” Le sorrisi in risposta, prendendo la scatola dei dolci dal mobiletto dove le aveva appoggiate.
“Ma prima – li avvisai, aprendola – facciamo merenda!” I bimbi da Roxie, si spostarono di corsa su di me ma poi diligentemente, si misero in fila indiana in attesa del proprio turno per prendere il dolcetto. Ognuno di loro mi regalò un grazie così sentito, che il magone mi salì alle orecchie. Avevo davvero voglia di piangere dall’emozione. 
C’era una sola bambina, una soltanto, che invece mi guardava in modo strano. Faceva fatica ad avvicinarsi e stava all’angolo della saletta. Immaginavo perché. Era l’unica ad avermi riconosciuto, probabilmente.
Presi un muffin e camminai verso di lei, che mi fissava attonita. Le sorrisi:
“Tu come ti chiami?”
“Cassidy…” soffiò con un filo di voce. Le porsi il tortino al cioccolato continuando a regalarle sicurezza. 
“Che bel nome…- risposi, – Cassidy, e quanti anni hai?” le chiesi mentre afferrava quella bontà dalla mia mano.
“Undici e mezzo…” sottolineò quel mezzo con sicurezza. A guardare tutti gli altri, doveva essere la più grande tra quei bambini. Le accarezzai la testa e le presi la mano libera. Lei mi fece fare, senza battere ciglio.
“Vuoi venire la con gli altri? Dobbiamo dirvi una cosa bellissima!”
Finalmente vidi il suo viso illuminarsi di uno splendido sorriso che le accese i due occhi grandi e neri.
 
Roxie pov.
 
Ma quanto poteva essere dolce con i bambini? M’incantai a guardarlo sorridere ad ognuno di loro quando si avvicinavano a prendere la merenda dalla scatola. 
M’incantai e m’incatenai. 
Mentre versavo da bere ai miei piccoli soldatini, poi, lo vidi avvicinarsi a Cassidy, una delle ultime arrivate in reparto. Si sentiva già più grande dei suoi undici anni e mezzo (sei mesi in meno al compimento dei dodici, cui lei teneva particolarmente) e aveva mal digerito di finire in mezzo a bimbi che di media ne avevano sette, al massimo otto. La più “anziana”, oltre lei, era proprio Ariel, la nipotina di Ian, ma che purtroppo era ancora rilegata a letto. Perciò Cassidy da quando era entrata in ospedale meno di due settimane fa, si era un po’ estraniata dal gruppo. 
E come potevo aspettarmi da uno come lui, era riuscito ad accalappiare anche lei. A convincerla. Ed ora se ne stavano uno accanto all’altra, a distribuire dolcetti. 
Decisi che era ora di tornare coi piedi per terra e con un breve battito di mani, richiamai l’attenzione dei presenti. Ian si portò rapidamente accanto a me, facendo un occhiolino complice a Cassidy. 
“Bene, ragazzi… - dissi con l’emozione che mi pervadeva – come potete vedere purtroppo, il vostro angolo di svago è un po’ piccolo. Non vi lascia la libertà di gioco ed espressione di cui avete bisogno ed è, come dire, un pò fuori moda.” 
“Siii – Turner, un bellissimo bambino di sei anni affetto da una rara forma di LLA*, alzò subito la mano per parlare – io vorrei i nuovi robot dei transformer per giocare!” 
“TJ, un attimo… adesso arriviamo anche a quello…  - gli risposi prendendolo in braccio – bene, allora abbiamo pensato di metterci all’opera, con l’aiuto di Ian, di altri amici e soprattutto il vostro, per ingrandire e rinfrescare il vostro angoletto di felicità!”
In men che non si dica avevo illustrato loro come sarebbe diventata l’area, spostandomi velocemente da una zona all’altra, dipingendo idealmente e prendendo in braccio di tanto in tanto qualche bambino. Loro facevano domande e davano consigli mentre io appuntavo mentalmente. 
“…E su questa parete nascerà l’albero della vita!”
Dissi, guardando prima i piccoli, poi Ian. Mi guardarono tutti incuriositi. 
“Cos’è l’albero della vita?” mi chiese Cassidy, che fino ad all’ora non aveva parlato granchè.
Le sorrisi e la presi accanto a me, abbracciandola.
“Sarà una grossa, enorme, mastodontica quercia ed ognuno di voi diventerà una foglia, il vestito dei rami spogli. La linfa vitale che da ossigeno al mondo.”
Visto che tutti sorridevano estasiati ma non parlavano, continuai. 
“Mentre su quell’altra parete, ci sarà un lungo treno dei desideri.”
“E cosa farà quel trenino?” mi chiesero in coro. 
Mi accovacciai tra loro e li guardai bene, uno per uno. Mi vennero le lacrime agli occhi e quando cercai di parlare, fui sopraffatta dal magone. 
Ian non sapeva di questa ulteriore sorpresa per i bambini ma capì subito di cosa si trattasse e prese la parola.
“In pratica, ognuno di voi avrà a disposizione un desiderio. Un piccolo sogno che vuole realizzare…”
“…ma desiderio, come per esempio avere una consolle per videogiochi?”
“…o una batteria come quella dei gruppi rock?”
Gli esempi spuntavano a raffica.
“…o uscire dall’ospedale guariti per non doverci tornare mai più?” Nathaniel, sei anni, affetto dal linfoma di Hodgkin, ammutolì tutta la stanza. 
Ian lo prese in braccio. Aveva gli occhi lucidi ma rimasi davvero stupita di quanto fosse in grado di controllarsi. Per me era sempre una sfida.
“Come ti chiami, piccolo?”
“Nathaniel…” gli rispose lui.
“Quello che hai espresso è un ottimo desiderio, Nathaniel. E Roxie con tutti gli altri dottori ogni giorno lavorano sodo per poterlo realizzare… noi parliamo di quei desideri che potrebbero farvi passare meglio il periodo che dovete trascorrere qui… per poi riuscire a raggiungere il traguardo finale. La guarigione.”
Il piccolo gli sorrise, lo abbracciò e infine disse: 
“Allora io vorrei tanto conoscere Topolino, Paperino, Pippo e Pluto!”
 
Più tardi, uscimmo dall’ospedale. Il sole era già tramontato e l’orologio segnava le otto. 
Dopo la “riunione” coi bambini restammo nel mio studio in silenzio, a sfogliare cataloghi che aveva portato lui e guardare siti internet. Forse le emozioni che portavamo dentro erano ancora troppo forti per poterle esternare e avevamo entrambi bisogno di metabolizzare l’esperienza che avevamo vissuto e quella che ancora avremmo dovuto vivere.
Poi d’un tratto il silenzio si ruppe. Non mi resi conto: ero io che piangevo. 
“Ehy, Rox…” Ian mi guardò, smarrito. “Che succede?”
“Niente… è tutto ok.” Riuscii a dire soltanto.
Forse capì. Oppure no. Ma si alzò e mi abbracciò. 
“Non puoi fare niente di più delle cose straordinarie che fai ogni giorno per quei bambini, Roxie. Stai facendo tutto quello che è necessario e sono certo che ti saranno per sempre grati. Come lo sarò io…”
Aveva capito. Aveva capito ogni cosa. 
 
 
 
*Leucemia Linfoblastica Acuta
 

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Capitolo 11
*** BBF ***


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Ciao a tutti!!!!!
Eccomi qui con il nuovo capitolo. Scusate se ci ho messo tanto ma sono stata parecchio indaffarata in questi giorni... Non so neanche come sia venuto il capitolo, in effetti non è che mi piaccia tanto ma dovevo inserire un personaggio cui Roxie è davvero molto legata e il cui parere per lei vale davvero tanto! Forse è l'unica vera famiglia che le sia rimasta, direi. :) Perciò fatemi sapere cosa ne pensate!
Spero di riuscire a postare più spesso ma voi non demordete. Continuate a seguire la storia, mi raccomando!
A questo proposito grazie a chi ha messo la storia tra le preferite, tra le seguite o le ricordate. E grazie a chi commenta! :) Siete davvero preziose!
Un abbraccio... Enjoy! 


Ian pov.
 
“Mangiamo qualcosa?” 
Il pomeriggio era passato in un baleno ed ogni più piccola cosa che scoprivo di lei, mi faceva desiderare di trascorrere altro tempo insieme. 
Della serie: più ne ho, più ne voglio! 
L’aspetto spaventoso era proprio questo. Stavo sviluppando dipendenza ed ero consapevole che non avrebbe giovato a nessuno. Ma cosa potevo farci?
La vidi indecisa mentre con la mano già aveva tirato la maniglia della portiera per aprirla. Poi mi sorrise.
“Domani iniziamo i lavori. Sarà meglio riposarsi, Ian. Sono sveglia dalle quattro di questa mattina…” Era un rifiuto. Certo. Ma non uno di quei rifiuti categorici. 
Sentivo come se desiderasse che non mi arrendessi.
“Sicura? Dai, una cosa veloce e poi ti riporto a casa…”
Sospirò e poi spalancò la portiera. Si chinò verso di me stampandomi un bacio sulla guancia. 
Aveva la labbra più morbide che la mia pelle avesse mai incrociato in tutta la sua vita. 
“Si, sono sicura.” Sorrideva ancora quando prese il suo zaino e fece per scendere. Si chinò nell’abitacolo e mi guardò. Avevo come l’impressione che i suoi occhi, in questi pochi giorni, fossero cambiati. Erano più aperti, più luminosi. 
Un piccolo briciolo del mio ego, volle sperare che il merito fosse anche mio. 
“Ti aspetto per le otto domattina?”
Cercai di tranquillizzarmi all’idea che tra poche ore avrei rivisto quegli occhi incantevoli e quel sorriso disarmante. Il suo profumo al muschio bianco invadeva l’abitacolo e con buona fortuna si sarebbe impregnato sui miei vestiti. Decisi che dovevo farmelo bastare. 
“Sicuro, dottoressa. A domani.” 
Richiuse la portiera ed io partii immediatamente. Non potevo correre il rischio di scendere dall’auto e obbligarla a volermi tra i piedi da quel momento e per il resto dei suoi giorni.
Oddio, Ian! Ma ti senti? Sei disgustosamente iperglicemico!
Dallo specchietto vidi la sua figura ancora sul marciapiede, che mi guardava allontanarmi. Ebbi l’istinto di fare inversione e tornare indietro ma il semaforo era verde. Misi la freccia e voltai a sinistra. Gli occhi di Roxie svanirono dietro l’angolo.
 
Roxie pov.
 
Stavo trafficando con quella che sarebbe diventata la mia cena. Non che i fornelli fossero miei grandi amici, ma riuscivo a cavarmela senza avvelenarmi. 
Purtroppo però il pensiero costante di Ian mi depistava e anche un azione banale come riempire la pentola con l’acqua per la pasta, rischiava di essere un disastro. 
Mi chiesi quale titanica forza di volontà fossi riuscita a sfoderare, per non aver accettato l’invito a cenare con lui. Sicuramente in quel momento sarei stata già seduta ad un tavolo con un piatto di qualcosa di commestibile davanti. Lo stomaco brontolò proprio mentre il sughetto ai formaggi si stava attaccando alla padella. 
“Accidenti!” In quel momento suonò il citofono.
“Chi è?”
“Aprimi bimba!” Restai impalata con la cornetta in mano prima schiacciare il bottone e iniziare ad urlare!
“AhhhhhhhHhhh”… poco dopo quel qualcuno era tra le mie braccia che saltava come un grillo!
“Ma quanto, quanto, quanto immensamente mi sei mancata????”
Anne, la mia migliore amica, era tornata. Si staccò da me e annusò l’aria.
“Cos’è sta puzza???” mi chiese, scavalcandomi e andando verso i fornelli.
“In realtà sarebbe la mia cena…” le risposi, colpevole. Non avevo mai fatto bruciare niente in vita mia. Questo le avrebbe fatto venire grossissimi dubbi riguardo la mia sanità mentale. E infatti, poco dopo…
“Tu adesso mi spieghi cosa bolle in pentola! Non posso mancare qualche giorno che combini danni!” mi accusò con quella sua tipica espressione di quando aveva già capito tutto.
“Come si chiama, quanti anni ha, che lavoro fa, è bello, è alto? Come ha le mani? Ricorda che la dimensione delle mani è davvero molto importante….” Come al solito era partita in quarta.
“Alt, alt, alt! Ferma!!!” 
Le piazzai il palmo davanti alla bocca per farla stare zitta un attimo.
“Chi ti dice che ci sia un uomo dietro ad un sugo bruciato???” le chiesi fintamente offesa. Ero diventata così prevedibile? Evidentemente per lei si.
Certo l’espressione beota sul mio volto non mi aiutava tanto.
“Ti conosco da quando fingevi con tua mamma di non esserti fatta la cacca nel pannolino…secondo te a me puoi darla a bere?”
Iniziai a pulire il disastro sui fornelli cercando di prendere tempo. Ero certa che mi avrebbe in qualche modo rimproverata del mio comportamento. Non sapevo bene per cosa…
“Mentre ordino due pizze fai mente locale e metti in piedi la spiegazione, please!”
Prese il telefono e due minuti dopo era da me. Mi prese le mani e mi trascinò sul divano. 
“Forza, racconta!”
Presi coraggio e in pochi minuti le avevo già spiegato quel poco che c’era da spiegare. In fondo non era successo niente. Il novanta per cento di tutta la situazione erano semplicemente miei film mentali.
“Quindi questo Ian è un bellissimo ragazzo…”
“Ahhh – dissi più sciolta ora che avevo vuotato il sacco – più belli non ne ho mai visti, giuro!” sentivo il cuore palpitare non appena provavo ad immaginare i suoi occhi azzurri meravigliosi… 
“…e ti ha regalato venticinquemila dollari per aver operato sua nipote?”
“Si beh, tecnicamente io non li ho accettati…”
“Va beh, questo non toglie il fatto che lui te li abbia offerti…”
Sbuffai. Era vero.
“E ti sta dando una mano con il tuo progetto in ospedale, pagando le spese per portarlo a termine.
Sospirai di nuovo. 
“Cioè, ricapitoliamo: bello, benestante e di buon cuore. Praticamente l’uomo ideale…”
Sospirai. Sospirai e sospirai ancora.
“Tu spiegami perché ancora non c’hai combinato niente?”
“Anne, tu sai che io…”
Cambiò espressione. Lo sapeva. 
“Hai ragione, tesoro. Lo so… però non puoi vivere per tutta la vita nascosta dietro al tuo passato. Non tutti sono come…”
Non finì la frase. Non lo nominò. Le fui grata.
“Beh, intanto domani me lo fai conoscere… - decise, tornando sorridente. – sono proprio curiosa di vedere questo santo!” 
Mi alzai per andare ad aprire al ragazzo delle pizze e apparecchiai la tavola.
Non ero sicura di voler mischiare le cose per il momento. Quindi non parlai. 
“Vedi di portarlo per la prova dell’abito da damigella!”
Oddio! La prova dell’abito per il matrimonio! Lo avevo scordato!!! 

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Capitolo 12
*** Fears & Hopes ***


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Ian pov
 
Aprii gli occhi che la sveglia non aveva ancora suonato. Rimasi sdraiato a fissare il soffitto per qualche istante, indeciso sul da farsi. L’unica cosa del tutto certa per me era una: a breve avrei rivisto Roxanne.
Mi passò davanti una sua immagine sorridente e il cuore iniziò a palpitare più forte. Sentivo costantemente la sua assenza e immaginarla non mi aiutava affatto. 
Mi voltai su un fianco, fissando il lato vuoto del letto. Ero abituato a svegliarmi da solo. Certo dividevo spesso le lenzuola con qualche donna, ma mai tanto a lungo da trovarmici insieme la mattina. 
In quel momento, invece, sentii forte il bisogno di averla li con me. Di aprire gli occhi e trovarmela stretta addosso dopo aver fatto l’amore tutta la notte ed esserci addormentati abbracciati. 
Era ufficiale ormai: in poco tempo mi ero completamente rincitrullito. 
Continuare a fare certi pensieri non fece che acutizzare il senso di vuoto che sentivo.
Dovevo assolutamente prepararmi e dare inizio alla mia giornata!
Scesi dal letto e mi guardai allo specchio. Infilai una mano nei capelli spettinati, cercando di domarli, cosa che come al solito non mi riuscì. Andai in bagno e aprii il rubinetto della doccia. In quel momento il telefonino si accese, la sveglia mi avvertiva che era ora di alzarsi.
“Si, amico. Sei arrivato in ritardo…” soffiai mentre mi spogliavo. 
Presi in mano l’apparecchio per spegnere la suoneria. Poi, senza averlo deciso, iniziai un nuovo sms.
“Arrivo un po’ prima. Non si comincia la giornata senza una colazione sostanziosa! xoxo. I.”
Baci e Abbracci. Eravamo già così in confidenza da scambiarci messaggi del genere?
Si, decisi immediatamente. Da qualche parte si doveva pur iniziare.
M’infilai sotto al getto caldo e mi lasciai cullare per qualche istante. La mia mente ballerina vagava attraverso immagini che sicuramente non avrei dovuto evocare. Mi eccitai al pensiero delle mani minute e candide di Rox sulla mia pelle bagnata. 
Dannazione, Ian! Datti una regolata!
Posizionai il miscelatore sull’acqua fredda. Dovevo raffreddare gli spiriti che si stavano eccessivamente surriscaldando o non sarei stato in grado di affrontare nemmeno un minuto nello stesso luogo con lei. Figuriamoci tutto il giorno!
Pochi minuti dopo ero già in auto, diretto a casa sua. 
“Dottoressa, sono quasi arrivato.” 
Avevo ormai capito che Roxie non era come le altre donne. Era chiaro. Sperai che anche in quel caso fosse così e non mi facesse attendere troppo. Il suo profumo che aveva impregnato l’abitacolo la sera prima, minacciava di dissolversi completamente. 
Avevo bisogno di fare scorta.
Se c’era un’altra cosa che avevo inteso di lei, inoltre, era che non era facile a lasciarsi andare, perciò quando lessi il suo successivo sms rimasi un po’ sorpreso:
“Ho preparato la colazione sostanziosa di cui abbiamo bisogno. Sali. Terzo piano. ”
Parcheggiai l’auto e con poche falcate mi ritrovai di fronte alla sua porta. 
Bussai piano per evitare di svegliare tutto il palazzo e poco dopo venne ad aprirmi. 
“Buongiorno, dottoressa…” ero lo stesso di sempre, giusto? 
Non si riusciva a capire quanto quei capelli rossi raccolti casualmente in una crocchia e tenuti fermi da una semplice matita, mi scombussolassero? Anche in tuta era l’essere più adorabile ed attraente su cui avessi mai posato gli occhi. Deglutii un paio di volte in più del necessario mentre entravo nell’appartamento.
 
Roxie pov
 
Era difficile, praticamente impossibile, fingere indifferenza di fronte ad un uomo che ti si presentava la mattina alle sette e mezzo bello come se avesse dovuto posare per un servizio fotografico. Se poi ti guardava come lui stava guardando me… Addio, Roxie!
“Buongiorno, dottoressa…” mi disse con fare casuale ma terribilmente sensuale. 
Senza parlare lo invitai ad entrare con un lieve gesto della mano. Se avessi aperto la bocca probabilmente la mia voce tremante mi avrebbe tradita. Mentre chiudevo la porta presi un bel respiro. 
“Spero non ti dispiaccia se ho preferito stare a casa… La mattina presto il chiacchiericcio  dei luoghi pubblici mi disturba un po’.”
Si voltò verso di me e sorrise, rischiarando lo spazio intorno a noi. 
Anne aveva maledettamente ragione. Cosa stavo aspettando a  seguire un po’ quello che mi dicevano il mio cuore ed il mio corpo??
“Non preoccuparti… - mi disse quasi in un sussurro – E’ perfetto.”
Mi ero alzata prestissimo per preparare una colazione degna di essere ricordata e così sul tavolo apparecchiato, troneggiavano pancakes e sciroppo d’acero che mi aveva portato in regalo una famiglia dal Vermont, yogurt e cereali integrali, succo d’arancia, frutta fresca e caffè nero. 
“Stai aspettando qualcun altro?” mi chiese, sorridendo ironico, indicando tutto il ben Dio pronto per essere mangiato.
Iniziai a versare caffè nelle tazze e succo nei bicchieri, giusto per avere qualcosa da fare e gli feci segno di sederci. Poi mi obbligai a guardarlo negli occhi.
“Non avevi parlato di colazione sostanziosa? Oggi sarà una giornata intensa…” gli risposi, ovvia.  
 
“Quindi, quali sono i programmi per la giornata?…” mi chiese mentre addentava il secondo pancake. “…mmm sono davvero ottimi…” biascicò mentre lo fissavo soddisfatta.
“Grazie…” gli versai un altro po’ di caffè e continua a mangiare.. 
“In realtà oggi non c’è un granchè da fare – gli dissi, finendo di spelare la frutta  - allora, stamattina verranno i manutentori a smantellare le pareti dello studio quindi dovremo portare via la mia roba. Per il momento il primario mi ha dato il permesso di portarla da lui, poi si vedrà…” gli dissi, incapace di distogliere lo sguardo dai suoi occhi.
“Poi? Dopo?” mi chiese ancora. 
“Beh, c’è da iniziare a preparare la stanza dei giochi per i lavori e il murale, in vista di sabato.” Mi bloccai un istante ricordandomi ciò che mi aveva detto. “A proposito, chi verrà nel week-end per darci una mano?”
“Dei miei amici…” rispose subito. “Vedrai, ti piaceranno!”
Se erano tutti come lui, di sicuro mi sarebbero piaciuti, pensai sorridendo impercettibilmente.
“Perché quell’espressione?” Ad Ian non sfuggiva nulla, l’avevo capito ormai. Avrei dovuto fare più attenzione, in futuro.
“”Niente… comunque, pensavo che per le tre potresti essere libero…” lo dissi semplicemente per fuorviarlo e cambiare discorso ma lui mi sembrò cambiare espressione a quella notizia. 
“E perché?” il suo tono rasentava l’indispettito, poi però cambiò registro… “nel senso, cioè – era chiaramente imbarazzato e la cosa mi fece sperare che in cuor suo volesse passare con me quanto più tempo possibile – come mai?” 
“Ho un impegno con la mia migliore amica… una cosa – non sapevo cosa dirgli… in realtà stavo ancora accarezzando la prospettiva di chiedergli di accompagnarmi – beh… devo provare il mio abito da damigella d’onore.” Soffiai fuori prima di poter cambiare idea. “Si sposa fra un mese…”
Lui s’illuminò. “Che cosa meravigliosa!” 
No, Roxie. Non puoi chiedergli di accompagnarti! Chissà cosa potrebbe dire o, peggio ancora, fare quella pazzoide di Anne!
“Già… si. Beh, lei è l’unica famiglia che ho…” non seppi perché lo dissi. Non ero il tipo che cercava pietà o commiserazione.
Per recuperare, sorrisi, speranzosa che non chiedesse niente di più preciso. 
Per fortuna non lo fece e gliene fui immensamente grata. 
 
Ian Pov
 
Avrei voluto farle le mille domande che avevo in testa ma la paura di correre e uscire di strada mi attorcigliò la lingua. 
Non era la solita donna con cui uscivo. 
Lei non mi vedeva come mi vedevano le altre. 
Più la guardavo, più mi sentivo come un adolescente nei panni di un trentenne. 
Forse era solo quello che mi frenava dal farle una corte spietata. 
Era quello che mi frenava dal baciarla teneramente, subito, per cancellare quel velo di tristezza che gli aveva coperto lo sguardo ma che voleva disperatamente nascondere.
 
Roxie pov
 
Sentivo dentro la spasmodica, quasi dolorosa, voglia di aprirmi e raccontargli del perché Anne fosse ormai l’unica persona cara al mondo che mi fosse rimasta. 
Sentivo dentro il desiderio cocente di prendere le sue mani e farmi accarezzare per lenire il dolore di ferite inferte, colpi accusati senza ciglio battere, ingiustizie sopportate e mai del tutto elaborate. 
Sentivo la necessità di farmi curare finalmente. E nessuno mi aveva mai ispirato tanto. 
L’ospedale e i miei bambini erano un ottimo balsamo per aiutarmi ad ammorbidire quella corazza che con tanto impegno mi ero costruita. Ma fuori di lì rischiavo di trasformarmi in un muro di cemento.
Ian era l’ariete in grado di crepare quel muro. Forse abbatterlo.
Eppure avevo paura. Anzi no, era terrore vero e proprio.
Mi sentivo come un adolescente nel corpo di una trentenne. 
L’adolescente può permettersi delle scivolate. 
Può permettersi di correre come un treno, col rischio di schiantarsi contro la cruda verità che l’amore eterno non esiste.
Lo può accettare per poi il giorno dopo ritrovarsi a credere di essersi sbagliato. E ricominciare daccapo. 
Sorridere, amare, piangere, amare ancora e poi odiare. E amare di nuovo. 
Io non ero un adolescente e avevo misurato più volte il dolore della sconfitta. Della disillusione. Dell’abbandono. 
Se mi fossi lasciata andare alle mie sensazioni con un uomo di cui in realtà non sapevo nulla, se non che mi faceva sentire come una ragazzina, cosa sarebbe successo?
Ero sicura di volerlo scoprire?
 
Nulla è difficile per chi ama. (Cicerone)


Angolo dell'autrice:

Salve a tutti!!!
Sotto consiglio della mia fedele Sweet Fairy ho spostato il mio angolino qui sotto.... :)
Spero che siate riuscite ad arrivare fino a qui perchè vorrebbe dire che non siete morte di noia leggendo il capitolo! 
Bene..cosa dire? Anzitutto ringrazio come sempre chi legge e chi commenta... e chi ha messo la mia storia tra le ricordate/preferite/seguite :) grazie di cuore...
Come avete potuto leggere i due ragazzi sono un pò per aria. Certe emozioni sono difficili da gestire a volte e ci si ritrova magari a non fare ciò che vorremmo per paura di rovinare tutto o per paura di stare male, come nel caso nella nostra Roxie.
Scusate se risulta un pò in stallo il loro rapporto ma non mi è mai piaciuto correre... dal prossimo capitolo qualcosa si muoverà davvero! 
Bene..sono stata abbastanza prolissa...hihih...vi lascio con la promessa di postare almeno due volte a settimana, lavoro permettendo.
Un abbraccio....
ENJOY!



 

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Capitolo 13
*** Past Present Future ***


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Roxie pov.
 
Più tardi fummo nel mio studio.
Le mie elucubrazioni mentali non mi stavano affatto aiutando e alternavo momenti di estrema tranquillità ad occhiate imbarazzate.
“Quindi da dove iniziamo?” mi chiese, portando dentro degli scatoloni vuoti prelevati dal magazzino.
“Tu comincia a svuotare gli scaffali. Questi libri finiranno nella biblioteca.” Gli risposi mentre controllavo la lunga fila di tomi ordinati sui ripiani. Io mi sarei occupata della scrivania.
Diligentemente Ian iniziò a prendere i libri e impilarli nelle scatole mentre io aprivo i cassetti e tiravo fuori tutti i miei effetti personali.
“Li hai letti tutti questi mattoni?” mi chiese d’un tratto, sfogliando il volume dei principi della clinica pediatrica.
“Ah-ah…” sorridevo mentre gli risposi ma non mi voltai a guardarlo.
“Tutti, tutti?” allibì, sgomento, fissando i titoli che aveva già sistemato. “Ma saranno milioni di pagine!?”
“E non sono ancora finiti…” gli promisi aprendo un altro armadietto. “E comunque non è così spaventoso come sembra! Quando è qualcosa che ami, non ti fa paura…”
Rimasi io stessa a riflettere su ciò che avevo appena detto.
Cercai un modo per cambiare registro e siccome di lui non sapevo granché chiesi:
“E tu, Ian, che lavoro fai?”
Lo senti sospirare e poi ridere in mia direzione.
“Mi domandavo quanto ci avresti messo a chiedermelo…”
Stavamo finalmente parlando di qualcosa che riguardasse la sua vita privata.
E ciò, senza capire bene perché, mi emozionò.
“Quindi? Che cosa fai nella vita?” continuai, sempre più curiosa.
“Faccio l’attore…” mi rispose con noncuranza, continuando ad impilare uno sull’altro, i libri.
L’attore? Ci pensai su. Beh, in effetti aveva una bellezza davvero notevole, in grado di bucare lo schermo. Mi ritrovai ad arrossire quando mi accorsi che mi stava fissando.
“Qualcosa non va?” mi chiese. Ero andata in loop?
“Perché? No, no…assolutamente. E’ che stavo pensando di non averti mai visto al cinema…”
Cercai di sviarlo dai miei pensieri da dodicenne.
Sempre con molta tranquillità, continuò a sistemare gli scatoloni.
“Beh, in verità non sono ancora così ricercato. Ho fatto poca roba al cinema… Recito per lo più in tv…”
Ecco svelato l’arcano.
“Non la guardo da quando trasmettevano la famiglia Robinson. E’ probabile che quella che ho a casa neanche funzioni. Forse è per questo che non ti ho mai visto.”
Mi sorrise e d’un tratto si avvicinò a me. Solo in quel momento mi resi conto di ciò che avevo in mano. Una foto di quando ero piccola. Avrò avuto tre o quattro anni al massimo. Stavo sulle spalle di papà, mentre la mamma ci guardava sorridente.
 
Ian pov.
 
Stava parlando ancora quando tirò fuori da un cassetto che stava svuotando, una cornice.
“Sei tu?” le chiesi. Non so per quale motivo ma abbassai il tono della voce.
Quella creatura coi capelli biondi e le lentiggini era meravigliosa. Riconobbi quegli occhi nocciola, non c’era dubbio.
Lei sorrise fissando la foto. “Si, sono io con i miei genitori.” Istantaneamente un velo di malinconia ricoprì la sua voce. E il suo sguardo.
“Posso?” le chiesi, porgendo la mano. Mi passò la cornice e cercai in quei lineamenti, la Roxie di oggi. Fu facile trovarla. Pura e innocente come allora. Quando le sue labbra si aprivano in un sorriso, due fossette le solcavano ancora le guance ma quella foto era il ritratto della spensieratezza, quella che nel presente le mancava.
“I tuoi genitori?” non alzò lo sguardo verso di me. Sorrise appena. Non seppi decifrarla.
 Sentii solo una grande tenerezza crescermi dentro.
“Mia mamma si chiamava Celeste. – fece una pausa e sistemò dei documenti in una cartellina, con fare sbrigativo. Capì che non la metteva a suo agio parlare di loro… - è mancata che avevo pressappoco l’età dei bambini che ci sono qua dentro…”
Deglutii imbarazzato. Avevo toccato decisamente il tasto sbagliato.
“Mi dispiace…” sussurrai, avvicinandomi di più a lei. “Io…”
Fu in quel momento che si voltò e i suoi occhi accarezzarono dolcemente i miei.
“Non ti preoccupare. E’ passato tanto tempo….” Aveva ancora la foto in mano e sfiorò con un dito l’immagine sorridente del padre.
Non sapevo cosa fare o dire. Ero pietrificato ad un palmo da lei.
“Ero all’università. Avevo da poco compiuto vent’anni e per colpa di un esame non ero riuscita a tornare a casa per festeggiare con lui. – fece  una breve pausa - George. Lo chiamavo sempre per nome quando bisticciavamo.” Sorrise un po’ materna, un po’ amara. Come se parecchie cose le fossero sfuggite di mano e si sentisse in colpa per qualcosa che avrebbe potuto fare.
Mi sentivo come se fossi spettatore di un film. Non ero in grado di interagire in alcun modo, se non restando lì impalato in mezzo alla stanza.
I suoi occhi tornarono indietro di alcuni anni. Percepivo che Roxanne fosse partita per un viaggio dentro se stessa. Da quanto non parlava dei suoi genitori? Immaginai parecchio tempo.
“…e poi aveva deciso, di punto in bianco, di prendere l’auto e raggiungermi al campus. Attraversare l’America, da sud a nord, per stare con me qualche giorno.”
Si riprese appena, giusto il tempo di posare la cornice nella scatola che stava riempiendo.
“Lui odiava l’aereo. Soffriva terribilmente le altezze e si fidava poco dei treni. Era un testone.”
Immaginai dove sarebbe finito il racconto e una morsa al petto mi tolse il respiro. Istintivamente le mie mani partirono per accarezzarle il volto, sempre più vicino, sempre più lontano. Non alzò lo sguardo sul mio e sentii che era pronta a scostarsi. Era evidente la sua poca dimestichezza nell’esternare i suoi sentimenti al riguardo. Non volevo parlasse. Sentivo solo il bisogno di stringerla. Desideravo sapesse che non era sola. O che se lo era stata negli ultimi anni, non doveva più sentirsi così. C’ero io.
Che poi io… chi ero io?
“Scusa se ti ho ammorbato. Odio farmi compatire.” Perso nei miei pensieri l’avevo lasciata andare. Stava chiudendo la scatola ormai piena.
Ma la raggiunsi. E le presi il viso tra le mani. Nonostante opponesse una lieve resistenza, l’obbligai a guardarmi negli occhi. Doveva capire che non la stavo compatendo.
“Non sei sola, Roxie. Non lo sei.” La voce mi uscì più bassa di un sussurro. Sperai che mi avesse sentito.
“Oh, invece si. Tutti se ne vanno, alla fine…”
“Io sono qui.” Soffiai piano. E non so perché. Non so cosa mi prese ma tutto successe così naturalmente da non esserci bisogno di una ragione. Le mie labbra, ormai prossime alle sue, vi si appoggiarono lentamente e leggere come un battito di cuore.
La loro morbidezza mi sciolse e il loro sapore mi inebriò. Quel lieve ticchettio che avevo nel petto si tramutò in un tamburellare incessante, a tratti assordante. Il respiro si spezzò in gola e sentii il suo fare altrettanto. Alzò le mani a cingere le mie intorno al suo volto.
Avrei voluto sigillare il momento e lasciarlo così, nella sua perfezione. Ma mi sentivo così stordito da aver bisogno di prendere fiato, così mi staccai piano.
Le sue guance, di un porpora appena accennato, si colorirono ancora di più. Era immobile e impassibile tra le mie dita, tanto che temetti il peggio. Avevo fatto la cosa peggiore che potessi fare? Poi però mi sorrise mentre il mio cuore tornò a battere ad un livello pressoché umano. Risposi al sorriso, ancora ubriaco di quei pochi attimi.
Non parlammo. Tornammo semplicemente a fare ciò che stavamo facendo poco prima. Non parlammo ma i nostri silenzi erano più chiari di mille discorsi. E da quel momento sentii come se fosse nato un nuovo Ian.  
 
 Buonasera a tutti!!!
ecco... si, sto postando ad un ora indecente ma il lavoro in sti giorni mi sta fagocitando. Mi sento masticata! -.-
Sono in un ritardo mostruoso.... spero solo che il capitolo sia valso l'attesa. :) Eccoci arrivati ad una piccola svolta. Certo le cose non saranno facilissime ma quanto meno entrambi hanno capito qualcosa, secondo me! Voi che dite? :)
E abbiamo scoperto qualcosa in più su Roxie.... come anticipato qualche capitolo fa... la vita non è stata proprio generosa con lei. Ma sarà vero che quanto ci viene tolto, quanto soffriamo, prima o poi ci viene ripagato? 
Ovviamente ringrazio la mia cara Sweet Fairy per il seguito e le recensioni! :) e tutti coloro che hanno la storia fra le seguite/preferite/ricordate...o chi semplicemente passa e legge! Ora faccio ninne che domani si cucina...... ahhhh ste feste!! xD inizio ad odiarle....lavoro il doppio di quando sono di turno! U.U
Buonanotte ...o buona giornata a chi leggerà.... kissees... xoxo
enjoyyyyyy!!!!!! 
 
 

 

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Capitolo 14
*** Longest Night ***


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Roxie pov
 
Il resto della giornata trascorse tra documenti, scatole e cibo cinese d’asporto.
Ed Anne mi chiamò per avvisarmi che la prova dell’abito era saltata a causa di un suo impegno di lavoro imprevisto. La cosa un po’ mi sollevò.
Era indecifrabile il clima presente. Più sciolto, quello si. Ma dopo quel bacio e quelle sensazioni che erano esplose dentro di me, annientando qualsiasi mia reticenza, non avevamo cambiato atteggiamento, l’uno verso l’altra.
Certo, ero la prima a voler procedere coi piedi di piombo. Mi stava bene.
Eppure la voglia di sfiorare ancora quelle labbra e sentire le sue mani sul mio viso, mi portava in ogni momento a cercare un contatto.
Una mano appoggiata al suo braccio per fargli vedere un vecchio test dell’università rimasto incastrato tra le pagine di un libro.
Un dito che toglieva della soia dall’angolo della sua bocca, inarcata in un breve sorriso.
Le nostre braccia intrecciate a tenere chiuso uno scatolone che non voleva saperne di restare al suo posto.
“Allora domani arriveranno i tuoi amici?”
Gli chiesi verso sera. Lo studio era pronto per i lavori del giorno dopo, ormai. Stavamo raccogliendo quei pochi effetti che sarebbero venuti via con me.
“Stasera, in verità.”
Lo guardai per un attimo, pensierosa. Era per quello che stranamente non mi aveva chiesto di cenare insieme.
Dio, stavo già pensando come una fidanzatina messa da parte!
“Parlami un po’ di loro…” un modo come un altro per sviare i miei stessi pensieri.
Lo vidi sorridere. Nei suoi occhi una tenerezza che gli avevo riconosciuto solo quando parlava di Ariel. O quando si rivolgeva a sua sorella Robyn. Quando parlava di famiglia.
“Sono dei pazzoidi, ti avviso…” e traspariva solo dolcezza da quelle parole. “Ma sono le migliori persone che abbia mai incontrato.”
“E sono anche loro degli attori come te?”
“In effetti si. Recitano nel mio stesso show. Per gran parte dell’anno sto con loro ventiquattro ore su ventiquattro. Sono la mia famiglia.”
Ecco. Appunto.
“Converrà chiamare il tecnico per quell’aggeggio infernale.”
Avevo finito di impacchettare le ultime cose. Presi il giubbino e lui fece altrettanto.
“Mi mette a disagio pensare che probabilmente tutto il paese sa chi sei mentre io…” per non so quale motivo non riuscii a terminare la frase. Cosa avrei voluto dire?
“… beh. Mi fa sentire un po’ antiquata.”
Con una mano impercettibilmente appoggiata alla mia schiena e l’altra impegnata a portare una delle mie borse, mi accompagnò fuori dallo studio e chiuse la porta dietro di se.
“In realtà un po’ ti invidio. La maggior parte di ciò che danno in tv è davvero spazzatura. E’ un bene per te, esserne fuori…” Il suo sorriso rischiarò il corridoio praticamente buio del reparto. Eccetto per le flebili luci di emergenza che spiccavano in cima ai muri.
“Non mi ero accorta che si fosse fatto così tardi…” sussurrai, rendendomi conto che sicuramente i piccoli ospiti fossero sicuramente già nel mondo dei sogni.
“Con te passa sempre troppo in fretta il tempo.” Furono le sue labbra a sussurrarlo, ad un centimetro dalle mie, davanti all’ascensore. Poi vi si poggiarono appena, sfiorandole con un bacio.
Tenni il respiro. Mi sentii sopraffatta. Da me. Dalla mie sensazioni sempre più acute, più decise. Più dirompenti.
Sopraffatta da lui. Da quello che le parole tacevano ma gli occhi trasmettevano chiaramente.
Sopraffatta da qualcosa che mi ero negata per colpa di gente ingrata, immeritevole.
Non che Ian non lo fosse. Per quanto ne sapevo poteva essere anche peggio di tutti gli uomini che avevo conosciuto nella mia vita, messi insieme.
Il mio intuito in fatto di uomini aveva il sistema operativo fermo al 1999. Quando l’uomo migliore che conoscessi era mio padre.
Non ne facevano più di persone così. L’ultimo esemplare era lui e morendo aveva portato all’estinzione la razza.
Ma il suo sguardo pulito. Il modo che aveva di parlare. Il suo slancio quando si trattava di aiutare gli altri. Il suo modo silenzioso di esserci. Di aiutarmi. Di sostenermi.
I suoi sorrisi quando gli avevo parlato di me durante quella giornata. Le sue braccia, pronte a stringermi quando ne avevo bisogno.
Tutto questo mi faceva ben sperare.
“Ormai è tardi per andare dai miei amici.” Mi disse mentre smorzava il bacio e l’ascensore si richiudeva vuoto per la terza o quarta volta.
“Ormai è tardi per qualsiasi cosa.”
Risposi, senza sapere cosa volessi realmente dire.
Tardi per tornare indietro?
Tardi per dirti che ho paura?
Tardi per chiederti se vuoi stare con me stanotte?


Ian pov
 
La pioggia aveva ricominciato la sua discesa.
Arrivammo alla macchina di corsa, con le borse in mano che ci rallentavano un po’ e, grazie alle quali, giungemmo all’interno dell’abitacolo completamente zuppi.
Era bellissima.
Tutto la rendeva magica.
Anche la semplice e fredda luce dei lampioni che rifletteva sui suoi capelli bagnati e nei suoi occhi, riusciva a diventare un ottima complice e a trasformarla in una fatina di quelle che pensi possano esistere solo nelle favole.
Avevo bisogno di assaggiarla ancora. Già mi mancava il suo sapore, reso sicuramente ancora più buono dalle gocce di pioggia che cadevano verso il basso.
Mi ero trattenuto tutto il giorno, dopo il nostro primo bacio. Non volevo pensasse che volessi correre, che la vedessi come una facile. Non volevo temesse che potessi approfittare di un lieve cedimento delle barriere, per buttarle giù con un unico colpo di gomito.
Volevo rispettare i suoi tempi. I suoi dolori.
Volevo che imparasse a fidarsi di nuovo. Volevo che imparasse a fidarsi di me.
Perché poi?
Nel giro di un paio di settimane sarei partito. Avrei lasciato Franklinton. La Louisiana. Per tornare in Georgia. Per restarci altri lunghi mesi. Per tornare qui solo di rado, a visitare la mia famiglia.
Forse l’avrei ferita anche più dei colpi che altri le avevano inferto.
L’avrei lasciata qui da sola.
Cosa potevo pretendere di darle? Sicurezza? Con me lontano. Difficile.
“Dove sei, Ian?” la sua voce, flebile e ancora rotta dalle emozioni.
“Mh?” mi ero allontanato da lei. Prima del tempo?
“Un attimo fa eri qui con me. Ed ora invece?”
Era la persona più chiusa che conoscessi eppure la più diretta. La più perspicace. Mi aveva preso per i piedi e mi aveva riportato da lei.
“Stavo pensando…”
La pioggia si era fatta quasi una tempesta.
“A cosa?”
“Al fatto che non voglio farti del male.”
Una goccia scivolò veloce sulla sua guancia. La raccolsi istintivamente col dito.
“Non me ne farai.”
“Come fai ad esserne così sicura?”
“Non lo sono.” La guardai esterrefatto. Quanto coraggio stava mettendo nel dire quello che stava per dire? Si fidava già di me, più di quanto potessi sperare.
Mi carezzò una guancia e mi costrinse a guardarla negli occhi.
“Ma non voglio pensarci. Mi sono fatta più male, murandomi in casa per tutto questo tempo, probabilmente…”
Desideravo con tutto me stesso quel corpo minuto tra le mie braccia. Desideravo le sue mani sul mio. L’avevo desiderato dal primo giorno che vi avevo posato lo sguardo sopra.
Le sorrisi e la baciai. Ero commosso da quanta forza avesse quello scricciolo e sentivo il naso pizzicare dalle lacrime che combattevano per uscire.
“Sarà meglio che ti porti a casa ora. Domani sarà una lunga giornata.”

L’accompagnai fino alla porta di casa.
Le chiavi della macchina pesavano in tasca come un macigno. Volevano ricordarmi che le mie gambe avrebbero dovuto portarmi fuori da quel condominio, e dirigermi in albergo.
“Ho un divano letto…” le sue mani dietro di lei, appoggiate allo stipite della porta.
“Ah si? E si comporta bene?” una ciocca bagnata, attaccata alla fronte, gocciolava ancora. La spostai e le asciugai la pelle con una carezza.
“Buck pensa di si…” Si spostò per farmi vedere il suo Jack Russell che cercava pigramente la posizione più giusta per dormire. Non si era minimamente accorto della nostra presenza.
“Non vorrei certo spodestare il Re di casa dal suo giaciglio…” le sussurrai avvicinandomi alle sue labbra ancora un volta e baciandola. Si schiusero e mi lasciarono approfondire. Mi schiacciai lievemente a lei… “… sono maledettamente territoriali, lo sai…”
Sospirava nella mia bocca mentre le mie braccia la stringevano e la mia lingua danzava lentamente con la sua.
“C’è sempre il letto. Ha due piazze parecchio comode…”
Non mi feci pregare. Non me lo feci ripetere.
Passammo quelle che potevano essere ore a baciarci ed esplorarci.
Sentirla gemere sotto al mio tocco. Vedere le briglie che di solito la trattenevano, spezzarsi e liberarla ad ogni mia carezza, mi fece credere che forse, no, non l’avrei ferita, dopotutto.
Essere dentro di lei, mi fece sentire completo. Come se avessi vagato per trent’anni con una metà di me stesso e finalmente avessi trovato il pezzo mancante.
La cosa che però più apprezzai di quella notte, fu il dopo.
La mattina.
La pioggia aveva smesso di scrosciare fastidiosa. Seppure le nuvole ancora incupissero il cielo.
Ma quando Roxanne aprì gli occhi e mi sorrise, mi resi conto che fuori poteva pure imperversare il più potente dei temporali, ma con lei, ci sarebbe sempre stato il sole.

Buonasera a tutti!
Come sono in ritardo, accidenti! Beh...so già che mi perdonerete perchè questo capitolo è, come dire, miele e sole. 
Complice una serata malinconica, solitaria e piovosa. 
Non date la colpa a me... piuttosto prendetevela con loro:


Ryan Star - Losing Your Memory
Howie Day - Longest Night
Sleeperstar "I Was Wrong"
Athlete - Wires
 
Scusate se sono stata troppo romantica ma stasera andava così…
Naturalmente grazie a chi legge/segue/preferisce e a chi lascia la recensione. E a chi ha portato pazienza fino ad oggi!
Grazie a Gaia!
Un bacione e alla prossima.
xoxo
 

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Capitolo 15
*** It's not always so easy ***


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Roxie pov

Da quanto tempo non mi capitava di svegliarmi così serena? Certo aprire gli occhi e rendermi conto che era successo davvero un po’ faceva paura.
Lo guardai ancora addormentato accanto a me e stentai a credere di averlo fatto davvero ma poi lo vidi arricciare le labbra in una smorfia inconsapevole o muovere il braccio fino a cingermi e l’unica cosa che provai fu beatitudine.
Al diavolo il futuro. Al diavolo i programmi. Al diavolo tutto. Potevo negarmi a me stessa?
Attenta piccolina. Sai, quello lì non è che mi convinca tanto. Posso farci due chiacchiere io?
Mi sembrò di rivederlo, il mio papà. Protettivo, a volte un po’ troppo. Preoccupato per chiunque si aggirasse intorno a me per più di un paio di sere di seguito.
Poi mi lasciò. Non fu presente a quel che successe dopo ma volli credere che Ian fosse un suo regalo dal cielo dopo aver visto che razza di batoste avessi dovuto subire negli anni passati.  
“Se stai architettando una via di fuga prima che riesca a svegliarmi, ti avviso di due cose:
a)     Questa è casa tua;
b)     Sono già sveglissimo e ti prenderei in un paio di secondi o tre.”
La sua voce mi trattenne ancorata al letto e alle sue braccia che non avevano mollato la presa. Anzi. Mi stringevano più forte.
“Stavo solo pensando all’altra sera quando ti ho detto che saresti andato d’accordo con mio padre.”
Si avvicinò ancora di più a me, lasciando al suo petto la possibilità di aderire a me.
Mi guardava e sorrideva teneramente.
Troppo bello per essere vero.
Troppo perfetto per non essere un trucco.
“E…?” mi esortò a continuare.
“In realtà penso che sarebbe proprio andato pazzo per te.”
Alzò eloquentemente le sopracciglia, facendomi ridere per la sola espressione.
“Io piaccio a tutti. Ai padri particolarmente. – sospirò buffamente, rassegnato all’ovvietà delle sue stesse parole – che ci posso fare? Ispiro fiducia!”
Presi il cuscino da sotto la mia testa e glielo tirai in faccia.
“Ma smettila, razza di un presuntuoso-chiappe-sode!”
Mi alzai dal letto ma continuai a ridere.
“Mmm chiappe sode. – mi tirò dietro il cuscino e fece finta di rifletterci – si, questo mi mancava. C’era occhioni-dolci oppure Ian-occhi-blu. Sorriso-d’angelo...” teneva la spunta con le dita ad ogni nomignolo… “…Mr. Sexor… mmm. No questo è meglio di no….”
Gattonai di nuovo sul letto verso di lui con il mio cuscino, pronta a fargliela pagare ma mi cinse per i polsi e mi trascinò verso di se, invitandomi con le labbra socchiuse a raggiungerlo.  
Aveva un sapore talmente buono da provocarmi dolore fisico quando mi staccai. Di controvoglia, decisamente.
“Dimentichi che abbiamo degli impegni e che se non ci alziamo subito faremo tardi?”
Senza farselo ripetere scostò le lenzuola e scese dal letto.
Non indossava altro che la sua pelle e per un breve, brevissimo (disumano) istante, dimenticai la mia identità e i miei doveri.
Mi voltai di scatto per impedire ai miei poco consoni piani di essere messi in pratica.
“Fatti una doccia. Io preparo la colazione…”
“Considerato quanto cucini la mattina, posso prendermela comoda, eh?”
Lo guardai storto, cercando di fulminarlo, ma ottenendo solo un sorriso disarmante.
“Vorrà dire che ci fermeremo da Bucks mentre andiamo in ospedale… Signor Sexor…”
Scoppiò in una fragorosa risata, contagiando appieno anche me.
Ridere in quel modo era una cosa che non facevo spesso.
La sensazione di liberazione che mi regalò mi fece quasi girare la testa.
 
Ian pov
 
Semplicemente stupefacente.
Vederla ridere a quel modo. A pieni polmoni. Con la bocca aperta. Gli occhi luminosi. La fossetta sulla guancia destra.
Semplicemente… Oddio, non mi venivano in mente parole adatte.
Però mi appagava vederla serena. A volte è questione di attimi. Di un gesto. Di una parola.
E lei si era lasciata divertire dalla mia idiozia. Si. Mi sentivo decisamente appagato.
La guardai allontanarsi coperta dal lenzuolo lilla, che lasciava ben poco all’immaginazione. O forse era perché la notte precedente l’avevo esplorata con ogni senso di cui ero provvisto? Si, certo. Forse era per quello che riuscivo a vedere ogni curva. Ogni angolo di quella pelle liscia.
Ogni centimetro di lei, ora, mi apparteneva.
“Hai finito di fissarmi il sedere, pervertito?”
Chiusi la porta del bagno dietro di me che ancora ridevamo.
“Rox, però non dicevi così stanotte…” le urlai prima di aprire il rubinetto della doccia.
“Sbrigati o spengo il boiler dell’acqua calda mentre ancora stai cantando ‘Enjoy the Silence” usando il tubetto del bagnoschiuma come microfono!”

“Ti è suonato il telefonino mentre eri in bagno…”
Roxie stava preparando del materiale da portare in ospedale.
La vidi soffermarsi sul mio viso qualche istante prima di continuare a parlare.
“Credo fosse un sms…”
Avrei dato qualunque cosa per poterle leggere nel pensiero. Ma forse non sarebbe servito.
Lo notavo da quanto fossero diversi i suoi occhi che quel giorno stava davvero bene.
Mi avvicinai a lei con fare noncurante e la baciai prima di prendere il cellulare dalla tasca del giubbino.
Ricambiò il bacio con naturalezza. Anzi, me ne diede un altro paio prima di sparire con il suo lenzuolo ancora allacciato intorno al seno, dietro alla porta della camera per prepararsi.
“Faccio presto..” mi promise. Ci sperai. Volevo ancora perdermi in quei occhi nocciola. Perdermi in lei.
“Dovevo venire a sapere da Zap2it che sei tornato a casa per assistere Ariel…I tuoi amici li hai istruiti a dovere. Nel pomeriggio sarò a Franklinton.”
Poteva essere così bello, senza qualche casino dietro l’angolo?


Buonasera!!
Si, lo so. Di solito sono in ritardissimo e stavolta, invece, sono in anticipo! ^___^
Siete contente, eh! ahahahaha 
E' che in questi giorni sono particolarmente ispirata ma a lavoro non ho granchè tempo... perciò mi riduco a scrivere idiozie a quest'ora della sera!
Venendo al capitolo: E' una sòla, lo so. Ma volevo comunque soffermarmi sul "dopo" dei nostri "quasi piccioncini" e avere un'attimo di pausa prima di inserire i nuovi personaggi.
Nel prossimo capitolo ci sarà un pò di movimento! Siete felici?? 
Ovviamente mi soffermo un secondo a ringraziare chi segue/preferisce/ricorda e chi recensisce le mie boiate epocali!
La mia Pepe 
sweet fairy che è sempre presente e si sorbisce ogni mia elucubrazione mentale! ahahahah bacini pepe mia.

Vado a dormire, vah...sarà meglio!! :)
Al prossimo!!

xoxo

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Capitolo 16
*** We have a problem. And when I say problem I mean a global crisis. ***


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Ian pov
 
Certa gente non molla mai. Nemmeno quando ormai la situazione è chiaramente arrivata al capolinea. Lei non molla mai!
“Che hai che sei diventato così silenzioso?”
Stavo guidando verso l’ospedale e pensando che mentre prima ero nel letto con Roxie, immaginavo sarebbe stata una bellissima giornata. Quanto mi sbagliavo!
Avrei dovuto prepararla a ciò che sarebbe accaduto? Considerato il soggetto che andavamo ad affrontare, forse si.
“Vedi, Rox, prima ho ricevuto un sms da una persona. Qualcuno che non avevo considerato e che tantomeno avevo invitato ad aggiungersi, che invece nel pomeriggio sarà qui…”
Mi fermai davanti a Bucks dove avevamo deciso di prendere la colazione per tutti. Mi voltai verso di lei che mi scrutava, curiosa.
“…vorrei solo che tu sappia che qualsiasi cosa sentirai o vedrai oggi, io tengo a te moltissimo e non ho intenzione di lasciarti scivolare via da me…”
“Come sei criptico, Ian… chi è questa persona?”
In quell’istante il telefono squillò. Era Paul.
“Hey, buddy!”
“Amico, noi siamo già qui sotto. E la truppa ha una fame da lupo…”
“Arriviamo…”
Riagganciai e sorrisi a Roxie. Lei stava aspettando da me una risposta.
“Semplicemente esiste gente che pensa di avere un qualche diritto su di me che invece non ha… Ora sbrighiamoci che i nostri collaborati affamati ci aspettano!”
Sarebbe andato tutto bene, Ian. Sarebbe andato tutto bene. 
 
Roxie pov
 
Non avevo capito granché del discorso di Ian. Ciò che però mi era rimasto impresso, in qualche modo, mi sollevò. 
Lui ci teneva a me. Non voleva che gli scivolassi via dalle mani.
Tutto il resto, probabilmente, non aveva alcuna importanza.
Avevamo fatto rifornimento da Bucks e di lì a poco avrei conosciuto gli amici di Ian. 
Mi sentivo stranamente emozionata e impaziente. Si dice che si possa capire molto di una persona, dalle amicizie che frequenta.
“Come ti ho detto – mi disse lui prima di parcheggiare l’auto – preparati perché avrai a che fare con dei pazzoidi….”
 
Poco dopo mi trovai di fronte… ad un gruppo di fotomodelli.
Cioè. Erano senza dubbio le persone dall’aspetto più affascinante che avessi mai incontrato. Ovviamente, eccetto Ian. 
Non mi stupiva che fossero tutti degli attori. Avevano sicuramente fascino da vendere. 
“Ragazzi, lei è Roxanne Findle, l’ideatrice del progetto…”
Mi presentò Ian. Sorrisi ai sette ragazzi che avevo di fronte.
“Piacere – dissi, stringendo la mano ad ognuno di loro – chiamatemi pure Roxie…” li invitai.
La prima che si fece avanti fu una biondina che mi sorrise e mi diede davvero la sensazione di essere dolcissima.
“Io sono Candice… Piacere…”
“Loro sono Paul e la sua ragazza Torrey, Garreth, Matt, Kat e Nina.”
Ebbi una strana sensazione quando quest’ultima mi strinse la mano. Mi guardava con i denti bene in vista. Un sorriso davvero incantevole. Ma il suo sguardo era vigile. Quasi sospettoso. 
O forse sei semplicemente tu che vuoi vederla così, Rox. Ti avrà mica dato fastidio l’abbraccio caloroso che ha riservato ad Ian appena arrivati!? Nahhhh….. 
Decisi che dovevo darci un taglio con le elucubrazioni mentali e feci strada agli ospiti verso il reparto. In fondo era con me che aveva fatto l’amore quella notte e sempre con me si era alzato quella mattina. Ed era sempre a me che stava tenendo la mano da quando eravamo scesi dall’auto. 
“Ragazzi, io ora vi devo lasciare. Ho il turno in pronto soccorso oggi. Ma Ian saprà spiegarvi perfettamente cosa c’è da fare…” dissi, già dispiaciuta di dovermi allontanare da lui. “Ci vediamo più tardi…”
“Roxie, inizio a buttarti giù qualche idea per le decorazioni… tu pensa a come devono venire il treno e l’albero.”
Gli sorrisi grata. Sarebbe venuta fuori l’area giochi più bella di tutte le aree gioco mai costruite!
“Certo. Ne parliamo più tardi…”
Ian non mi lasciò la mano e mi guardò negli occhi. Mi regalò quello stesso sguardo capace di bloccarmi ogni capacità cerebrale. Il che non era propriamente positiva come cosa, dato che mi aspettavano otto ore di ambulatorio.
“Dimentichi la colazione…” mi sussurrò. La sua voce era decisamente indecente.
“…non si può iniziare la giornata senza averne fatta una abbondante.” Mi passò una scatola con delle ciambelle e un cappuccino. 
“Grazie.” Gli sussurrai. Le sue labbra sfiorarono le mie con un bacio che ricambiai con slancio, completamente dimentica della presenza delle altre persone.  
 
Ian pov
 
“Dimmi che non è come credo!”
Mi voltai verso Paul. Avevamo già quasi finito di svuotare la vecchia area gioco per permettere ai manutentori di togliere le pareti di cartongesso. Nina, Candice, Kat e Torrey invece stavano girando per le stanze dei piccolini. 
“A cosa ti riferisci?”
Anche Matt si unì alla conversazione.
“Tu non ti rendi conto del guaio in cui ti stai cacciando. E soprattutto in che razza di casini stai mettendo quella povera ragazza!”
Sapevo dove stava andando a parare.
“Non succederà proprio niente, Wesley. E’ tutto sotto controllo…”
“Io penso che invece tu non abbia azionato il cervello prima di portartela a letto, Som!”
Continuai a raccogliere l’immondizia in un sacco per la spazzatura. Ero conscio del fatto che avesse ragione ma mi sarei occupato di ogni cosa a momento debito.
Poi intervenne Matt.
“Megan sta venendo qui, Ian. E sai che non viene per Ariel, né tantomeno per dipingere dei muri con paesaggi variopinti e cuoricini…”
Si. Sfortunatamente lo sapevo. 
 
Poco dopo Candice entro guardinga nella sala dove stavamo lavorando con Garreth e i manutentori.
“Ian, abbiamo un problema. E quando dico problema intendo una crisi globale.”*

*cit. alla Damon che mi fa impazzire!!!! <3


Salve a tutti!!!!
Come al solito mi ritrovo a scusarmi e riscusarmi per il tremendo ritardo. -.-
Chiedo umilmente perdono ma ho avuto un leggero blocco dello scrittore senza contare che l'ultima puntata del Diario mi ha mandato un pò in depressione. 
Vabbè, bando alle ciance.
Forse avete capito chi sta arrivando. O forse no. Comunque nella prossima parte (nella speranza di poterla postare prima di Natale.... xD) ci sarà parecchio movimento. Spero che il capitolo sia valso l'attesa. 
Come sempre ringrazio chi legge soltanto e chi segue/preferisce/ricorda. E ovviamente a big thank you a chi recencisce!!!!! 
Vi lascio con un bacetto 
see u soon!!!

xoxo

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Capitolo 17
*** Play one's cards right ***


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Ian pov
 
“Ciao Ian…” la voce celestiale di Meg che strideva in contrasto con tutto ciò che era in realtà, mi perforò un timpano. 
“Meg, cosa ci fai qui?”
“Non essere villano, Ian Joseph!”
Robyn era dietro di me e mi trafisse con un rimbrotto in pieno stile sorella maggiore. 
Ma io non ero più il ragazzino ribelle, incapace di darsi un limite. Ero adulto e non avrei permesso a Megan di insinuarsi di nuovo nella mia vita, tentando di distruggerla. 
“Tranquilla Rob. Noi siamo fatti così…amor et odio…”
“Dov’è Ariel?” chiesi, cercando con tutto me stesso di ignorare le parole uscite dalla bocca della bionda, che se ne stava comodamente seduta sul divanetto accanto al letto di mia nipote.
“L’hanno portata a fare un esame di controllo. Se tutto va bene tra un paio di giorni la dimettono.”
Sospirai di sollievo a quella notizia ma la presenza di Megan mi irritava a tal punto da non riuscire a gioirne appieno.
“Chi l’ha portata?” 
Non feci in tempo a domandarlo che i miei timori si materializzarono. 
Roxie comparve sulla porta spingendo la sedia a rotelle dove se ne stava beatamente accucciata Ariel. Erano entrambe sorridenti. Sembrava avessero appena condiviso una storia molto divertente.
“Zio, dovevi vedere Matt, Paul e Candice come si schizzavano con la vernice!!!”
Gli occhi di Ariel erano tornati vivi e spensierati come da tempo non li vedevo più. Le sorrisi in risposta, dimenticandomi quasi della presenza di Megan.
“Siamo passati a vedere come procedono i lavori… Ma se vanno avanti così ci sarà più colore sui loro camici che sui muri…” Promise Roxie, altrettanto divertita. Il suo sguardo mi abbracciava, ammorbidendomi. 
“Ehm-Ehm…” 
Nessuna delle due aveva ancora notato la bionda acidula che occupava il divanetto basso dietro al letto di mia nipote, e che ora pretendeva la sua fetta d’attenzione. 
“E lei? Che ci fa qui?” Ariel aveva sempre mal digerito la sua presenza e men che meno l’idea che fosse la mia ragazza. Con il senno di poi mi dissi che il sesto senso dei bambini non sbagliava mai. 
“Ariel Joseline Becker!” Robyn soffriva Megan ancor meno della figlia ma non sopportava la maleducazione, anche se rivolta verso una persona che era stata quasi in grado di distruggermi.
Con mio sommo disgusto lei si alzò e stringendomi in vita, come se ne avesse avuto qualche diritto, soffiò un ancor più orribile: 
“Sto vicino al mio uomo che sta attraversando un momento difficile…”
 
Roxie pov
 
Certo mi sarei aspettata di tutto meno di trovare la donna dell’uomo con cui avevo appena passato la notte, ad aspettarlo in ospedale. Donna che, per altro, non sapevo esistesse!
Mi venne il voltastomaco quando le mani ossute di quella bionda scialba e insipida, sfiorarono la stoffa della camicia che solo poche ore prima avevo accarezzato io. Le dita strinsero il suo fianco con possesso. Stava marcando il territorio. Quello stesso territorio su cui mi ero illusa di aver issato la mia bandiera.  
Come poteva, Ian, essere stato così poco elegante? Lo guardai con gli occhi spalancati ma mai e poi mai avrei fatto una scenata in quel luogo. 
Mai, con tutto quello che c’era in ballo a soli pochi metri da quella camera. 
Usai tutta la mia forza per sorridere alla piccola e farla sedere sul suo letto, senza scoppiare il lacrime. 
Quello che mi dava ancora di più i nervi era la sua totale immobilità mentre quell’oca le restava abbarbicata addosso come un koala.
Come poteva non accorgersi di quanto mi stesse ferendo?
“Bene, fiorellino. Vedo che sei in ottime mani…” Le poggiai un bacetto sulla fronte e chiamai Robyn fuori dalla stanza. Ero sull’orlo di una crisi ma dovevo portare a termine il mio lavoro poi mi sarei chiusa nel mio st…. Vero. Non avevo più uno studio. C’era sempre il bagno….
“Cosa succede, Rox?” la donna mi scrutava perplessa. A tratti preoccupata. 
“Gli esami di Ar vanno alla grande Robyn. Ha risposto perfettamente alle cure e – presi fiato – tra un paio di giorni potete portarla a casa…”
“Me l’avevi già detto questo, prima degli esami… - i suoi occhi, copia esatta di quelli del fratello, mi scrutavano affondando la lama nella carne viva – che cos’hai TU?”
Avevo scordato di quanto trasparenti fossero le mie emozioni. Con tutta la buona volontà di questo mondo, le mie reazioni istantanee mi fregavano sempre. 
“Niente, Robyn… Sono solo molto stanca ed ho ancora una marea di cose da fare… - le sorrisi, un po’ troppo mestamente ad essere onesta – ora devo andare.” 
Non me la bevevo manco io. Figuriamoci lei. 
 
“Hai appena incontrato Meg-tornado-Ault, vero?” 
Stavo di fronte allo specchio in bagno dopo essermi ripetutamente sciacquata il viso. Il pianto a cui non avevo ancora dato sfogo, lottava e cercava un cedimento per poter scivolare fuori. La voce che sentii mi colse di sorpresa. 
Il riflesso dello specchio non mentiva. Era Nina in piedi dietro di me. Aveva certo l’aria di chi la sa lunga.
“Non te la prendere. Lei fa sempre così… L’ha fatto anche con me…”
“Non so di cosa tu stia parlando ma davvero, non è successo niente…”
Non ammetterlo forse mi avrebbe fatto sentire meno idiota. O probabilmente di più.
“Beh, qualsiasi cosa tu abbia sentito che possa averti ridotto così, sappi che loro due non stanno più insieme da tempo…”
Non capivo. La guardai scettica. Poi il cicalino del cercapersone suonò nella tasca del mio camice.
“Credimi. E’ tutto ok…” feci per sorpassarla ed uscire ma la sua mano piantata al muro mi chiuse il passaggio.
“Ok, dottoressa. Te lo dirò una sola volta. Non che tu mi piaccia particolarmente ma Ian è un bravo ragazzo e certo quella t******a non si merita neanche di pulirgli le scarpe. Non so cosa c’è tra voi due ma qualsiasi cosa sia, lui non mente. Mai.” Fece una pausa mentre una lacrima stava scavando la diga per straripare. “…con lui non devi mai trarre conclusioni affrettate.” 
“Ma lei…” cercai di replicare ma mi mise subito a tacere.
“Lei ci prova. L’ha avuto ma ha usato male la sua occasione e ora fa come i pazzi. Vive nella negazione…”
Sospirai, indecisa se prendere sul serio tutto quel discorso o meno. Mi sembrava di essere in una di quelle soap opera indecenti che guardava mia madre quando ero piccola. 
“Se sei riuscita a prenderlo, gioca bene le tue carte e tienitelo stretto…” abbassò lo sguardo. La sicurezza che aveva ostentato fino a quel momento, parve oscillare. Aprì la bocca per aggiungere qualcosa ma poi non lo fece. 
“Parla con lui…” La freddezza con cui me lo disse, mi raggelò un tantino. Poi fece svolazzare i suoi lunghi capelli castani e con un soffiò uscì dalla porta, lasciandomi lì come un imbecille. 
Ripensai ai suoi occhi tristi, quasi rassegnati. Ovviamente non ero la sola ad aver colto le potenzialità di quell’uomo così bello fuori quanto stupendo dentro. Chissà quando era capitata a lei la mano sfortunata?!

 
********************************

 
Salve a tutti!!!!
Bene bene bene! Ho scoperto un po’ le carte in tavola!!! 
E’ ho aggiunto un po’ di pepe… Non possono sempre andare bene le cose, in fondo. No?
Onestamente questa Megan non mi piaceva per niente davvero ma ovviamente questa biondina poteva anche essere la fanciulla migliore di sto mondo. Nelle mie mani, però, è cascata male e mi farebbe piacere sapere che la detestate un po’ anche voi. Ahahah 
E Nina?! Mmmm non mi convince. 
Il capitolo l’ho scritto senza rileggerlo, e se devo dirla tutta non mi fa impazzire. Lo immaginavo un po’ diverso. Ma come capita spesso i personaggi alla fine fanno un po’ quello che vogliono. Dovrei farmi rispettare di più! :D
Ringrazio di cuore chi continua a leggere le mie schifezze. Chi mi preferisce/segue/ricorda e chi recensisce! U.U e la mia pepe sweet fairy che non mi abbandona mai e non si stufa di leggere le mie idiozie! 
 
Xoxo 
Alla prossima!

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Capitolo 18
*** Hello Meg. Goodbye Meg. ***


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Roxie pov
 
“Ti assicuro che non è come pensi. Non sapevo che sarebbe venuta qui e soprattutto noi NON STIAMO INSIEME…”
Stavo fingendo interesse per l’insalata che avevo in mano, senza realmente sentire appetito. Mi ero nascosta nello spogliatoio delle donne, per mangiare in santa pace e assimilare al meglio tutto quanto accaduto solo poche manciate di minuti prima. 
Ma mi aveva trovato. O era un veggente o avrei dovuto tappare la bocca di Jill con qualche cupcakes in più!
“Ian, questo è lo spogliatoio delle donne!” gli dissi, convinta però che nessuna delle mie colleghe che, entrando, l’avesse visto avrebbe avuto qualcosa da ridire. Cercai di trattenere un sorriso per farlo marinare un po’ di più ma era troppo tenero con quei due occhi azzurri spalancati. Iniziai a temere che arrabbiarmi con lui fosse impossibile. 
“Era lei quella gente che pensa di avere un qualche diritto su di te che invece non ha…giusto?” 
Chinò il capo e annuì. “Già. Forse avrei dovuto prepararti…”
“Già. Forse avresti dovuto…” sospirai rassegnata. Con tutta la buona volontà, non sarei riuscita a fargli una scenata neanche se ce ne fosse stato realmente bisogno. “…comunque è tutto risolto. Non ti preoccupare.”
I suoi occhi tornarono ad illuminarsi insieme al suo sorriso. “Davvero?”
“Ah-ah.” Chiusi l’insalata. La fame era sparita del tutto. “E comunque hai un ottimo avvocato a difenderti…”
Mi alzai e sistemai lo zaino nel mio armadietto. Mi guardò buffamente, chinando su un lato il viso. “Cioè?”
“E’ venuta Nina a parlarmi.” Lavai le mani nel lavandino e mi asciugai. “E’ stata molto convincente. Se dovesse andare male con i vampiri avrebbe buone probabilità di diventare la nuova Ally McBeal.”
Si avvicinò a me e ritrovai l’Ian con cui mi ero svegliata quella mattina. 
“Vieni qui…” le sue labbra trovarono facilmente le mie ma senza urgenza. Vi si posarono e approfondirono quel tanto che bastava per farmi perdere la testa. Il suo profumo. Menta, sole, cannella, mi riportarono in quella dimensione dove non eravamo nient’altro che noi. 
Poi ricordai i miei doveri. Il turno. I bambini. Il nostro progetto che stava proseguendo senza di noi. Non so come riuscii a staccarmi dalla sua bocca e a sfilare le dita dai capelli corvini che tanto mi piacevano per colore, consistenza e taglio.
“E comunque Nina è innamorata di te…”
Lo soffiai fuori senza un perché. 
“E’ solo una ragazzina…” mi rispose avvicinando di nuovo la sua carne alla mia e provocandomi i brividi.
“…beh, ragazzina o no ha davvero degli ottimi gusti, non c’è che dire…” 
Mi fissò con lo stesso sguardo famelico della sera prima e mi baciò. Quello fu un bacio che di casto aveva poco. O addirittura niente.
“Mi piaci quando fai la gelosa…”
“Io SONO gelosa…” confermai mentre ancora i miei denti giocavano con le sue labbra. 
Il suo corpo aderì di nuovo al mio e sentivo che la mia volontà avrebbe retto ancora per poco. 
“Sarà meglio che torniamo al lavoro…”
“Mmmm” mugugnò qualcosa, seguendomi fuori dallo spogliatoio. 
Percepii qualcosa come… “Lavorerei meglio sotto le lenzuola con te…”
Probabilmente però non fu lui a parlare ma i miei ormoni ormai drogati della sua costante presenza. 
 
Ian pov
 
“Vado a dare una mano ai ragazzi. Mi avranno dato per disperso ormai…”
Le dissi mentre prendeva da un dottore una cartella clinica. Mi sorrise e mi baciò una guancia.
“Ci vediamo dopo…” 
Mi voltai, incamminandomi verso i lavori in corso quando la voce di Roxie richiamò la mia attenzione nuovamente. La guardai e aveva ancora il sorriso stampato in volto. 
Avevo rischiato di mandare tutto al diavolo. Ancora tremavo all’idea.
“Parla con lei, per favore e fa si che questa volta sia una chiusura definitiva.”
Non c’era esitazione nella sua voce. Il suo era una specie di ordine che doveva essere eseguito. Fosse facile, pensai. Quell’arpia di Megan era stata cacciata dalla mia vita più volte ma non andava molto d’accordo coi rifiuti, a quanto avevo capito. La sua era negazione della verità perché dopo poco tempo tornava alla carica e si comportava come se nulla fosse successo. Come se non avessimo mai smesso di essere una coppia!
Era davvero irritante!
“Mi cercavi?”
Ed eccola lì. Il solo guardarla mi causava l’ulcera. Quante volte aveva cercato di rovinarmi la vita? Avevo smesso di contarle. Ma non le avrei più permesso di approfittare della mia bontà. Non le avrei permesso di guastare ancora la tranquillità che finalmente avevo raggiunto. E soprattutto non si sarebbe presa il lusso di rovinare quello che stava nascendo con Roxanne. 
 
Candice pov
 
Una volta era quasi riuscita a starmi simpatica. Una volta. Ma era durato così poco l’idillio da non ricordare che brevi stralci confusi dei nostri momenti insieme.
Avevo conosciuto Ian nel periodo in cui Grimilde (come ormai l’avevamo ribattezzata) gli aveva già masticato il cuore.
Poi era tornata a riprenderselo.
Per poi abbandonarlo di nuovo in un angolo. 
Ian non era il tipo molliccio da piangere e disperarsi. Eppure per lei, lo vidi distrutto. 
Adesso che era finalmente tornato alla luce, ero decisa davvero a farla finita con quella stronzetta. 
La vidi uscire dall’ascensore proprio mentre il mio amico stava raggiungendo noi nella sala gioco. La voce con cui sibilò un “Mi cercavi?” era talmente irritante da causarmi il mal di testa. Ian era davvero arrabbiato e finalmente sentivo che aveva trovato lo slancio giusto per farla finita con lei una volta per tutte.
“Ragazzi, venite!” chiamai gli altri che mollarono le loro attività per sbirciare al di la dei giornali appiccicati alle vetrate della sala. Ma sapevamo bene che Ian non era tipo da cose plateali. L’avrebbe presa in disparte per parlare. Non avrebbe inscenato un teatrino in mezzo al corridoio di un ospedale. 
Lo vidi entrare nella cameretta di Ariel per poi uscirne pochi istanti dopo con una valigia. Quella di Megan. 
Si avvicinò a lei e gliela lasciò ai piedi per poi dirgli qualcosa nell’orecchio, come fosse un segreto. 
Ovviamente non riuscivamo a sentire nulla di ciò che veniva detto. L’unica cosa che riuscimmo ad udire fu lo schianto sordo della mano della strega sulla guancia di Ian. 
Immaginammo che il ragazzo non l’avesse di certo invitata fuori a cena!
Restammo senza parole quando gli occhi del nostro amico, fiammeggiarono. Ebbi paura che le potesse mettere le mani addosso, anche se non era un atteggiamento da lui. E anche se lei se lo sarebbe meritato più volte!
Uscii allo scoperto ed arrivai giusto in tempo da loro. Presi Ian da un braccio e lo strattonai lievemente…
“C’è bisogno di te, Som.” Ignorai volontariamente Meg ma poi non riuscii a resistere. Lo volevo fare da quando girammo le ultime scene della stagione.
La guardai con gli occhi carichi di disprezzo e trascinando via il mio amico le sussurrai:
“Ciao Meg. Addio Meg.”


Mi rendo perfettamente conto di essere in supermegaritardo! 
Mea culpa. Anzi no. Colpa del lavoro!
Bene! Siccome la scocciatrice nr. 1 mi aveva proprio stufata seppur si sia vista pochissimo, ho deciso di eliminarla con un colpo di spugna! :) anche se lo schiaffo ad Ian non glielo perdono proprio. Chissà magari potrebbe ricomparire. :/ A volte sono un pò perfida! 
E poi ho inserito un Candice pov. Adoro quella ragazza...anzi no..l'amo proprio e ci tenevo a infilarla da qualche parte, quindi eccola qui!
Finisco con il ringraziare chi segue/ricorda/preferisce e anche solo chi legge. E ovviamente anche quelle anime pie che recensiscono! Grazie di vero cuore!!!
Un bacino alla mia pepe!
See you...alla prossima! 

Smack
 

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Capitolo 19
*** Quite after the storm ***


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Roxie Pov
 
Nonostante il trambusto passeggero portato da Megan la giornata scivolò via piuttosto placidamente.
Dopo il mio turno in reparto mi fiondai nella zona dei lavori e quasi mi prese un colpo.
Si erano già portati parecchi avanti! Quando si dice “l’unione fa la forza”!
Onestamente non riuscivo ad essere ancora del tutto tranquilla, però.
Era vero che la bionda slavata era andata via, un po’ troppo facilmente, direi. Ma ero pronta a scommettere che un tipo come lei non si sarebbe arresa senza giocare il carico da undici!
Me l’aspettavo, prima o poi, che tornasse alla carica. Ma per quando fosse successo, mi dissi, ero pronta.
C’era ancora un punto che mi punzecchiava il piede, come un sassolino appuntito che non ne vuol sapere di uscire dalla scarpa. Nina.
Lei e i suoi lunghi capelli castani.
Lei e i suoi occhioni da cerbiatta.
Lei e il suo sorriso dolcissimo.
Lei e il suo corpo mozzafiato.
Per assurdo temevo più Nina di Megan, nonostante Ian considerasse la prima una ragazzina e la seconda fosse una sua ex.
Lo sguardo della bambolina era astuto. E c’era da considerare che:
A)    Lavoravano da mesi a stretto contatto e per quel che ne sapevo, avrebbero continuato a farlo a tempo indeterminato.
B)    Lei lo conosceva molto più di quanto non lo conoscessi io.
C)    Aveva le due gambe più belle che avessi mai visto.
Ok, dovevo smetterla di farmi fregare dalle mie fisse mentali.

“Ehi, ragazzi! Ma è tutto…”
“Perfetto? Straordinario? Indescrivibile? Fantastico?”
Candice non perdeva mai occasione. Mi faceva sorridere il suo modo di fare, che poi nascondeva una dolcezza di fondo che non aveva eguali.
“Ecco, brava Candy!”
Girovagai estasiata per la sala e mi soffermai all’albero della vita. Non c’erano ancora foto, era dipinto però tutto il tronco con le varie ramificazioni.
Era splendido. Proprio come lo avevo immaginato. Anzi, ancora più bello.
Una mano mi strinse in vita. Riconobbi il tocco deciso e morbido al tempo stesso.
“Ti piace, dottoressa?”
Lo sentivo sereno. Non avevo problemi a farmi vedere in certi atteggiamenti dai suoi amici, anche se non nego che sentivo gli occhi Nina sempre puntati addosso.
“E’ davvero…davvero un sogno!”
Una lacrima spuntò sbarazzina dall’angolo dell’occhio ma gli sorrisi. Nonostante tutto ero felice.
Lui aveva scelto me, due volte in un giorno. Lui voleva me. Questo doveva bastarmi e rendermi orgogliosa di aver finalmente abbattuto le mie riserve in fatto di uomini.
“Matt, passami la polaroid…”
Chiesi all’amico di Ian.
Lui me la lanciò. La inforcai e corsi nella stanza di Ariel. La prima foto del grande albero doveva essere proprio la sua. In fondo era grazie a lei se tutto nella mia vita era cambiato.
Era merito suo se ero riuscita ad innamorarmi di nuovo.

Ian Pov
 
La sentivo finalmente sciolta e tranquilla tra le mie braccia.
La strinsi a me mentre ammirava il meraviglioso albero della vita che Gareth aveva dipinto sul muro principale della sala, dove avrebbero fatto la loro comparsa, una dopo l’altra, le foto dei piccoli cuccioli d’uomo che sarebbero passati da quel reparto. Era commossa, comprensibilmente. Emozionata. Giustamente. Lo ero anche io. Per una serie svariata di motivi.
Primo fra tutti. Avevo la sua fiducia. Certo non mi sarei adagiato sugli allori. Ma si fidava di me. Questa era una grandissima conquista a giudicare da dove eravamo partiti.
D’un tratto la sentii chiedere la polaroid a Matt che gliela lanciò.
Mi prese la mano tra la sua e mi trascinò fuori dalla stanza.
“Dobbiamo posare la nostra prima ‘mattonella’… in senso metaforico.”
Eravamo nella stanza di Ariel che non appena ci vide, mano nella mano, sorrise come da tempo non la vedevo fare.
“Zio! Roxie!”
“Alzati, fiorellino… vieni qui vicino alla finestra.”
La piccola, lentamente si alzò e, aiutata da Robyn si posizionò dove le era stato indicato.
“Zio, ora siete fidanzati, tu e Roxie?”
“Silenzio, piccola. Sorridi e guarda nella macchinetta…” le risposi, sorridendo .
“Eddai, a me potete dirlo. Non lo racconterò a nessuno!” la bimba guardò Roxanne con occhi imploranti. “Roxie! Dai… siete fidanzati?”
Lei non rispose, rideva soltanto e le indicava con una mano come doveva mettersi.
“Sai cosa ti dico?” sentenziò infine. “E’ troppo costruita questa foto… in posa e tutto il resto. Non mi piace…”
Finalmente, mentre raggiungeva di nuovo il letto, Roxie riuscì a fare uno scatto. La guardò trionfante.
“Quanto siete belli!”
“Ma ci sono anche io?” le chiesi sbigottito.
“Voi siete le persone che mi hanno salvato…”
Ci si fece incontro e si abbassò per fare vedere la foto ad Ariel.
“E comunque, piccola, io e tuo zio non siamo fidanzati. Però usciamo insieme…”
“E che differenza fa?” ci chiese lei.
“Chi deve sposarsi è fidanzato. Chi invece non ha ancora in programma di finire all’altare, si dice che esce insieme…” le spiegò, paziente come sempre, Roxie.
Da sotto il lenzuolo, sfiorai con le dita le sue. Chiuse le nostre mani in una stretta calda e rassicurante.
“Io voglio fare la damigella d’onore! Sappiatelo!”
Non sapevamo neanche se saremmo arrivati al giorno dopo e mia nipote parlava già di fidanzamenti e damigelle d’onore.
Poi guardai Roxie arrossire e in quel momento capii che di certo, sposarmi con lei, non mi sarebbe dispiaciuto, un giorno. Non mi sarebbe dispiaciuto per niente.
 

 Sera a tutti!!!!
Oddio, in realtà non lo so mica cosa mi sia uscito con questo capitolo. 
Mi sono ritrovata che pioveva da matti ed ero anche un pò distratta dal rumore delle gocce che cadevano sul lucernaio del soppalco dove dormo.
Non l'ho riletto e in realtà credo sia anche un pò noioso...diciamo che è una sorta di placebo per calmare l'assenza di un capitolo vero e proprio che smuova un pò le acque dopo la "dipartita" di Megan.
Ok... ho sproloquiato abbastanza per stasera...
spero di non avervi deluso...e cercherò, anche se non ve lo prometto, di postare più spesso. 
Questo periodo è davvero un casino! -.-
Come sempre ringrazio chi preferisce/segue/ricorda la mia storia e chi recensisce....e ringrazio tantissimo la mia pepe sweet fairy per esserci sempre! 
Per il momento vi lascio...a presto!!!!

xoxo
 
 

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Capitolo 20
*** Ain't no sense in love ***


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Roxie Pov.
 
Non potevo credere di essere finalmente arrivata a casa. 
Sprofondai per qualche istante nel divano mentre Buck reclamava le mie attenzioni. 
“Hai ragione piccoletto, lascio sempre che sia la signora Tunder a portarti in giro…” capii che, dopotutto, avevo ancora un compito da svolgere. “Vieni, - lo invitai, dondolando davanti al suo musetto il guinzaglio – andiamo, ti porto a fare una passeggiata.”
Ian aveva accompagnato i ragazzi in albergo. Mi aveva chiesto di andare con loro ma mi sentivo troppo stanca per rimandare ancora il rientro a casa. La giornata in ospedale era stata estenuante. Sia lavorativamente che mentalmente. 
Le strade intorno al mio isolato erano praticamente deserte. Mi strinsi ancora di più in me, nel tentativo di proteggermi dall’aria sempre più fredda della sera. 
L’inverno era ormai alle porte. 
Il telefono vibrò nella tasca del cappotto e Buck si fermò per annusare l’odore di qualche cagnolina che sicuramente era passata di li. 
Anne. 
“Ciao, bambina.”
“An…” sospirai di sollievo. Sentivo il forte bisogno di parlare con lei e raccontarle quanto mi era successo in quella giornata incredibile ma mi trattenni.
“Come stai? Che stai facendo?”
“Sono fuori con il peluche…lo sto trascurando troppo ultimamente. E tu? Hai novità per la prova dell’abito?”
Non sapevo perché lo stavo chiedendo. Onestamente non ero un granchè entusiasta all’idea di fare da manichino, ma era il suo matrimonio e dovevo in tutto e per tutto farla felice.
“Si, ti chiamavo anche per questo. Domani pomeriggio dobbiamo essere in sartoria per le quattro.” 
“Ok, ci sarò.” La sentivo strana. Non era la solita Anne ma in quel momento non ero sufficientemente in forze per intraprendere un qualsiasi discorso sensato per cui decisi che le avrei parlato l’indomani quando ci saremmo viste. 
“Perfetto, bambina. Ci vediamo domani.” 
“Ok, tesoro. Buona notte.” 
“Ah, Rox?”
“Si?”
“Porta anche il tuo bel fusto.”
Sorrisi. Dopotutto non era così tanto fuori di se. 
“So che stai sorridendo. Smettila subito, sono seria. Portalo.”
“Ok, vedrò cosa posso fare.” Acconsentii, canzonandola un po’.
“Ah, Rox?”
“Si?”
Buck tirava. Aveva voglia di andare a casa a farsi una bella dormita, almeno quanto ne avevo voglia io.
“Ti voglio bene.”
“Anche io, tesoro.”
 
Giunsi in tutta fretta a casa ma mi bloccai davanti all’ingresso. 
Ian era seduto sugli scalini con la testa appoggiata alla ringhiera. Aveva gli occhi chiusi e una ciocca di capelli neri, come la notte che lo avvolgeva, gli cadeva su un occhio, donandogli un aspetto ancora più sexy del solito. Come se fosse possibile essere ancora più sexy!
Mi avvicinai piano, sperando di non farlo spaventare.
“Ehy, Ian.” Sfiorai il suo ginocchio e l’ormai familiare e piacevole brivido di desiderio mi pizzicò le dita per poi invadere i miei sensi. Era una sensazione meravigliosa.
I suoi occhi celesti furono subito nei miei.
“Dottoressa, dov’eri?”
Lanciai un’occhiata fugace a Buck che, avendo riconosciuto il portone, graffiava il terreno impaziente di ricongiungersi all’ormai famoso divano. 
Ian mi sorrise, comprensivo. 
“Dai, entriamo…”
 
Ian pov. 
 
Non mi ero reso conto di essermi appisolato sui gradini. 
Un tocco leggero mi riportò alla realtà. Era lei. Roxie.
Dopo tutto quello che avevamo passato quel giorno, che aveva passato, il suo sguardo si presentava amorevole e dolce proprio come quella mattina, al risveglio. 
Una forte sensazione di calore mi pervase. 
Era andata a portare il cagnolino a fare una passeggiata ed ora non vedeva l’ora di rientrare in casa.
“Non ti aspettavo…”
Mi disse mentre metteva a riscaldare il bollitore. 
Nel tono sorpresa e forse, sollievo?
“Già, in realtà stavo per andare in camera mia… ma quel letto non sembrava più così accogliente dopo ieri.”
Mi avvicinai lentamente a lei mentre lo dicevo per poi circondarle le spalle con le braccia. Strofinai piano il naso nei suoi capelli, all’altezza della nuca. 
“Mi sei mancata, dottoressa.”
Le sue mani cinsero i miei polsi e fece aderire di più il suo corpo al mio, sospirando. 
“Mi sei mancato anche tu.”
Si voltò, strusciando i suoi vestiti contro ai miei e i suoi occhi nocciola mi penetrarono. Le sue dita minute viaggiarono delicate tra i miei capelli. 
“Ah,” che fantastica sensazione. Lascia cadere la testa all’indietro per godermi appieno quelle carezze e un istante dopo le sue labbra lambirono il mio collo, soffermandosi sul pomo d’adamo. Deglutii a fatica per l’eccitazione e tutti i miei sensi, in allerta e pronti a catturare il più piccolo brivido, mi lasciarono disarmato. 
“Oh, piccola…” 
Quella dolce e tenera ragazza mi aveva stregato. Decisamente. 
E sentivo che senza di lei niente avrebbe più avuto un senso. 

Salve, salve...
Sono risorta dalle mie ceneri. Ebbene si.
Noto con dispiacere che nel sito girano le balle di fieno e i lupi ululano. O forse solo nella mia storia è così... Sarà anche che siamo in periodo di ferie...
Ma va bene uguale. Non mi piace elemosinare recensioni. Però mi piacerebbe sapere se questa storia vi piace o no...per avere anche uno stimolo in più a mettermi a scrivere. (è vero..che a voi piaccia o no io continuerei comunque a scrivere, però qualche parere fa sempre piacere... :) ) 
Ok, la smetto di rompere. Va bene, mi avete convinta. 
Questo è un capitolo un pò tappa buchi. Ho un po di casini personali che mi hanno spento un pò il cervello e l'ispirazione è andata un pò a farsi benedire. Spero caldamente che torni presto da queste parti perchè scrivere è la cosa che più mi da gioia e mi aiuta a svagare un pò la mente. 
Forse dovrei piantarla di tediarvi con le mie filippiche! :D
Spero comunque che il capitolo via sia piaciuto... e spero di riuscire ad aggiornare più spesso. Ispirazione perduta, permettendo. 
Un abbraccio a tutti e grazie come al solito a chi segue, recensisce, ricorda o preferisce. E anche a chi legge in silenzio. :)
A presto!

F.E.

 

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Capitolo 21
*** Previously... ***


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Ian Pov.
 
Era notte fonda quando aprii gli occhi. Tastai il letto in cerca di Roxie ma lei non c’era. Dallo spiffero sotto la porta proveniva un lieve bagliore.
Guardai l’ora sul telefonino. Le cinque. 
Mi alzai ed in punta di piedi, sgattaiolai fuori dalla stanza.
Una Roxie totalmente assorbita se ne stava sul divano davanti al portatile, coperta da un plaid rosso e con in mano una tazza fumante. 
“Come mai già in piedi?” le chiesi, circondandola con le braccia. Si fece stringere poi con un gesto del dito fece partire qualcosa sullo schermo. 
“Previously on The vampire Diaries…”
Scoppiai in una fragorosa risata.
“Non ci posso credere!!! Dove….”
Senza neanche guardarmi, rispose: 
“Candice. – mi disse, orgogliosa - Mi ha gentilmente mandato i link per lo streaming.”
Lo disse a voce bassa. 
“Ti confesso che fino a poco fa non sapevo neanche cosa fosse lo streaming…” continuò.
Andai in cucina e mi versai del the, per poi stendermi dietro a lei e prenderla fra le braccia.
“Dove sei arrivata?” 
“Ah… devo vedere la seconda puntata. Per il momento Stefan ha incontrato Elena e Damon è tornato in città.”
Mi guardò, spostando la testa all’indietro. 
“Damon e Stefan non si vogliono tanto bene, vero?”
“E non hai ancora visto niente…” gli regalai la tipica espressione alla Damon e lei rise. 
Guardammo l’episodio in silenzio per qualche minuto. Tendevo a trovarmi sempre un po’ strano, quando mi rivedevo recitare e quel silenzio mi metteva un po’ a disagio. 
“Come mai hai voluto…”
“In realtà si è offerta Candice. Devi averle spifferato che non sapevo niente della tua professione. Comunque mi sembrava giusto sapere qualcosa di più sul tuo lavoro. Dopotutto tu sai molto di me...e io così poco."
Le sorrisi. “Beh, in realtà l’ho spifferato a Paul. E se vuoi sapere qualcosa in più su di me vai pure  in quella gabbia di matti! E' difficile riuscire a tenere un segreto per più di un minuto…”
Le scene si susseguivano. 
“Quindi immagino che sappiano già tutto di noi…”
Mi chiese d'un tratto.
Era una domanda o un affermazione?
“Tendo a tenere i particolari piccanti per me, se è questo che intendi…”
“Anche con Paul?” mi chiese, continuando a seguire il telefilm.
“E’ il mio migliore amico, Rox. Ma tra maschi non funziona proprio così. Poi anche Paul è un tipo piuttosto riservato su certe cose, per cui…”
La strinsi di più a me. 
“E poi non mi va che qualche altro uomo, immagini la MIA donna mentre fa l’amore.”
 
Roxie Pov
 
Un lungo brivido mi percosse quando Ian pronunciò quella frase. 
...la MIA donna…
Nessuno, prima di allora, aveva proclamato proprietà su di me così accoratamente.
Il modo in cui aveva marcato la voce sull’aggettivo possessivo, mi fece esplodere il cuore. 
Cercai di darmi un contegno per non apparire la sentimentale che, tutto sommato, ero.
“Comunque anche io non ho rivelato niente di succulento ad Anne… - feci una pausa al pensiero di come avrebbe reagito lei – anche se penso sarà difficile tenerla fuori ancora a lungo.”
Tremai al pensiero del terzo grado che mi avrebbe fatto, non appena ci fosse stata occasione.
“E’ determinata?” mi chiese, sorridendo con me. 
“Oh, non immagini quanto! A proposito di questo, oggi pomeriggio dovrai accompagnarmi in un posto…”
“Dove?”
“Sorpresa…”
Poi una curiosità mi punzecchiò la mente.
“Sei stato con tante donne? - gli chiesi a bruciapelo. Ricordai la pazzoide del giorno prima – beh, eccetto Megan…”
Lo sentii irrigidirsi un attimo.
“Qualcuna.” Criptico. 
“Qualcuna tipo sulla decina? Oppure qualcuna tipo cinquanta o più?…”
“Ehy… no! Ma per chi mi hai preso?” 
Sembrava indignato ma rideva e mi strinse le mani sui fianchi, facendomi il solletico.
“Eh, che ne so io? Sei un attore… sei bellissimo, pieno di charme.”
Senza volerlo, nello scherzo, stavo dando fondo ai miei pensieri.
“Sai come far sentire amata una donna…per cui…”
Si ammorbidì sotto quelle parole. Lo percepivo. 
“Ho avuto due storie serie e sono uscito con altre sette ragazze per brevi periodi… contenta?”
“Mmm, pensavo peggio.”
Solo in quel momento mi resi conto che la mia domanda poteva trasformarsi in un arma a doppio taglio. E infatti…
“E tu?”
“Oh. Niente che si possa ritenere minimamente interessante.”
Tagliai corto. 
“Eh no, Dottoressa. Io mi sono sbottonato…” disse, portando la voce ad un sussurro.
“Ora tocca a te…” mi redarguì iniziando a slacciare i primi bottoni della sua camicia che in quel momento indossavo io. 
Di certo avrei preferito che continuasse a spogliarmi e che facesse l’amore con me. Ma dalla lentezza con cui procedeva, ero certa che non sarebbe andato oltre il quarto bottone se non avessi cantato. 
Sbuffai. “Ok… solo due ragazzi impor… - mi bloccai – due storie.” Feci una pausa. Dovevo finire il mio compito. “Il secondo mi ha mollata sull’altare…”
Non immaginavo che dirlo ad alta voce mi avrebbe lasciata indifferente.
Qualche tempo fa per una cosa del genere sarei finita dritta dritta dal dottor Fulton. 
Adesso sentivo che quel peso mostruoso che mi portavo appresso, era sparito. 
“Mi dispiace…” mi sussurrò all’orecchio. Un po’ troppo sussurrato e un po’ troppo ‘nell’orecchio’. “…ma toccherà ringraziarlo quell’idiota…”
Mi fece tremare. Mi voltò su di se e fece ancora l’amore con me. 
 
*************
 
Angolo dell'autrice

Buonasera care/i....
Avete visto?? Non ho lasciato trascorrere un mese prima di pubblicare il nuovo capitolo!
L'ispirazione non è ai massimi storici ricordati ma qualcosina sta riaffiorando, per fortuna!
In questo capitolo hanno parlato brevemente del loro passato amoroso e Roxie diciamo che si sta addentrando in quello che fa il nostro Ian per campare. :D
Probabilmente scopriremo a breve cosa ne pensa al riguardo.... o forse no! :D ahahahhaha 
Ringrazio sempre chi legge/segue/preferisce/ricorda e quelle anime pie che di tanto in tanto recensiscono! :)
Un bacione...a presto!!! :)

p.s. mi son resa conto che ho scritto più emoticon che parole... -.- (evvai...)

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Capitolo 22
*** Pieces of heart ***


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Roxie Pov.
 
Per non aver avuto un uomo in casa da parecchio tempo, mi stavo abituato troppo velocemente ad avere Ian ciondolante tra le mie mura domestiche. 
Mi plasmavo magnificamente su di lui, con lui. In lui.
Mi perdevo tra quelle braccia, desiderosa quasi di non fare ritorno.
Era rassicurante la sua presenza. Eccitante e lenitiva al tempo stesso. 
La solitudine gioca brutti scherzi, alle volte. La cosa più assurda era che sapevo perfettamente che avrei potuto scottarmi ma non riuscivo, non potevo e non desideravo stare in guardia. Più mi abbandonavo e più sentivo il bisogno e l’istinto di abbandonarmi maggiormente.
“A cosa sta pensando quella tua testolina malata?”
Vedevo la sua chioma nera e spettinata, spuntare dall’anta del frigorifero.
I calzoni di una vecchia tuta di mio padre gli stavano alla perfezione. 
Prese la frutta e si voltò verso di me, sorridente, con quei pettorali e quegli addominali che avevo imparato a conoscere così bene, in bella vista. 
Avevo ancora voglia di lui. 
“A niente di particolare…” gli risposi, tornando padrona di me stessa. Più o meno.
Prese due mele e dopo averle lavate me ne lanciò una, prendendo un morso dall’altra. 
“Ah-ah – mi redarguì, scuotendo la testa – non me la bevo… forza!”
Gli sorrisi, certa che niente e nessuno lo avrebbe distolto dalla sua curiosità.
“Mi piace vederti girare tra le mie cose. Mi da sicurezza…”
Sorrise in risposta. Forse si aspettava qualcosa di più ma si accontentò. 
Si avvicinò e mi prese il mento tra l’indice e il pollice, guardandomi negli occhi intensamente. Come se dovesse essere l’ultima volta. 
“E a me piace starti intorno, dottoressa.” Assaggiò piano le mie labbra con le sue. Arrendevole come sempre gli permisi di approfondire. Sapeva di mela, del mio dentifricio e di bagnoschiuma al borotalco. E poi sapeva di uomo. Sapeva di casa. Sapeva di amore. 
Oh diamine, Rox! Smettila di essere così smielata!
“Sarà meglio sbrigarsi. Anche oggi la giornata è piena…” riuscii a dire, staccandomi da lui con non so quale forza di volontà. 
In sua presenza diventavo qualcosa più simile ad un mollusco che ad un essere umano con capacità di intendere e volere. Ero felice di sapere che in qualche modo riuscivo ancora a prendere qualche decisione razionale. 
Ci fermammo da Buck’s lungo la strada per l’ospedale e una volta lì, ci salutammo. Lui doveva andare da Ariel e poi raggiungere gli altri per portare avanti il lavoro, io ero di turno in pronto soccorso. 
“Ci vediamo più tardi, dottoressa.” Mi disse, baciandomi a fior di labbra.
“Ok.. – gli dissi, rispondendo al bacio, fuggevolmente – meglio non mettere troppa carne al fuoco. La regina delle pettegole è di turno stamattina!” 
Con uno sguardo eloquente, lo indirizzai alle mie spalle dove una gongolante Jill se ne stava in adorazione. Ma lui avvicinò ancora di più il viso al mio e mi baciò. Intensamente. 
“Diamogli qualche soddisfazione, ogni tanto!” 
“Sicuramente starà avendo un infarto.” Mi sentivo una ragazzina. Leggera e spensierata. Innamorata. Oddio. Non poteva essere! Risi dei miei pensieri assurdi e salutai di nuovo Ian, voltandomi. 
“E non scordarti che oggi pomeriggio abbiamo un impegno.”
Si avvicinò un dito alla tempia e sorrise. Un sorriso caldo, genuino, ricco e devastante.
“Memoria a prova di hacker!”
Camminai verso lo studio di Richardson con le gambe ancora molli come budino e un sorriso beota stampato in volto. Come al solito infilai la busta nella porta.
“Buongiorno Roxie!”
Appena mi vide il suo sorriso si allargò. Gli divideva il viso in due.
“Che c’è da sorridere in quel modo vergognoso?”
“No, tu che hai da sorridere in quel modo vergognoso?”
Era bravo a rigirare la frittata. Ma ero quasi certa che sapesse il motivo del mio buonumore.
“Io sorrido, capo! Sempre!” 
“I sorrisi veri sono quelli che prendono anche gli occhi. I tuoi si illuminavano solo con i bambini. – fece una delle sue pausa ad effetto – fino ad oggi.”
“Non hai ancora mangiato i donut e il cappuccino si fredderà. Forza, mangia!”
Avevo voglia di abbracciarlo. Ne sentivo il bisogno. Sapevo che la mia giornata, così, sarebbe stata completa. 
Senza che avessi neanche il tempo di formulare il pensiero lui si alzò e venne verso di me e mi abbracciò. 
“Sono solo felice di vederti felice.” Fu l’unica cosa che disse. 
E d’un tratto mi sembrò di essere ancora tra le braccia del mio papà.
 
Anne Pov
 
Ero un po’ nervosa. 
Lo dovevo ammettere. 
Non avevo mai visto o sentito la mia amica così presa da qualcuno. 
Nemmeno da l’”innominabile” Nicholas Percy. 
Sapevo già che se questo fusto mi avesse fatto una brutta impressione, avrei finito col rovinare tutto prima ancora di iniziare a provare gli abiti. 
Era la mia unica vera amica. La mia sorellina. La persona alla quale tenessi di più al mondo. Non avrei mai permesso che potesse stare ancora male. Non per un uomo. 
Stavo ancora aspettando di fronte all’ingresso dell’atelier quando il telefono prese a squillare.
“Pronto?”
“Pronto, Anne?”
La bile minacciava di tracimare. Ancora lui???
“Ti ho detto di non chiamare più e di lasciarci in pace!”
“No..ti prego. Non riagganciare! Ho bisogno di parlarti…”
“No, invece. Lasciaci in pace. Evapora o mando qualcuno degli amici di Peter a trovarti!”
Spensi il telefono e lo buttai in borsa in preda ad un attacco nevrastenico. 
Avrei dovuto darmi una calmata prima che fosse arrivata Roxie o sarebbero stati guai.
In quel momento un suv nero parcheggiò dall’altra parte della strada, di fronte a me. 
Dal lato passeggero vidi spuntare la chioma rossa della mia amica. Poco dopo la porta del guidatore si aprì e un ragazzo moro, in jeans, maglietta bianca, giacca di pelle marrone e un cappello nero calcato in testa, scese e aspettò Roxie. La prese per mano e attraversarono la strada insieme, diretti verso di me.
Lei mi salutò con la mano, sorridendo come forse non l’avevo mai vista fare. 
Lui. Lui era. Notevole, avrei osato dire. 
Lui era. Ian Somerhalder!!!
Trattenni un gridolino da teenager. Dovevo contenermi o Roxie mi avrebbe uccisa a forza di spilli negli occhi. 
Ma non potevo credere che la mia amica stesse uscendo con uno degli attori emergenti più belli da Honolulu a Brisbane! 
Cioè. Perché non potevo crederci? In fondo Roxanne era davvero un bel bocconcino ma…
Di colpo mi svegliai tra le braccia della mia amica mentre Ian ci guardava sorridente. Forse un po’ imbarazzato. Probabilmente lei lo aveva preparato mentalmente a me. Risi all’idea. 
“Ciao, io sono Anne…”
Lui mi porse una mano affusolata e curata. Dio come amo le celebrità!!!
“Si, ho sentito parlare di te… - rispose inarcando un sopracciglio con espressione divertita – io sono Ian. Piacere…”
“Dai, entriamo..” li invitai, prendendo sottobraccio la mia amica e guardandola con gli occhi sgranati.
Ian ci seguiva ad un paio di passi.
“Quando avevi intenzione di dirmi che frequenti una star della tv???”
 
***************
 
Angolo dell'autrice

Buon pomeriggio popolo di EFP!

in questo capitolo vengono un pò a galla i sentimenti che legano Roxie al suo papà "ad interim", come si dice.
Tutto sommato una vera famiglia di sangue lei non l'ha più e nella sua vita, tutti gli affetti, sono parte di qualcosa che va al di la del sangue e a volta si possono rivelare anche più forti. 
Inoltre c'è l'ingresso del POV di Anne, la migliore amica di Roxanne. La nostra ragazza tutto pepe sta combinando qualcosa di strano anche se poi i suoi propositi sono tutti in buona fede. Vedremo poi più avanti questa cosa.
E tada....lei conosce Ian, di fama ovviamente.
Fa la giornalista quindi non è particolarmente ferrata sullo show ma la bellezza del nostro Smolder di certo non l'è passata inosservata. 
Vedremo poi anche in questo caso, cosa succederà! ^^
Intanto ringrazio come di consueto chi legge in silenzio, chi recensisce, chi segue/preferisce o ricorda la mia storia e vi do appuntamento al prossimo capitolo. 


xoxo

 

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Capitolo 23
*** *I Love You* ***


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Roxie Pov
 
Era stata una bella idea portare Ian qui? Cominciavo a pensare di no.
Sarebbe stata in grado, Anne, di trattenere la sua esuberanza? A giudicare da come mi insultava mentalmente, cominciai a temere per il peggio. 
“Smettila di rompere – le sorrisi bonariamente – o sceglierò l’abito più brutto dell’atelier, color verde rancido e con un grosso fiocco sulla gonna di pizzo!”
Storse la bocca in segno di disgusto, al pensiero di una damigella vestita in quel modo. 
“Ok… ma poi mi dovrai raccontare tutto! – alzò il sopracciglio con espressione eloquente – anche i dettagli più scabrosi!” 
Ian continuava ad essere il gentiluomo di sempre. Stava a tre passi dietro di noi, per permetterci di parlare ma mi resi conto che la mia mano sentiva terribilmente la mancanza della sua, così rallentai permettendogli di raggiungerci. 
“Come sta tua nipote, Ian?”
Ecco. La Regina dell’invadenza!
Le schioccai una gomitata nelle costole che incassò senza colpo ferire. 
“Sta molto, molto meglio grazie a Rox.” Rispose lui, con tranquillità. Tra qualche giorno potrà tornare a Covington. 
“La nostra Roxanne è davvero grande!” 
“Decisamente. Anne. Lo è…” 
“La volete finire di parlare come se io non fossi presente?!”
Spintonai entrambi che mi stavano ai lati e quando fummo alla reception, li lasciai dietro di me. 
“Buongiorno, sono la signorina Findle. Ho un appuntamento per l’abito da damigella del matrimonio Knight-Todds.”
La bionda al bancone, dal volto piccolino e tondo, con due labbra a forma di cuore, mi sorrise affabile per poi radiografare l’uomo accanto a me. 
“Certamente, - cinguettò – vi chiamo subito Janice, la vostra assistente.” 
Digitò dei tasti davanti a se e parlò nella cuffietta nera che aveva in testa, continuando a scrutare Ian tra l’imbarazzato e l’affamato. 
Dovrei smetterla di pensare che ogni donna che lo vede vorrebbe portarselo a letto!
Che diamine andavo blaterando?? Ovviamente era così! 
Involontariamente (o piuttosto, volontariamente), strinsi di più la mano del mio uomo. 
E’ mio! 
Con la coda dell’occhio, vidi Ian sorridere impercettibilmente per poi stringere più forte le mie dita tra le sue. Si, era mio!
In un batter d’occhio una donna alta, snella e dall’aspetto curatissimo fu al nostro fianco. 
“Anne, che piacere rivederti! Finalmente sei riuscita a trovare un attimo per noi…”
Disse, stringendo con calore la mia amica. 
“Jan, guarda è stato un inferno!” 
“Immagino, cara…” 
Dopo i primi convenevoli di rito, finalmente (o per malasorte) fummo nel salone di prova.
Anne e Janice chiacchieravano amabilmente dei preparativi per le nozze mentre la seconda sfiorava diligentemente dei vestiti appesi ad uno stand. 
“..mi sono permessa di tenerti da parte i capi più belli della collezione Jessica McClintock..”
Tirai un respiro e pensai che lo stavo facendo per Anne, la mia migliore amica. La mia unica vera amica.
Quando indossai il primo abito che Janice propose, uno dei più belli che abbia mai visto in vita mia, mi sentii a mio agio e soprattutto, bellissima. Mi guardavo nello specchio e per un attimo la Roxanne che conoscevo sparì. 
C’era solo una dea in taffettà rosa antico con una gonnia ampia e morbida a balze e una fascia in vita alta e dello stesso nocciola dei miei occhi. La donna alta ed elegante accanto a me, con maestria, cavò fuori dalla tasca delle forcine e raccolse in men che non si dica i miei capelli in una crocchia, lasciando che alcune ciocche mi ricadessero sul viso. 
Ero splendida. 
“Credo che non ci sia bisogno di provare gli altri, Janice.” Disse Anne, indovinando immediatamente i miei pensieri. 
Mi voltai e le sorrisi. Volevo uscire da quel camerino e scoprire cosa ne avrebbe pensato Ian. 
 
Ian pov.
 
Presi posto su un divanetto, guardandomi intorno. 
In quel luogo c’era tutto ciò che una donna poteva desiderare. Sicuramente qualcosa in più.
Un sogno. 
Per un istante mi chiesi se una ragazza come Roxanne desiderasse sposarsi. 
Mi domandai come lo sognasse. 
Stupide domande da farsi in un posto come quello e soprattutto Ian, la conosci praticamente dall’altro ieri!
Lei, Anne e l’assistente erano scomparse dietro ad una porta. La mia Roxanne avrebbe fatto il manichino oggi. L’idea mi divertì per un momento ma se la conoscevo bene, lei non era affatto felice. Lo stava facendo per la sua amica, quello era sicuro!
D’un tratto la porta si aprì e comparve Anne che mi guardò con gli occhi luminosi. Sicuramente si aspettava da me qualche commento sui modelli. 
Sorrisi ripensando a Richard Gere e Julia Roberts in giro per Beverly Hills a fare shopping.
“Ian, questo è il primo…”
Subito dopo uscì lei. Rox… Era… Assolutamente…
“Ian? Ian!? Che ne pensi?”
Aveva i capelli mossi e rossi raccolti sulla testa con delle ciocche che le ricadevano sulla pelle candida del volto. Indossava un abito rosa antico di una qualche stoffa morbida e liscia. Non aveva spalline ma una dolcissima scollatura a cuore che le lasciava libera spalle e collo. Invitante. Disarmante. 
In vita aveva una fascia alta dello stesso colore dei suoi occhi che in quel momento mi accarezzavano, in attesa.
“… sei… davvero. Davvero meravigliosa…”
In quel momento stavo conoscendo di più la mia donna. E la stavo amando. 
Mentre Anne e l’assistente davano l’ultima sistemata alla gonna vaporosa, Roxie mi guardò intensamente. I suoi occhi erano lucidi ed estremamente affascinanti. 
E mentre mi perdevo in essi, muovendo solo le labbra, mi lasciai sfuggire le due parole di cui solo in quel momento riuscivo a comprendere il vero significato: 
“Ti amo.”

Angolo dell'autrice, cattiva, ritardataria ed imperdonabile! XD

Ok, probabilmente mi odiate a morte. :3 Ma io vi voglio bene lo stesso. 
Torno dopo quasi un mese perchè qui su EFP la gente era tutta in ferie e onestamente mi scocciava farmi passare per la sfigatella di turno che se ne resta a casa davanti al pc. :D (Anche se in effetti è così... -.-")
Ed ora rieccomi qui. Questo capitolo è nato sfortunato. Me lo immaginavo migliore e più ricco ma, purtroppo, è capitato in un momento in cui la mia ispirazione sembra avermi abbandonata o quasi! 
Però devo dire che il vestito che si prova Roxie, mi garba assai! Stavo pensando di dimagrire tanto da potermelo permette l'anno prossimo quando si sposerà mio fratello! :333 shi shi...Ok, non ve ne frega niente degli affari miei! Lo so. 
Beh, cosa ne pensate?! Secondo me Ian è proprio cotto marcio! <3
Si, perchè Roxie invece no! ahahahahaah 
Come si fa a non amare Ian...vorrei proprio saperlo!
Ok... onestamente non so più che dire..spero solo che siate ancora li a leggere. 
Ovviamente grazie a tutti coloro che in qualche modo mi fanno arrivare il loro sostegno tramite recensioni, click su seguite/preferite/ricordate e anche a chi mi supporta solo leggendo.

Un abbraccio.

 

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Capitolo 24
*** Manuela ***


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Roxie Pov
 
E quando credevo che il peggio fosse passato, Anne tornava ad essere… semplicemente Anne.
“Ian, senti. Ci ho pensato a lungo… - storsi il naso a sentire quel a lungo – e mi sono chiesta: perché non accompagni la nostra Roxie al mio matrimonio?”
Da dietro le spalle del mio ragazzo, le mie espressioni e, più di tutto, i miei gesti eloquenti, avrebbero dovuto farla tacere, desistere. Zittire. Invece proseguì per la sua strada. 
“Sarebbe davvero fantastico averti con noi in quel giorno così speciale! Sai, io e lei siamo come sorelle…”
Ian non rispose. Sospirò e subito dopo si voltò verso di me, con una palese richiesta di soccorso dipinta in volto. 
“Beh… io… - stava prendendo tempo – Mi farebbe molto piacere ma non so se Roxie…”
“Ohh – Anne prese Ian da un braccio e lo trascinò dall’altra parte del salone dove, su delle grucce, erano appesi quelli che solo in quel momento notai essere abiti maschili da cerimonia – non ti preoccupare di lei. Sarà sicuramente felice di averti con se…” 
Adoravo Anne. Veramente. 
Era come se fosse una parte vitale di me. Sarei morta senza. 
Ma in quel momento avrei voluto strozzarla a mani nude per poi operarle un’autopsia cerebrale e assicurarmi che avesse realmente un cervello dentro quella scatola cranica tonda e dura come marmo!
“Anne…” richiamai la sua attenzione ma quando partiva per la tangente era come se diventasse d’un colpo sorda e cieca nei confronti di qualsiasi cosa che non fosse l’oggetto delle sue mire. “Io. Sono. Ancora. QUI!”
Probabilmente la mia voce, solitamente flebile, cadenzata e tranquilla, aveva assunto un suono inumano e pericolosamente basso perché entrambi si voltarono a guardarmi, attoniti. 
Ma Anne non si faceva intimidire facilmente. Probabilmente avrebbe sfidato anche il dottor Banner durante una crisi di nervi!
“Lo so, cara, che sei ancora qui. Ma tu il tuo vestito l’hai trovato. Ora è il caso che pensiamo al tuo cavalier servente.”
NO! Ditemi che non l’ha detto davvero?!
“Chi ti dice che Ian voglia venire al matrimonio? Non gli hai dato modo di parlare. E lì aggrappato al tuo braccio, annichilito e senza aria. E’ cortese, ecco tutto. E’ un signore e non ha cuore di dirti di no. Ma magari sarà impegnato quel giorno e tu lo stai riempiendo di chiacchiere inutili……” 
Non ero certa del perché mi sentissi così furibonda ma il sangue ribolliva come mosto nelle vene. Me ne sarei andata in quel preciso momento, girando i tacchi con sobrietà, se solo Ian non fosse stato ancora a braccetto della mia migliore amica, stordito e inerme di fronte al mio inusuale comportamento. 
Anne, dopo essere un po’ rabbuiata, mi sorrise dolcemente. 
Conoscevo quello sguardo. Lei, in certe situazioni, era sempre più avanti di me almeno di una spanna. Sapeva di me cose che probabilmente anche io ignoravo ed in quel momento fui certa che la sua testolina aveva già trovato risposta alle mie domande inespresse. Mi sarebbe bastato solo calmarmi un secondo e tutto si sarebbe risolto con una risata. 
“Scusatemi… Sono solo un po’ tesa in questi giorni…” 
Mi accasciai su un largo pouf di belle bianca, così liscio e morbido da tranquillizzarmi all’istante. Ian si avvicinò a me e le sue labbra si incurvarono in un sorriso rassicurante. Mi porse un bicchier d’acqua. 
“Ecco il cavalier servente che corre in tuo aiuto, tesoro.”
Sorrisi appena, in risposta, chinando il capo imbarazzata. Aveva appena visto una me che raramente esibivo. Non perché mi vergognassi ma arrabbiarmi od indispormi, mi aveva sempre spossata da morire. Avevo sempre preferito utilizzare le mie energie per altro. Un sorriso ai miei soldatini in ospedale. Grande concentrazione durante un intervento piuttosto impegnativo. Un abbraccio caldo e morbido al mio capo. Tutte cose che mi stancavano meno e mi rendevano felice il triplo. Felice. Estremamente felice. 
“Va meglio?” mi chiesero entrambi dopo che mi fui calmata. 
“Scusami, Anne…” La mano della mia amica mi massaggiava la schiena mentre Ian stava riportando il bicchiere non so dove. 
“Non pensarci neanche, tesoro. So che a volte divento insopportabilmente petulante e cocciuta!” Mi diede un buffetto su una guancia. 
“L’innominabile non sarà nominato, appunto. Ma non immaginavo che invitare un altro uomo al mio matrimonio ti avrebbe fatto questo effetto…”
Eccolo il punto! 
Perché a lei era stato chiaro fin da subito mentre io, quella che ci era passata e aveva sofferto come un cane le pene dell’inferno, continuava a porsi domande?
Mestamente, abbassai il capo.
“Neppure io potevo immaginarlo, ad essere onesta.” 
Mi abbracciò per un momento e sospirò. 
“Forse neanche gli interessa venire al mio matrimonio!” mi assecondò. “Vuoi che Ian SomerHOTTER abbia tempo per un matrimonio di provincia?”
Riuscì a strapparmi un risolino, come al solito, all’udire quello nomignolo. 
“Si, in effetti, SomerHotter ce l’avrebbe…” 
Nessuna delle due si era resa conto della sua presenza. 
Chissà cosa aveva sentito? E cosa aveva intuito da ciò che aveva udito?
Di sicuro non era un tipo invadente ma, probabilmente, sarebbe stato curioso di sapere e prima o poi mi avrebbe chiesto qualcosa. 
Avrei dovuto dirgli che il mio ex-idiota-infame-e-traditore-quasi-marito sarebbe stato al matrimonio insieme alla donna con la quale mi aveva resa cornuta (per utilizzare un espressione colorita degna di Anne), nei panni del testimone dello sposo, perché lui e il futuro marito della mia migliore amica erano cugini e amici dalla culla?
Il pensiero corse velocemente al giorno prima. A Megan. A come mi ero sentita nel momento in cui capii che Ian non era stato del tutto onesto con me.
Certo Nic…”L’innominabile” non era un mio ex ancora cotto di me e che avrebbe venduto sua madre per riavermi, ma di sicuro il clima quel giorno non sarebbe stato dei migliori e qualcosa sarebbe potuto comunque saltare all’occhio.  
Avrei dovuto vuotare il sacco quanto prima. Pensai. Almeno lo avrei preparato al peggio.
“Bene!!!” cinguettò Anne, tornando in modalità “sposa-nevrotica”. “Vieni, Janice ci farà vedere dei completi davvero stupendi!” 
Ian le sorrise, benevolo. Doveva amarmi davvero alla follia se riusciva a sorriderle in quel modo, sembrando davvero sincero. 
“Anne, tranquilla. Non c’è bisogno. Sono certo che troverò un abito adatto da mettere.” Poi si voltò verso di me. Il suo sguardo luminoso mi accarezzò come poco prima, mentre indossavo l’abito meraviglioso che avevo scelto. 
“Cercherò di essere all’altezza della tua bellezza.” 
In quel momento tutti i pensieri tristi e le ombre funeste sparirono. 
“Sono certa che sarò io a sfigurare accanto a te.” Risposi, alzandomi e andandogli incontro. 
Probabilmente in quel momento avrò avuto la glicemia a settecento per quanto mi sentivo schifosamente, vergognosamente, indecentemente romantica e innamorata ma poco m’importava. Quando però poggiai lo sguardo su Anne che ci guardava quasi inorridita da tanto miele, scoppiai a ridere. 
“C***o, mi sembrate due star delle telenovela argentine!”
 
Angolo dell’autrice, innamorata di Ian SomerHotter <3
 
Ok, ok. Non guardatemi così!
Già vi vedo con gli occhi sgranati per la sorpresa!
Cosa ci fa già qui, FairLady, con un nuovo capitolo???
Non fatevi venire una crisi isterica... ahahahaha ... e non abituatevi! :-p non è detto che sarà sempre così da ora in poi ;-)
Ecco la seconda parte del capitolo ‘Atelier’. Di solito penso ad un capitolo nella mia testa e quando lo scrivo non c’entra una beata fava con quello che avevo in mente. Stavolta ho vinto io. Il capitolo è uscito praticamente come lo avevo ideato! *_*
So Proud Of Me! ahahhahahaha
Spero vi sia piaciuto, soprattutto questo lato un pò nevrotico di Roxie che di solito sembra la fatina di Cenerentola, solo un po'; meno sbadata. xD
E avete scoperto un nuovo risvolto della storia..... l’ex famigerato della nostra dottoressa è, popodimenoche, il migliore amico del fidanzato di Anne!!! Cosa ne pensate?!??!
Ora vi lascio.... ovviamente ringrazio sempre chi recensisce, segue, preferisce o semplicemente legge questa storia!
Grazie.... un abbraccio....
N.B. Il titolo del capitolo è riferito ad una telenovela argentina nota forse ai meno qui su EFP, che andava molto in auge negli anni 90. :-)

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Capitolo 25
*** Shadows ***


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Roxie pov
 
Prima di andare a casa, ci fermammo in ospedale a vedere come procedevano i lavori. I ragazzi avevano lasciato il posto agli operai che stavano terminando l’impianto elettrico e le rifiniture. Grazie all’estremo impegno di tutti la ristrutturazione avrebbe richiesto al massimo un’altra settimana. Per metà dicembre avremmo potuto inaugurare l’area e questo mi riempiva il cuore di gioia. 
“Dove sono andati i tuoi amici?”
Chiesi ad Ian mentre, in auto, percorrevamo la Main Street diretti a casa. 
Era stranamente silenzioso e seppur continuassi a fingere di non saperne il perché, il dubbio che centrasse qualcosa l’accaduto all’atelier continuava a punzecchiarmi ed era mia intenzione affrontare l’argomento non appena fossimo stati più tranquilli. 
“Sono tornati all’hotel, domani devono partire per Atlanta.”
I miei occhi saettarono su di lui in un istante. Probabilmente era giunto anche per noi il momento dei saluti. Quanto ancora avrebbe potuto disertare il lavoro?
Ian fermò l’auto di fronte al Grand Hotel dove gli altri alloggiavano.
“Cosa ci facciamo qui?” gli chiesi, ancora un po’ scossa dalla mia recentissima illuminazione. Ian sarebbe partito. 
Ma come sempre lui riusciva a stupirmi e, accarezzandomi una guancia, mi sorrise.
“Si, tra qualche giorno devo tornare anche io. Al più tardi giovedì.” Mi confermò. “ma devi stare tranquilla. Non penso riuscirai a liberarti di me così facilmente.”
I suoi occhi cerulei mi scrutarono, in attesa di una mia qualche reazione. Di fronte a quello sguardo sincero e cristallino avrei potuto dubitare delle sue parole? 
Neanche volendo. 
Risposi mestamente al suo sorriso. Gli credevo, con tutta me stessa. Ma la tristezza sgomitava per abbattermi e a lui, come sempre, non sfuggì la mia espressione cupa. 
“Sono certo che te la caverai benissimo senza di me per qualche giorno.” 
Come potevano le sue carezze riuscire a rischiarare in un istante i miei pensieri tetri?
Forse non lo avrei mai scoperto ma era perfetto così.
“Spero che riusciate a presenziare all’inaugurazione della Happiness Room”…”
soffiai, combattendo contro le lacrime che minacciavano di straripare. 
Non devi piangere. Non devi piangere. Mi ripetei, come un mantra. 
“Non mancheremmo per nessuna ragione al mondo…” confermò, facendo brillare i suoi occhi celesti di autentico entusiasmo.
In quel momento mi resi conto che il discorso in sospeso sopra le nostre teste, mi stava pesando addosso come un macigno. 
“Senti, Ian. Per quanto riguarda quello che è accaduto all’atelier…”
Il suo viso si abbassò sul mio e il suo sorriso sghembo fece capolino, azzerandomi i battiti come solo lui era in grado di fare. Poi il cuore prese a battere forsennato.
“Shhh… - sussurrò sulle mie labbra, prima di lambirle con le proprie e regalarmi l’ennesimo momento magico – me lo dirai dopo.”
La magia fu interrotta da qualcuno che bussava sul vetro. 
Mi scostai e guardai fuori. Paul sorrideva beota e continuava a picchiare con le nocche sul vetro. 
“Piccioncini! Faremo tardi a cena!!!”
Guardai Ian di sbieco. “Quando avevi intenzione di dirmi che stasera saremo andati fuori?” gli chiedo, fintamente contrariata.
Lui guardingo ma con lo sguardo divertito fece spallucce. “Te lo sto dicendo adesso?”
L’ombra del discorso non ancora affrontato era sempre su di noi, alleggerita da questo inaspettato fuori programma. Sapevo che prima o poi avrei dovuto fare i conti con i miei fantasmi e sperai caldamente che Ian mi avrebbe aiutata ad affrontarli e sconfiggerli, per sempre. 
 
Candice pov
 
Guardavo Ian da un po’. Sedeva rilassato al tavolo, accanto a Roxanne. 
Gli volevo un gran bene. Gliene volevo proprio tanto e vederlo così spensierato e dolce accanto ad una donna, vederlo se stesso per la prima volta, mi riempiva il cuore di gioia. 
Non lo conoscevo da tanto, dopotutto. Ma tra quelle poche ragazze che avevo avuto l’onore (o la sfortuna) di incontrare nessuna era riuscita mai a colpirmi come lei. Forse era l’estrema diversità che li caratterizzava a renderli così perfetti l’una per l’altro. 
Le altre erano modelle o attrici in erba, pronte a tutte per un po’ di pubblicità e quando la carriera di Ian fu all’inizio della sua ascesa, buono e dolce com’è sempre stato, era facile intortarlo e portarselo a casa. 
Con Roxanne non è stato così. Lei non sapeva chi fosse, nonostante questo ha voluto puntare su di lui. E questo, ai miei occhi, la rendeva davvero perfetta. E a giudicare da come la trattavano tutti, non ero la sola a pensarla così. 
Mi preoccupava un po’ Nina, a dire il vero, ma si era rivelata matura e sportiva. Aveva sempre avuto una cotta per Ian, fin dagli inizi, e attesi in un angolo il peggio quando si scoprì che usciva con Roxie. Fui felice di sapere che, dopotutto, l’aveva presa così bene.
“Sai a cosa pensavo, Roxie?” la guardai dall’altro capo del tavolo. 
Attirai l’attenzione di tutti su di me. 
“A cosa?” mi chiese con i suoi soliti modi garbati.
“Dovresti venire a farti un giro sul set… penso che ad Ian farebbe piacere!” 
Nina, accanto a me, s’irrigidì ma non le diedi peso. Forse l’avevo sopravvalutata e avrei dovuto parlare un po’ con lei. Roxie divenne rosso cremisi e mi fece tenerezza. 
“Io..beh… non saprei. Ho il lavoro, i bambini…” cercò di tergiversare.
Ian la strinse e dopo avermi sorriso, sicuramente felice dell’idea, guardò lei. In quel momento un po’ li invidiai. Dopo la fine della mia storia con Michael, con cui comunque avevo mantenuto un rapporto di amicizia, nessun uomo mi aveva più guardata con amore. Come Ian stava guardando Roxie. Si, quei due si amavano. Di certo. 
“Ma si! Un week end… l’ospedale se ti allontani un paio di giorni sono certa che non crollerà. E comunque ti farebbe bene prenderti una pausa…” le consigliai. 
“Ci penserò su e ne parlerò con il capo…” acconsentì. Forse rincuorata dall’espressione entusiasta di Ian. 
Nina si alzò. Non seppi capire se fosse stizzita o cos’altro. 
Prese il pacchetto di sigarette e si allontanò. “Scusate, vado a fumare…”
Quando faceva la bambina di due anni mi dava letteralmente sui nervi. 
L’adoravo, era diventata come una sorella per me, ma quando si comportava da ragazzina le avrei dato volentieri una strigliata.
“Scusatemi, vado anche io…” dissi, rivolta agli amici. Mi alzai e raggiunsi Nina nel porticato dietro al ristorante, male illuminato e fresco a causa delle piogge continue di quei giorni.
 
“Nina..” 
“Can, ti prego. Torna dentro…” 
Riconoscevo i suoi vari toni e anche senza guardarla in volto, capii che stava piangendo.
“Ma che fai? Piangi?”
“Dovevi proprio invitarla ad Atlanta?”
“Smettila, Nina. Non fare la bambina.”
“Tu non capisci, - berciò, puntandomi il dito contro – finché la questione resta qui, in questa cittadina qualunque, riesco anche a sopportarla…” disse, sempre più in lacrime.
“Nina, ma che..?”
“Se la porti a casa, nel nostro mondo, allora diventa tutto reale…e io…- tirò su con il naso – io non posso pensare di perderlo…”
Restai a guardarla, allibita. Non potevo credere alle mie orecchie.
“Nina, Ian non ha mai mostrato per te più che amicizia… Non è mai stato interessato a te come altro, se non amica. Prima te lo ficchi in testa e prima possiamo proseguire ognuno con la propria vita!”
Fece più male a me che a lei. Dirle quelle cose fu come schiaffeggiarla ma non potevo permettere che si infliggesse altro dolore. Doveva andare avanti! Non sarebbe stata la prima, né l’ultima a provare un amore non corrisposto. Ma in ballo c’era molto di più. La felicità di Ian, la sua stessa serenità. Il rapporto professionale. Delle vite intere.
Lei non rispose. Si limitò a guardare il pavimento con esagerato interesse.
Mi voltai per andarmene, per lasciarle il tempo di riflettere sulle mie parole e vidi Roxie, ferma immobile, che ci guardava con occhi sgranati. Mi fissò per un istante con gli occhi lucidi e se ne andò.
 
Roxie Pov
 
Era stato chiaro fin da subito, da quei primi pochi minuti nello spogliatoio dell’ospedale, che Nina provasse un certo interesse per Ian. Ovviamente non lo aveva nascosto, seppur avesse tentato di celare il tutto sotto la voce “istinto protettivo”. Eppure quelle parole, soffiate tra i denti, con qualcosa di molto simile alla rabbia, mi facevano male da morire. 
“Ragazzi, scusatemi ma non mi sento tanto bene. – dissi con un sorriso tirato, appena tornai al tavolo, - Ian, potresti accompagnarmi a casa, per favore?”
Lui mi scrutò tra l’incuriosito e il preoccupato. Gli sorrisi dolcemente e si distese. 
“Non c’è problema…” disse, alzandosi e lasciando delle banconote sul tavolo. 
Di solito avrei insistito per pagare la mia parte ma in quel momento l’unica cosa che desideravo era andarmene da lì il più in fretta possibile. Non volevo rischiare di rivedere Nina, non in quel modo. Avrei potuto trasformarmi in quella che odiavo, per la seconda volta in poche ore. 
Ian mi avvolse il cappotto intorno alle spalle e mi strinse delicatamente a se.
“Ciao ragazzi. Ci sentiamo…” disse in direzione degli altri. “Salutatemi Candice e Nina.”
 
“Che succede, tesoro?”
Mi chiese, appena fummo in macchina. 
Il mio sorriso tirato rischiava di far esplodere subito tutta la tensione accumulata. Senza contare che avevo pochissima voglia di fare la gelosa della situazione. Non mi si addiceva. 
“Sarà solo la stanchezza che inizia a farsi sentire…” ammisi con convinzione. 
“Sei sicura?” Sicuramente tra me e lui c’era un legame particolare. Riusciva a percepire ogni mio malumore, seppur cercassi di camuffarlo in qualche modo.
“Si, tranquillo…” continuai. 
Annui, poco convinto e s’immise per Oakland Street diretto a casa mia. 

Angolo dell'autrice

Salve, salve a tutte!!
Eccomi qui con l'aggiornamento! Si, tardi rispetto all'ultima volta che ho postato ma sicuramente prima di quanto vi aspettevate, vero? :)
In realtà questo doveva essere un capitolo abbastanza piatto, nonostante la piccola bomba che Roxie dovrebbe sganciare riguardo a Nicholas e al matrimonio di Anne. Ma siccome sono una rompi scatole ho voluto rompere un pò le uova nel paniere anche se, nonostante tutto, Roxie resta sempre una donna equilibrata e di senno. Non sarebbe un medico, altrimenti. (e tanto di cappello, perchè invece io sono esattamente l'opposto e avrei fatto un casino pazzesco!) xD
Candice, ogni tanto, devo inserirla, perchè ne sento la mancanza. E' molto amica di Nina, ovviamente. Ma si sente anche molto in sintonia con Roxanne e volendo tanto bene ad Ian, cerca di equilibrare gli inghippi e far ragionare la Dobreva. 
Mah...chissà come andrà a finire?! :p
E intanto ringrazio chi recensisce, chi segue, chi ricorda e chi preferisce. E anche chi fa alzare il numero delle visualizzazioni semplicemente passando e leggendo! <3
Un abbraccio!!! *_*

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Capitolo 26
*** Never give up ***


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Ian pov.
 
Entrammo in casa in religioso silenzio. Roxie non aveva aperto bocca per tutto il tragitto e questa cosa non mi piaceva affatto. Certo non era mai stata una chiacchierona ma nemmeno così taciturna. 
Appena la porta si chiuse dietro di me e la vidi posare le chiavi sul mobiletto di ingresso, le accarezzai le spalle.
“Dimmi cos’hai, ti prego…” le chiesi, sicuro che comunque, qualsiasi cosa la turbasse, se aveva deciso di non parlarne, non lo avrebbe fatto. 
“E’ qualcosa che ho fatto, o detto?”
In quel momento si voltò verso di me. Il viso sembrava disteso. Stanco ma disteso. Anche se i suoi occhi di certo non mentivano.
“No, figurati. Cosa avresti mai potuto fare tu? Sei sempre così perfetto…” mi disse, sfiorandomi una guancia con le dita. Quel contatto mi fece capire che il problema non ero io. Ma ancora la preoccupazione mi assaliva.
Si diresse verso il frigo e bevve dell’acqua da una bottiglietta.
“Vado a farmi una doccia… - mi disse poi, iniziando a sciogliersi i capelli – ho bisogno di rilassarmi un po’…” Quel gesto, quelle labbra, quella voce mi stavano mandando al manicomio. La desideravo ardentemente ma nello stesso tempo desideravo che fosse serena. Volevo il suo bene più del mio. 
Poi una lampadina si accese. Quel pomeriggio, all’atelier, le avevo detto (o meglio, sussurrato) quelle due parole che in passato avevo pronunciato una volta sola e con timore. A lei lo avevo detto di getto, senza pensare, senza la minima esitazione. 
Che fosse turbata da questo? 
Poco dopo sentii provenire dal bagno lo scrosciare dell’acqua.
Forse non avrei cavato un ragno dal buco, ma volevo a tutti i costi sapere cosa la rendeva così cupa. Mi spogliai e riposi i vestiti in camera. Mi sorpresi di quanto familiare mi sembrasse già quel posto. 
Aprii la porta del bagno e il vapore dell’acqua calda invadeva la stanza. Percepivo il respiro calmo di Roxanne sotto al getto. Forse non si era accorta della mia presenza. 
Scostai di poco l’anta del box doccia e solo allora lei si voltò. Mi sorrise. Ogni volta che lo faceva una parte di me si spezzava per poi ricomporsi sul giusto asse. Il suo. 
Inevitabilmente, alla vista del suo corpo nudo e invaso da miliardi di gocce d’acqua, il mio corpo espresse tutte le emozioni che provavo in quel momento e mi resi conto che probabilmente, se volevo parlare, quell’ambientazione era la più sbagliata che avrei potuto trovare. 
“Pensavo che alla fine non saresti arrivato…” mi disse, cogliendomi di sorpresa. Le sue labbra trovarono le mie con un sorriso e di colpo tutti i dubbi e le incertezze furono spazzate vie. Almeno per quel briciolo di tempo che ci stavamo prendendo per noi e soltanto per noi. La strinsi al muro e in risposta le sue braccia si allacciarono al mio collo. Sapere di avere quella donna solo per me era elettrizzante, devastante. 
Mi faceva sentire l’uomo più potente al mondo. 
“E per la cronaca… - mi disse, mentre la sua lingua vagava indisturbata nella mia bocca – ti amo anche io…” 
 
Roxie pov. 
 
La sveglia non sbagliava mai i suoi conti. Quel meccanismo maligno e perentorio, all’ora X, scattava e non c’era verso di rimandarlo a dopo. Di rigirarsi e continuare a dormire. No. Erano le quattro ed io dovevo alzarmi. 
Strinsi di più le braccia di Ian, che mi circondava da dietro, come a volermele imprimere addosso. 
“Mmm – i suoi mugugni mi sarebbero mancati, pensai – non andare…” 
Riuscì a dire, prima di aderire meglio al mio corpo e farmi sentire quanto felice fosse di essere li con me. 
“Devo… ho il turno in ospedale.” Risposi, rendendomi conto che per la prima volta in vita mia stavo considerando realmente l’idea di ammutinarmi e restare in quella stanza per il resto della mia esistenza. 
“Sono vergognosa, - mi berciai contro – mi basta un Ian Somerhalder qualunque nel letto, per desiderare di essere in nessun posto se non qui con lui!” 
A queste parole Ian mi strinse ancora di più. “Uno qualunque, eh!? Ripetilo e te ne farò pentire amaramente… Mi chiederai pietà, giuro!”
Quel programmino allettante non mi dispiaceva affatto, ma dovevo andare.
Mi voltai verso di lui e lo baciai. Anche appena sveglio era l’incarnazione della perfezione. 
“Tu continua pure a dormire, ti lascio un mazzo di chiavi sul tavolo..” 
Mi stavo per alzare quando la sua voce mi trafisse in un secondo.
“Adesso me lo dici cosa c’è che non va o devo convincerti ancora? Sai, ho un ottima resistenza, potrei continuare per ore…” 
Non se l’era bevuta e io ora avevo meno di mezz’ora per lavarmi, prepararmi e correre al Riverside. 
Sbuffai, praticamente rassegnata al fatto che con lui non l’avrei avuto vinta in alcun modo. 
“Ora non ho tempo ma più tardi…”
“Più tardi non esiste. Ora. Non mi piace vederti triste e cupa… Non mi piace quando metti dei paletti.” Si era alzato a sedere e le coperte erano scivolate fino alla vita. Anche nel buio della stanza riuscivo a scorgere la sua delusione. 
Quella sarebbe stata la nostra prima vera discussione?
“Sembra quasi che non ti fidi di me…” quella frase mi diede il colpo finale. 
“E va bene… ma se vuoi saperlo adesso dovrai alzarti ed accompagnarmi al lavoro.”
Tentai la carta della stanchezza ma persi miseramente. Si alzò e accese la luce. 
“Mi lavo i denti e tu racconti…”
Mi disse, con il tono di chi non ammetteva repliche, entrando in bagno. 
Era ora di vuotare il sacco. 
“Ok. Ma prima parlo, poi commenti. Intesi?” lui annuì, spazzolandosi i denti. 
Bene. O adesso, o mai più.
“Il fatto è che al matrimonio di Anne dove sei stato invitato come mio cavaliere, ci sarà anche – non potevo dire quel nome. Non potevo – il mio ex…” 
Mi guardò senza parlare con un’espressione indecifrabile in volto. 
“Lui è il cugino di Peter, il promesso sposo, e sarà il suo testimone.” 
E visto che non parlava ancora, scoccai la stoccata finale.
“E sarà lì con la sua nuova fidanzata…” 
Ian sputò l’acqua con la quale si stava sciacquando la bocca nel lavandino e si asciugò. Mi guardò serio e mi strinse le spalle con le mani. 
“Tutto qui?” mi chiese. Rimasi senza parole. 
“Come, tutto qui? Ti sembra niente?”
“Tu lo ami ancora?” Mai domanda fu più diretta. Forse, e dico forse, se me lo avessero chiesto settimane prima, dopo aver vomitato bile per ore, avrei potuto dire che un po’, si, lo amavo ancora. Ma adesso?
“No.” Dissi, sicura. 
“E ti da fastidio che lui sia presente con la nuova fidanzata?”
“Se consideri che è quella per cui mi ha lasciata sull’altare, beh… un tantino si. Ma sono più furiosa con Peter perché dopo tutto quello che mi ha fatto ha avuto ancora il coraggio di volerlo al suo matrimonio…” tutto il mio rancore tracimò e, con mio disgusto, non ero in grado di fermarlo. “…beh si, un po’ mi da noia. Ma non per loro due, che si fottano!” Oddio, lo avevo detto davvero?? “ma per Anne e Peter… avrebbero dovuto avere un po’ di buon senso…”
Mi accasciai come un palloncino sul sedile del wc. Senza forze.
Ian mi fissava, tra il serio e il faceto. 
Avevo finalmente dato voce ai miei turbamenti. Ed era ancora una volta merito suo se mi ero sbloccata. Mi stupì, però, il suo atteggiamento tranquillo.
“Lavati i denti che altrimenti facciamo tardi…” mi ordinò.
Si vestì e in men che non si dica ero pronta anche io. Mi sentivo già meglio. Avevo finalmente liberato quella parte di me che provava risentimento. Anche se in verità non avevo vuotato tutto il sacco. 
Non mi andava di raccontargli di Nina e di ciò che avevo sentito il giorno prima.
Quando fummo davanti all’ospedale, prima di salire, mi prese il volto tra le mani. 
“Stai bene adesso?” annuii e un sorriso spontaneo mi nacque sul volto, trovando nei suoi occhi celesti la mia ancora di salvezza.
“Bene. – rispose soddisfatto – forse tempo fa tutto il tuo turbamento poteva avere un senso. Ma pensaci… in fondo questo imbecille è il cugino di Peter. Poteva davvero escluderlo?” mi chiese, senza aspettarsi risposta. Era ovvia.
“E comunque adesso ci sono io e sarò li con te quel giorno. Non c’è bisogno di essere amareggiati, finisce che dovrò pure stringergli la mano e ringraziarlo, quell’idiota.” Ammise, ridendo. 
Forse arrossii in quel momento. Non mi sentivo certo un premio, anzi. Semmai mi ritenevo io quella fortunata ad aver incontrato lui. 
“Forza, che i tuoi bambini ti aspettano. Io torno a dormire un paio d’ore. Ci vediamo qui più tardi, amore…” 
Lo baciai a fior di labbra e sgambettai verso il mio turno, più leggera. E anche la questione di Nina mi pesò di meno. Ian mi amava davvero. Era chiaro. E nessuno avrebbe potuto separarci. 


Angolo dell'autrice

Salve popolo!
Come andiamo?
Eccomi qui con il nuovo capitolo... Spero sia stato di vostro gradimento almeno quanto a me è piaciuto scriverlo! :)
Devo dire che ultimamente sti due li sto amando davvero un casino... Ovviamente Ian, cioè...è perfetto..no??? :D E se avete notato Roxie sta cambiando parecchio da quando è con lui... sta a voi poi giudicare se in bene o in male :p
Lei alla fine ha dovuto vuotare il sacco e raccontare a Ian di Nicholas e del matrimonio.... anche se non se l'è sentita di dirgli quella cosa riguardo a Nina e, fino ad adesso, pensa non ce ne sia bisogno a quanto pare. Chiaramente lei è sicura del loro amore per cui una ragazzina innamorata di lui non può tangere più di tanto..no!? Mah...staremo a vedere...
Intanto ringrazio chi legge, chi segue, chi ricorda, chi preferisce e chi recensisce!!! E vi rimando alla prossima...... 
un abbraccio collettivo.

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Capitolo 27
*** New Life, New Worries ***


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Ian pov. 
 
I giorni passarono e, purtroppo, giunse anche il momento per me di rientrare al lavoro. Le riprese dovevano andare avanti e io avrei dovuto staccarmi da Franklinton e da Roxanne. 
“A che ora hai il volo?” 
Mi chiese mentre si vestiva per andare in ospedale. 
Erano le quattro e un quarto della mattina ed essendo ormai abituato a svegliarmi con lei, non avevo per niente sonno. 
“Alle undici e mezza, tesoro.” Le risposi, percependo io stesso nella mia voce una venatura depressa. 
“Non fare così! Dopotutto è il tuo lavoro.” Si avvicinò a me con il sorriso da “Stai tranquillo, ce la sapremo cavare”, davvero tipico di lei. Fece scorrere le piccole dita tra i miei capelli per poi scendere ed accarezzarmi il viso. 
Mi beai di quel tocco mentre un’angoscia spaventosa strinse il mio cuore in una morsa. 
Capii solo in quell’istante quanto dolorosa sarebbe stata la lontananza ma chiusi quei pensieri in un cassetto nell’attimo in cui le sue labbra sfiorarono le mie. 
“Ti amo, Ian Joseph Somerhalder.” 
“Ti amo anche io, Roxanne Francis Findle.”
 
Atlanta, qualche giorno più tardi…
 
“Smolder, la vogliamo finire con quell’arnese? Dobbiamo girare!”
Da quando avevo fatto ritorno sul set, Nina si era trasformata in una morbosa e assillante piovra. Ovunque voltassi lo sguardo lei era lì e la cosa stava iniziando a darmi sui nervi. 
Inviai l’sms che avevo appena finito di scrivere a Roxie e lasciai il telefonino in camerino. Non m’interessava di contrariare la Dobrev ma Williamson si. Quello era peggio di una SS!
“Ehi, Som. Ma che le prende?” Paul era l’unico, oltre me, ad aver notato il cambiamento di Nina nei miei riguardi. Grazie al cielo non ero un invasato!
“Te ne sei accorto anche tu?! E’ una cosa fuori da ogni controllo!” 
“Secondo me è per via di Roxie.” Mi voltai di scatto a guardarlo, allibito.
“Per Roxie?? Cosa c’entra lei?” 
“Dai, Ian. Non fare l’ingenuo. Nina è sempre stata cotta di te. E forse per la prima volta vede nella tua ragazza una reale minaccia…” 
“Ma Nina è una ragazzina, Wesley! Stiamo scherzando? Lei lo sa che siamo solo amici!”
Eppure in quel preciso momento Nina stava camminando verso di noi. I segnali che lanciava erano chiari. Mi sembrò di vedere la scena al rallentatore. Ci raggiunse e mi cinse le braccia intorno al collo, schioccandomi un sonoro bacio sulla guancia. 
“Ehy, Smolder. Sei pronto per girare! Tocca a te!” 
Slacciò un bottone della camicia che indossavo, rigorosamente nera e si voltò con fare civettuolo per raggiungere Candice dall’altra parte del set. 
“Caro fratellone, credo proprio che tu abbia un problema!”
 
Erano passati un altro paio di giorni e mi resi conto che la mancanza di Roxie era ormai insostenibile. In più, tutte le frecciatine che Paul mi lanciava riguardo a Nina, cominciavano davvero ad infastidirmi. 
Lei, dal canto suo, non perdeva occasione per starmi tra i piedi. Non bastava doverla affrontare sul set. No. Anche quando non avevamo scene insieme lei era lì in disparte ad osservarmi. 
Probabilmente si era sempre comportata in quel modo, a pensarci bene. Ma forse non le avevo mai dato peso perché non avevo nessuno di realmente importante nella mia vita a cui rendere conto. Ora invece ogni suo più piccolo gesto, rischiava di minare la mia proverbiale calma. Per un solo motivo: se avessi saputo che un altro uomo si comportava con Roxanne come Nina stava facendo con me, avrei dato sicuramente di matto! 
Stavo preparandomi al trucco, insieme a lei, Paul e Kat quando il cellulare mi vibrò nella tasca. Era Roxie. 
“Finalmente!” soffiai con sollievo.
“Wow, che entusiasmo! Non ci sentiamo da tre ore, tesoro. Qualcosa non va?”
“No, - le risposi, alzandomi e guadagnando la porta, sotto le proteste della truccatrice che non aveva ancora finito – è che mi manchi, terribilmente…” Presi fiato.
“Oh, amore. Mi manchi anche tu. Tanto… - ci fu un breve momento di pausa poi mi chiese – stamattina devo andare all’ultima prova dell’abito. Non manca tanto al matrimonio. Sei pronto?” 
“Certo! Ho già il vestito inamidato. Tranquilla! Tu, piuttosto, sei pronta?” 
La sentii sospirare nella cornetta, rassegnata o, forse, stufa di quella domanda.
“Quante volte te lo devo dire che è tutto ok? – mi chiese, fintamente offesa – Se tu sarai lì con me so che andrà tutto bene.” 
Sorrisi inconsciamente al pensiero che di lì a tre settimane l’avrei riabbracciata. Fare una capatina in Louisiana prima di quella data sarebbe stato improbabile! Poi ci sarebbero state le vacanze di Natale e per allora avremmo dovuto finire almeno la metà degli episodi.
“Forza Smolder, sono impaziente!” La voce di Nina mi raggiunse ed evidentemente raggiunse anche Roxie. 
“Sarà il caso che io ti lasci. Hai da lavorare.” La sua voce aveva impercettibilmente cambiato tonalità. Potevo quasi vedere la sua espressione accigliata, in netto contrasto con la, soltanto apparente, tranquillità delle sue parole. 
“Stiamo… – perché ora sentivo il bisogno di giustificarmi? – noi dobbiamo girare delle scene, adesso…”
“Non preoccuparti, tesoro. Vai pure, ci sentiamo più tardi.” Mi disse senza colpo ferire. Lei e il suo bisogno incontrollato di reprimere la gelosia!
“Smolder!!! Kevin inizia ad abbaiare!!!” prima o poi l’avrei strozzata quella ragazzina petulante!
“Arrivo! – urlai in direzione della porta – tesoro, senti. Perché nel week end non vieni da me? Potrei farti vedere dove lavoro e …”
“No, amore. Scusa ma ho dato la reperibilità in ospedale. Non posso muovermi.” La sua risposta secca e diretta mi rattristò. Non soffriva anche lei come me della maledetta lontananza? 
“Scusa – aggiunse dopo un attimo, - mi piacerebbe davvero tanto ma non posso proprio…” 
Certo quell’ultima frase sembrava di circostanza ma sapevo, ero sicuro, del suo amore e dei suoi sentimenti. Non potevo dubitarne, giusto?
“Ian, davvero.. – anche Candice! – di la iniziano a sclerare. Sarà meglio andare!” 
Salutai brevemente Roxie con la promessa che l’avrei chiamata a fine giornata. Quando mi voltai verso l’uscita Candice era lì di fronte a me che mi fissava. 
“Cosa c’è, Som? Problemi in paradiso?” sorrise della sua battuta e, mio malgrado, lo feci anche io.
“Molto appropriato, Forbes!” presi la giacca di Damon dall’appendiabiti e la seguii. 
“No, davvero. E’ tutto ok?”
“Mi manca, Can. Mi manca tanto. Le ho chiesto se voleva venire qui sabato ma ha chiuso la questione in fretta dicendo che deve lavorare. Un po’ ci speravo…”
La vidi pensare un istante, incerta.
“Cosa mi nascondi, Accola?”
 
Candice Pov.
 
Mi sentivo davvero uno schifo a sbugiardare così una delle mie più care amiche ma odiavo vedere Ian soffrire e Roxie mi piaceva davvero. Nina non si stava comportando da persona matura e prima o poi qualcuno avrebbe dovuto metterla al suo posto. Certo, avrei preferito non essere io ma ormai non avevo molte alternative.
“Sai, non credo che Roxanne verrà mai ad Atlanta. Almeno, non se nei paraggi potrebbe trovare Nina…”
Kevin e Julie ci stavano chiamando a gran voce. Subito dopo la ragazzina immatura in questione spuntò da una porta e prese Ian da una mano, trascinandolo sul set.
“Basta con le chiacchiere da the delle cinque. C’è un episodio da girare!” disse, rivolta ad entrambi. Ian mi guardò quasi implorante e un po’ mi fece sorridere ma Nina era davvero impossibile da contrastare. E comunque sapevo che il discorso era solo rimandato. 


Angolo dell'autrice


Buonasera a tout le monde,

ok, 
Chara avevo detto che non avrei più aggiornato fino a che non avessi terminato la fanfiction ma non ce l'ho fatta! XD Mi sono clamorosamente smentita! Mannaggia a me! Devo dire però che sono andata piuttosto avanti per cui ho almeno un paio di capitoli di scarto! XD LOL Sono perdonata??? *Occhietti dolci stile Mortino*
Beh, infine il momento della separazione è giunto! Prima o poi Ian doveva andarsene a Atlanta a recitare altrimenti la stagione non poteva proseguire, no? U.U 
Certo nessuno è felicissimo per questo, se non forse la nostra cara Dobreva che non vedeva l'ora di riavere Ian tutto per se. Devo dire che anche Ian è molto felice ahahahaha Non la sopporta più!!!!! >.< (e di certo Roxie non farà i salti di gioia, anche se vuol fare la donna tutta d'un pezzo!)
Come ormai sapete ogni tanto ci devo infilare qualcosa di Candice. Me ne scuso ma io l'amo!!!!! *_______________________*
In più vorrei ringraziare
Ili_Sere_Nere per avermi regalato l'immagine che vedete qui sopra! E' semplicemente fantastica! Sei davvero una maga e hai reso meravigliosamente ciò che è la mia storia!!! Grazieeeeeeeeeeeee <3
Stringo perchè devo continuare a scrivere, per cui ringrazio chi segue, ricorda, preferisce e le anime pie che recensiscono! <3 Vi lovvo tutte!
Un abbraccio forte.... a presto! 
 

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Capitolo 28
*** One thing at a time ***


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Roxie Pov.
 
Quella mattina avevo la testa completamente altrove. Dovevo ammetterlo! 
Ed io odiavo non avere il controllo delle mie emozioni e dei miei pensieri!
Eppure non riuscivo a scrollarmi di dosso il disagio di sapere Ian a stretto contatto con Nina, ogni giorno, ad ogni improponibile ora.
Lei ne era innamorata. E una donna innamorata, io lo sapevo bene, è pronta a tutto!
“Dottoressa, il paziente è anestetizzato. Possiamo procedere.”
Bunton mi ripescò dalle mie divagazioni. Stavo per operare un ragazzino con almeno cinque differenti fratture scomposte sparse tra braccia, gambe e costato. Dovevo essere più che concentrata! Dovevo agire come se in gioco ci fosse la mia stessa vita, come sempre. Ian, Nina e i miei banali problemi potevano aspettare qualche ora. 
“Perfetto. Jill, parametri?” Chiesi, cercando di riacquistare il mio solito piglio professionale.
“Temperatura: 37,4. Frequenza carotidea: 105. Saturazione 95%. Pressione sistolica 110. Diastolica 70.”
Jill mi descriveva le condizioni del bambino e io ancora pensavo a Ian. Quando mi resi conto di non aver registrato neanche una delle informazioni capii che dovevo risolvere quella faccenda o non sarei stata in grado di andare avanti. 
Accidenti, Roxie, non ti riconosco più! 
Scrollai il capo come a ricompormi o ricacciare indietro pensieri fastidiosi e mi rivolsi di nuovo all’infermiera.
“La pressione quanto hai detto?”
Lei mi guardò allibita. Non era mai successo che mi si dovesse ripetere qualcosa!
“110 su 70” mi rispose, semplicemente senza parole. 
“Roxie, va tutto bene?” Mi chiese Bunton, preoccupato.
“Si, tutto ok. Jill, passami un bisturi 21g…” Presi un bel respiro e m’imposi di non pensare a nient’altro che all’operazione. Poi avrei affrontato i miei problemi. 
Una cosa alla volta. 
 
Il piccolo Phil era in rianimazione. Le sue fratture sarebbero perfettamente guarite e avevo restituito il sorriso ai suoi parenti che non la smettevano più di abbracciarmi nella sala d’attesa. 
Mi abbandonai sul lettino dell’ambulatorio pediatrico, dove avevo deciso di chiudermi per qualche minuto, giusto il tempo di riprendere le mie facoltà mentali. 
Nonostante avessi cercato di lasciare fuori le mie ansie, quelle puntualmente si ripresentavano sotto forma di sms. Candice.
“Ian si fa delle domande, Roxie. E non le fa solo a se stesso, pure a me! L’ho scampata per ora ma non posso nascondermi a lungo.” 
 
Andare o non andare? 
Mandare giù i rospi o sputarli fuori? 
Quello era il problema! 
Certo, Anne aveva ragione! Se non fossi andata, sarebbe stato come dargliela vinta a quella ragazzina!
“Sarebbe come dirle: Hey bella, occhio non vede, cuore non duole! Ficcati pure nelle sue mutande mentre non ci sono!”
“Si, ok Anne. Sei stata chiara!” 
“Insomma, amica! Io lo so come sei fatta! La gelosia non è per te e non saresti capace di fare male ad una mosca. Ma, diamine! Rivendica ciò che è tuo una volta tanto. Combatti e tira fuori le unghie!”
“Ma lui non è interessato a lei. Lo so…”
A questa frase la mia cara e fedele amica mi guardò storto.
“Si, ok. Ho capito… Vado ad Atlanta questo week end!”
Quando Anne se ne fu andata presi il cellulare e mandai un messaggio a Candice. 
Le ero profondamente grata per ciò che stava facendo per me ed Ian. Anche se poteva voler dire far soffrire la sua più cara amica. 
“Non ti preoccupare. Andrà tutto bene. Ci  vediamo e… Grazie. ”
Passai i due giorni che mi dividevano da Atlanta, in fibrillazione. 
Seppur la cosa di andare a “casa”  sua mi facesse un po’ paura, mi sentivo schifosamente felice all’idea di rivederlo e non mi sarei certo fatta rovinare la festa da una ragazzina qualunque, giusto? Anche se era incredibilmente bella e avvenente?
Scrollai il capo, come troppe volte stavo facendo nell’ultimo periodo, a scacciare idee malsane dalla testa e mi guardai allo specchio della mia camera.
“Vai, Rox, e rivendica ciò è tuo!” 
Anne poteva certamente essere orgogliosa di me! 


Angolo dell'autrice

Si. 
Lo so.
Sono schifosamente, perdutamente, vergognosamente in ritardo.
Si. 
Lo so.
Il capitolo è il più corto della storia dei capitoli.
Eccetto che per il verso "m'illumino d'immenso" che batte qualsiasi cosa sia stata mai scritta! XD (non oso neanche minimamente paragonarmi al grande Ungaretti, sia chiaro! U.U)
Beh.... siccome era tanto che non aggiornavo e siccome l'embrione di questo capitolo ha visto la luce già quasi tre settimane fa, ho pensato che per sbloccarmi un pò avevo bisogno di pubblicarlo. Forse il feto, dopo aver partorito questo prologo, si farà vivo! xD
Cosa sto scrivendo non lo so ma siate buone.... Ho già la testa in vacanza. *_* (New York City I'm cominggg)
E chissà che t'incontro Ian tra la 5 e la 6? XD
Spero, anche se non credo proprio, di riuscire a dare alla luce qualcosa prima di partire. (che praticamente vuol dire "ci si rilegge a gennaio" nella speranza che gli Stati Uniti compiano il miracolo!)
Un grazie a tutti come al solito...e scusate ancora per il capitolo lampo che ho messo. Sono indecente... -.-"


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
 
 

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Capitolo 29
*** Cry me a river ***


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Roxie Pov.
Non ricordavo di aver avuto mai paura dell’aereo. 
Eppure quando mi ritrovai a bordo e fummo pronti per prendere il volo sulla pista di decollo, una strana sensazione di disagio s’impadronì di me. 
Non ero del tutto sicura che quell’apprensione poteva riferirsi proprio al mezzo sul quale ero seduta. Piuttosto forse era da collegare al viaggio che stavo per intraprendere. 
Sarei entrata nella tana del lupo.  
Stavo per affrontare la partita decisiva del campionato, fuori casa. 
“Non lasciarti intimidire. Marca il territorio e, se dovesse rendersi necessario, combatti a detti stretti!” 
Anne, quando si trattava della questione Me-Nina-Ian, tendeva a scambiarmi per uno di quei grossi felini della savana pronto a far pipì ovunque per marchiare la propria zona di caccia.  Io non mi ero mai vista in quei panni. Ero sempre stata piuttosto remissiva nei rapporti di coppia. Il tappetino sul quale ci si poteva pulire i piedi. 
Non che non avessi mai combattuto per la persona amata, anzi. Ma forse combattevo le guerre sbagliate o forse la mia tattica era carente. 
Ora mi sentivo rinvigorita e pronta alla battaglia. 
Mi sentivo Perseo che impugnava la spada di Zeus, pronto per la sfida finale. 
E si, mi sentivo invincibile. Per una volta nella mia vita, la prima, mi sentii sicura di me e dei sentimenti che mi legavano ad Ian. 
Non ci sarebbero stati déi, mostri o maledizioni che avrebbero potuto colpirci…
 
“688, Abernathy Road, Sandy Springs, grazie.” 
Il tassista usciva pigramente da Covington verso la periferia. 
Sebbene fossi impaziente di rivedere Ian e di unire finalmente i nostri due mondi, così distanti eppure ormai così ineluttabilmente vicini, ero grata alla pigrizia del paffutto omino che mi stava guidando fuori città. Ero nervosa. Si. Dovevo ammetterlo. Nervosa come forse non lo ero mai stata. 
Sarei sopravvissuta a questa sfida? Sarei stata in grado di affrontare ciò che l’unione delle nostre realtà avrebbe generato? 
Quante prime volte stavo affrontando grazie a quell’uomo! In che razza di spirale meravigliosa e dolcissima mi stava trascinando?
Sorrisi al riflesso della nuova me, nel finestrino del taxi e presi un bel respiro. Dopotutto si trattava sempre di Ian. Il contorno poteva essere diverso da casa mia, ma lui? Lui di certo no. 
Quando, infine, mi ritrovai di fronte all’ingresso del set al quale Candice mi aveva indirizzata, con i nervi tesi e un’impazienza più grande di quanto avrei creduto possibile, mi guardai intorno e senza ulteriori indugi avanzai a passo svelto verso l’unico uomo presente nei dintorni.
Mi sembrava già di sentire il profumo inebriante della sua pelle. Potevo quasi percepire il rumore lento e cadenzato dei suoi respiri. Del battito del suo cuore.
Potevo udire in lontananza i suoi passi. 
Stai diventando davvero patetica, Rox. Entra e smettila con sti pensieri da filmetti anni 80!
Poco dopo mi trovai già all’interno del set. 
Mentre avanzavo tra i corridoi, sbirciando qua e la, iniziavo a riconoscere qualche ambientazione. Mi trovavo tra le stanze del Pensionato Salvatore e se cercavo di non pensare al vociare degli addetti ai lavori e alla presenza delle attrezzature, potevo quasi sentirmi all’interno di uno degli episodi.
Avrei sentito un flebile fruscio entro poco e, senza accorgermene, Damon Salvotore avrebbe fatto la sua comparsa. 
Ian. Non Damon. Volevo Ian.
“Chi cerca, signorina?”
Mi voltai di scatto, un po’ spaventata. 
Accidenti, Roxie, datti una calmata!
“Si, mi sa dire dove posso trovare Ian?”
Ed il solo pronunciare il suo nome mi creò scompenso cardiaco ed ormonale insieme. 
Stavo degenerando. Ma come poteva essere diversamente se mi trovavo nella stessa fettina di mondo in cui si trovava lui?
“Si, signorina. Dovrebbe essere nei camerini. Segua le frecce blu sul pavimento.”
Mi guardai le punte dei piedi e scovai le frecce di cui parlava il signore, ne seguii un paio con lo sguardo e gli sorrisi.
“Grazie.”
Un passo avanti all’altro e l’eccitazione salii alle stelle. Avevo già il respiro affannato e ancora non lo avevo davanti!
Finalmente scorsi i primi camerini. Sopra le porte erano attaccati fogli con stampati i nomi degli attori. Riconobbi quelli degli amici di Ian ed, infine, vidi il suo. 
“Ian Somerhalder – Paul Wesley”. Somerhalder era cancellato con un pennarello rosso e appena sopra qualcuno aveva scritto, con una grafia tonda e marcata, SmolderHOTTER. 
Già il sangue mi ribolliva nel cervello! Chissà come mai, riuscivo ad immaginare chi avesse potuto scherzare a quel modo. 
Ma, di sicuro, non avrei rovinato questo ricongiungimento con una sfuriata. Su una cosa del genere, per giunta. Per cui presi un bel respiro e bussai. 
Nessuno rispose.
Bussai di nuovo. Magari si trovava sotto la doccia, pensai.
Ancora niente. 
Mi voltai, pronta ad andare in cerca altrove quando dall’interno della stanza mi parve di sentire dei risolini soffocati.
“Shh…zitta…” disse una voce. Anzi, no. LA voce. 
Si, perché l’avrei riconosciuta tra mille, quella voce. 
Perché non aveva fatto altro che occupare le mie notti. E le mie giornate. Quella voce.
Di nuovo quei risolini. E di nuovo quel “Shh..”
“…Nina, vuoi che ci scoprano?”
E in quel momento tutto ebbe un senso. Anzi, no. Tutto lo perse, il senso. 
Avevo già gli occhi che pungolavano, vittime di lacrime che a breve sarebbero sgorgate.
Avrei voluto scomparire. Scappare via. 
Essere altrove ma non lì a sentire il mio uomo che ridacchiava, intento a fare solo Dio sapeva cosa, con la donna che più temevo sulla terra.
Eppure rimasi lì impietrita davanti alla porta. La fissavo, forse sperando che si sciogliesse in compassione sotto al mio sguardo ferito. 
O forse aspettavo che quei due uscissero e potessi vederli in tutta la loro vile bugia.
“…E’ solo una ragazzina, Roxie.” Mi aveva sempre ripetuto. 
Si. Solo una ragazzina. Ma che in quel momento era tra le braccia di quello che si supponeva fosse il mio uomo! 
Finalmente i miei arti sembrarono rispondere agli input cerebrali, così ne approfittai per alzare i tacchi e andare via, affannata e in lacrime. 
Anne mi avrebbe preso a parole per non essere entrata in quel camerino e aver preso a schiaffi quella piccola impunita ma proprio la forza che pensavo di avere, la determinazione, vennero meno e l’unica cosa che pensai mentre correvo via fu che alla fine Ian si era rivelato esattamente come tutti gli altri che avevo conosciuto prima di lui. 
 
Franklinton
Nick Pov.
 
“Dai Nick. Anne mi uccide se ti do corda su questa cosa. Roxie è andata avanti. E se non ricordo male sei stato tu a lasciarla. Direi che il caso di mollare il colpo.”
Com’era possibile che dopo tutto quello che avevamo passato lei si fosse potuta innamorare di un altro così velocemente? 
“Pete, tu non capisci! Sarà sicuramente il fascino dell’attore! Te lo dico io!”
Risposi al mio amico che continuava a parlarmi di quanto fosse felice con quell’Ian-qualcosa. Di come le brillassero gli occhi. Di come qua. Di come la. 
Ma io e lei eravamo due anime gemelle! Eravamo fatti per stare insieme. 
Avevamo avuto i nostri problemi, non potevo certo negarlo. Ma finalmente mi sentivo pronto a prendermi le mie responsabilità.
“Roxanne non è il tipo da farsi abbindolare dal primo uomo belloccio che le fa corte.” 
Mi redarguì Peter. 
E dovetti ammettere, almeno con me stesso, che aveva ragione. 
Era quella la cosa che più mi mandava in bestia.
Che se Roxie si era innamorata davvero, ogni mio tentativo di riportarla indietro, avrebbe miseramente fallito. E non potevo permetterlo. Non potevo proprio.
Per questo spingevo con Anne che mi desse un’altra chance. Se avessi convinto lei, avrei sicuramente avuto più possibilità con Roxie. 
Ma Anne, soprattutto da quando era arrivato il pidocchio dagli occhi azzurri, era irremovibile. Accanita. 
Sarebbe stata una dura lotta. Ma alla fine, ne ero sicuro, avrei vinto io. 


Note


Ok, lo so. Sono stata un pò cattivella. 
Lo sono stata per il ritardo nelle pubblicazioni. Lo sono stata per i ritardi con le risposte alle recensioni. 
E lo sono stata con i nostri personaggi. 
Come forse vi avevo già accennato, ultimamente ho avuto uno di quei tremendi e paurosi blocchi dello "scrittore" (mi sono appena data della scrittrice, sparatemi). Non dico che ho fatto il salto della staccionata ma diciamo che qualcosa è tornato al suo posto. Non siamo ancora completamente guarite, io e la mia testolina, ma siamo sulla buona strada.
Adesso voi mi odierete per questo capitolo ma ci voleva un pò azione. Certo, non che sia un granché ma almeno ho smosso un pò le acque, non trovate?
Non me ne volete. :) 
Per farmi perdonare vi ho inserito una cosina di Nick. Avrei voluto mettere una sua foto ma non sono stata capace... (Eccolo, grazie a Chara che mi ha spiegato poi, QUI !). E' l'ex rompipalle di Roxie..... diciamo che fin'ora quel poco che ho scritto di lui ve l'ha fatto odiare. Beh.... probabilmente la cosa non migliorerà! ahahahhahaaha
Spero di riuscire ad aggiornare un pò più spesso anche se il tempo è tiranno. 
Un abbraccio e come sempre grazie a tutti coloro che leggono anche se aggiorno una volta ogni stagione. XD a chi recensisce, preferisce, segue e bon... grazie a tutti! :)
Grazie soprattutto alla mia amica Chara. Forse dovreste ringraziarla anche voi che seguite questa storia. E' un bel pò merito suo se ho ripreso in mano la mia tenera e dolce Roxie. <3

FairyLady

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Capitolo 30
*** I just don't belong here. I hope you'll understand. ***


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Ian pov.
 
La giornata sul set era passata senza troppi intoppi. Anzi, ci eravamo portati avanti rispetto alla tabella di marcia e mi sentivo davvero soddisfatto. 
Dopo aver fatto la doccia presi il cellulare, per l’ennesima volta quel giorno, e lo trovai esattamente come quella mattina. Muto. Incolore. 
Composi il numero di Roxie, come avevo fatto almeno altre cento volte nell’arco di poche ore, ma risultava ancora spento.
“Dannazione!” 
Mi decisi a chiamare l’ospedale. Probabilmente aveva avuto delle urgenze per cui non era riuscita a mettersi in contatto, pensai. Certamente era un comportamento piuttosto strano per i suoi standard!
“Riverside Hospital, buonasera.”
“Buonasera signorina. Stavo cercando la dottoressa Findle.”
“Lei chi è?”
“Sono il suo ragazzo…”
“Ah – rispose con malcelata sorpresa – guardi, la dottoressa non è venuta in ospedale oggi.” Disse, un po’ incerta. “Se vuole, lascio detto che l’ha cercata.”
Non era andata a lavoro. La cosa mi lasciò perplesso. Molto perplesso.
Non si faceva viva. Teneva il cellulare staccato. Non andava a lavoro; la signorina dell’ospedale con quella incertezza nel rispondere.
Cercai un collegamento tra le varie cose; poi un pensiero fece breccia nei miei dubbi e iniziai a sorridere come un deficiente. 
Mi stava sicuramente preparando una sorpresa! 
Infilai il giubbotto ed uscii di corsa dagli studi. 
C’era sicuramente anche lo zampino di Candice in tutto questo! Ma non avevo tempo d’indagare. Probabilmente la mia Roxie mi stava già aspettando!
 
“Hey, Smolder! Dove vai così di fretta?”
Nina mi bloccò appena fuori dal cancello.
“Non ora, Nina. Ho un impegno.” Farfugliai tutto emozionato. 
Avevo il cuore che batteva a mille e in quel momento tutto era scavalcato in importanza da quella nuova consapevolezza. E dalla voglia incredibile che avevo di abbracciare la mia Roxanne.
“Ti sei dimenticato che stasera c’è la cena d’addio per Andrew?”
Aprii la portiera della macchina e mi voltai per guardarla. 
“Merda!” imprecai, odiandomi per averlo scordato. Ma poi il pensiero della mia ragazza, in casa mia, mi deviò di nuovo.
“Senti, chiedigli scusa ma ho un appuntamento che non posso proprio rimandare! Mi farò perdonare, giuro!”
E senza voltarmi indietro, accesi il motore e sgommai, diretto dalla mia donna.
 
Roxie pov.
 
Me ne stavo accoccolata nella sala d’attesa dell’aeroporto di Atlanta. 
Avevo cercato apposta un angolo abbastanza isolato per poter dar sfogo alla mia delusione ma in un luogo come quello era davvero difficile estraniarsi. 
Il pianto, lacrima dopo lacrima, perdeva d’intensità ma, a poco a poco, aumentava il rumore assordante del mio cuore – quello che ne rimaneva – che andava in pezzi. 
Una signora, che avrà avuto poco meno di settant’anni, ogni tanto appoggiava il suo sguardo su di me. Era triste, compassionevole. 
Non avevo certo bisogno di qualcuno che provasse pietà per me! 
Me l’ero cercata, dopotutto. Come potevo anche solo sperare che per un uomo come Ian, di successo e circondando continuamente da giovani ed avvenenti donne pronte a tutto per un po’ di attenzione, io fossi abbastanza? 
Tra un singhiozzo e l’altro mi maledicevo, come altre volte negli anni indietro, per la mia ingenuità. 
Da quel giorno in avanti avrei messo un bel cartello “Chiusura Permanente dell’Attività”, sopra ai resti carbonizzati del mio cuore.
Volevo andarmene da quel posto orribile ma, purtroppo, il successivo volo per Franklinton sarebbe partito soltanto l’indomani mattina, per cui non mi restava che attendere e sperare che, almeno in parte, quel soffocamento all’altezza dello sterno sparisse prima del decollo. O sarei morta. 
Già lo ero un po’. Morta. Vuota dentro. 
Il suono di un cellulare mi riportò brevemente a galla. Non era il mio ma mi ricordò che da quella mattina non lo avevo più riacceso. Così mi feci violenza fisica e lo presi dalla borsa, pigiando il tasto “ON”. On, quando avrei solo voluto premere il tasto OFF.
Di colpo l’apparecchio prese a trillare e un fiume di messaggi invase il piccolo schermo.
Ian. Ian. Ian. Ogni volta che quel nome compariva sul display, una lama affilata mi affondava nelle viscere e immediatamente le lacrime aumentarono la loro discesa. 
Candice. 
Si aspettava certamente di vedermi. Sapeva che sarei dovuta arrivare da ore. 
Avevo parecchie chiamate sue e degli sms. 
Presi un respiro per cercare di calmarmi e intanto fissavo il telefonino, incerta sul da farsi.
Di sicuro non avrei potuto sparire, punto e basta. Nessuno sapeva ciò che era successo e, prima o poi, avrei dovuto affrontare anche Ian. 
Presi il coraggio a due mani e composi il suo numero. La migliore amica di quella… 
“Dove diavolo sei finita???”
Respirai a fondo un paio di volte per cercare di non perdere il controllo delle mie emozioni, almeno con lei. Con un filo di voce le dissi:
“Sono all’aeroporto di Atlanta, Can. Sto tornando a casa…”
“Scusa? E perché mai staresti tornando a casa? Mi aspettavo di vederti alla cena con Ian stasera!”
“Lo so ma – sentivo altre maledette lacrime combattere per uscire ma chiusi gli occhi cercando contegno – mi sono resa conto che tutto questo non è fatto per me. Che io non sono forte abbastanza, io…”
“Che diavolo stai blaterando?? Ian ti ama alla follia e…”
“Ian non mi ama così tanto come crediamo, Candice.” Berciai, forse un po’ troppo seccamente. 
“Cosa…?” era incredula e sicuramente stava brancolando nel buio. Quel traditore l’aveva data a bere anche a me, in effetti.
“Candice, credimi. E’ meglio così. Lo chiamerò ma adesso non ce la faccio ad affrontare tutto questo. Devo tornare a Franklinton.”
“Roxie, almeno dimmi cosa è successo!”
“Chiedilo a lui. E a Nina. Ora ti saluto. Ci sentiamo.”
Agganciai senza darle il tempo di dire altro e buttai il telefono in borsa, riprendendo a piangere come un idiota. 
Non so dopo quanto, mi addormentai su una scomoda sedia della sala d’attesa. 
Due dita che picchiettavano flebilmente sul braccio mi svegliarono. 
 
Ian pov.
 
“Dio mio, Roxie! Mi hai fatto prendere un colpo! Che cazzo succede, me lo vuoi spiegare?”
Era appallottolata su se stessa, su quella poltroncina dura. Non riuscivo a capire nemmeno come diavolo fosse riuscita ad addormentarcisi.
Oddio. In realtà non capivo tante cose.
Aveva il viso assonnato e l’espressione di chi confonde il sogno con realtà. E non parlava. Si limitava a guardarmi con quei suoi occhi nocciola, che tanto mi erano mancati, gonfi dal pianto.
“Cosa succede, Roxanne? Ti prego, dimmelo!”
Mi avvicinai e feci per prenderle le spalle. Sentivo un bisogno incontrollato di stringerla a me. Ma lei si ritrasse e spalancò finalmente gli occhi, segno che si era svegliata.
“Non dovresti essere qui.”
“Scusa? Non dovrei essere qui??” senza volerlo alzai la voce. Ero sconcertato. Incredulo. E totalmente inconsapevole di cosa fosse successo.
“Sparisci per ore. Sei introvabile. Poi come un imbecille scimmietta innamorata, penso che mi hai fatto una sorpresa, che sei a casa mia. Corro via dal lavoro per raggiungerti ma resto deluso perché non ci sei – parlo come un pazzo, a ruota libera – e poi mi chiama Candice e mi dice che sei in aeroporto pronta a tornare in Louisiana senza neanche averti vista e…”
Mi fermai quando mi accorsi che non aveva alcuna reazione. Mi guardava ma forse non mi vedeva veramente. Sentii il panico pervadermi mentre scrutavo il suo sguardo. Sembrava così piccola. 
Così… 
“Mi hai ferita, Ian.” 
Ferita.
“Sono venuta sul set.” – mi disse senza guardarmi in faccia. “Ho… io ho… - grosse lacrime scesero sulle guance e, senza sapere perché, mi sentii mancare le forze. – ho sentito te e lei… Lei…”
“Lei?” vederla così mi distrusse e non riuscivo a capire cos’avevo fatto di tanto sbagliato.
“Nina.” mi disse d’un fiato. “Vai via, per favore…”
“Nina???” In quel momento il mio shock toccò livelli mai visti. 
“Io e Nina??? Cosa avresti sentito, di preciso, scusa?” Cercai di moderare la voce. Era tardi e nonostante l’ora un numero considerevole di gente si era avvicinata a vedere lo spettacolino. La cosa mi stava facendo innervosire.
“Vieni…” la presi per mano e, incurante della sua reticenza, la trascinai in un luogo accettabilmente appartato. 
“Ian, non ho voglia. Sono stanca…”
“No. Tu ora mi spieghi cosa diavolo hai sentito per reagire così!”
“Vi ho sentiti ridere al di là della porta del tuo camerino. Tu le dicevi di smetterla altrimenti vi avrebbero sentito… E… E poi lei che ha scritto quel nomignolo stupido…”
“Seriamente?” Dio! Non sapevo se essere arrabbiato o sollevato.
“Ma come diam…” presi fiato nel tentativo di calmarmi. “Come è potuto solo passarti nella mente che io ti potessi tradire con Nina?”
“Lo dici come se fosse una cosa così improbabile…” mi disse, secca.
“Roxie, certo che lo è! Avevamo già chiarito il punto se non mi sbaglio!”
“E allora cosa stavate facendo li dentro, di nascosto?”
“Stavamo preparando uno scherzo a Paul e Michael, accidenti! Uno scherzo! Un dannato scherzo! Ne facciamo a valanghe di scherzi e ogni volta Nina ci fa scoprire! Ecco cosa stavamo facendo!”
Sentivo il cuore vicino allo scoppiarmi nel petto.
“E quel nomignolo stupido è un modo per prendermi in giro per tutte le ragazzine che mi trovano sexy! Sul set mi chiamano tutti così!” 
D’un tratto la vidi accasciarsi sulla sedia. Poggiò i gomiti sulle ginocchia e si coprì il volto con le mani. Mi chinai alla sua altezza accarezzandole le gambe.
Mi faceva una tenerezza indicibile vederla così.
“Perché non hai sfondato la porta per prenderci a calci se pensavi davvero che stessimo facendo gli sporcaccioni?” le chiesi, cercando di calmare un po’ i toni e ridimensionare tutta la faccenda. Il pensiero di essere stato vicino a perderla rischiava davvero di farmi saltare le coronarie.
Sembrò muovere appena le labbra in un sorriso ma non ne fui del tutto certo.
“Non sarei stata in grado di affrontare la verità.”
“Era meglio scappare nel dubbio?”
“Ian… io…”
E per la prima volta da quando ero arrivato alzò il viso e mi guardò negli occhi. 
“Roxie…amore…” le accarezzai la guancia e le sorrisi, cercando di rassicurarla. 
Avrei tanto voluto cancellare ogni segno di tristezza da quella pelle, con un solo gesto. Ma lei continuò a piangere.
“Ian… io… non posso così. Io non credo di farcela…Non sono forte abbastanza.”
“Come? Cosa?” di nuovo quella sensazione di panico deflagrò dentro di me. Il cuore riprese a correre come un forsennato e gli occhi mi si fecero umidi.
“Ian… ti credo. Credo alle tue parole… - stava piangendo in modo incontrollato anche lei – ma non posso vivere così. E’ troppo… io…”
“Roxie…no…non è vero! Trasferisciti da me… ti prego… io non…”
“Non c’entri tu. Il problema sono io. Non posso, davvero. So che me ne pentirò. – disse poi con l’aria angosciata – ma non appartengo a tutto questo. Spero che potrai capire e perdonarmi.
E il mondo crollò.
 
**********

Note

Lo so che adesso mi state odiando tutte, o quasi. 
Ma non me ne vogliate, per favore! Dovreste invece apprezzare il fatto che ho lasciato passare pochissimo tempo dall'ultimo capitolo che ho pubblicato e rendere grazie a Grazia. Ecco brave! XD
Avevo scritto questo capitolo in un batter d'occhio qualche giorno fa e quando ieri l'ho ripreso mi faceva schifo così l'ho cancellato e l'ho riscritto tutto. Si, lo so. Non sono normale! Era così diverso l'altro da questo ma mi piace di più! 
Non disperate, però. Roxie lascia Ian e se ne torna a Franklinton ma sapete che io odio i drammi e amo da morire i lieto fine, per cui, abbiate fede in me. XD
(fu così che Roxie decise di sposarsi con Nicholas e Ian finì per capire di essere innamorato di Nina) xD Crudelia Demon ...Crudelia Demon! 
Ok, la smetto! 
Spero che tutto sommanto, tragedia a parte, vi sia piaciuto. Ringrazio la mia amica Chara (così, perché ormai sono persa senza di lei) e, as usual, chi recensisce-segue-preferisce-ricorda e, bon...direi che ho finito! :)
A bientot!!!!
P.s. Ci tenevo a precisare che il titolo del capitolo l'ho preso da una canzone tratta dalla colonna sonora di High School Musical 2 "Gotta go my own way". Mia figlia mi ha tartassato tanto da incidermela sulla pelle! :)


 

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Capitolo 31
*** Nothing last forever ***


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Dr. Richardson Pov.
 
Erano passati giorni dal week end in cui Roxanne era partita per andare da Ian. Da quel giorno in cui, evidentemente, qualcosa era andato storto. 
Avevo provato un paio di volte ad estorcerle qualche informazione ma senza risultati soddisfacenti. 
La conoscevo così bene, però, da saper vedere il vuoto dietro al suo sguardo che fino a poco tempo prima brillava di una luce nuova, mai vista. 
Mi sentivo straziato nello scorgerla in giro per l’ospedale ad ogni improponibile ora, a lavorare senza sosta. Come se la sua vita non avesse uno scopo all’infuori di questo.
Già una volta era successo. Dopo Nicholas. 
All’epoca non ero riuscito ad impedirle di soffrire ma mi ero ripromesso che non avrei commesso ancora lo stesso imperdonabile errore, invece…
La porta del mio studio si aprì impercettibilmente, poi qualcuno bussò piano.
“Capo, mi ha fatta chiamare?”
“Si, Roxanne. Vieni…”
Piegò lo stetoscopio intorno al collo e nel farlo, con una mano, si massaggiò una spalla. Sotto agli occhi erano comparse delle preoccupanti occhiaie violacee.
“Da quanto non dormi?”
“Non sono stanca, capo.”
“Ti ho fatto una semplice domanda, Roxie. Da quanto non dormi?”
Sbuffò appena ma si arrese. “Trentadue ore, capo.”
“Sarà il caso che tu vada a casa e non ti faccia vedere domani. Hai bisogno di riposare. Sei ridotta uno straccio.”
“Beh, grazie, capo. – mi rispose chinando il capo – ma non ne ho affatto bisogno e ho ancora un paio di pazienti in osservazione da tenere sotto controllo.”
Mi resi conto che non avrei cavato un ragno dal buco in quel modo ed io dovevo sapere che si sarebbe riposata un po’. Che ci avrebbe almeno provato.
“Dottoressa Findle, - dissi, categorico – come suo superiore non posso permettere che un mio medico lavori per così tante ore, senza sosta, per cui le ordino di posare il camice e andare a casa.”
“Mah, capo…”
“Roxanne, ti prego. – sospirai, frustrato – è davvero necessario.” La pregai, incerto se proseguire o meno. Poi la guardai giocare con il timpano dello stetoscopio. 
“Ehi, tesoro…”
Teneva lo sguardo basso e aveva iniziato a mordersi il labbro inferiore.
“Non voglio fermarmi, David. Se lo faccio, sono costretta a pensare e se penso mi tornano in mente cose e persone che sto cercando di accantonare.”
“Senti – le dissi, alzandomi e accarezzandole la spalla – non è mettendo da parte problemi e sentimenti che questi spariscono. Dovrai prima o poi farci i conti, Roxanne.
Non voglio sapere cosa è successo, se tu non vuoi raccontarmelo. Ma devi affrontare i tuoi fantasmi. Devi. Ma prima devi dormire.”
In quel momento mi accarezzò la mano e se la portò alla guancia. Sentii le sue lacrime scivolare attraverso le mie dita quando si alzò e mi abbracciò forte.
“E’ finita, papà. Sono stata ingiusta e codarda ma non posso. Non ce la posso fare. Non sono forte, papà.” 
Non dissi niente. Non respirai quasi. Mi limitai a stringerla tra le braccia e accarezzarle i capelli finché non si fu sfogata. 
Poi lasciò la presa e mi guardò, un po’ in imbarazzo. Tirò su col naso. Mi sembrò così bambina in quel momento che un moto improvviso di tenerezza mi pervase e la ripresi di nuovo stretta a me.
“Tu sei forte. Molto più di quanto credi.” 
Le accarezzai un’ultima volta la testa, sorridendole e porgendole il mio fazzoletto.
“Vai a dormire. E fatti una doccia. Santo cielo, Roxie…puzzi!”
“Lavanda gastrica, capo!”
Sorrise per un secondo che a me parve infinito. La congedai, promettendo a me stesso che sarei stato da quel giorno in poi, più presente e attento. Proprio come avrebbe fatto suo padre. 
Prima di sparire dietro la porta si voltò di nuovo verso me.
“Grazie… papà.”
 
Roxie Pov.
 
Avrei dovuto ascoltare l’ordine del capo e andarmene a casa. 
Avrei dovuto farlo veramente. 
L’idea di partenza fu proprio quella, quando m’incamminai attraverso il lungo corridoio, diretta agli spogliatoi. Non era certo colpa mia se prima di giungere a destinazione fui costretta a passare davanti alla sala giochi. 
“Happiness Room.” Un regalo. Un dono inestimabile. Un gesto davvero di cuore. Quel gesto che aveva poi portato alla condizione attuale.
Quello che aveva permesso che in quel momento soffrissi come forse non avevo sofferto mai. 
Quello stesso che, però, mi aveva portato tanti meravigliosi attimi, così intensi da togliere il respiro.
No, Roxie, nessun rimpianto. 
Pensavo a questo mentre, senza neanche rendermene conto, aprii la porta di quel luogo incantevole e sereno. E avrei dovuto ringraziare ancora una volta Ian. 
Era tutto spento. Dopotutto l’ora era piuttosto tarda. 
Accarezzai con lo sguardo il treno dei desideri e sorrisi inconsapevolmente. Chissà se sarebbe servito anche a me, esprimere un desiderio. Sperare che anche per me un piccolo grande sogno si avverasse. 
Scrollai il capo, quasi indignata con me stessa. Quei bambini lottavano per stare in vita ed io mi stavo piangendo addosso! Inaudito! 
Chiusi il cassetto delle foto, che qualcuno aveva inavvertitamente lasciato aperto, e mi voltai verso l’uscita quando con la coda dell’occhio, nell’angolo più lontano della sala, scorsi l’ombra di qualcuno seduto a terra.
“Chi c’è la?” chiesi senza alzare troppo il tono.
“Dottoressa, mi scusi…” rispose l’ombra con una flebile vocina.
“Cassidy?” chiesi, sorpresa di trovarla fuori dal suo letto a quest’ora. “Cosa ci fai qui?”
La raggiunsi e mi accovacciai accanto a lei. Stava guardando le foto ricordo, illuminandole con lo schermo del telefonino. 
Quelle foto. Non ero sicura di essere pronta a rivederle. Non ero per niente sicura di volerlo. Avrei rivisto Ian e…
“Vi siete lasciati, vero?” la sua domanda mi colse totalmente impreparata ed il cuore cominciò a battere furioso. Ma la ragazzina era sveglia e non l’avrei intortata. In alcuna maniera.
“Già…” mi sforzai di rispondere.
“Non tornerà più a trovarci, è così?” il tono con cui lo chiese e lo sguardo malinconico che sfiorava la foto, quella in cui eravamo io e lui con tutti i ragazzi, mi spiazzò ancor più della domanda in se.
Non sarebbe più tornato? Potevo saperlo?
E se fosse tornato? Sarei stata in grado di affrontarlo serenamente?
“Non lo so, Cas…” ammisi, sconfortata, abbracciandola stretta. “Non lo so.”
“Stavate bene insieme.” Quell’ultima frase, apparentemente così innocua, mi disarmò dandomi la stoccata finale. 
“Niente dura per sempre.” Sussurrai. Non ero certa che mi avesse sentita.
“E’ ora di andare a nanna, piccola. Su…” 
Presi le foto. Le riposi nello stipetto e accompagnai Cassidy alla sua camera, dandole la buonanotte. Non disse più niente riguardo ad Ian e le fui grata. 
Feci in tempo a salire in casa, poi mi lasciai sopraffare dall’angoscia e piansi quelle lacrime che credevo di aver prosciugato.
 
La mattina dopo.
 
Aprii gli occhi e dopo qualche secondo misi a fuoco la situazione. 
Mi ero addormentata sul divano, ancora vestita. Buck mi fissava di sbieco. 
L’ultimo pensiero lucido che ricordavo di aver fatto, prima di cedere alla stanchezza, mi ronzava ancora nelle orecchie e, presa dal momento, decisi che avrei dovuto assecondarlo.
Presi dalla borsa il cellulare, dove non mancavano messaggi di Ian, e con leggera titubanza schiacciai il tasto rispondi. 
“Venerdì alle tre c’è l’inaugurazione ufficiale della Happiness Room. A tutti noi farebbe davvero piacere vederti. Ciao.”
Chiusi gli occhi mentre premevo invia. Stavo commettendo l’ennesimo errore?

Note 

Salve a tutte! 
Eccomi qui con il nuovo capitolo!
Mi sto stupendo di me stessa ultimamente e sono così felice di riuscire a pubblicare quasi ogni settimana, nonostante i vari problemi.
Beh, cosa dirvi di ciò che avete appena letto?
Ovviamente Roxanne sta soffrendo come un cane e da quando è successo il patatrack non è ancora riuscita a parlarne con nessuno. Nemmeno con Anne. 
E finalmente scioglie il nodo con l'uomo che in parte ha sostituito la figura del suo papà. Il dottore Richardson, del quale ho voluto inserire un breve pov. 
Dopo la veloce chiacchierata con Cassidy (ve la ricordate? la ragazzina fan del diario che è ricoverata in ospedale e con cui Ian aveva particolarmente - e straordinariamente, direi - legato...) Roxie si rende conto che i loro problemi devono essere messi da parte di fronte a quei bambini che certamente si aspettano di rivedere lui e gli altri all'inaugurazione. Visto e considerato che hanno anche materialmente contribuito alla nascita di quel progetto. E così, come ci si poteva aspettare da una come lei, decide di chinare il capo e contattare Ian. Avrà fatto bene? Cosa succederà? 
E Ian? Come sta? Come ha preso questa separazione? Cosa farà quando riceverà il messaggio della sua Roxie?
Lo saprete nella prossima puntata! ahahahhah xD
Un grazie di cuore davvero alle mie anime pie che recensiscono: Chara, Iansom, Cloudofmusic e Minelli! Siete davvero preziose per me e mi date la spinta per continuare. 
Grazie anche a chi legge in silenzio, ovviamente e ... vabbè..la smetto o le note saranno più lunghe del capitolo!
Un abbraccio... a settimana prossima!

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Capitolo 32
*** Ray of light ***


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Ian pov.
 
Non contavo più i messaggi che le spedivo. Tanto meno controllavo quante volte il mio dito avesse digitato il tasto ‘Call’ per chiamarla. 
Sul lavoro cercavo di essere quello di sempre ma appena la macchina da presa si spegneva, io semplicemente mi spegnevo con lei.
L’idea di averla persa per sempre vorticava di continuo in ogni parte del mio essere, creandomi panico. La sensazione di smarrimento che provavo non era minimamente paragonabile a nulla che avessi sperimentato sino ad allora e non riuscivo a trovare un modo per affrontarla se non accanirmi sul cellulare. 
I tentativi di consolazione da parte dei miei amici, apprezzabili, per carità, non sortivano mai l’effetto sperato, anzi; contribuivano a farmi sentire più miserabile senza di lei.
“Vedrai che cambierà idea, Ian. E’ solo spaventata dalla situazione e dal mondo in cui vivi ma nel profondo, dentro di se, sa che tu ne vali la pena!”
Paul. Se non fosse per il suo matrimonio riuscitissimo e il mio amore per Roxanne – il solo pronunciare il suo nome provocava un’agonia indescrivibile – gli avrei chiesto di sposarmi. 
Sapeva sempre cosa dire e quando; per un millesimo di secondo riusciva anche nell’intento di darmi speranza.
Peccato che non credevo affatto che sarebbe tornata indietro. Se avevo imparato qualcosa di lei di sicuro erano la sua determinazione e la sua reticenza nell’accettare i cambiamenti, nel lasciarsi andare. 
Lo guardai alzando un sopracciglio, scettico.
“Il tempo mi darà ragione.” Sentenziò con l’aria di uno che la sapeva lunga. 
 
“Fai qualcosa! Avanti, forza! Vai da lei! Inginocchiati! Supplicala!” 
Candice era certamente su un altro pianeta rispetto al mio amico Paul. Lei aveva sempre amato i gesti plateali da film strappalacrime. Le storie da favola nelle quali l’uomo abbandonato si prostrava ai piedi della principessa, pregando per un’altra possibilità.
“Non farei altro che allontanarla di più.” Decretai. Potevo ben immaginare la reazione di Roxanne ad una scelta così melodrammatica.
“Più lontana di così, amico mio, credo che non può andare.”
Non la sentivo da giorni. Probabilmente la sua segreteria era scoppiata nel vano tentativo di contenere i miei messaggi vocali ed il suo telefonino aveva dato forfait dopo il millesimo sms. Ma di lei, nemmeno un cenno. 
“Almeno non ti ha mandato al diavolo. Vuol dire che ci tiene. Che non vuole mettere un muro. Ma che ancora non se la sente di affrontare la situazione.”
“Candice, io non piomberò a Franklinton mancando di rispetto a lei e alla sua decisione, per inginocchiarmi ai suoi piedi e leccarglieli!”
“Uomini ed ego! Non ti facevo così orgoglioso, Smolder!”
“Non è per il mio orgoglio, né per la mia dignità. Tu non capisci. Se tornerà deve farlo perché lo vuole lei, non perché le faccio pena e si sente in dovere. Non piegherò sul suo senso di colpa!”
“Però la riempi di messaggi…”
“Non sono il tipo di messaggi che credi, Can.”
Chinai il capo, cercando senza successo di arginare la tristezza dilagante. 
“Ho fatto un passo indietro. Le racconto le mie giornate, le cose più banali. Cerco di renderla partecipe della mia vita. Voglio solo che sappia che io non l’ho abbandonata.”
 
Nina pov.
 
“Penso che tutto questo sia semplicemente patetico.”
Origliavo la loro conversazione praticamente dall’inizio e mi ero giurata che non sarei intervenuta. Ma le mie orecchie avevano sentito abbastanza. Non potevo sopportare oltre.
“Avvilirti e disperarti come un uomo comune.” Continuai avvicinandomi a loro. Candice mi guardava storto. Conosceva ampiamente il mio pensiero al riguardo, anche se continuava a dare man forte all’altra. 
Avevo già visto Ian conciato male per una donna e credevo che il fondo lo avesse raschiato con Megan. Invece al peggio non c’era fine, dopotutto. 
E poi speravo che finalmente si accorgesse di quanto fossi perfetta per lui.
“Nina, per favore, non ti ci mettere anche tu! Hai combinato i tuoi danni tempo fa.”
“Danni?” lo guardai di sbieco. Se credeva di potermi mettere alla gogna a causa di una qualunque, addossandomi colpe non mie, si sbagliava di grosso.
“Se Roxanne non ti avesse sentita in quel camerino…” iniziò alzandosi e pronto ad andarsene.
“E no, bello! In quel camerino c’eravamo in due e non stavamo facendo niente di male. Se la tua amichetta è scappata via come una scolaretta senza neanche verificare i fatti, non è certo colpa mia…”
“Piantala, Nina! Tu non vedevi l’ora in ogni caso…” Lo shock mi paralizzò nel sentire quella che si definiva la mia migliore amica, darmi contro.
“Candice???”
“E se non avessi fatto quella scenata in ospedale mesi fa lei non avrebbe mai avuto il minimo dubbio su di noi e quel giorno non sarebbe fuggita…”
“Ok, ho capito. Sono il capro espiatorio.” Dissi, infine, seccata. “Prego, accomodatevi! Datemi la colpa anche del buco nell’ozono e della fame nel mondo, così siamo a posto e voi potrete continuare a sperare che quell’idiota dai capelli rossi torni scodinzolante al vostro cospetto!”
In quel momento lo sguardo assente e malinconico di Ian tramutò in una nera minaccia. Mi resi conto solo allora di averla insultata e i suoi occhi non promettevano nulla di buono. 
“Il tuo vittimismo e la facilità con cui giudichi una persona che non conosci e non hai mai desiderato conoscere, sottolinea quanto fondamentalmente tu sia immatura. Questo ci piazza agli antipodi, Nina. Non ti ho mai vista che come un’amica. Ora sei solo una collega con cui sarò costretto a lavorare.”
Ogni parola rimbombava come uno schiaffo. Faceva più male che se mi avesse colpita. Forse avrebbe dovuto. Me lo sarei meritata. 
“E comunque non sono io l’uomo speciale. E’ lei ad essere una donna straordinaria. – concluse voltandosi – avresti tanto da imparare da lei.”  
Candice mi fissava, tristemente. Non disse niente e si allontanò piano, accanto a lui. 
Mi sentii piccola come una formica. Non tanto per l’insulto a Roxanne, quanto per aver ferito la persona a cui più tenevo. 
Ero innamorata di lui senza essere ricambiata ma a questo sarei sopravvissuta, probabilmente.  
Non avrei potuto sopportare, invece, il suo sguardo colmo di disprezzo.
Era innamorato e, evidentemente, ricambiato. 
Se proprio voleva lei, avrei dovuto fare qualcosa per riportagliela. 
 
Ian pov.
 
Rientrai a casa, completamente a pezzi. 
La discussione con Nina mi aveva dato il colpo di grazia. 
L’avevo sempre ritenuta una buona amica nonostante la sua strana convinzione di essere innamorata di me. Il suo non era che il capriccio di una ragazzina, lo sapevo bene. Le sarebbe passato in fretta, non appena avesse trovato un altro bersaglio sul quale posare la mira. 
Ma le cattiverie gratuite che aveva soffiato mi avevano fatto davvero male. Non la ritenevo capace di tanto. 
“E’ solo un po’ immatura ma ti vuole bene. Non te la prendere più di tanto. Penso che si sia già pentita. Notte Smolder. Can”
Il messaggio non aveva certo spazzato via l’amarezza e la delusione, sapevo però che aveva ragione. E comunque non avrei potuto odiarla a vita. Come sarei riuscito a lavorarci insieme, altrimenti?
Feci una doccia veloce e quando finalmente mi coricai presi il telefono.
“Non so se un giorno mi permetterai di parlarti ancora. E non oso neanche sperare di rivederti. Ad ogni modo vorrei ringraziarti per il tempo trascorso insieme e per tutto ciò che mi hai trasmesso in quei momenti. Buonanotte, Rox. I.” 
 
Il mattino dopo
 
Aprii gli occhi e dopo qualche secondo misi a fuoco la situazione. 
Mi ero addormentato con il telefono stretto in mano. 
Il primo pensiero, come ogni mattina, corse verso lei. La immaginai nella sua cucina, con i capelli raccolti che faceva colazione, in piedi, leggendo il giornale. 
Oppure era già in ospedale, col suo camice bianco e le tasche piene di caramelle gommose per i suoi bambini?
In quel momento il cellulare vibrò. Lo rigirai tra le dita cercando di non aspettarmi l’impossibile. Ma quando lessi il nome del mittente scattai seduto sul letto. 
“Venerdì alle tre c’è l’inaugurazione ufficiale della Happiness Room. A tutti noi farebbe davvero piacere vederti. Ciao.”
Chiusi gli occhi mentre cercavo di metabolizzare la situazione. 
Mi aveva scritto. 
Mi aveva invitato all’inaugurazione in ospedale.
Probabilmente, conoscendola, lo aveva fatto per non deludere i bambini ma in quel momento non m’importava niente del motivo che l’aveva spinta a farlo.
L’unica cosa a cui pensavo era che finalmente l’avrei rivista. 
 
Note

Et Voilà! 
Il nuovo capitolo é pronto e pubblicato.
Mi sembrava giusto dare spazio anche ad Ian e ai suoi sentimenti dopo la rottura con Roxie.
Ovviamente non ha gettato la spugna come alcune di voi temevano. Non sarebbe stato normale se avesse continuato la sua vita di sempre, fregandosene di lei e di ciò che li aveva legati. Lui è seriamente molto innamorato, come del resto Roxanne.
Però la conosce. Lui stesso non è il tipo, per sua ammissione, da piazzate e sceneggiate. Anzi, tutto sommato è piuttosto composto.
E rispetta gli spazi, i tempi e le decisioni di lei. Si concede solo piccoli sprazzi di impulsitivà con i messaggi ma solo perchè nella vita di Roxanne tutti coloro che ha amato l'hanno abbandonata (alcuni purtroppo non per loro volontà) e vuol farle sapere che nonostante non stiano più insieme lui non la lascerà mai sola.
Poi c'è Nina. Ok, mi rendo conto di essere stata davvero cattiva con la piccola Dobreva (sarà la mia invidia latente per la sua reale situazione sentimentale xD) ma chissà che ci si possa ricredere su quella bellissima viperetta! Mah.... xD
Per il momento ringrazio le solite mia care pie seguaci Chara, Cloudofmusic, iansom e Minelli (anche se nell'ultimo capitolo, ahimè, si è data alla macchia...ahahahaha) e tutti coloro che leggono in silenzio.
Vi abbraccio e vi rimando a settimana prossima.

p.s. so che avreste dovuto notarlo voi ma ve lo dico ugualmente. L'ultimo pezzo del pov di Ian è volutamente simile all'ultimo pezzo del pov di Roxie per far trasparire quanto comunque la lontananza sia sofferta per entrambi, non solo per lui. 


 

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Capitolo 33
*** Earthquake ***


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Roxie Pov.
 
Ero da poco rientrata dal lavoro e, dopo aver portato fuori Buck per una volta ad un’ora decente, me ne stavo raggomitolata sul divano davanti alla tv e con un trancio di pizza sudicio tra le mani.
Era la serata di The Vampire Diaries e sebbene mi fossi imposta di non farmi più del male, il richiamo di quella pelle e quegli occhi magnetici era troppo forte per essere ignorato. E dopotutto, pensai, mi sarei dovuta rassegnare al fatto che mancavano ormai poche ore al momento in cui lo avrei rivisto di persona.
Ero pronta?
No. Decisamente no.
Potevo farcela ad affrontarlo?
Forse. Anche se poi avrei dovuto fare i conti con lunghe notti insonni e crisi di pianto, alternate a brevi istanti di lucidità in cui mi sarei imposta contegno.
Se avesse provato in qualche modo a riportarmi da lui, sarei riuscita a negarmi?
Sospirai, strappando dalla pizza ormai gommosa un generoso pezzo e masticando con stizza. Non avevo voglia di rispondermi.
Sta zitta, Roxie!
Intanto la puntata era iniziata. Stefan era al Mystic Grill e vedeva da lontano Damon ed Elena che giocavano a biliardo. La complicità tra loro si toccava con mano. Sorridevano. Lui l’abbracciava da dietro con la scusa di insegnarle ad usare la stecca.
E’ solo un telefilm! Stanno recitando.
Ian e Nina che si baciavano. Solo quello riuscivo a vedere.
Lui non è più tuo. Lo hai allontanato.
Eppure il pensiero delle sue mani su un corpo che non era il mio mi faceva male.
Poteva paragonarsi al dolore della carne che si strappa dalle ossa. Di un arto che si rompe. Di un cuore che si lacera.
Il telefono suonò nel momento in cui le mie dita, preda di un moto di rabbia improvviso, spensero la tv con un click secco. Che poi, rabbia contro chi? Contro Damon che baciava Elena? Contro Ian che sfiorava Nina?
O contro me stessa, che avevo permesso alle mie vecchie ferite di tornare a sanguinare allontanando da me l’unica persona che avesse davvero dimostrato di amarmi come avevo sempre sognato di essere amata?
Presi il cellulare con poca voglia. Non ero entusiasta all’idea di intavolare una qualche conversazione con chicchessia. Ma era Anne. L’avevo evitata per troppo tempo. Avevo tralasciato di raccontarle tutta la triste faccenda fino a quel momento, consapevole che ne avrebbe fatto un affare di stato e mi avrebbe detto l’unica cosa che proprio non avrei voluto sentire: la verità.
Mi resi conto, però, che non potevo tenerla fuori a vita. A breve si sarebbe sposata e io avrei dovuto farle da damigella. E comunque sarebbe stata capace di assaltare casa mia con gli S.W.A.T. e ci mancava solo quello!
“Pronto.”
“Ahhh finalmente! Ce ne hai messo di tempo per trovare il coraggio di parlarmi!”
“Ciao Anne, che bello sentirti! Io sto bene e tu?”
“E’ inutile questo tuo blando tentativo di raggirare la questione! – fece una delle sue solite pause drammatiche – ho parlato con Richardson e sentito Candice.” Sentenziò imperiosa, come decretasse lo scacco matto.
“Sarà meglio che tu abbia delle scuse più che plausibili per aver fatto quello che hai fatto!” m’intimò. Stranamente né il suono della sua voce, né le parole mi toccarono.
Forse, ringraziando me stessa e soltanto me, avevo raggiunto il fondo dell’autocommiserazione da un po’ e i tentativi della mia amica di farmi sentire ancora più un’idiota non avrebbero aggravato il mio stato.
“Ho preso la mia decisione, Anne. So cosa pensi al riguardo ma sto già male abbastanza. E non c’è alternativa. Spero che tu possa capirmi e rispettare la mia scelta.”
Sospirai cercando di contenere il pianto che stava tornando a torturare occhi e gola.
“Se Ian l’ha fatto, puoi farlo anche tu.”
“Ian ti ama ed è troppo buono e attento a ciò che vuoi per forzare la mano!”
“Si – soffiai con un filo di voce – beh, comunque sia lo spettacolo deve proseguire e prima mi passa, prima tornerò alla mia tranquilla vita di provincia. Le luci della ribalta non fanno per me, Anne.”
“Vedo però che recitare non ti viene difficile. Smetti di mentire, almeno a te stessa. Comunque non infierirò. Ci vediamo venerdì all’inaugurazione.”
“Non far…” ma aveva già agganciato.
Avevo scordato di averla invitata! Pregai che non facesse niente di stupido, niente che fosse tipico di lei come, per esempio, mettersi in mezzo.
 
Quel venerdì…
 
Mi ero alzata malissimo. Con un cerchio alla testa incredibile e l’ansia a mille.
Arrivata in ospedale per il mio consueto turno, presi dal carrello delle medicine un analgesico e lo trangugiai con il caffè che mi ero portata da casa.
“Svegliata male?” Jill mi guardava con aria preoccupata. Cercai di sorriderle, per quanto mi fosse possibile.
“Solo un po’ di mal di testa, tranquilla.” Le risposi, allontanandomi verso la sala operatoria.
Per arrivare alle tre di quel pomeriggio senza troppe crisi di nervi mi ero fissata un trapianto di cornea che mi avrebbe senz’altro portato via la mattina e se fosse avanzato del tempo avrei sempre potuto assistere alla laparotomia esplorativa di Carl.
Quando mi ritrovai nello spogliatoio, quel pomeriggio, mi sentivo decisamente meglio. La mia tattica, che prevedeva di riempire ogni singolo momento con qualcosa che m’impedisse di pensare a ciò che sarebbe accaduto, aveva funzionato alla grande. Ma poi? Gli espedienti finivano ed io mi ritrovavo di fronte la realtà.
Aprii l’armadietto e sfilai dallo zaino i vestiti che mi ero portata. Mi feci una doccia veloce e mi vestii. Continuavo a guardarmi nello specchio con occhio critico.
Troppo bassa, troppo magra. Troppo pallida. I capelli troppo lisci, sembravano spinaci rossi. Mi sbuffai nel riflesso proprio come fanno i matti e mi diedi della stupida per l’ennesima volta. Cosa poteva mai importarmi di apparire attraente? Non c’era nessuno su cui far colpo…
E comunque al fianco di Nina, che certamente non mancherà di fare la sua comparsa e di guardarti con espressione tronfia, sembrerai lo stesso uno spaventapasseri.
“Vai di la e fa come se nulla fosse! Salutali tutti alla stesso modo e dedicati ai bambini!”
Ero arrivata a rimproverarmi a voce alta davanti allo specchio, ero sicuramente messa male!
Presi un ultimo lungo respiro ed uscii, sicura che qualunque cosa fosse successa, non avrebbe potuto farmi stare peggio di come stavo.
 
Ian pov.
 
Quando arrivammo al Riverside ormai ogni mio organo era in tumulto.
Da lì a poco l’avrei rivista.
Onestamente non mi sentivo abbastanza pronto.
Avrei dovuto salutarla senza stringerla a me e baciarla.
Avrei dovuto parlarle cercando di evitare i soliti nomignoli.
Non avrei più potuto guardarla con l’amore negli occhi.
Impossibile. Già al solo pensiero di essere nello stesso luogo in cui si trovava lei, mi sentivo un ragazzino del liceo. Avevo anche un accenno di nausea.
Paul camminava al mio fianco, in silenzio. Candice, Nina e Kat si erano già piazzate davanti all’ascensore.
“Nervoso?” mi chiese d’un tratto. Curvai le labbra nel mio solito sorriso di circostanza, sorriso che troppo spesso stavo indossando nell’ultimo periodo.
“Un po’…”
La sua mano si posò sulla mia spalla in un gesto di comprensione e sostegno senza aggiungere parole inutili. In quel momento mi sentii davvero grato di averlo vicino. 
 
Nella Happiness Room era tutto allestito, pronto per la festa, e noi eravamo i primi  arrivati, eccetto che per due ragazzi del catering che sistemavano il buffet.
“E’ davvero uno spettacolo!” cinguettò Candice mentre si guardava intorno estasiata e commossa.
“E’ tutto merito vostro!” disse una voce che mai avrei potuto scordare. Mi voltai verso l’ingresso. Roxie ci stava raggiungendo sorridendo.
Indossava un paio di jeans e il maglioncino rosa della nostra strana prima cena. Le stava più largo di quanto ricordassi sulle spalle e in vita. Aveva perso peso.
I suoi occhi nocciola erano spenti, quasi incolore. E la tristezza nel suo sguardo si poteva sfiorare con mano.
Avrei tanto voluto cancellarla con un soffio. Avrei voluto…
“Ciao Ian…”
Mi ero perso tutta la parte in cui, uno per uno, i miei amici le si erano stretti intorno. Persino Nina l’aveva salutata con trasporto. Che diavolo aveva quella ragazzina?
Roxie se ne stava di fronte a me con gli angoli della bocca incurvati all’insù e probabilmente aspettava un mio gesto.
Mi sporsi in avanti verso il suo viso. Non provavo imbarazzo nonostante il pungente desiderio di stringerla che per poco non fece deviare le mie labbra sulle sue.
Mi baciò una guancia, tranciando via di netto il filo invisibile che teneva imbrigliato il mio autocontrollo. La cinsi con le braccia e la strinsi a me per qualche secondo.
Avevo ragione, era dimagrita.
Ma la sua essenza era immutata. Il suo profumo lo stesso di sempre.
Se solo mi avesse ascoltato per qualche minuto. Se avesse creduto un po’ di più in me.
Se solo ci avesse regalato un’altra chance…
“Ciao Roxie…”
 
Roxie pov.  
 
Stavo camminando a passo quasi spedito verso la Happiness Room quando, voltato l’angolo vicino a quello che una volta era il mio studio, sentii la voce di Candice.
Erano già qua! Ed io che avrei voluto prepararmi psicologicamente! Inutile, non sarei stata pronta nemmeno dopo ore di training autogeno! Forse schiantarsi di netto con la realtà sarebbe stato meglio dopotutto. Come una ceretta o un dente da togliere. Uno strappo secco e via!
Candice stava parlando ancora.
“E’ davvero uno spettacolo.” Disse, elettrizzata, guardandosi intorno. Attraversai la porta proprio mentre stavo prendendo l’ultimo lungo respiro prima dell’apnea. Se avessi anche solo inalato due secondi il profumo di Ian sarebbe stata la fine. Il muro avrebbe ceduto di nuovo. Ne ero consapevole.
“E’ tutto merito vostro…” soffiai fuori, cercando di apparire più disinvolta possibile. Come se quegli occhi sparati nei miei a velocità supersonica non mi avessero minimamente destabilizzata.
Dio, erano ancora più belli di quanto ricordassi. Erano stati sempre così chiari?
Per un istante lo vidi smarrito poi mi sorrise e, sebbene rischiassi di perdere il controllo, sorrisi in risposta. Sembrò esaminarmi per qualche istante e feci altrettanto.
Aveva i capelli, sempre nerissimi, un po’ più lunghi dell’ultima volta che ci eravamo visti. Il suo panama beige cadeva sulla testa mollemente e quando scesi con lo sguardo sul suo viso, mi dispiacque di trovarlo un po’ scavato. La sua mascella volitiva risaltava ancora di più. Per un attimo mi sentii terribilmente in colpa.
Un’impercettibile spostamento d’aria mi colse alla sprovvista e per due brevissimi secondi riuscii ad inalare la fragranza familiare e disarmante del suo dopobarba. Sorrisi appena al ricordo che quel profumo aveva evocato. Una delle tante mattine che ci aveva sorpresi insieme.
“Ciao Ian…” Senza averlo deciso lucidamente mi avvicinai a lui mentre stava per fare altrettanto. Le sue labbra erano così accessibili, così vicine! Per la frazione di un momento sentii le solite scosse di terremoto che solo lui era in grado di scatenare, devastarmi e promettere atroci sofferenze se non le avessi lambite con le mie. Poi, il mio solito animo codardo ed impaurito, mi deviò e finii con lo stampargli un flebile bacio sulla guancia.
E senza rendermene conto ero di nuovo tra le sue braccia e quel suo profumo esageratamente attraente, irrimediabilmente squisito e indecentemente sensuale era tornato a scorrermi nelle vene.
Ci sarebbe mai stato al mondo un altro uomo in grado di annientarmi come Ian riusciva a fare?
Avrei provato ancora per qualcuno che non fosse lui, lo stesso identico, sismico trasporto?
Sembravano passate ore da che le sua braccia mi avevano stretta di nuovo e non erano trascorsi che pochi secondi.
Tremava tutto così forte dentro di me da non riuscire più a capire niente. Però non potevo cedere così, con un sorriso e un battito di ciglia. Le mie ragioni potevano essere opinabili, tuttavia le sentivo ancora vere e fondate.
“Vado a chiamare i bambini…” mi affrettai a dire, sciogliendomi dall’abbraccio un po’ troppo bruscamente. Mi voltai ed uscii dalla sala, lasciando Ian e gli altri da soli. 

Note 

Buonasera a tutte!!!

oddio, non mi ero resa conto che fosse così tardi.. scusate se sarò spiccia con le note ma davvero è un'ora indecente e domani la sveglia suonerà inesorabile!
beh, ecco il nuovo capitolo. In verità è una parte del capitolo. Mi era uscito troppo lungo così l'ho spezzato in due, per cui sappiate che la parte dell'inaugurazione ancora non è finita!
Non c'è che dire, sti due si amano alla follia. E' uno di quegli amori epici che non può finire perchè sarebbe come andare contro natura, eppure Roxie è frenatissima. 
Beh, non la biasimo, onestamente. Ma parliamo pur sempre di Ian! Cioè... io credo che potrei impegnarmi e soprassedere sul tipo di vita che fa e sul fatto che milioni di fan in tutto il mondo ogni notte se lo sognano nudo! No?! :D
Ok, sarà l'ora tarda ma rischio di scrivere le note più schifose di sempre per cui mi limiterò a ringraziare le mie dolci lettrici. Sia quelle che recensiscono sempre che quelle che leggono in silenzio sognando di essere Roxie. Non sto a nominarvi tutte ora perchè per il mio standard siete già troppe! XD Ho toccato l'apice con lo scorso capitolo: 6 recensioni!!! Waaaaa *w* 
°saltella e canta come una sgallettata!° 
Ok, la smetto con le stupidate, clicco su ok, spengo e me ne vado a letto! :)

Buonanotte!!!!!!

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Capitolo 34
*** There's a rose outside your window, the first snow is falling down ***


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Roxie pov.
 
Quando fummo tutti insieme nella grande sala a giocare con i bambini, quel terremoto emozionale che mi aveva percossa solo pochi minuti prima sembrava essersi calmato un po’. Quanto bastava per farmi sembrare normale, almeno. 
Ogni tanto sentivo gli occhi di Ian perforarmi la nuca; altre volte lo beccavo proprio a fissarmi ma, dopotutto, io non facevo altrettanto? 
Era per me una fatica sovraumana stare nella stessa stanza con lui, fingendo di non sentire tra le braccia la sua mancanza così forte da mozzarmi il fiato. Ma guardavo i bambini che si divertivano con i ragazzi; vedevo Cassidy sorridere con Ian e Nina e cosa potevo fare se non mandare giù l’ennesimo boccone amaro e andare avanti?
Per fortuna però il fato, il Signore o chi altro, ebbe pena per me e in quel momento fece suonare il cicalino del cerca persone. Guardai il numero sul piccolo display: era il pronto soccorso. 
“Ragazzi, devo andare a vedere cosa succede giù. Torno tra poco…” dissi mentre tre bambini, Kat e Paul stavano giocando a Twister mentre altri si facevano imbambolare dalle favole di Candice-Fatina-Turchina e Ian, Nina e Cassidy se ne stavano in un angolo a chiacchierare.  
In quell’istante tutti si voltarono verso di me sorridenti ma l’unica cosa che riuscivo a vedere era il suo volto. Il suo sorriso appena accennato non era altro che una maschera. Ne ero certa perché i suoi occhi non si accesero insieme ad esso. Alzò appena un angolo della bocca e mi fece un cenno con il capo. Qualcosa che probabilmente soltanto io registrai e fu quasi come ricevere uno schiaffo in pieno viso.
Cosa gli avevo fatto? Come potevo permettere che soffrisse così? 
Mi rendevo perfettamente conto di essere semplicemente un’egoista che stava mettendo il suo benessere, se così potevo chiamarlo, davanti a tutto e tutti. Eppure la mia paura era ancora più forte di ogni cosa. Anche del mio amore.
 
Candice pov.
 
Me ne stavo seduta sul tappeto ed intorno a me bambini di tutte le età mi fissavano, concentrati nell’ascolto delle favole che snocciolavo come patatine. Mi stupii di quanto fossi in grado di intrattenere quei ragazzini e nello stesso tempo di controllare l’andamento della soap opera cui tutti stavamo assistendo. Ero decisamente furibonda perché stavo guardando uno dei miei migliori amici che lentamente si struggeva ai piedi della donna che amava, senza fare assolutamente nulla per riprendersela. 
Non era una di quelle storie in cui uno lascia l’altro perché l’amore si è spento o per chissà quale altro tragico motivo. Loro due così lontani era decisamente la cosa più stupida, inutile e logorante che potesse accadere! 
Ian e Roxie nella stessa stanza erano esattamente come la falena e la fiamma. L’uno non riusciva a staccare gli occhi dall’altra. Se uno si muoveva, l’altra faceva altrettanto, con lo stesso meccanismo magnetico di due pianeti che si spostano sulla stessa orbita. 
Che diavolo ci voleva ancora per far capire a Roxie che non importava quanto la sua paura fosse grande, quando in ballo c’era un amore epico come quello che tutti cercavano ma che raramente trovavano? 
Mentre Roxie usciva dalla sala per andare a prendere in mano chissà quale urgenza,
scrutai con la coda dell’occhio Ian che guardava nella direzione della porta con l’aria da cucciolo smarrito.  
No, decisamente non ci siamo! Non siamo proprio!
Proprio in quel momento Nina, che stava scattando foto a tutti i bambini, si avvicinò a me con fare circospetto. Inarcai un sopracciglio, indecisa su cosa aspettarmi da quello sguardo laborioso. 
“Seguimi.” Mi soffiò nell’orecchio. 
Curiosa e, dovevo ammetterlo, piuttosto meravigliata da quel comportamento, mi congedai momentaneamente dai miei spettatori, proponendo loro di inventare ciascuno una favoletta che avremmo letto insieme al mio ritorno. 
Eccitati e divertiti dall’idea si misero subito all’opera così potei sgusciare fuori dalla stanza e raggiungere Nina. 
Se la conoscevo bene, stava architettando qualcosa di diabolico.
 
Ian pov.
 
A pensarci mi sentivo un vero idiota. 
Me ne stavo seduto su quella sedia a fare finta che tutto andasse bene. A convincermi che potevo mettere il rispetto verso Roxie davanti al mio folle desiderio di lei e permetterle di chiudere la nostra storia, senza sentire in ogni momento una nuova crepa formarmisi nel  cuore. 
Scorgevo gli sguardi contrariati e preoccupati dei miei amici che, anche se intenti a giocare con i bambini, non si facevano sfuggire ogni nostra occhiata, il più piccolo movimento. 
Dopo quel nostro primo abbraccio, all’arrivo, io e Roxie non eravamo più stati così vicini e percepivo quella distanza come un dolore fisico. Ma l’intensità dei nostri sentimenti si toccava con mano e non lo pensavo solo io, con le mie speranze e i miei sogni. Ero sicuro che anche gli altri presenti se ne fossero accorti. E anche lei che, tuttavia, compiva ogni sforzo possibile per nascondere quella forte tensione tra di noi. 
Stavo letteralmente impazzendo ma cercavo comunque di non rovinare la festa di quei ragazzini con i miei musi lunghi. Fino a quando Roxie non mi diede il colpo di grazia, andandosene.
“Ragazzi, devo andare a vedere cosa succede giù. Torno tra poco…” 
Tutti ci voltammo a guardarla. Vedendo i sorrisi stampati sulle labbra degli altri, cercai di imitarli ma probabilmente ottenni soltanto un’orrenda smorfia, non avrei saputo dire se di dolore o di rammarico. 
La seguii con lo sguardo mentre usciva, sentendo l’ennesima crepa squarciarmi il cuore. 
Che inutile sofferenza stavamo sopportando? Perché doveva essere tutto così complicato quando l’amore era l’equazione più semplice del mondo?
Forse era la disperazione a parlare. Forse quella dannata voglia di stringerla di nuovo tra le mie braccia e perdermi dentro di lei. Forse il bisogno di essere amato ancora come solo lei era riuscita a fare. O forse era l’insieme di queste cose a spingermi a pensare in quel momento che i miei amici avessero ragione ed io torto. 
Avrei dovuto combattere per noi. Avrei dovuto dimostrare a Roxie che ne valevamo la pena. Avrei dovuto riportarla da me. 
Mi alzai dalla sedia rinvigorito e pronto a qualunque cosa pur di non perderla quando il telefono vibrò nella tasca. 
“Sono arrivate le sorprese per i bambini. Scendi con il montacarichi tre al piano terra e vieni a darmi una mano, per favore. Nina.”
 
In quel momento, da un’altra parte dell’ospedale.
 
Il telefono di Roxie vibrò nella tasca del camice.
“ Sono arrivate delle sorprese per i bambini. Scenderesti, appena puoi, con il montacarichi tre al piano terra per darci una mano, per favore? Can.”
 
Ian pov.
 
Uscii dalla sala determinato a trovare Roxie e parlarle. 
Nonostante mi sentissi un po’ in colpa verso Nina, ero certo che non avrebbe sentito la mia mancanza. Avrebbe sicuramente trovato qualcun altro disposto ad aiutarla. 
Dietro l’angolo, proprio vicino al montacarichi tre, trovai lei. Roxie. Le porte scorrevoli si aprirono e lei fece per salire. Accelerai il passo fino quasi a raggiungerla, nell’istante in cui l’ascensore si stava chiudendo. 
“Aspetta… aspetta…” la pregai. Infilò una mano davanti al sensore per bloccarne la chiusura. Le porte si riaprirono e riuscii ad entrare. 
“Ehi…” mi salutò, accompagnando un lieve cenno del capo. Poi tornò a guardarsi le punte dei piedi. 
“Ehi…” le risposi, guardandola senza sapere che altro dire.
Ma dove diavolo ti è finita tutta quella determinazione di poco fa, Ian! Su, forza… parlale! 
Presi fiato e aprii la bocca.
“Rox…” dei cigolii mi bloccarono, poi un tonfo secco ci fece sobbalzare. La spia rossa che segnalava un malfunzionamento s’illuminò.
“Cazzo!” Mi avvicinai al pannello di controllo dell’ascensore e pigiai il tasto emergenza con fin troppa foga. Odiavo restare intrappolato in quegli affari! 
“Non preoccuparti. Capita spesso. Pochi minuti e ripartirà.” Cercò di tranquillizzarmi lei. “Ogni tanto si inceppano. Sono un po’ vecchi.” Proseguì, sorridendo.
Si appoggiò pigramente ad una parete e prese dalla tasca del camice un paio delle sue caramelle gommose. 
“Ne vuoi una? Dicono che masticare plachi l’ansia.” Annuii, cercando di calmarmi un po’. Dopotutto, desideravo del tempo da solo con lei e lo avevo ottenuto.
Le nostre dita si sfiorarono e la solita, familiare elettricità di cui tanto avevo sentito la mancanza si librò da quel tocco. Le sue labbra si schiusero mentre quei dolcissimi occhi nocciola deturpati dalla tristezza, si spalancarono. L’aveva sentita anche lei! Sarebbe stato impossibile da ignorare per chiunque.  
Le ero così vicino da poter sentire il profumo di menta della sua bocca ancora schiusa e percepire il suo respiro accelerato. Ogni mia cellula era protesa verso di lei, desiderosa di diminuire ulteriormente quella distanza logorante. 
Baciala! Baciala!
Mi trovai ad un soffio dalle sue labbra e la violenta scarica di adrenalina che mi pervase fece il resto. 
Come avevo potuto arrivare quasi a rassegnarmi all’idea che non l’avrei più baciata? Credevo che non sarei più stato in grado di provare le emozioni che solo quella bocca era in grado di farmi provare. Invece lei era lì tra le mie braccia, di nuovo. 
Aveva un sapore disarmante; il più afrodisiaco che avessi mai assaggiato. 
“Dio…” sospirai col fiato spezzato, imprigionandola tra il mio corpo e la parete. 
Le sue braccia si sollevarono, sfiorandomi il collo e avvicinandosi alla testa. Gemetti nella sua bocca al pensiero di sentire ancora le sue dita minute tra i miei capelli. 
Poi tutto si fermò. Le sue mani. I suoi baci. Solo il suo fiato corto, le labbra gonfie e il rossore che era tornato ad imporporarle le guance testimoniavano che fosse successo davvero. 
I suoi occhi guardavano dritto nei miei. Erano lucidi e offuscati dal desiderio, in netto contrasto con le parole che sentii subito dopo.
“Scusami, Ian. Non posso.” Chinò il capo martoriandosi il labbro con i denti. “Per quanto io ti desideri, non ce la faccio.” 
L’ascensore, con un nuovo tonfo secco, ripartì. 
Il mio cuore, per la seconda volta in poco tempo, si fermò.
Non lasciarci morire così

Note

Buonasera popolo!
Finalmente ho partorito! XD Avevo quasi tutto il capitolo da giorni. Mi mancava solo l'ultimo pezzo ma per una cosa o per l'altra (diciamo, principalmente per gli acciacchi dovuti alla mia veneranda età) non trovavo il momento e l'ispirazione giusta per finirlo. Oggi mi sono messa d'impegno ma per un istante ho avuto paura di non farcela! Avevo la scena stampata in testa da un pò ma a parole non riuscivo a renderle giustizia! -.-" che nervoso quando mi capita!
Anyway, eccomi qui. Ce l'ho fatta e spero che il capitolo soddisfi le vostre aspettative anche se so che per il finale mi starete odiando! XD Non temete, comunque. Non sarò così sadica per sempre. 
Non so se avete notato ma l'ideona del blocco in ascensore è venuta a Nina. Le volete un pò più bene, vero? :D
Per non rendere il capitolo troppo lungo e noioso ho evitato di scrivere il bacio dal pov di Roxie ma ci tengo a specificare una cosa, anche se forse non ce n'è bisogno: Roxie lo ama da morire e lo desidera come non ha mai desiderato nessuno prima (e come non capirla! XD) ma è davvero terrorizzata e soprattutto, in questo momento, confusa. Credo che ora non sia più così tutta d'un pezzo riguardo la decisione. Sta barcollando altrimenti non lo avrebbe ricambiato in quel modo ma mi sa che ancora la paura l'attanaglia. 
Vabbeh...detto questo chiudo perché altrimenti le note saranno più lunghe del capitolo! :D Ringrazio come sempre le mie lettrici, quelle che si palesano recensendo e quelle che si affacciano in silenzio! 
Me ne vò.... un bacione a tutte! 


 

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Capitolo 35
*** How to Save a Life ***


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Ian pov.
 
“E tu hai intenzione di ritirarti, semplicemente, e lasciare che si allontani definitivamente da te?”
Eravamo sull’aereo che ci avrebbe riportati ad Atlanta. Maledetto il momento in cui l’addetta del check-in aveva assegnato a me e Candice posti attigui!
Non mi bastava l’inferno interiore che stavo vivendo e con cui, presto o tardi, avrei dovuto fare i conti. No! Ci voleva anche lei con i suoi continui rimbrotti su quanto un amore vero dovesse essere combattuto e sudato.
“Di solito si combatte in due, Can! Se è solo uno a remare difficilmente la barca si sposta! Continua a girare su stessa all’infinito finché l’idiota che rema muore o, finalmente capisce che forse è il momento di mollare il remo e arrendersi!”
“Ma voi due insieme siete meravigliosi! Lei ha solo bisogno di qualche spinta in più. Di rassicurazioni…lo sai cosa ha passato!”
Lo sapevo, eccome se lo sapevo. Non era stato facile conquistarla ma non ci si poteva nascondere all’infinito dietro al passato e alle cicatrici che esso ha lasciato. Bisognava andare avanti ed avere fiducia. Fiducia: quello che a lei, evidentemente, mancava.
“Me ne rendo conto, Candice. Non sono uno stupido. Ma il suo problema non è soltanto questo. Le sue insicurezze la stanno seppellendo e ci ho provato, credimi, ci ho provato – sentivo la resa dei conti sempre più vicina e gli occhi pungolavano pericolosamente – ma non posso cambiare le persone. Non posso obbligarla a tenermi con lei. Non voglio più impormi rendendomi ridicolo e odioso. Non…”
Non sopporterei un altro rifiuto.
“Ok, ho capito. Ho capito. Basta…”
Mi lasciai andare ad un sospiro di profondo sollievo. Ancora pochi istanti e sarei scoppiato ma non avevo certo intenzione di dare spettacolo su un aereo. Avevo bisogno di stare per conto mio ed era quello che volevo fare una volta arrivato a destinazione.
Mi prese la mano e la strinse forte nella sua, sorridendomi comprensiva.
“L’aggiusteremo.” Il sollievo divenne rassegnazione.
“Accola…” sbuffai, buttando mollemente la testa all’indietro sul sedile.
“Shh…lo so. Mi ringrazierai poi…Non ti preoccupare!”
Ce l’avrebbe mai fatta quella ragazza, ad arrendersi davanti a qualcosa?
 
Roxie pov.
 
“Ma cosa diavolo ti dice quella testa?”
“Cosa c’è di sbagliato in te?”
“Posso capire che ciò che hai dovuto subire ti abbia segnata ma è proprio da idioti lasciarsi sfuggire un futuro con uno come Ian per colpa di cose accadute nell’anteguerra!”
Da mezz’ora il telefono che avevo in mano ribolliva convulsamente sotto gli attacchi furenti di Anne che, direttamente dall’Inghilterra, dove era dovuta andare all’improvviso per lavoro, stava inventando nuovi insulti solo per il gusto di poterli usare contro di me.
Non mi aiutava di certo; io stessa sapevo di aver commesso un errore madornale. Ma come potevo lasciarmi andare totalmente ad Ian sapendo che prima o dopo i miei fantasmi e le mie insicurezze avrebbero preso il sopravvento?
Continuavo a ripetermi che il dolore che provavo per averlo respinto ancora e, probabilmente, perso per sempre, sarebbe passato presto. Ero fermamente convinta di aver fatto del bene ad Ian, allontanandolo in quel momento piuttosto che portare avanti qualcosa destinato comunque a finire e sicuramente a fare danni più ingenti di quelli che stava facendo.
Eppure non c’era attimo che passasse senza farmi pesare addosso la sua assenza. Anche casa mia tiranneggiava contro di me. Ogni angolo, ogni anfratto, ogni singolo luogo di quell’appartamento mi riportava a lui e ad attimi vissuti insieme in cui, contro qualunque aspettativa, mi ero sentita davvero felice.
Il respiro mi si smorzò in gola. Sentivo che se non avessi chiuso la chiamata in quel momento avrei finito per scoppiare al telefono e sapevo cosa voleva dire farsi vedere deboli da Anne, soprattutto in una situazione come quella in cui tutti tentavano di sistemare la relazione tra me e Ian.
“Ora devo andare Anne. La mia pausa è terminata!”
“Non potrai nasconderti dietro quei bambini per sempre, Roxanne. Prima o poi tutto questo ti si ritorcerà contro e io non potrò far altro che dirti te l’avevo detto.”
“Ciao… Anne.”
Senza preamboli spensi il cellulare. Per quel che mi riguardava avrei potuto benissimo scioglierlo nell’acido o farlo schiacciare da un tir. Lo avrei preferito. Odiavo quell’aggeggio. Odiavo tutto ciò che mi potesse collegare in qualche modo al mondo fuori da lì. Ad Ian e, paradossalmente, alla mia vita senza lui.
La porta dello spogliatoio si aprì in quel momento e Jill, come una furia, entrò.
“Ah, finalmente ti ho trovato! Dove hai ficcato il cerca persone!!!”
Guardai nel taschino del camice.
“Oddio!!! E’ spento!! Si sarà scaricato! Che succede?” le chiesi, spaventata. “Che c’è?”
“Devi correre al pronto soccorso. Sta arrivando un codice rosso. Un incidente stradale, tre persone. Da quel che ho capito moglie, marito e figlio.”
Sgranai gli occhi, in ansia. Codice rosso. Un brivido involontario, il solito attimo di panico, mi pervase poi mi alzai e presi Jill dal braccio.
“Forza andiamo!”
 
“Maschio. Nove anni. Ritmo cardiaco cinquantasei in discesa, probabile compromissione della milza…”
Il paramedico con il quale stavo spingendo la lettiga che trasportava il bambino, snocciolava parametri che registravo senza difficoltà. La mia mente era sgombra da qualsiasi problema privato. In quel momento ciò che vedevo era un piccolo ricoperto di sangue, con la maschera per l’ossigeno calcata in viso, gonfio e pieno di tumefazioni.
Dietro di noi altri paramedici sopraggiunsero, di corsa, in costante lotta contro la morte.
La donna sul loro lettino si lamentava e cercava di parlare ma il tubo della respirazione le impediva di scandire ciò che voleva dire.
Tendeva una mano in avanti nella speranza di toccare qualcuno. Il figlio. Il marito. Entrambi.
 
“Jill, le forbici!” indossai al volo la mascherina e presi l’attrezzo che l’infermiera mi porgeva. Tagliai la maglietta del ragazzino mentre il mio collega faceva lo stesso coi pantaloni.
Aveva dei vetri conficcati nel torace ma apparentemente nessuno in zone vitali.
“Bunton, occupati di questi, – dissi, sicura. – Jill! Bisturi!....”
Poco dopo averlo aperto, fui certa. “Devo eseguire una splenectomia. La milza è compromessa.”
 
Ore dopo mi ritrovai abbandonata su una branda negli spogliatoi.
Ero ancora tutta sporca di sangue. C’erano state delle complicazioni con Brad - così si chiamava il bambino - ma alla fine lo avevamo salvato. Ce l’avevamo fatta ancora. Momenti come quelli mi facevano sentire invincibile. Come se niente e nessuno potesse abbattermi. Come se non ci fosse nulla al mondo capace di annientarmi.
Riaprii gli occhi proprio mentre l’immagine di Ian sorridente mi comparve davanti.
Mi sarebbe piaciuto correre da lui, dopo una giornata come quella, e raccontargli di come avevo risolto i problemi di Brad. Avrei avuto bisogno delle sue braccia strette intorno a me mentre sfogavo la rabbia perché, si, lo avevo salvato ma suo papà non ce l’aveva fatta. Era morto qualche minuto dopo essere giunto in ospedale. E sua mamma? Lei era in terapia intensiva e ancora i neurologi che avevano arginato l’emorragia cerebrale non sapevano se si sarebbe mai risvegliata.
Quella donna, nel peggiore dei casi, sarebbe morta lasciando solo suo figlio, così piccolo e indifeso; nel migliore sarebbe sopravvissuta ma avrebbe dovuto proseguire senza suo marito, quello che con molte probabilità era stato l’amore della sua vita.
Com’è effimera la nostra esistenza.
Pensi di aver tempo per ridere. Per piangere.
Tempo per innamorarti. Per soffrire. Per guarire.
Tempo per ricordare alle persone che hai accanto quanto siano importanti per te. Tempo per fidarti e tempo per restare ferma in un angolo ad aspettare che qualcosa cambi e ti trasformi nella persona che vorresti essere.
Credi di aver tempo per vivere.
E invece in un attimo tutto può cambiare. Irrimediabilmente.
 
Erano passati secondi. O forse minuti. Ore. Non sapevo quantificarlo.
L’unica cosa di cui mi rendevo conto era il cambio di rotta dei miei pensieri.
Mi alzai di scatto dalla branda e corsi nell’ufficio di Richardson.
“Capo – entrai senza bussare – vado a casa. Domani non vengo…”
Lui non si scompose. Stava lavorando al computer e non alzò nemmeno la testa.
“Tranquilla. – mi rispose, solamente. – chiamami, però.” Mi ordinò, placidamente.
“Ok… buonanotte.”
Restai qualche istante perplessa dal suo comportamento.
La porta si riaprì dietro di me.
“Ah, Roxie…”
“Si, capo?”
“Salutami Ian.”


Note 

Buonasera a tutti! :)
Eccomi qui con il nuovo capitolo. Come al solito li faccio troppo lunghi per cui mi tocca dividerli. Sgrunt! Spero che la fine di questa prima parte non scateni il vostro odio; sicuramente l'ho troncato nel momento peggiore! ahahaha ma se avessi continuato non avrebbe avuto senso troncarlo, per cui...
Ok, scusate i deliri. Non so nemmeno cosa sto scrivendo. Non sono per niente in forma e questa è la causa anche del mio ritardo. Ma non prendetevela per favore! Faccio il possibile! ;)
Nelle note del prossimo capitolo, che cercherò di postare prima di mercoledì , vi spiegherò anche alcune cosine che ora, per evitare spoiler, non vi posso dire. 
Ok. Ho scritto le note più orride di sempre ma pazienza. E' tardi e sto con la febbre da tre giorni. Capitemi! <3
Ringrazio come sempre chi legge/segue/preferisce e le anime pie che recensiscono! 
See ya next time!
Baciotti!!!!!






 

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Capitolo 36
*** Keep the faith ***


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Roxie pov
 
Era tutto un incredibile, mistico dejà vù.
Lo stesso volo, con le stesse biondissime hostess.
Lo stesso pasto liofilizzato. Mi sembrava quasi che anche i volti degli altri passeggeri fossero gli stessi.
Era come piombare in un incubo già vissuto.
Solo che questa volta sarebbe andato tutto diversamente. Non avevo intenzione di perdere altro prezioso tempo. Ne avevo già sprecato a sufficienza. Anzi, troppo. E cosa più imperdonabile, avevo permesso che Ian soffrisse. Lo avevo allontanato causandogli dolore e ferendomi a mia volta. Che razza di codarda egoista ero stata?
Quando finalmente atterrammo ad Atlanta impugnai il mio bagaglio a mano e corsi fuori alla ricerca di un taxi. Presi il primo disponibile, rischiando di far cadere un signore che stava per occuparlo prima di me.
“Mi scusi, mi scusi…” gli urlai dal finestrino mentre la vettura già si allontanava dalla banchina.
“Siamo di fretta, eh?” mi domandò sorridendo il tassista, guardandomi dallo specchietto retrovisore. I nostri sguardi si incrociarono per un istante, riconoscendosi.
“Ma tu sei…” disse infatti subito dopo, spalancando gli occhi neri.
“Saul, che coincidenza!” gli risposi, sorridendo a mia volta.
Quante probabilità c’erano che la stessa auto che mi aveva riportata in aeroporto l’ultima tragica volta che ero stata qui, mi ripescasse ora che stavo tornando sui miei passi?
“Non dirmi che sei finalmente pronta a spiccare il volo, bocconcino!”
Quella sera, sconvolta com’ero, nel lungo tragitto dagli studi al mio volo di rientro, avevo svuotato ogni disperato e deluso pensiero su quell’uomo riccioluto. Non aveva fatto altro che ascoltarmi e, di tanto in tanto, inveire contro colui che aveva fatto soffrire una perfetta estranea.
“Eh, si. Ci provo! E’ giunto il momento di lasciare il nido per scoprire il mondo là fuori, no?”
“Amen, sorella!” recitò, giocando con lo stecchino che aveva in bocca.
“E con quell’altra?” mi chiese a bruciapelo, strappandomi un lieve sussulto di stizza.
“E’ tutto risolto. Non mi aveva tradita. E’ solo un’amica.”
“E tu gli credi?” quella conversazione stava iniziando ad infastidirmi. Avevo accantonato ogni ragionamento al riguardo e queste sue domande non facevano altro che riportare a galla qualcosa che non volevo assolutamente prendere in considerazione.
“Si, certo che gli credo.” Berciai, regalandogli uno sguardo contrariato.
“Buon per te, zuccherino.” E il suo viso si ammorbidì in un sorriso sincero che mi fece calmare immediatamente.
“Comunque se non dovesse andare con Mister X, io sono sempre disponibile. Ventiquattro ore su ventiquattro, bocconcino.”
Le sopracciglia nere s’incurvarono donandogli un’eloquente espressione che mi fece scoppiare a ridere.
“Certo, Saul. Non lo dimenticherò.”
 
Quando giungemmo agli studio, pagai il tassista e lo salutai.
“Grazie.” Gli dissi accorata. “Sei stato davvero prezioso.”
“Sempre pronto, bellezza.” Gli sorrisi, rifiutando il resto che mi stava porgendo.
“Ciao.”
Corsi all’interno trascinando con me il piccolo bagaglio sotto la pioggia.
Un vigilante se ne stava annoiato davanti al pc ma appena sentì la porta chiudersi alle mie spalle alzò il viso e mi vide.
“Buonasera, signorina. Ha bisogno?”
“Si, cercavo Ian. Sa dove posso trovarlo?”
“Mi dispiace – mi disse, alzandosi – ma le riprese sono finite e non c’è più nessuno degli attori.”
“Ah – soffiai fuori con delusione – ok. Beh, grazie.” Dissi poi rivolta al ragazzo in divisa.
Ripresi la strada verso l’esterno sperando di trovare un altro taxi nei paraggi.
Sarei andata a casa sua, era l’unica alternativa rimasta.
Appena oltrepassai il portone di vetro vidi che Saul non se n’era andato. Corsi verso la vettura gialla e mi ci buttai dentro.
“Come…?” gli chiesi tra il sollevato e il sorpreso.
“Chiamalo sesto senso, bocconcino!” di nuovo le sopracciglia si arcuarono verso l’alto e quel suo sorriso sornione spuntò sulle sue labbra piene.
“Smettila di chiamarmi bocconcino e portami al 280 di Luckie Street NW.” Gli ordinai perentoria ma ricambiando il suo sorriso.
 
“Sei stato il mio salvatore, Saul.” Dissi al mio ormai amico tassista pagandogli quell’ultima corsa. “Ora però non stare qui ad aspettare. Vai pure. Me la caverò.”
“Sei sicura, zuccherino?” mi chiese, scostandosi i ricci scuri che gli coprivano un occhio.
“Si, tranquillo. E comunque ho il tuo numero. Nel caso, ti chiamo.”
Mi salutò e sgommò via come un pazzo. Risi del suo modo goliardico, e a volte buffo, di fare e mi voltai verso il palazzo nel quale avrebbe dovuto vivere Ian.
Presi un bel respiro e mi avvicinai al portone.
Fino a quel momento non mi ero sentita particolarmente agitata ma quando mi ritrovai di fronte al citofono il cuore iniziò a battermi nelle orecchie in quel modo piacevolmente martellante che dal pomeriggio nel montacarichi del Riverside non avevo più sentito.
Cercai il suo cognome ma c’erano solo due lunghe file di numeri che andavano dall’uno all’ottanta.
E ora?
Quale avrei dovuto premere?
Mi guardai intorno alla ricerca di un segnale, di qualcosa che mi facesse venire un’idea brillante ma la strada era quasi deserta, eccetto per qualche coraggioso che portava a spasso il cane. La pioggia stava aumentando la sua discesa e iniziavo ad avere piuttosto freddo.
La guardiola che si vedeva al di là del portone era buia e mi sentii così scoraggiata che mi venne da piangere. Mi accasciai sui gradini cercando di ripararmi dalla pioggia sotto il piccolo tettuccio che sovrastava l’ingresso. Frugai nella borsa alla ricerca del telefonino. Non avrei voluto contattare Candice. Avrei corso il rischio che fosse con lui e non tornasse a casa. Doveva essere molto arrabbiato con me e probabilmente non aveva alcuna voglia di vedermi. Ma non feci in tempo a premere il tasto di chiamata; un’ombra coprì il fascio di luce che mi aveva investita fino ad un attimo prima. 
“Roxie…” 
 
Ian pov
 
Camminavo lentamente lungo la Marietta Street. Tenevo aperto l’ombrello ma l’acqua, che scendeva a fiotti, riusciva comunque a bagnarmi. Mi resi conto di essere fradicio solo quando, svoltando dalla Baker, raggiunsi la Luckie diretto a casa. 
Le condizioni atmosferiche si sposavano perfettamente col mio umore. Forse anche per quello non avevo alcuna fretta di chiudermi in casa. Mi sentivo a mio agio sotto la pioggia.
Avevo passato una serata tranquilla nel mio bar preferito insieme a Paul e Matt. Sentivo il bisogno di svagare la mente che, all’infuori dell’impegno lavorativo, volava sempre verso Roxie. Un insuccesso anche quel giorno, comunque. 
Avrei tanto desiderato avercela con lei. Essere arrabbiato quanto bastava per convincermi che perderla era stata una cosa positiva. Volevo ripetermi che se l’era cercato, il mio disprezzo. Che chi ci rimetteva era solo lei e che, in fin dei conti, non mi meritava. 
Eppure non potevo vedere un capello rosso senza immaginare le mie dita accarezzare la sua chioma morbida. Mi bastava incrociare il camice bianco di un farmacista per andare in paranoia. Anche la colazione era diventata un problema: mi mancava da morire svegliarmi e sorprenderla in cucina seppellita da pentole e pancake. 
Mi mancava la mia vita con lei. 
In poco tempo mi si era cucita addosso e ora, era come se fossi rimasto nudo davanti al mondo.
No. Non sarei mai riuscito ad odiarla. Nonostante quello che mi aveva fatto riuscivo a capirla e a giustificarla. Anche sotto le proteste dei miei amici che m’incitavano a lasciarmela alle spalle.
Lasciarmela alle spalle: come se fosse stato facile. 
Presi a calci una pallina di carta che qualcuno aveva abbandonato per strada.
Lasciarmela alle spalle: proprio io! Io che speravo ancora in un miracolo! 
Tornai indietro soprappensiero e raccolsi la carta che avevo colpito poco prima per buttarla nel cestino dell’immondizia. L’acqua che era ferma sull’ombrello scese e mi bagnò ancora di più gambe e scarpe. 
Accidenti, sono davvero zuppo! 
Lasciarmela alle spalle: non ce l’avrei mai fatta. Una partita persa in partenza.
Alzai lo sguardo verso casa, mentre con la mano libera cercavo le chiavi nella tasca della giacca e restai di sale.
Sbuffai, imprecando contro me stesso.
Sei arrivato alle allucinazioni, Ian. Complimenti!
Più mi avvicinavo al portone, più il mio cuore perdeva battiti vitali. 
Non può essere!
Quando le fui di fronte però non potei più negare l’evidenza: bagnata e infreddolita, era lei.
“Roxie…”
 
Si alzò di scatto e lo scalino sul quale stava portò i suoi occhi all’altezza dei miei.
Ogni sguardo era un respiro mozzato. 
Una ciocca bagnata le gocciolava sulla fronte. Cercai di reprimere l’istinto di spostarla e asciugarle la pelle con una carezza, come avevo fatto un po’ di tempo prima, sulla soglia di casa sua. La nostra prima notte. 
Avrei voluto parlare ma temevo che se avessi aperto bocca, il desiderio di stringerla mi avrebbe sopraffatto. O, peggio, che sarebbe svanita nel nulla come la più crudele delle visioni.
“Mi ero preparata tutto un discorso di scuse da farti, mentre venivo qui -  parlò d’un fiato. Non era un’illusione – ma ora mi sembra di non ricordarne una parola. Io…” spostò la ciocca dietro l’orecchio, nervosa. E mi morsi il labbro, in agitazione, perché avrei voluto farlo io.  
Non mi interessavano i discorsi. Le congetture. Le giustificazioni. 
Non volevo sapere ciò che si era detta per convincersi a venire fin qui. 
Feci velocemente un passo verso di lei. I nostri indumenti si sfioravano. Le afferrai i polsi e li portai all’altezza del mio petto. 
“Mi ami?” le chiesi, senza giri di parole. Dovevo saperlo. Dovevo sentirmelo dire. 
Sgranò gli occhi nocciola che s’inumidirono. Per la frazione di un secondo non parlò. 
“Da morire.” Disse in un sussurro. Stava piangendo e probabilmente lo stavo facendo anche io. 
“Ti fidi di me?” le domandai, ancora, impedendomi di stringerla a me. 
“Si.” Rispose senza indugi. 
Al mio cuore spezzato fu sufficiente per ricomporre i cocci. 
A quel punto non riuscii più a tenermi a freno; liberai le mani, l’abbracciai così forte da far mancare il respiro ad entrambi e la baciai con impeto. Con passione. 
Con disperazione.
Volevo che percepisse l’intensità del dolore che mi aveva causato la negazione del suo amore.
Mi staccai, riluttante, solo per prendere fiato. 
 
Roxie pov
 
Il suo sguardo quando si staccò dalla mia bocca era fuoco nel ghiaccio. 
In quel bacio non avevo percepito solo perdono e riconciliazione ma anche altro; qualcosa di crudele ed amaro come il fiele. La sua delusione. Il mio senso di colpa. 
Non mi aveva mai baciata così. Forse era il suo modo per farmi capire quanto lo avessi ferito e se fosse stato quello il prezzo da pagare per espiare le mie colpe, avrei potuto continuare all’infinito.
“Non farlo mai più!” mi ordinò, imperativo. Lo sentii lasciare l’aria che aveva trattenuto nei polmoni fino a quel momento. “Non farlo più!” ripeté, più dolcemente, appoggiando la fronte madida alla mia. “Non lasciarmi più.” 
Non riuscivo a smettere di piangere.
“No, mai più.” 
Confermai tra le lacrime; questa volta, finalmente, di felicità. 

Note 

Inizio dai ringraziamenti, questa volta.
Per cui dico un grazie grande come una casa a chi segue questa storia, chi la preferisce e chi la legge semplicemente e uno ancor più grande a chi recensisce. Per me siete importantissimi tutti. Questa è una storia a cui tengo molto e sono felice che vi piaccia!
Poi volevo dire una cosina che si allaccia anche al capitolo precedente.
Ian per il suo amore ha fatto tanto. Ha sopportato tanto. E Roxie l'ha fatto soffrire per cui ho voluto che al giro di boa fosse lei a fare qualcosa per lui. Ad apportare un vero cambiamento in se stessa. Ad accettare le sue debolezze e riuscire ad elaborarle per poter andare avanti ed essere finalmente di nuovo felice.
Certo i cambiamenti radicali hanno bisogno di una spinta ed ho scelto l'avvenimento dell'incidente e del bambino perché forse è l'unica cosa che tocca davvero il suo cuore. E' la parte più importante della sua vita per cui quella che è sensibilmente più vulnerabile. Certo Ian doveva già essere un ottimo motivo per cambiare e lasciarsi il passato alle spalle, ma nel caso di Roxie anche l'amore verso un uomo, anche se si tratta di Ian, può non essere sufficiente.  
Detto questo la smetto di sproloquiare! XD Come al solito le note superano i pov! LOL
All'interno del capitolo è presente un piccolo tributo a Chara e al suo idolo. Ok, non so come mi è venuta sta cosa e spero che non mi odierai per aver messo il tuo Saulie a fare il tassista ma non l'ho fatto con cattiveria! :) 
Ti voglio bene! <3
Ok..adesso vado sul serio.
Spero che questo capitolo diabetico vi sia piaciuto! :3
Alla prossima! 

 

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Capitolo 37
*** Never be apart again ***


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Ian pov
 
Aprii gli occhi, risvegliato dal caldo che sentivo. 
Roxie dormiva abbarbicata a me con le gambe intrecciate alle mie e il viso appoggiato al petto. Il suo respiro regolare, cadenzato dai battiti tranquilli del suo cuore, mi fece scordare il disagio per l’afa che mi faceva sudare. 
Sarei stato così in eterno. 
Avevo bisogno di bere e di risciacquarmi la faccia ma spostarmi anche solo di un millimetro avrebbe voluto dire svegliarla, per cui rinunciai e presi a disegnare distrattamente cerchi concentrici sulla sua spalla nuda. 
In effetti la voglia di distoglierla dal sonno per impegnarci in ben altri ambiti mi stuzzicava parecchio ma era così beata da farmi sentire in colpa solo a pensarlo. 
Quando la trovai sotto casa aveva gli occhi infossati dal pianto e, probabilmente, dalla stanchezza. Se la conoscevo bene, in tutto quel periodo si era ammazzata di lavoro per non pensare a ciò che le vorticava intorno fuori dall’ospedale, facendo doppi turni, notti e sostituzioni. 
Da lì in avanti niente avrebbe più dovuto rattristarla, mi dissi tra me, o preoccuparla o anche soltanto lievemente impensierirla. Non ci sarebbero stati più pianti o delusioni. Quelle occhiaie sarebbero dovute sparire per sempre. E quelle labbra avrebbero dovuto vestire niente altro che grandi sorrisi. 
“Sei già sveglio?” 
Dalla profondità dei miei pensieri, riemersi al suono della sua voce intorpidita dal sonno. 
“Mm mm.” le mie dita vagavano ancora sulla sua pelle nuda e confortevolmente calda.
“Che ore sono?” mi chiese, senza muoversi di un centimetro.
“E’ davvero importante?” la interrogai, dolcemente.
Rilasciò un lungo e pigro respiro, strusciandosi al mio fianco come una gattina che faceva le fusa. 
“Credo di no.” Ammise, scavalcando le mie gambe con la sua per sovrastarmi agilmente.
“Mm, questo è un argomento molto più interessante, in effetti.” Sussurrai ammiccando in quel modo che sapevo farla impazzire. 
“Questo è un colpo basso, Mr Sexor…” sentenziò, muovendosi sinuosa su di me e risvegliando inesorabilmente ogni mio senso.
Non le feci nemmeno finire la frase. Tirai il suo viso verso il mio per baciarla, febbrilmente, come se fosse stata un’oasi nel deserto; assaporando ogni istante e sentendola fin dentro l’anima. 
“Come ho potuto stare senza te…” disse evitando di dare un vero tono alla frase. Forse era una domanda o un’affermazione. O un semplice modo per rimproverarsi di averci fatto sprecare tanto tempo, l’uno lontano dall’altra. 
“Shh, adesso sei qui. Sta’ zitta e baciami!”
 
Roxie pov
 
Avevamo fatto ancora l’amore e mi stavo beando nella splendida sensazione di completezza e soddisfazione che provavo. Le sue braccia mi stringevano, il suo respiro mi cullava e non ci sarebbe stato altro posto in cui avrei voluto essere. Ian era la mia persona. 
“Cosa ti ha fatto cambiare idea?” la sua voce, a bruciapelo, mi ridestò dal mio dolce letargo.
Non ero sicura di volerglielo raccontare. In realtà, mi ero convinta non ce ne fosse bisogno. L’importante è che l’avevo cambiata, no?
Ma sapevo che non avrebbe desistito dal farmi sputare il rospo e, dopotutto, ne aveva il diritto. Avrei dovuto abituarmi ad essere trasparente ed onesta con lui, soprattutto riguardo ai miei sentimenti. Aveva remato da solo e si era dannato per far funzionare la nostra storia, ricevendo in cambio niente più di un rifiuto; si meritava da me tutto il meglio di cui ero capace. Sempre. 
Presi un lungo respiro prima di iniziare a parlare. 
“Il lavoro che faccio mi schiaffa costantemente in faccia la realtà, Ian. A volte, per non soccombere al dolore altrui, sono quasi costretta a chiudere gli occhi perché, mi conosci, di fronte alla sofferenza non so trattenermi e somatizzo parecchio.”
Le sue dita giocavano oziosamente con i miei capelli, tranquillizzandomi. 
“Ieri una famiglia è giunta in ospedale per un incidente stradale. Due coniugi e il figlio di nove anni.” Sentivo ancora i brividi scuotermi dentro ed ero incapace di fermarli. “L’uomo è morto poco dopo essere arrivato in ospedale. La moglie penso sia ancora in prognosi riservata: ha subìto un intervento a causa di un’emorragia cerebrale. Al bambino ho dovuto asportare la milza ma se la caverà.” Una lacrima solitaria fece capolino senza preavviso.
“ Un’altra famiglia distrutta.”
Ci fu un istante infinito in cui nessuno dei due parlò, forse semplicemente in meditazione oppure incapaci di trovare le parole giuste da dire. Mi strinsi forte a lui cercando, invano, di evitare a quella lacrima di trasformarsi in pianto.
“E io che come un’idiota mi preoccupo delle mie fragilità, di non soffrire. Mi chiudo a riccio allontanando chi mi ama solo per paura di affrontare i sentimenti, le conseguenze: la vita. E non penso a chi una vita da affrontare non ce l’ha più. A chi, contro la propria volontà, è costretto a farci i conti da solo perché in un momento ha perso le persone che amava.”
Alzai il viso per guardarlo negli occhi. L’azzurro intenso dei suoi era liquido; mi fissava con lo sguardo sgranato. 
“Mentre io stavo perdendo tutto, noi, per colpa delle mie stupide paranoie.” 
Le mie lacrime scendevano sul suo petto, bagnandolo ma non se ne curò. Mi cinse con le braccia, delicatamente e mi trascinò più su fino a far combaciare i nostri visi. Mi nascosi nell’incavo del suo collo concentrandomi per arginare la diga che ormai era crollata. 
“Shh… - sentivo le sue mani accarezzarmi in ogni punto che gli era possibile raggiungere, mi stringeva forte – non hai perso niente, amore. Sono qui con te. Siamo qui. Non dovrai mai più sentirti così. Mai più.”
No, mai più. Non permetterò che accada ancora. 
“Perché io ti amo così tanto…shh.”
“Ti amo anch’io, amore.”
 
 
 
  
Note: 
 
E per proseguire con la saga “Chissenefregadeldiabete!” eccomi qui con la “seconda” parte del capitolo, (corto, ma era così che doveva essere) che chiude quello precedente. Volevo dar loro l’opportunità di stare insieme e fare tutte le cose romantiche e mielose che fanno due innamorati, pur senza entrare nei dettagli. Non mi sembrano la classica coppia riguardo cui scrivere scene di AMMORE troppo esplicite. E volevo che Ian capisse quanto in profondità Roxie abbia scavato dentro se stessa. 
Ian ama da morire Roxie, proprio per la sua sensibilità, il suo altruismo e il modo toccante con cui entra nella vita delle persone che le passano accanto. La ama perché in lei ha trovato un’anima affine. La ama perché sono così simili pur essendo in molte cose così diversi. 
E Roxie lo ama praticamente per gli stessi motivi. Lo ama perché l’ha aiutata a riscoprirsi. L’ha resa di nuovo in grado di amare e forse con lui è riuscita a trovare l’equilibrio giusto per non cadere nei soliti errori. Lo ama perché è generoso e ha la mente aperta. Lo ama per l’amore che sa donare al prossimo. 
E come al solito scrivo le note più lunghe dei pov. LOL
Ok, ora me ne vado. Non senza ringraziare, come sempre, ogni persona che passa da qua a leggere e chi perde un po’ del suo tempo per recensirmi. 
Un abbraccio forte. 
Au Revoir!
:3

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Capitolo 38
*** Not a word. Not a chance. Not now. Not you. ***



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Roxie Pov
 
Con tutto il caos che avevo passato, l’addio al nubilato di Anne era scivolato pigramente nei meandri della mia mente. Mi resi conto di non aver confermato la prenotazione del locale a New Orleans solo un paio di giorni prima della serata e il proprietario aveva ceduto il posto ad un altro gruppo. Il panico mi pervase!
Nella crisi in cui mi trovavo, la prima anima pia che mi venne in mente a cui alzare la bandierina d’aiuto fu Candice.
“Can, ti rendi conto?! Come ho potuto dimenticarlo? Stiamo parlando di Anne! Mi ucciderà!”
E lo avrebbe fatto veramente se non avessi trovato una valida soluzione prima di venerdì! Il matrimonio sarebbe stato domenica e io non ci sarei arrivata sulle mie gambe, lo sapevo!
“Tranquilla, Rox. Respira. Non ti agitare! Mandami l’elenco delle damigelle e fammi fare un paio di chiamate. Te la risolvo io!”
Riagganciai immediatamente e feci quello che mi aveva chiesto, poi mi tuffai a pesce sul divano, ancora in preda alla tachicardia. Per un momento, il pensiero buffo ed infantile che avere per amica gente famosa fosse di grande aiuto mi passeggiò per la mente. Era da stupidi ma dovevo ammetterlo: faceva davvero comodo! E conoscendo Candice, ero sicura che mi avrebbe tolta dai guai veramente.
 
Anne si guardava intorno, non appena fummo all’interno del Muriel’s, con gli occhi sgranati per la sorpresa. L’intero locale sarebbe stato per noi, per tutta la notte; un tripudio di colori, luci e champagne ci diede il benvenuto quando fummo nella sala del ristorante, con camerieri in livrea bianca che ci porgevano flute stracolmi con canapé e tartine varie.
“Benvenuta signorina Todds.” La salutavano tutti, facendola sentire il centro del mondo. Ero così emozionata per lei! Per la prima volta stavo realizzando davvero che entro pochi giorni sarebbe stata una moglie. Entro pochi giorni sarebbe stata la signora Knight e avrebbe smesso per sempre di essere Anne Todds.
“Dio, Roxie! Ma, con tutti i casini che hai avuto, come sei riuscita ad organizzare tutto questo?”
Candice mi guardò da dietro le sue spalle, allargando gli occhi verdi e sorridendomi, orgogliosa. Risposi alla sua espressione buffa, sicura che non avrei potuto, per nessun motivo al mondo, far passare tutta quella meraviglia per farina del mio sacco.
“Mmh, se devo essere sincera non è tutta opera mia. Candice mi ha aiutata moltissimo!”
Anne si voltò verso la biondina, abbracciandola energicamente. L’adrenalina si poteva toccare con mano e finalmente io gustavo l’eccitazione di essere la damigella d’onore per il matrimonio della mia più grande amica.
Una decina di bottiglie di vino più tardi, mentre stavo inzuppando una fragola in una golosissima cascata di cioccolato fondente, presi il cellulare dalla pochette. Io ed Ian eravamo rimasti d’accordo che non ci saremmo sentiti fino al giorno dopo ma proprio non resistevo più senza avere sue notizie; mi sentii meno in colpa di voler infrangere la promessa quando mi accorsi di una bustina lampeggiante. Aveva ceduto prima di me!
“Io lo so cosa combinate voi donnicciole a queste feste: è una ghiotta opportunità di vedere ometti pompati, ignudi e oliati con il Baby Johnson che si spogliano e si strusciano. Ma siccome l’hai organizzata tu, confido nella tua integrità morale e, soprattutto, nel tuo buon gusto. Ti amo, dottoressina.”
Subito dopo ce n’era un altro.
“Lo so, non ho mantenuto la promessa. Ma questa non era una promessa, piuttosto una tortura cinese. Te l’ho detto che ti amo? Ho la memoria labile di un vecchio trentenne…”
E poi un altro ancora.
Dimenticavo: ti amo.”
“Perché hai quel sorrisetto ebete stampato in faccia?” la voce di Anne mi riportò alla realtà. Alzai gli occhi verso di lei. Parlava biascicando gran parte delle sillabe, indossava un velo rosa che arrivava fino alle spalle, i capelli avevano perso tutta la goliardia della costosa messa in piega e portava sul vestito una maglietta a maniche corte che arrecava la scritta in rosso: “Domani sposa, stasera si osa”.
“Quando hai indossato quella cosa?” le chiesi, scoppiando a ridere senza controllo.
“Meravigliosa, vero?” intervenne Kat, evidentemente orgogliosa della sua trovata.
Non feci in tempo a rispondere che le note di una famosa canzone dei Village People echeggiò nella sala e tutte le presenti si alzarono all’unisono, iniziando a muoversi scompostamente e ad urlare perché un branco di ometti pompati, ignudi e oliati con il Baby Johnson stavano facendo la loro dirompente comparsa sul palco allestito di fronte a noi.
Dovevo immaginarlo. Non l’ho organizzato io!
Anne era ormai partita per la tangente e quegli uomini erano lì apposta per vezzeggiarla e celebrarla, per cui si divertiva come una matta. Candice e le altre mi guardarono con un sorriso che prendeva loro tutta la faccia e io non potei far altro che supporre che il messaggio di Ian fosse solo una presa in giro: lui sapeva che la festa non l’avevo organizzata io e conosceva perfettamente il programmino della sua amica bionda!
Benché mi stessi divertendo, ad un certo punto sentii il forte bisogno di prendere una boccata d’aria. Presi la giacca ed uscii dal locale giusto il tempo di riprendermi dalla musica alta e, soprattutto, dall’alcool. Quanto diavolo avevamo bevuto?? L’addetto della sicurezza che mi aveva accompagnata fuori rientrò, lasciandomi sola.
L’aria era più frizzante di quanto fossi disposta a sopportare così non passò molto tempo prima di convincermi a tornare dalle ragazze.
“Ci contavo così tanto che, ad un certo punto, uscissi! Finalmente!”
Tra tutte le voci che conoscevo a questo mondo quella che sentii parlare a quel modo, in quel momento, fu certamente l’ultima che avrei mai immaginato, sperato e pregato di sentire.
Quanto tempo era passato? Un anno? Due? Non lo ricordavo più. Mi sembrava così lontano e sfocato, quel periodo, da essermi quasi convinta che non fosse altro che il frutto della mia immaginazione. Quella voce, invece, tornava a rendere tutto reale.
“Cosa ci fai qui?” chiesi alla voce, senza voltarmi. Avevo il terrore di farlo. Fintanto che non lo avessi visto avrei anche potuto far finta che fosse tutta colpa della sbronza colossale. Ma lui non era famoso per rendere le cose facili.
“Sono da queste parti per l’addio al celibato di Peter.” Rispose, incerto. “Voltati, Rox. Guardami.”
Nonostante mente e cuore non ne avessero l’intenzione, il mio corpo combatteva per ubbidire alla richiesta. In un batter d’occhio era tornato ai suoi ordini, quel traditore!
Fu così che l’istante dopo stavo guardando negli occhi l’uomo che più mi aveva fatto soffrire in tutta la mia vita.
“Cosa vuoi, Nicholas?”
“Solo parlarti.” Di nuovo le mie membra ghiacciarono a quella supplica, perché di quello si trattava. Dal tono allo sguardo, tutto era un grido disperato di comprensione e disponibilità. Potevo permetterlo?
No. Non potevo.
“Io non ho nulla da dirti e tanto meno voglia di ascoltarti, per cui, per favore, sparisci.”
Sorprendentemente i miei talloni vorticarono su loro stessi e l’attimo dopo davo le spalle al mio passato. Purtroppo quel passato, però, non era disposto ad essere messo da parte. Sentii la sua mano prendermi il gomito e trattenermi.
“Lo so che mi odi e, credimi, so anche che me lo merito. Sono stato un vigliacco, uno stronzo e sicuramente neanche io parlerei più con me stesso ma…” la voce si ruppe. Sicuramente gli ci era voluto un gran coraggio, o una buona dose di superalcolici, a giudicare dalla puzza che sentivo, per venire da me e tentare di parlarmi ma come potevo permettergli tanto dopo tutto quello che mi aveva fatto?
“Mi avevi fatto delle promesse e mi avevi chiesto di sposarti, Nick. Sai quanto è stato difficile per me lasciarmi andare ma io quella mattina ho messo il bell’abito bianco di mia madre e sono venuta in chiesa. Intorno a me c’erano i nostri amici, quelli che per me sono una famiglia.” Contro ogni mia più tenace volontà, le lacrime presero a sgorgare. “E tu non sei venuto. Mi hai umiliata davanti a tutti. Mi hai lasciato solo centri tavola orrendi e il grosso quadro di una natura morta. Ecco quello che ho ottenuto dall’essermi fidata di te: una natura morta.”
“Cosa succede qui?”
Non ero mai stata così felice di sentire la voce di Nina, prima di allora.
“Roxanne, quest’uomo ti sta importunando? Devo chiamare…”
“Non ti preoccupare, - dissi, cercando di darmi un contegno – lui se ne stava andando ed io stavo per rientrare.”
Non lasciai alcun margine; nemmeno il tempo di una parola in più. Presi a braccetto la mia amica e rientrai nel locale, chiudendo con un tonfo sordo la porta alle nostre spalle.
Fui grata a Nina per il suo silenzio. Probabilmente la curiosità la stava logorando ma non fece alcunché per forzare la mano ed io non avevo intenzione di rovinare la festa di Anne con i miei drammi. Non potevo permettere che Nick mandasse ancora all’aria la mia vita, ora che sembrava aver preso la via giusta per la serenità.
“Vieni qui, - mi ordinò Nina, dolcemente – fatti sistemare il trucco.”
Mi piantai di fronte a lei e presi un lungo, rigenerante respiro;  mi sorrise, mentre con un pennello e un po’ di gloss riparava i danni che, ancora una volta, avevo permesso a Nick di fare.
Io sapevo bene quello che volevo. Per la prima volta in vita mia ero pienamente cosciente di me stessa e, se anche quella sera lo avevo lasciato fare, in un certo senso, mi giurai che non lo avrei fatto mai più.


Note


Buonsalve popolo della notte,
è la terza volta che provo a pubblicare ma la connessione internet non vuole saperne di collaborare stanotte. Spero che questa sia la volta buona altrimenti darò fourfait, anche se mi scoccerebbe essere stata in piedi a scrivere fino ad ora e non aggiornare. :/
Sono un po', tanto, per aria per cui non sono responsabile per le mie note. Anche perché è la terza volta che le riscrivo. O_o
Che dire? Avete rivisto il nostro caro amico Nicholas Percy. Come forse avrete notato, però, non l'ho fatto particolarmente stronzo. No?
Direi che la parte del cattivo, l'ex viscido, violento e prepotente, lo abbiamo visto e stravisto tante volte. Non può essere che questo idiota, perché comunque di idiota si tratta, si è pentito seriamente della cagata fatta e vorrebbe un'altra possibilità? O forse sono io troppo buona? 
Mah, vedremo come evolverà questa vicenda. Per il momento la cosa è andata così. Ma, ovviamente, non è finita.
Beh. Ora clicco ok e se non me lo pubblica faccio un casino!
Grazie davvero a tutte. Chi legge, recensisce e, insomma, a tutte! 
Buonanotte! <3

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Capitolo 39
*** The truth is, baby, you're all that I need ***


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Ian Pov
 
Da quando tutto era tornato alla normalità ed io avevo riavuto la mia Roxie, la parte insicura di me, ogni tanto, bussava alla porta. Non avevo mai avuto rapporti sani, io. Tutte le ragazze con cui ero stato, a prescindere dalla durata della relazione, avevano sviluppato verso di me un attaccamento morboso, malato e la mia naturale inclinazione ad accontentare gli altri, mi aveva sempre spinto ad assecondare quell’attaccamento. A renderle felici. Certo, era vero che alla fine mi sono ritrovato fregato, ogni santa volta. Ma questo non aveva mai cambiato il mio modo di agire. 
Con Roxanne tutto era stato diverso, fin dall’inizio. Me la ero dovuta sudare. L’avevo dovuta conquistare; avevo avuto tutto il tempo necessario per trasformare quella forte attrazione iniziale, in amore. Quello vero. Quello fatto di rispetto e dedizione reciproca. Quello che, per la prima volta in vita mia, mi aveva fatto guardare al futuro con altri occhi. Ma questi erano altri discorsi; mie divagazioni mentali che, di certo, non avrei potuto esternare con lei, non in quel periodo. Non dopo quello che è ci era successo. L’avrei fatta scappare dalla paura. 
Mi guardai nello specchio della camera e mi sistemai il papillon del completo nero che avrei indossato al matrimonio di Anne. Non vedevo Roxie da una settimana e mi sembrava passato un secolo. 
Domani, finalmente, saremo di nuovo insieme.
Tolsi la giacca e presi a slacciarmi i bottoni della camicia. In quell’istante squillò il telefono. 
Era Kevin. 
“Dimmi, Kev…” 
“Ian, scusami. Lo so che questo week end sei impegnato ma avrei bisogno della tua presenza per domani mattina, solo qualche ora…”
“Kev, io ho un volo alle sei domattina. Ho un matrimonio.”
“Ti pago la differenza del biglietto. Tarderai solo tre o quattro ore, è davvero urgente! Abbiamo bisogno di una paio di riprese…”
Sbuffai esasperato, nonostante dall’altro lato ci fosse il mio capo. Non avrei dovuto ma mi stava chiedendo di ritardare in un giorno così importante per Roxie! Al diavolo le buone maniere! Sapevo anche che con Kevin potevi battere i piedi quanto volevi: alla fine avresti comunque fatto quello che voleva!
“Per le undici al massimo voglio essere su un aereo diretto a Franklinton!” sentenziai, rassegnato al fatto che non avrei potuto dire o fare niente per evitarmi quella seccatura.
“Non preoccuparti! Ci vediamo domani alle sei, sul set.”
L’unica cosa che mi tranquillizzava un minimo era che Roxie non sarebbe stata sola. Candice, Nina e Kat sarebbero state là con lei.  
 
Roxie pov
 
Eravamo tutte a casa mia, per gli ultimi preparativi. Io, Candice, Kat, Torrey, delle amiche di Anne e Nina. 
Si, Nina. Non avrei mai creduto possibile che proprio lei, che tanto avevo temuto, sarebbe diventata così preziosa per me. Dalla sera della festa, quando aveva interrotto quella specie di momento strano ed imbarazzante tra me e Nick, avevamo stretto una tacita alleanza. Per tutto il tempo non aveva fatto domande, anzi, aveva cercato in ogni modo di farmi dimenticare l’accaduto e di riportarmi nel caos festaiolo che, all’interno del locale, si era acceso ancora di più, riuscendoci. Ci eravamo tutte divertite come matte!
Il giorno successivo, però, mentre le altre dormivano ed io stavo sistemando i danni nel salotto, mi si avvicinò, cogliendomi alla sprovvista.
“Chi era quell’uomo, Rox?” 
Di certo non volevo segreti e, comunque, Ian sapeva di lui per cui non avevo motivo di mentire. Forzai la mia reticenza nel parlare di quel capitolo della mia vita e risposi:
“L’uomo che mi ha abbandonata all’altare e che, ho scoperto poi, mi tradiva da quasi un anno.”
Non aveva più fiatato. Si era semplicemente avvicinata e mi aveva messo una mano sulla spalla, prima di passare oltre e andare in camera. Prima di chiudere la porta dietro sé, si girò verso me e mi sorrise:
“Per fortuna non tutti gli uomini sono degli stronzi.”
Quel velato riferimento ad Ian mi aveva fatto piacere e ricambiai con dolcezza il suo sorriso.
“Già, - sussurrai – per fortuna.
Comunque, il problema era sempre lì, da affrontare. E il matrimonio era arrivato. 
L’indomani avrei dovuto rivedere Nick. 
Per fortuna, Ian aveva promesso di esserci; mi sentivo molto meglio all’idea che sarebbe stato al mio fianco. Mi sentivo al settimo cielo al pensiero che, in poche ore, sarei stata di nuovo tra le sue braccia.
“Rox, squilla il tuo telefono!” Kat prese il mio cellulare e, vedendo il viso di Ian sul display, iniziò a scimmiottare come una ragazzina. “Oh, Ian. Mi ami? Ma quanto mi ami? E mi pensi? Ma quanto mi pensi?” Mi avvicinai a lei, senza poter evitare di ridere di fronte alla mia buffa caricatura e le strappai l’apparecchio dalla mano per rispondere.
“Dimmi che hai deciso di prendere l’ultimo volo di stasera, perché le tue amiche mi stanno facendo impazzire!” lo implorai, continuando a ridere di fronte alle espressioni stralunate delle dirette interessate.
“Dai, non possono essere così male!” la sua voce era miele. Ma con una nota acre.
“Che c’è, Mister Somerhalder?” Non sapevo neanche come riuscivo, ogni volta, a capirlo da una parola, eppure sapevo subito quando qualcosa non andava.
“Spero che riuscirai a sopportarle per qualche ora in più… - mi disse, quella nota acre era diventata sale – Kevin mi ha praticamente costretto a farmi trovare sul set domattina alle sei.”
“Ma..” prima che potessi aggiungere altro, continuò a parlare.
“Lo so, tesoro. Tranquilla. Sarò da te prima che inizi la cerimonia! Non ti preoccupare!” fece una brevissima pausa, “Non ti lascerei mai sola.” Lo sapevo. Non lo avrebbe mai fatto.
Sbuffai, terribilmente seccata ma conscia che non era certo colpa sua. Quella consapevolezza, però, non riuscì a fermare il battito del mio cuore, accelerato al pensiero che qualcosa potesse andare storto. 
Odiavo il fatto che Peter fosse il cugino di quel decerebrato!
Presi un bel respiro, mentre la mia mano accarezzava il mobile sul quale avevo appena poggiato il telefono, dopo la chiamata. 
“Cosa c’è?” Nina era lì accanto a me. I suoi occhi mi dicevano che aveva già capito.
“Vedrai che sarà qui in tempo.” Mi rincuorò. “Adesso pensiamo a gonfiare i palloncini!” 
 
Era giunto il momento fatidico! Anne e Peter si sarebbero sposati, finalmente. 
Io e le altre damigelle stavamo ultimando i preparativi in uno dei tendoni allestiti nel parco della villa dove si sarebbero celebrate le nozze, mentre Anne finiva di prepararsi in quello accanto.
Il vestito meraviglioso che avevo scelto mi stava d’incanto, dovevo ammetterlo, ma qualcosa ancora non andava. Mancava l’ultimo, e più importante, particolare: Ian.
Erano quasi le tre, la cerimonia sarebbe iniziata a breve e lui non era ancora arrivato. Mi aveva scritto quella mattina, dicendomi che era mortificato ma il lavoro si era rivelato più lungo del previsto. Poi, più niente. 
Ero furiosa, eppure dentro me, in una minuscola e recondita parte, sapevo che avrei dovuto abituarmici; col lavoro che faceva, non sarebbe stata la prima volta. Né l’ultima. E poi da medico quale ero, spesso impegnato anche per ventiquattr’ore di seguito, non potevo certo biasimarlo. 
Forse il sassolino che più m’infastidiva non era la sua assenza in sé. Era la sua assenza in quel frangente. Con una determinata persona a zonzo, senza briglie, per quella villa. In un’altra circostanza avrei sospirato, rassegnata, e ci avrei sorriso sopra. In quel momento, invece, ero in ansia. Non avevo più né visto, né sentito Nicholas dalla sera dell’addio al nubilato e avevo la sensazione che qualcosa di ignoto e sospeso sulla mia testa, fosse pronto a crollarmi addosso. 
Avevo un bisogno smodato e incontrollabile di sentire le braccia di Ian intorno a me ed i suoi baci sui miei capelli, raccolti come se fossi una bambola di porcellana. Si, porcellana. 
Mi sento così fragile.
“Roxie, siamo pronte. E’ ora di uscire.”
Candice comparve sulla porta e mi colse sovrappensiero. 
“Che c’è?” mi chiese subito. Avrebbe mai smesso di capirmi al volo?
“Niente, Can. Andiamo…” le dissi. 
“So che avresti voluto Ian qui al tuo fianco. Arriverà, vedrai.” 
Le sorrisi, mestamente, colta in fallo. 
“Come ci riesci?”
“Non sono io brava a capirti; sei tu ad essere trasparente a tal punto che chiunque possa leggerti dentro.”
Non era una bella cosa vero?
“E’ una qualità rara nelle persone. Cerca di restare sempre così… anche per questo i tuoi bambini ti adorano.” Mi sussurrò, stringendomi la mano. “Vedono intorno a te la stessa aurea pura che trovano intorno ai loro coetanei. Ed è fantastico, credimi.”
Avevo gli occhi pericolosamente lucidi. 
I miei soldatini
Mi bastò pensare a loro per trovare quel poco di grinta che l’assenza di Ian mi aveva tolto. Ce l’avrei fatta, anche senza di lui. Avrei dovuto farcela!
Sorrisi a quella che avevo scoperto una meravigliosa amica e raggiunsi, insieme a lei, Nina e le altre, pronte vicino all’uscita. Dietro di noi, Anne. Bella come un fiore di primavera. 
Candice, Nina, Kat, Torrey e le altre due damigelle stavano per fare il loro ingresso nel giardino. Io appena dopo di loro e, successivamente, sarebbe entrata la sposa con il signor Todds. 
In quell’istante mi resi conto di aver lasciato il bouquet nel tendone.
“Ragazze, ragazze!” dissi, concitata e preoccupata. “Devo tornare di là. Ho dimenticato il bouquet!”
“Roxie! – mi berciò Anne, completamente su di giri,-  mi sto per sposare!”
“Si sa che le spose arrivano sempre in ritardo!” la redarguii io, sorridendole comprensiva. “Farò in un lampo!”
 
Nick pov
 
Non potevo lasciarmi sfuggire l’opportunità di parlarle da solo. Quando mi sarebbe capitato di nuovo? Aveva sempre uno stuolo di suffragette impazzite, intorno!
C’era da considerare, anche, che il suo avvenente fidanzato era stato dato per disperso, da quanto ne sapevo. Quanto sarebbe durata quell’assenza?
Mi mossi dalla posizione in cui mi trovavo, quanto più velocemente mi riuscì, mentre Peter mi richiamava, stizzito.
“Non fare stronzate, Nick! Torna qui!” mi berciò contro, a bassa voce, evitando di attirare troppo l’attenzione su di noi. 
Ma non lo ascoltai e, in un attimo, ero nel tendone, dietro a Roxanne. 
“Chissà se riuscirò a non essere interrotto questa volta?” 
Vidi la sua schiena e le spalle bianche e perfette, lasciate scoperte dal bellissimo abito rosa antico che indossava, irrigidirsi. In quel momento mi maledissi ancor di più per aver mandato tutto all’aria, con lei. Quanto potevo essere stato idiota?  
“Nick, davvero?” mi domandò, con tono indecifrabile. “Hai intenzione di renderti ridicolo di nuovo?” 
Si voltò di scatto, con il bouquet stretto in mano. 
“Voglio solo avere la possibilità di sistemare le cose, tesoro.”
“Hai avuto due anni e mezzo per sistemarle ma eri troppo impegnato per fare anche solo un passo. Ti svegli adesso? Mi dispiace, è tardi!”
La ragazzina che avevo lasciato solo una manciata di mesi prima, si era trasformata in una forte e determinata donna. Questo non fece altro che fomentare in me il desiderio di riaverla. 
Sapevo che la sua ostinazione l’avrebbe portata a respingermi ancora. Ma presto o tardi avrebbe ceduto. La nostra storia era stata troppo importante per lei, per noi. Se la conoscevo ancora, sarebbe tornata da me.
Mi avvicinai, cieco a qualsiasi cosa stesse avvenendo intorno a noi.
“Non fare un altro passo! – mi redarguì, senza che io riuscissi a fermarmi -  o faccio un casino!”
I suoi occhi nocciola fiammeggiavano, mettendo in risalto il caramello dei suoi capelli rossi. 
“Tu mi ami ancora e non vuoi ammetterlo! Vieni qui…” le mie mani erano ad un centimetro dalla sua vita. 
 
Roxie pov
 
Le sue dita erano già appoggiate alla mia vita ed io ero in bilico su un burrone. E non perché chissà cosa provassi ancora per lui, no! Mi sentivo in quel modo per il disgusto che mi causava. Avrei tanto voluto essere un’altra me, in quel momento. Una di quelle che, all’occorrenza, è in grado di prendere a calci e pugni qualcuno. Invece ero di ghiaccio e temevo che se solo avessi alzato un dito mi sarei spezzata. Pregai in ogni lingua conosciuta che qualcuno venisse a cercarmi ma non accadde niente. 
“…la tua storia con l’attorino non è neanche minimamente paragonabile a quello che abbiamo avuto noi…”
A quelle parole, un’ira mai provata, e tanto attesa, mi si accese dentro, nel profondo. 
Come poteva, dopo tutto quello che mi aveva fatto, dire idiozie simili? Come poteva anche solo pensare di avere ancora un qualche ascendente su di me? Come poteva…
“Sarà meglio che ti levi di torno, se ci tieni alle tue gambe!”
L’enorme peso che sentivo all’altezza dello sterno e che m’inchiodava al suolo, si sciolse nello stesso istante in cui quella voce irruppe nella mia testa. Gli occhi mi si riempirono di lacrime. Per la gioia o per il sollievo. O forse per la rabbia. O semplicemente per tutte quelle cose messe insieme. 
Nicholas si girò verso l’ingresso del tendone, con gli occhi sgranati, dove un’Ian più bello che mai, in smoking nero e papillon, era fermo a fissarci. La sua espressione avrebbe congelato anche il più impavido e, quando fece un passo in avanti verso di noi, Nick indietreggiò, appoggiandosi quasi a me. 
“Non ti azzardare a sfiorarla ancora, nemmeno con la stoffa dell’abito che indossi.” 
Sgusciai via, raggiungendolo e posizionandomi dietro le sue spalle. Mi sentivo così al sicuro in quel momento!
“Tu hai avuto la tua occasione e te la sei bruciata come un’idiota. Adesso finiscila! Roxanne non è stata abbastanza chiara l’altra sera, a New Orleans?” 
Restai un momento di sasso a sentir parlare di New Orleans. 
Allora Nina glielo aveva detto?
“Tu non sai di cosa stai parlando!” Nick aveva riacquistato qualche centimetro e ne approfittò per gonfiare il petto, come un vecchio gallo del pollaio. 
Ian prese un respiro profondo, come se si stesse trattenendo e avesse bisogno di calmarsi. 
“Io lo so quello che dico! – scandì le parole con una lentezza agghiacciante - Non ho intenzione di rovinare il matrimonio ad Anne e Peter ma sono convinto che potrebbero tranquillamente continuare con un testimone di meno.” Lo intimò. Le mani, chiuse a pugno, tremavano per la rabbia repressa.
“Infatti, è così. – Anne s’intromise, dietro di noi, guardando Nicholas con disprezzo – Smettila o te ne puoi anche andare subito! E’ finita! Ed è colpa tua, fattene una ragione!” Mentre lei si avvicinava, noi ci spostammo di lato per permettere che anche Peter, sopraggiunto in quel momento, potesse guardare il cugino negli occhi.
Dovevo ammetterlo, per un attimo mi fece un po’ pena. Ma le dita calde di Ian, intrecciate alle mie, riuscirono a farmi scordare gli ultimi minuti in un soffio; a farmi sentire amata e protetta. 
Il suo viso finalmente si distese in un sorriso dolce e mozzafiato. 
“Stai bene?” mi chiese, carezzandomi le nocche. 
“Si! Adesso va tutto bene.”
 
Ian pov
 
La giornata era iniziata decisamente male! 
Tra Kevin e le riprese infinite, avevo preso il volo delle undici per Franklinton per pura coincidenza. Temevo che non sarei mai arrivato a destinazione e che Roxie me l’avrebbe fatta pagare cara! 
Mi cambiai nel bagno dell’aeroporto e presi il primo taxi, pregandolo di fare più in fretta che avesse potuto. Erano da poco passate le tre quando, finalmente, arrivai alla villa. Corsi all’interno più velocemente che potei, convinto che la cerimonia fosse già iniziata. Invece,tutti erano fermi e un brusio lieve aleggiava tra gli invitati. All’altare il reverendo se ne stava in piedi vicino a Peter e ai testimoni, con un espressione interrogativa dipinta in volto. D’un tratto sentii la voce di Candice. 
“Oddio, Ian, ce l’hai fatta! Roxie aveva una faccia! E’ andata a prendere il bouquet, vai a salutarla. E dille di muoversi che qui Anne sta fremendo.”
Quest’ultima mi guardò con gratitudine e apprensione. “Portala qui!” mimò con le labbra.
E fu quello che feci. 
 
A ripensarci poche ore dopo, mi resi conto che avrei potuto anche spaccargli la faccia, a quell’idiota di Nicholas!
Ma mentre volteggiavo sulla pista da ballo, stretto a Roxie che mi fissava con lo sguardo innamorato, eco del mio, non m’importava più di niente. 
Avevamo finalmente trovato l’una nell’altro l’inizio e la fine del nostro mondo. 
Tutto il resto erano dettagli. 



Note

Buon Pomeriggio Piovoso a tout le monde! 
Spero che il capitolo sia all'altezza delle aspettative e riesca a farmi perdonare il mostruoso ritardo con il quale lo pubblico. Perdonate la sparizione ma sono stata poco bene di nuovo. Questa salute ballerina inizio ad avercela piuttosto in antipatia!
Anyway, come ho già scritto, spero che quello che ho pubblicato sia stato di vostro gradimento e che resterete sintonizzate ancora qualche giorno. Manca l'epilogo! Anche se, beh, l'happy ending è bello chiaro! 
Come si fa a non mettere un lieto fine con uno come Ian? E' impossibile! :D
Beh, a questo giro non farò i ringraziamenti. Voglio tenermi il meglio per le prossime, e ultime (almeno per questa storia), note. 
Per cui, niente. Au revoir! 

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Capitolo 40
*** Thank you for loving me ***



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EPILOGO
 
Un Anno Dopo
Oggi
 
Roxie pov
 
Mi guardo intorno e il buffet è perfetto. Gli invitati sono quasi tutti arrivati, mancano solo alcuni membri dello staff. Ian girovaga tra gli ospiti con il suo completo nero opaco, regalando sorrisi e pacche sulle spalle. 
Ha il volto luminoso e felice, anche se riconosco, dal sopracciglio inarcato, il suo nervosismo. 
Il passo che ha appena fatto è molto importante, per lui ma non solo. Cambierà la vita di tante persone e credo non potrei essere più orgogliosa di così. 
“Roxanne, cara.” Edna mi poggia una mano sulla spalla e mi sorride dolcemente. “Hai fatto un lavoro straordinario! E’ bellissimo qui!” 
“Oh, Edna, grazie. Comunque non è tutto merito mio, Ariel è stata di grande aiuto.”
E dalla cucina sbuca proprio lei. I suoi lunghi capelli corvini e due occhi di quell’azzurro incredibile, che ho imparato a conoscere così bene, mi lasciano senza fiato ogni volta che la vedo. E’ scioccante la somiglianza con lo zio e per un attimo mi domando come sarebbe nostra figlia. O figlio. Vorrei tanto che fosse simile a lui… 
“Nonna! Hai visto che bello? – chiede la piccola, brandendo in mano qualcosa di dorato – e ci sono anche le crocchette di pollo!” 
“Ciao cara…” Robert Senior arriva da dietro, mi si avvicina e mi dà un bacio sulla guancia. 
Accarezzo la piccola e saluto tutti con un sorriso, per poi congedarmi gentilmente.
“Vi lascio qui a godervi il buffet. Vado a controllare come procede la preparazione della sala conferenze.”
Poco dopo sono di ritorno al buffett ed Ian è sul piccolo podio e sta parlando. Resto un po’ in disparte, lo guardo da lontano.  
“…e, infine, vorrei ringraziare la dottoressa Roxanne Francis Findle. Se non l’avessi conosciuta, probabilmente non avrei mai trovato il coraggio di realizzare i miei ideali, imbarcandomi in questa nuova, impegnativa, missione. – i suoi occhi mi abbracciano, mentre sento l’emozione sopraffarmi – Non solo ha salvato la vita della mia nipotina, cosa per cui non saprò mai ringraziarla abbastanza, ma ha salvato anche me. Mi ha spronato e motivato a mettermi a disposizione del mondo in cui vivo; a lasciare un’impronta indelebile del mio passaggio su questa terra. 
La scintilla del suo sguardo quando fa ciò che ama, quando aiuta i suoi pazienti; la determinazione e dedizione che la spingono ad alzarsi, anche in piena notte, per salvare vite umane; la sua dolcezza e il modo meraviglioso con cui si prende cura di me, sono queste le cose che mi hanno fatto innamorare di lei e che mi hanno dato la spinta per rendermi utile. Abbiamo così tante possibilità e ne sfruttiamo così poche!”
Quest’uomo è completamente impazzito! Non riesco ad evitare alle lacrime di scendere anche se cerco di darmi un contegno. 
“La Ian Somerhalder Foundation esiste anche grazie a lei.”
Un applauso scrosciante parte subito dopo ed Ian scende dal podio, sorridente e visibilmente commosso. Si fa abbracciare dalla madre che gli sussurra qualcosa all’orecchio; anche lei  appare molto emozionata e, subito dopo, il resto degli ospiti gli si fanno incontro per congratularsi. Mi avvicino anche io, restando leggermente di parte per far sì che tutti gli dimostrino il loro apprezzamento poi, finalmente, il suo sguardo torna su di me, restituendomi calore. Quel calore che credevo non avrei mai trovato, prima di incontrare lui. 
 
Ian pov
 
“…e ci terrei a ringraziare tutti coloro che si sono messi a disposizione, regalandomi il loro tempo e le loro conoscenze, perché tutto questo fosse possibile e pronto per poter festeggiare qui, insieme, oggi.” 
Più ci penso, più non mi sembra vero.
Dal piccolo podio che occupo in questo momento e dal quale mi hanno costretto a tenere un breve discorso, lascio vagare lo sguardo nella sala davanti a me, gremita di gente sorridente. 
Ci sono tutte, ma proprio tutte, le persone a me care, e sono qui per sostenermi in questo mio progetto, forse folle per la sua grandezza, ma davvero importante. 
Mamma, papà. Robyn, Luke, la piccola Ariel. Robert. I miei colleghi, che sono molto più di questo. Roxie. 
E’ appoggiata con un fianco al grande tavolo rettangolare, imbandito per la grande festa. E’ in disparte, come sempre in queste occasioni, ma il suo sguardo è tutto mio. Percepisco la profondità di ciò che ci lega come una presenza reale e costante. La sento come se fosse sempre tra le mie braccia, anche a chilometri di distanza.
“…e, infine, vorrei ringraziare la dottoressa Roxanne Francis Findle. Se non l’avessi conosciuta, probabilmente non avrei mai trovato il coraggio di realizzare i miei ideali, imbarcandomi in questa nuova, impegnativa, missione. – parlo con tutti ma i miei occhi sono in lei, che si è già commossa – Non solo ha salvato la vita della mia nipotina, cosa per cui non saprò mai ringraziarla abbastanza, ma ha salvato anche me. Mi ha spronato e motivato a mettermi a disposizione del mondo in cui vivo; a lasciare un’impronta indelebile del mio passaggio su questa terra.
La scintilla del suo sguardo quando fa ciò che ama, quando aiuta i suoi pazienti; la determinazione e dedizione che la spingono ad alzarsi, anche in piena notte, per salvare vite umane; la sua dolcezza e il modo meraviglioso con cui si prende cura di me, sono queste le cose che mi hanno fatto innamorare di lei e che mi hanno dato la spinta per rendermi utile. Abbiamo così tante possibilità e ne sfruttiamo così poche!” Prendo fiato, combattendo contro le lacrime che cercano di tracimare. “La Ian Somerhalder Foundation esiste anche grazie a lei.”
Mentre la gente ancora applaude, la mia famiglia mi viene incontro per abbracciarmi.
“Che parole stupende, tesoro.” Mia madre mi stringe a sé e gli altri, subito dopo, ci circondano. Roxie ci raggiunge poco dopo ma resta scostata, in attesa che il nugolo di persone si sparpagli.  
I nostri occhi si ritrovano, si agganciano. Mi rendo conto che il tipo di legame che ci unisce è talmente profondo e tangibile da risultare quasi imbarazzante agli occhi degli altri ma non posso fare a meno di annegare nel nocciola caldo del suo sguardo, ogni volta che mi è possibile.
E l’oggetto che porto nella tasca della giacca pesa come un macigno, ora. Ho aspettato il momento giusto e sento che è arrivato. 
 
Candice pov
 
Scruto da lontano l’immagine da film romantico dei miei due amici che si avvicinano l’uno all’altra. Un po’ di slow motion e un bel tramonto come sfondo, avrebbero reso tutto ancor più cinematografico. Ho appena asciugato l’ultima lacrima che il discorso di Ian mi ha fatto versare e mi rendo conto che a breve dovrò versarne delle altre. Lo capisco da come la guarda, dalle sue sopracciglia leggermente aggrottate per la tensione. Decido che non posso perdermi la scena: lo sento che il momento è finalmente arrivato. 
“Oddio, Ian, tu sei completamente matto.” Sono le prime parole che Roxie gli dice, non appena le loro mani s’intrecciano. 
“Sono cose che penso, tesoro, lo sai.” Le risponde lui, sempre più nervoso. E’ qualcosa di palpabile, infatti se ne accorge anche lei.
“Che c’è, amore? Sei ancora teso?” gli domanda, accarezzandogli il volto.
Mi viene già da piangere, accidenti!
“Secondo te lo farà?” E’ Nina, accanto a me, che me lo domanda, torturandosi le mani, emozionata. E non posso essere più felice di così, nel vedere come si è lasciata alle spalle i sentimenti che provava per lui. Fino a non molto tempo fa, ogni tanto, ci sono stati momenti in cui ancora soffriva, ed io con lei perché è vero che adoro Roxie ma Nina è comunque la mia migliore amica. Adesso, però, è finalmente tutto superato. 
“Sì, credo proprio di sì.” Le rispondo, prendendole una mano e stringendogliela. 
“Un po’. –  Ian allarga le labbra in un sorriso mozzafiato – ma ora va già meglio.” 
Si sfrega le mani e mi fa una tenerezza incredibile. Per come sono fatta, sarei pronta ad intervenire ma questa volta no, questo è un momento solo suo, dove è giusto che sia lui a fare tutto. 
“Senti, Roxie.” Continua, lui, sempre leggermente impacciato. “A proposito di prenderti cura di me e di tante possibilità a disposizione, ce ne sarebbe una a cui sto pensando da un po’ ma di cui non ho ancora avuto occasione di parlarti…” ormai siamo così vicine da sentire anche le incrinature di commozione nella sua voce. Ho il cuore che mi batte a mille per Roxie! Oddio, sto piangendo di nuovo!
“Quale?” gli chiede lei, con gli occhioni nocciola spalancati per la curiosità. 
Ian, a questo punto, infila la mano nella tasca della giacca, dove lo avevo visto mettere la scatolina di velluto. La tira fuori con una lentezza agghiacciate, che fa palpitare me per prima. Nina mi stringe di più la mano mentre, nel frattempo, mi rendo conto che tutti stiamo guardando la scena, tutti con la stessa aria imbambolata.
Finalmente quel piccolo cubo è tra loro due e il viso di Roxie si deforma in un espressione di estasiata felicità. 
Ecco, piango ancora. E Nina sta tirando su col naso. Mi guardo intorno, velocemente. Non voglio perdermi il momento clou! Hanno tutti la stessa espressione del Gatto con gli Stivali!
 
Ian pov
 
Apro la scatolina che contiene l’anello e la guardo con tutta la devozione e la passione che merita, quelle che sento ardere dentro me dal primo giorno in cui le ho posato gli occhi addosso. 
“Quella di prendermi cura io di te, per tutta la vita.” 
 
Roxie pov
 
Oddio!
E adesso cosa gli rispondo? Ho talmente voglia di ridere e saltare che, a momenti, fatico a ricordare cosa si deve rispondere ad un uomo meraviglioso come Ian, che amo da morire, che ti chiede di sposarlo. 
Mi perdo per un momento infinito nell’azzurro delle sue iridi, incapace di respirare. 
Mi fissa, impaziente.
“Roxie, tesoro… dì qualcosa, ti prego…” mi sussurra, a denti stretti.
E, finalmente, riemergo da me stessa, sentendo le lacrime, che calde e salate, scendono incontrollate sulle guance.
“Dico qualcosa, tesoro. – prendo un bel respiro - Ti dico sì.” 
Lo vedo espirare, rilasciando l’aria che probabilmente gli ho lasciato trattenere nei polmoni per l’ansia. 
Mi fa sorridere e piangere e venir voglia di urlare ma c’è altro da fare, prima.
Mi infila l’anello al dito e mi abbraccia stretta, stretta. 
Probabilmente, intorno a noi, la gente sta applaudendo ma io non la sento. Ho chiuso il mondo fuori.
Sento solo le sue labbra, la sua voce vicino al mio orecchio mentre mi sussurra:
“Grazie, perché mi ami.” 
 
Lock the doors 
We'll leave the world outside 
All I've got to give to you 
Are these five words when I 
      Thank you for loving me 
 
Note:
 
Ed, infine, eccolo il tanto agognato epilogo. *si asciuga una lacrimuccia*
In un certo senso sono sollevata. Avevo questo capitolo da finire da giorni, ma tra problemi di salute e casini vari non riuscivo a trovare la giusta ispirazione per scrivere di una cosa così bella e dolce. Anzi, per come sto in questo periodo, avrei finito con il farli lasciare. XD ma poi mi sono ravveduta e ho partorito zucchero e cuoricini. 
Anzitutto, spero che l’epilogo sia valsa l’attesa e che i denti non vi si siano cariati, leggendolo. Non ho soldi per pagarvi le cure dentistiche. 
Spero che siate stati bene in mia compagnia, lungo questi quaranta capitoli, più di un anno di aggiornamenti, tra ritardi e vacanze varie. E spero che non mi abbandoniate anche se la storia di Ian e Roxie è finita. 
Vi è piaciuto il lieto fine? Cioè, ve lo aspettavate, ve lo avevo promesso. Ma magari una si fa un’idea e poi arriva la realtà e, sbang, la delusione è dietro l’angolo. Ecco, non vorrei avervi deluse. 
Resto in attesa dei commenti, per risolvere questo arcano mistero. XD
E ora, i ringraziamenti.
Intanto grazie a Chara perché mi sopporta, giorno dopo giorno, e legge le mie idiozie senza, apparentemente, colpo ferire. E grazie a Roxie perché, se non ci fosse stata lei, non avrei conosciuto nessuna di voi. :3 (sto diventando melensa e le note stanno per superare il capitolo…-.-)
E grazie a tutte voi che mi avete seguita, che avete penato con me la mancanza di ispirazione e avete sopportato, senza lamentarvi, i miei ritardi. Cloudofmusic, Iansom, Crisalide, Bunnydelena e tutte le altre che sono passate a lasciarmi due parole. Grazie per le vostre recensioni e grazie per il tempo che mi avete dedicato, anche solo leggendo.
Insomma, adesso sarà meglio che la smetta altrimenti, davvero, scriverò così tanto da sfinirvi prima che vi possa salutare.
Per cui, beh, ci si rilegge tra queste pagine, spero, e alla prossima. 
 

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