Amore insano

di Rota
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giovanni il Piagnucolone ***
Capitolo 2: *** Un mondo tutto bianco ***
Capitolo 3: *** Il senso dell'olfatto ***
Capitolo 4: *** Gli occhi della notte ***
Capitolo 5: *** Fuori dal recinto - Chi va ***
Capitolo 6: *** Dentro il recinto - Chi rimane ***
Capitolo 7: *** Qualcosa era cambiato ***



Capitolo 1
*** Giovanni il Piagnucolone ***


Autore: margherota
Titolo: Amore insano
Capitolo: Giovanni “il Piagnucolone”
Fandom: Dogs - Pallottole e Sangue
Personaggi: Heine Rammsteiner/Giovanni Rammsteiner
Generi: Introspettivo, Fluff, Angst
Avvertimenti: Shonen ai, One shot, Missing Moment
Rating: Giallo
Set: 1
Parole: 1350
Prompt Syllables of Time: Fino a quando voci umane non ci sveglieranno

Note: Piccola raccolta tutta dedicata alla HeineGiovanni, se va bene di sette capitoli (L)
La maggior parte dei capitoli sarà dedicata alla loro “infanzia”, quindi non pensiate che Giovanni sia OOC, è semplicemente piccino e ancora tenero.
Mi sono resa conto, scrivendo questa raccolta, come io mi sia “abituata alla violenza”, leggendo molti manga seinen e shonen, tanto che fino a giorni recenti non mi ero mai DAVVERO resa conto di quanto violento e pesante sia Dogs. Ho basato tutta la mia teoria unicamente sui pochi squarci che il manga mi ha dato relativamente al primo periodo di Heine e Giovanni, laddove non erano altro che cavie scientifiche. Riflettere sulle loro emozioni, sui loro pensieri, sulla maturazione della follia che li ha portati a essere tanto divisi mi ha riempito di nuove considerazioni e un amore davvero immenso, per loro due. Probabilmente sono solo gli scleri di una fangirl troppo pazza, ne convengo, ma vi prego di aspettare d'arrivare fino alla fine per giudicare.
Per ora vi auguro solo una buona lettura (L)





Non era per eccessiva cattiveria che Giovanni aveva guadagnato il soprannome di “il Piagnucolone”: essere così simili e così miseri, in egual maniera, appiattiva le gelosia e vanificava le invidie dell'animo – ed era così strano notare come, con simili premesse, ognuno dei capi scientifici avesse sviluppato una psicologia tutta particolare e totalmente unica, diversa dalle altre in maniera quasi complementare.
Giovanni era il Piagnucolone solo perché aveva in viso quell'espressione eterna spaesata, terrificata, completamente a disagio, che se anche gli occhi e lo sguardo rimanevano nascosti alla vista per la capigliatura stramba non era difficile capire quali sentimenti provasse, nel suo candido e snello corpo.
Avere un elemento debole nel gruppo aiutava gli altri a sentirsi forti, nell'intimo, e Angelika lo sapeva bene.

Heine andò a cercarlo, dopo pranzo: Giovanni era abbastanza solito a sparire, di tanto in tanto, quando non era obbligato con la forza a restare assieme agli altri, in camerate grandissime e totalmente inespressive, bianche come quello che loro avevano da sempre definito “Morte”.
Aveva provato nella sua stanza ma non aveva trovato tracce dell'amico. Aveva provato in bagno, nei pressi delle sale d'addestramento, eppure nulla era riuscito a scovare, neppure guardando bene.
Entrando in cucina, dove lunghi tavoli piatti come quelli della mensa si allungavano da tutte le parti e niente, neppure una piccola briciola, intaccava un ordine quasi disumano, sentì subito dei leggeri lamenti provenire da un punto imprecisato.
Si chinò a terra e lo vide, raggomitolato in un angolo, che si teneva le gambe avvolte in un abbraccio serrato. Heine sospirò, non troppo forte, e a quattro zampe arrivò da lui.
Quando Giovanni lo scorse, al di là della sua frangia e del suo dolore, si strinse con maggior forza e tentò in tutti i modi di comunicargli distacco, disagio, la specifica voglia di non aver nulla a che fare con lui.
Heine rimase a qualche metro di distanza e si sedette sul pavimento, senza smettere di guardarlo. L'aveva visto altre volte in quelle condizioni, ma faceva sempre un certo effetto – come quando Lily perdeva il controllo e diventava poco più che una bestia assetata di sangue.
Per loro che non conoscevano la paura della morte, c'erano a gravare sul cuore e sull'animo quesiti ancora più grandi.
Giovanni non lo guardava, così Heine fu costretto a rivolgergli la parola per primo.
-Io e Lily eravamo preoccupati per te.-
Non era una bugia ma solo la triste verità: Arthur non aveva la grazia necessaria per soppesare tutti gli avvenimenti e purtroppo quando l'abitudine subentra nel ciclo delle cose anche l'importanza dei singoli gesti diminuisce. Per tutti gli altri, quello di Giovanni non era altro che un capriccio.
Ma per loro, per Lily e specie per Heine, non era davvero così.
Giovanni non rispose e non diede cenno d'essere stato toccato né dal suo tono né dalle sue parole. Heine portò pazienza e si sporse un poco verso di lui – lo vide ritirarsi nel proprio angolo, di riflesso, ancora prima che avesse aperto bocca.
-Non dovresti stare da solo, quando sei così. Fa più male.-
Voleva toccarlo, cercare in qualche modo di fermare il tremore del suo corpo non con una carezza ma con la fermezza della mano e del cuore, perché aveva imparato che altra maggiore sicurezza non ce n'era. Giovanni era fragile, quel tanto da essere spezzato in un sol gesto, e se era anche capace di uccidere a mani nude un mostro grosso cinque volte tanto lui, quando si trattava di Heine e dei suoi compagni pareva una creatura spaurita e null'altro.
Aveva ancora il viso nascosto tra le gambe quando gli rispose, fermando a mezz'aria la sua mano.
-Non voglio che pensiate male di me.-
Heine ritirò l'arto, rincuorato seppur in maniera meschina da quelle poche parole dell'altro.
In alcuni casi era stato davvero peggio e lui aveva dovuto assistere a momenti isterici poco piacevoli dove Giovanni tremava da capo a piedi e piangeva tanto da non riuscire neanche a parlare. Non era così vile da chiedersi come mai, tra tutti, proprio lui dovesse mantenere la lucidità salda e la coscienza sempre presente mentre tutto il mondo che aveva marciava dritto verso la pazzia – eppure alle volte avrebbe preferito non coccolare ma essere coccolato.
Cercò di non essere troppo duro nel rivolgersi ancora a lui, mentre lo fissava nella speranza di avere in cambio il suo sguardo.
-Non credo che tu dimostri debolezza se sei consapevole di provare dolore. Fa parte della nostra natura.-
Giovanni non disse nulla per un po', neppure quando Heine gli si avvicinò tanto, centimetro dopo centimetro, da riuscire a toccarlo con il fianco.
Non smise di tremare ma sciolse di poco l'abbraccio nel quale si stringeva totalmente. Non lo guardò ma estese quel semplice contatto che li univa con la spalla, appoggiandosi quasi al maggiore e aprendosi di più a lui, anche con l'animo.
Heine dovette prendergli la testa con una mano, in una carezza strana, per convincerlo a parlare – con voce tremula, sottile, di chi sta quasi per arrendersi al pianto.
-La cosa che mi fa più male è la consapevolezza strisciante di non essere neanche umano. Cosa sarebbe la normalità, in quel caso? Cosa la nostra natura?-
Lo riprese subito, perché sapeva dove quel tipo di discorsi andassero a parare. Giovanni aveva la tendenza a pensare, nonostante fosse una cosa autolesionista: col tempo ognuno di loro aveva imparato o a non farlo o a farlo nella giusta maniera, intanto che la miseria della loro condizione e l'orrore che vivevano quotidianamente non intaccava la lucidità dei loro esseri.
Altrimenti sarebbero arrivati al limite della pazzia – altrimenti sarebbero stati uguali a Lily.
-Tu ti fai troppi problemi, ti riempi la testa di troppi pensieri.-
Giovanni però non demorse, con quel pigro nichilismo che colorava di nero ogni altra cosa. Appoggiò il capo contro il petto del ragazzo e gli prese la maglia tra le dita, in una richiesta muta di pietà.
-Alle volte, mi pare che l'unica cosa che mi fa rimanere lucido, che mi fa credere che questo non sia soltanto il lungo sogno della bestia che c'è in me, sia il dolore.-
Ancora e ancora, Heine non riusciva a zittire quella confessione tanto terribile e tanto umana, sperando solo che lo sfogo potesse aiutarlo a metabolizzare e ad andare avanti, una volta concluso il tutto.
L'aspetto più orribile di quelle occasioni era il senso di impotenza che, germogliato dentro il petto di Heine, cresceva nella disperazione. Eppure Giovanni era lì, era tra le sue braccia, ed era così comico e tragico che non riuscisse a salvare neppure lui.
-L'unica voce che sento, umana, è quella della signora Madre. È attraente e terribile allo stesso tempo, mi fa venire voglia di scappare da tutto.-
Lo abbracciò, stringendolo a sé e interrompendo quel che stava dicendo. Stava tremando lui, di rabbia e di rassegnazione, e Giovanni lo capì benissimo perché gli rispose prontamente.
Si alzò sulle ginocchia, mentre le braccia dell'altro gli circondavano la vita e il suo corpo si faceva tanto vicino quasi da fondersi con il proprio – gli parlò nell'orecchio, non baciandolo ma di poco, perché neppure le mura di quella stanza potessero sentire che in realtà persino Giovanni il Piagnucolone non aveva persa la speranza, e tutto per merito suo.
-Poi però penso a voi, ed è la cosa più forte che esista.-
Giovanni non tremava più e ci volle qualche minuto perché Heine smettesse di farlo.
Nella calma che raggiunsero, riuscirono persino a sentire i colpi dei cuori che, ancora, battevano nei loro petti, simbolo di una vita che andava oltre le difficoltà e tutti gli incubi.
Era probabile che l'idea di “branco” assomigliasse molto alla consapevolezza che erano riusciti, entrambi, a raggiungere in maniera naturalissima – il conforto che la sola idea di gruppo riusciva a dare, massima dolcezza – ma a loro ancora non interessava.
Si scoprirono riconoscenti l'uno nei confronti dell'altro, anche senza il bisogno di guardarsi negli occhi un'ultima volta.
Heine strinse la sua mano e infine lo guidò verso una luce. Brillante, seppur artificiale, seppur bianca come il resto.
-Vieni, andiamo dagli altri...-

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Capitolo 2
*** Un mondo tutto bianco ***


Autore: margherota
Titolo: Amore insano
Capitolo: Un mondo tutto bianco
Fandom: Dogs - Pallottole e Sangue
Personaggi: Heine Rammsteiner/Giovanni Rammsteiner
Generi: Introspettivo, Fluff, Angst
Avvertimenti: Shonen ai, One shot, Missing Moment
Rating: Giallo
Set: 1
Parole: 1480
Prompt Syllables of Time: Accecato dalla fede, non ho ascoltato tutti i bisbigli, gli avvertimenti così chiari
Note: Altro capitoletto, sempre dedicato ai due piccini. Ho preso spunto da una scena del manga e sviluppato una specie di What if...? tutto particolare. Alla fin fine, Giovanni ha un'anima assai fine, assolutamente inappropriata per quanto è destinato a fare – e questo, almeno per me, è una delle cose che lo hanno fatto alla fine impazzire.
Buona lettura, neh (L)


C'erano quelle ore, passate nell'inerzia quasi totale, dove il “branco” - consapevole e razionale persino nella propria squallida esistenza – si riuniva in varie attività più simili all'umana natura e talenti inimmaginabili fuoriuscivano laddove peccava la comunicabilità ed un linguaggio più alto, dato da immagini esterne e sensazioni che solamente il mondo aveva a propria disposizione.
Colorare un luogo tutto bianco stimolava la fantasia e la mente, rendendola capace di andare al di là delle sbarre della gabbia. Berché presente, benché fin troppo partecipe, Giovanni il Piagnucolone era stato uno dei pochi capace di evadere con facilità da quel vortice di pazzia nel quale li avevano rinchiusi tutti.
Non solo una volta aveva preso in mano il gessetto e non solo una volta aveva dipinto di blu e di verde un foglio grigiastro di muffa. Tracciando linee di tutte le tonalità diverse, aveva dato sfogo ad un sentimento represso da qualche parte assieme alla sua umanità in quelli che, senza alcuna esitazione, era riuscito a chiamare “casa”, “uccello”, “pianta”.
Che l'esempio venisse proprio da quell'essere inadatto era una cosa che, ai più furbi, dava di ché pensare – eppure non erano riusciti a resistere di fronte a quella seducente fantasia variegata e vi si piegavano di fronte, indifesi.

Per quanti fossero, Heine aveva cominciato a riconoscere le facce di ognuno di loro già dai primi giorni. Non sapeva i nomi di tutti e non ricordava essenzialmente molte cose, ma se doveva catalogare difetti e virtù era più che mai preciso, in un ordine mentale che pochi riuscivano ad avere in quei frangenti. Ordine che lo aiutava, di molto, a scegliere con precisione i rapporti che aveva intenzione di approfondire in un mondo nel quale non si poteva permettere troppa indifferenza.
Lily non c'era: era stata portata altrove perché aveva riportato un danno più ingente del dovuto nell'ultima sessione di combattimento. In più, proprio quel giorno le toccavano gli esami di routine, a proposito della sua salute fisica e mentale. Heine si domandava spesso come mai, anche per creature come loro, fossero necessari tutti quei controlli.
Trovò Giovanni seduto a terra, in un posticino a lui riservato non lontano dal resto del gruppo. La volontà di isolamento non era palese, nella sua persona, eppure le attività che svolgevano non prevedevano alcuna compagnia tanto che nessuno, a parte rarissime eccezioni, sentiva la necessità di stare con lui.
Heine si acquattò accanto al foglio tra le sue mani, cominciando a contare i pastelli colorati a mente.
-Stai ancora disegnando, Giovanni?-
Giovanni l'aveva visto arrivare con la coda dell'occhio e non diede segno di troppa sorpresa. Tuttavia, benché calmo e tranquillo, il difetto che lo rendeva sempre balbuziente gli fece tremare un poco le labbra d'incertezza – Heine attribuiva quel difetto solamente alla calma strana che li prendeva, di contro alla morte terribile alla quale erano costretti; almeno, a quella maniera, ai suo occhi Giovanni non sembrava per niente stupido.
-S-sì, sto colorando una cosa...-
Indicò quello che Giovanni teneva tra le mani, più o meno a livello della spessa linea verde che lo divideva dall'alto in basso. Era incuriosito, come la prima volta.
-Che cos'è questo?-
Giovanni ebbe difficoltà a rispondergli, perché non sapeva da che parte iniziare. Ma ancora prima che facesse almeno un tentativo, Heine rigirò il foglio da una parte e azzardò la sua ipotesi: quel rosso in alto e quel giallo gli avevano suggerito qualcosa.
-Stai per caso facendo un mazzo di fiori?-
L'altro fece un gesto con la testa che voleva dire di sì e Heine gli sorrise appena, contento di aver indovinato.
Giovanni fece inoltre un ampio movimento con la mano, indicando con il pastello colorato che teneva tra le dita tutto quanto il foglio e spiegando, quindi, il suo progetto.
-Lo voglio fare con t-tutti i colori possibili...-
Heine non disse nulla e allora Giovanni riprese a colorare, in silenzio. Aveva fatto un fiorellino dall'aria innocente alla base, di un color rosa acceso, e ne stava ripassando i bordi con decisione.
Si concentrò tanto che sobbalzò quasi quando Heine riprese a parlare.
-Mi sono sempre domandato da dove venisse tutta la tua fantasia, Giovanni. Ma forse è che ti invidio un po'...-
Dovette guardarlo in viso per vedere l'espressione vaga che aveva negli occhi e nei lineamenti. Lo capì, perfettamente, perché non aveva bisogno di spiegazioni per comprendere a cosa mai l'altro si stesse riferendo.
Bianco, rosso e nero: i colori che erano abituati a vedere si limitavano a tre e a tre soltanto. Bianco come le mura, rosso come il sangue, nero come la pazzia. Riuscire a immaginare un mondo colorato era come scoprire dentro di sé qualcosa che nessuno aveva loro insegnato – la speranza, la fede e la felicità. Nel branco non tutti riuscivano nell'impresa ed Heine era uno di quelli.
Eppure, nelle parole di Giovanni, sembrò quasi esserci una giustificazione inopportuna.
-Se disegnassi sempre le stesse cose, dopo sarebbe m-monotono.-
Lo sottolineò, con un'ulteriore constatazione.
-Sarebbe molto triste...-
Ma a quel punto, resosi conto del silenzio raggiunto, sfilò un foglio da sotto il proprio e lo porse al compagno, con un sorriso appena accennato. I pastelli erano lì, lui era lì: mancava soltanto una cosa.
-Vuoi disegnare anche tu, Heine?-
Heine alzò le spalle e si sistemò meglio per terra, disteso per lungo e il volto tra le mani. Non sorrideva ma era ugualmente bello.
-No, ma mi piace guardarti. Tu continua a fare quello che stavi facendo.-
Giovanni non ebbe nulla da ridire e, messo il foglio di nuovo al suo posto, andò avanti con il proprio dipinto.
Colorò un fiorellino di blu e un paio di viola, più grandi. Fece quello che doveva essere un “girasole” enorme, sullo sfondo, e mise un po' di scuro nel mezzo. Avrebbe anche dipinto una “rosa”, dai petali tremuli e delicati, se solo, stanco di aspettare, Heine non si fosse messo in mezzo e avesse appoggiato la guancia sulla sua coscia.
Non era normale richiedere quel tipo di attenzioni, per nessuno di loro. Benché consapevoli di essere molto giovani, inesperti, deboli, avevano nel corpo anche la volontà di non lasciarsi sottomettere da nulla – neppure dai loro stessi sentimenti. Se richiedevano amore, lo facevano nel silenzio; se cercavano conforto, lo facevano ad occhi chiusi. Il senso della vergogna era insediato in loro come quello della paura, artificio dell'imbarazzo di sentirsi vivi senza un vero perché.
Heine si permetteva certi gesti solo perché, superiore anche in quello a tutti, delle convenzioni sociali artificialmente introdotte nel gruppo se ne fregava altamente. E come Giovanni aveva bisogno di disegnare, lui aveva bisogno di comunicare in un modo tutto suo.
Non lo abbracciò né altro, però socchiuse gli occhi quando sentì la carne soda a contatto con il suo viso. Era piacevole, meglio sicuramente della sensazione che il guanciale orrendo che aveva nella propria branda gli dava ogni santa notte.
Giovanni ne fu davvero molto sorpreso, tanto che alzò le mani in alto e parve quasi spaventato.
-N-non ho ancora finito, Heine.-
L'altro non si spostò di un millimetro e fece uscire una voce pastosa, impedita dalle labbra.
-Lo so. Lo farai dopo.-
Si girò di schiena solo quando sentì che Giovanni si era rilassato.
Guardandolo in volto, dal basso, riuscì senza problemi a fissarlo negli occhi – e se dapprima Giovanni sembrò restio a lasciarsi osservare, spogliato del suo estremo scudo, con il passare dei secondi si abituò a lui.
Non disegnava più, aveva le mani sporche di pastello ma ferme.
-Lily ha ragione.-
-Riguardo cosa?-
-I tuoi occhi, Giovanni...-
Lily, quella cara ragazza così sincera nel fare i complimenti, gli aveva detto che nei suoi occhi si riuscivano a vedere tutti i colori del mondo. Giovanni ci aveva creduto, senza esitazione, e non si era vergognato affatto di tenere quella rivelazione per sé come la più bella cosa che gli era stata donata. Heine lo sapeva, Heine l'aveva sentita proprio mentre pronunciava quella frase, Heine non aveva mai detto che quella era una bugia.
Ciondolarono nel vuoto i ciuffi chiari della frangia e solo dopo qualche secondo di silenzio Giovanni sentì l'impulso di spostarli, per guardarlo meglio.
Aveva dei tratti delicati, quasi da femmina. Però non importava: qualunque mostro fosse stato, rimaneva sempre Giovanni.
Non osarono toccarsi ulteriormente.
-I tuoi sono uguali ai miei, mi basta vederli per ricordare cosa sia il rosso e cosa sia il nero.-
-Non vedi altri colori che quelli, in me?-
-Ce ne sono tanti altri, ma tu li tieni nascosti dentro. C-così è difficile capire dove sta l'azzurro e dove sta il giallo, p-per esempio.-
Sincerità per sincerità. Coltivando l'illusione di poter essere diverso, Heine tratteneva nel cuore una speranza vana che lo rendeva sciocco, illuso.
-Cercherò di farteli vedere più spesso, allora.-
Se avesse anche solo guardato meglio il disegno di Giovanni – vedendo tra tutti gli altri color proprio quel rosso e quel nero che tanto odiava, bisbigli di una coscienza terribile, avvertimenti tanto chiari – avrebbe capito che in quelle condizioni, per loro, non ci sarebbe mai stato nulla, neppure a guardarsi negli occhi tutto il tempo.
-Ti ringrazio, Heine.-

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Capitolo 3
*** Il senso dell'olfatto ***


Autore: margherota
Titolo: Amore insano
Capitolo: Il senso dell'olfatto
Fandom: Dogs - Pallottole e Sangue
Personaggi: Heine Rammsteiner/Giovanni Rammsteiner
Generi: Introspettivo, Sentimentale, Angst
Avvertimenti: Shonen ai, One shot, Missing Moment
Rating: Giallo
Set: 1
Parole: 920
Prompt Syllables of Time: Le stanze hanno un vago sentore di amianto
Note: Altro capitolo per loro due da piccini ** Primo vero contatto amoroso tra i due, un bacio dato non troppo per caso (L) Resta anche più corto per via delle dinamiche descritte, che voglio che restino non altri che un'immagine istantanea, veloce (L)
Spero sia una buona lettura per tutti voi (L)



Acuire tutti i sensi, per rendere gli individui perfette macchine da guerra, rendeva capace tutti i “cani” non solo di una maggior percezione di quanto stava loro attorno ma aumentava anche la celerità di reazione – veloci come il pensiero, superavano ostacoli che l'umana mente imponeva al corpo per preservarlo nel tempo.
C'era però un passaggio, dalla Bestia all'Uomo, che pur assopendo la mente con la coscienza non privava di sensibilità il resto, tra occhi, tatto e udito. E l'odore di artificiale, di morte e di asetticità innaturale, era certo ciò che più forte colpiva il cervello di ogni “cane” e più lo rendeva pazzo, più lo rendeva furioso.

Giovanni si teneva la testa con entrambe le mani, barcollando verso di lui su piedi instabili; Heine non gli chiese neppure dove avesse dimenticato la propria pistola, perché era ricoperto tanto di sangue da far presupporre che l'aveva persa e da parecchio tempo, tanto da sentirsi obbligato ad usare le unghie per non venir barbaramente fatto a pezzi.
Era stata la prima cosa che avevano imparato, in quel mattatoio.
Lo notò quando fece un passo verso di lui, abbassò le braccia ai fianchi e semplicemente lo guardò in viso. Lui non aveva bisogno, come Lily, di parole decise come linee guida e neppure di gesti fermi che ne regolassero i movimenti: bastava a sé stesso per mantenere il controllo. La smorfia sulle sue labbra, tuttavia, indicava che qualcosa non andava. Puzza di sangue, forse – puzza di chiuso che, come un veleno, intaccava persino le carni fino a renderle putride.
Neppure Heine riusciva a sopportare quel lezzo che proveniva da ogni stanza e da ogni luogo in cui loro potessero camminare. Lo tollerava a stento.
Non ancora completamente rilassati per la battaglia appena svolta, con il sangue che pulsava nelle orecchie e gonfiava ogni parte del corpo di rosso vivo, i due ragazzi si avvicinarono piano, senza badare a macerie e a telecamere tutt'attorno.
Da lì, poterono sentire un odore diverso – la presenza dell'altro che da sola riusciva ad annullare tutto, perché tangibile, perché bella e concreta, fisica e calda.
Giovanni si aggrappò di slancio al suo petto, d'improvviso, tanto che la prima reazione di Heine fu quella di repulsione violenta. Si allontanò da lui di qualche passo e lo squadrò per intero, chiedendogli con lo sguardo “come avesse osato” e “perché mai aveva fatto una cosa del genere”. Giovanni non aveva le risposte che l'altro cercava, ma neanche la sottomissione del colpevole dipinta nei suoi occhi. Cercava solo un odore diverso con il quale distrarsi.
Heine si accorse di provare lo stesso desiderio.
Lo prese a sé, trattenendolo in un abbraccio serrato. Non si preoccupò del sangue rosso che macchiò la propria divisa e la sua, dei piccoli gemiti di dolore che Giovanni fece uscire dalla sua bocca per le brusche maniere con le quali lo stava trattando. Affondò il viso nell'incavo del suo collo per poi salire ai capelli, dove il suo odore era più intenso. Lo trovò familiare e non se ne stupì affatto: conosceva tanto Giovanni da ritenerlo una presenza costante, inseparabile.
Lo guardò in viso e desiderò spostare la frangia che aveva sugli occhi – lo fece, senza che l'altro riuscisse a fermare le sue mani. E prendendogli un polso con le dita lo fermò in un punto, abbastanza da chinarsi in avanti e baciarlo.
Trattenne il fiato, spaurito egli stesso da una cosa simile, dalla “passione” che in assenza della ragione lo aveva preso tutto e l'aveva spinto al primo atto che gli era balzato in testa. Chissà perché, pensò, non l'aveva fatto prima. Pensò alle circostanze, a Giovanni, a quell'odore persistenze che voleva cacciare via, al peso gravoso che gli schiacciava il petto, alla voglia di gridare che reprimeva come la Bestia tutta che gli divorava l'animo.
A Giovanni.
A Giovanni.
A Giovanni.
L'altro rispose, con la stessa urgenza che l'aveva spinto al gesto, e allora si concesse il lusso di spegnere davvero l'interruttore.
Scivolarono a terra, in un groviglio di gambe e braccia – e mai, neppure per un istante, la sua bocca lasciò quella dell'altro, arrivando anche a mordere pur di non separarsi e a succhiare per trattenere a sé, senza un'idea precisa su come si facesse cosa e l'indifferenza totale per certe regole amatorie.
Prima di definirlo bello, le loro menti lo definirono giusto e necessario.
Fu affannoso e vorace per diversi minuti, almeno fino a ché Heine non si ritrovò completamente disteso sul corpo dell'altro e lo schiacciò a terra, prigioniero. Quando invece aprì gli occhi e vide il suo viso contratto in un'espressione che non gli aveva mai visto in precedenza, decise di rallentare il ritmo e di sentire, per davvero, tutto quello che stavano facendo. Lingua, labbra, palato, gengive, guancia: diede un nome a ogni sapore, diede un nome ad ogni angolo.
Giovanni non si muoveva, restava invece a sua disposizione, analizzato come in un qualsiasi altro esperimento scientifico. Aveva nella sua figura una tale posa di arrendevolezza che era quasi tenero.
Con un ultimo, piccolo bacio, Heine si allontanò un poco dal suo viso e lo guardò. Giovanni, ripresosi dal suo stato apparentemente di trance, strofinò la punta del naso contro la sua, senza alcun imbarazzo e senza alcun sorriso. Negli occhi c'era la coscienza di un legame nuovo e unico – ed era la cosa che più faceva paura, ad entrambi.
Si alzarono senza dire una parola, sistemandosi le tute attillate lungo il corpo. Raggiunsero gli altri continuando in un silenzio ostinato, avendo ormai per tutte le narici non altro che quell'odore nuovo ancora più intossicante dell'amianto.

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Capitolo 4
*** Gli occhi della notte ***


Autore: margherota
Titolo: Amore insano
Capitolo: Gli occhi della notte
Fandom: Dogs - Pallottole e Sangue
Personaggi: Heine Rammsteiner/Giovanni Rammsteiner
Generi: Introspettivo, Sentimentale, Angst
Avvertimenti: Yaoi, One shot, Missing Moment
Rating: Arancione
Set: 1
Parole: 1230
Prompt Syllables of Time: Verrà la notte e avrà i tuoi occhi

Note: Il momento cruciale nella loro “relazione”, la loro primissima volta ** non me la sentivo di parlare nei particolari di quanto accaduto, anche perché volevo mantenere un rating al di sotto del rosso, così la cosa – seppur sempre rientrante nella categoria “yaoi” e non “shonen ai” - è piuttosto velata. Spero non ne abbiate a male (L)


L'unico momento di vera solitudine avveniva durante le ore notturne, dove i rimasugli di coscienza venivano rigurgitati come paglia nella bocca delle capre assieme ad un sonno mai tranquillo, mai lineare o completo.
Chiusi in stanze singole, i “cani” occupavano un letto piccolo e lungo, caldo abbastanza da parer un poco confortevole – e proprio per questa parvenza, crudele come una carezza fuori luogo, le difese si abbassavano tanto da lasciar correre fuori ogni altra cosa ferocemente spinta in basso, in basso nelle profondità dell'anima.
Lì dove non c'erano telecamere a guardare, a registrare, a spiare, le regole venivano stravolte ma solo nel gioco e nell'illusione temporanea.
I primi tempi avevano pianto tutti, perseguitati da ombre senza nome e senza forma; la seconda fase aveva previsto un tipo di incubo più forte, più grande e crudele, pieno di sangue e dagli occhi spaventosi e chiarissimi, come quelli della signora Madre; la terza fase aveva già scremato i più deboli di cuore e li aveva lasciati soli, a svegliarsi all'improvviso con unicamente l'inquietudine sulla pelle e nessun'altra certezza; nella quarta fase pochissimi, vergognosi, ammettevano ancora di svegliarsi durante il sonno, incapaci per negligenza o altro di sostituire alla stanchezza una spossatezza senza pari.

Giovanni non raccontava i propri sogni neppure nei disegni, neppure in gesti isterici di prima mattina e il rifiuto di parlare in date situazioni – l'orlo della pazzia, nel suo sguardo, era sempre più vicino. C'erano però sere, notti intere, in cui si alzava dal suo giaciglio duro, usciva dalla propria piccola stanza e faceva qualche passo in là, verso sinistra.
Che Heine stesse dormendo oppure no, quando la porta si apriva davanti a lui, faceva davvero poca differenza: nel silenzio ricercato con attenzione e cura, Giovanni raggiungeva il suo letto, alzava di poco le coperte e vi si infilava sotto, attratto dal calore e dal suo corpo tutto.
Alle volte rimaneva lì, rannicchiato contro la sua schiena, a respirare piano la sua stessa aria e a farsi bastare quello per concedersi qualche ora di tranquillità; altre, invece, gli abbracciava timidamente il petto e sfregava il viso contro la spalla, ricercando in maniera goffa il suo tocco. Heine gli prendeva le mani nelle proprie, stringendo bene le dita come se fossero state preziosi gioielli e respirando un poco più forte, perché da quel flebile rumore continuo lui ricavasse la giusta sicurezza. Altre volte ancora, proprio come quella sera, si dimenticava di dare la schiena alla porta, e allora Giovanni si stringeva contro il suo petto e gli toccava la pelle del torace con labbra umide, sussurrando qualche parola senza senso circa incubi feroci, stridii lontani, immagini tinte di ombra.
Addosso avevano solo dei pantaloncini, perché era scomodo tenere la tuta chiara anche di notte, aderente sì al fisico ma così pregna di sangue e di mille altri odori che dava un incredibile fastidio ai loro sensi acuiti.
Toccare le sue spalle nude gli fece un certo effetto, più o meno come sentire il sapore della sua bocca prima di ogni altro al mondo. Aveva la sua guancia contro il muscolo del braccio e sentiva le carezze dei capelli divisi in ciuffi ad ogni piccolo movimento del suo capo. Il collare, freddo di metallo, non gli dava più la consueta sensazione di inquietudine, forse perché non riusciva a vederlo e forse perché aveva altro a cui pensare.
Giovanni aprì i palmi delle mani sul suo petto, in una carezza stranissima che si fermò proprio a livello del cuore. Mosse il viso e la punta fresca del naso tracciò una linea dal collo all'incavo con la spalla; lo stava chiamando, senza dire una parola.
Da quando si erano baciati la prima volta erano parsi subito consapevoli di quella intimità non condivisa da nessun altro. Se Lily era per entrambi una presenza molto importante, a tratti indispensabile per colmare quel vuoto d'emozione che quando erano soli li separava, comprendevano pure come, nel momento in cui lei si allontanava, c'era pur altro capace di unirli in un solo e unico volere – come i rami delle cellule cerebrali che in mancanza di una parte si allungano fino allo stremo e compensano ogni cosa con il proprio sforzo.
Heine abbassò il mento e si ritrovò a baciarlo di nuovo, senza troppo impegnarsi a cercare la sua bocca: lo stava aspettando.
Alzò la mano ai suoi capelli e gli prese la testa tra le dita, avvicinandolo a sé con un gesto poco delicato. Giovanni non si ritrasse e si allungò verso di lui, la pelle che si faceva più calda sui palmi e lungo tutto il petto.
Intrecciate le gambe tra di loro, le braccia tese e i ventri vicini, Heine sentì nascere nel basso una nuova forma d'attrazione che mai aveva sentito in precedenza, qualcosa che andava oltre il calore e l'umidità e gonfiava, gonfiava tanto ogni tessuto del corpo. Se solo Giovanni avesse smesso di succhiargli la lingua magari sarebbe anche riuscito a capire cosa fosse, quella nuova forma di pensiero, ma si rese conto ben presto come proprio quei rumori e quelle sensazioni fossero la fonte di tutto.
Passandogli un braccio attorno alla vita, lo fece più vicino; baciandogli tante volte le labbra, intensificò di dolcezza ogni contatto e interruppe troppe volte il suo respiro. Veniva da dentro ogni singolo gesto, da una curiosità che si faceva audace quando l'altro gli rispondeva prontamente – come se niente fosse sbagliato se non la fine dell'atto stesso.
Inebriati da quel bene nuovo, fonte di qualcosa che spiacevole non era, non si resero conto di esservi abbandonati sia con il corpo sia con l'anima, perché abituati al dolore non avevano riparo alcuno dietro il quale difendersi, davanti a simili sentimenti. Non c'era male: questo significava solamente che da qualche parte c'era il bene, e loro lo cercarono, lo cercarono a lungo.
Heine lo distese di schiena, ad un certo punto, spalancando gli occhi nel vuoto in maniera istintiva e cercandolo nel buio della notte – per guardare quel volto sconvolto quanto il proprio, per sapere davvero che non stava accadendo niente di brutto e niente che lo lasciasse solo. Nessuno aveva ancora spiegato loro come quelle cose funzionassero, cosa fosse mai l'amore e cosa fosse l'odio, e senza paura alcuna sarebbero andati avanti fino a ogni possibile morte, anelandola con tutta la loro forza.
Nell'ombra che tutto inglobava, Giovanni tese le braccia in alto e trovò il suo viso. Lo prese nelle mani e lo accarezzò, passando piano i polpastrelli delle dita sotto i suoi occhi. Lo vide, a malapena, nello sguardo fisso e stravolto che gli stava rivolgendo. Fu consapevole che, da quel momento in avanti, la notte sarebbe venuta per lui solo e soltanto con gli occhi di Heine.
Allargò le gambe e l'altro vi si posizionò in mezzo. Lo richiamò in un abbraccio e l'altro si distese sopra il suo corpo. Gli disse il suo nome nell'orecchio e l'altro rispose con un bacio che toglieva ogni respiro.
Nel contatto che richiedeva maggior contatto, si ritrovarono nudi ben presto e caldi come neppure una guerra era riuscita a vederli mai.
Anche senza vederlo, Heine pensò che Giovanni fosse bello; non glielo disse a parole, ma nella lunga carezza con la quale ammorbidì tutto il suo corpo era evidente ogni singola verità.
Non era sbagliato e non solo per quel sorriso maldestro che Giovanni tratteneva negli angoli della bocca, ma anche per le sue mani calde, i capelli arruffati, le gambe spalancate e il ventre piatto che si alzava e scendeva, ritmicamente, seguendo il cuore impazzito.
Quella notte, si sentirono davvero umani.

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Capitolo 5
*** Fuori dal recinto - Chi va ***


Autore: margherota
Titolo: Amore insano
Capitolo: Fuori dal recinto – Chi va
Fandom: Dogs - Pallottole e Sangue
Personaggi: Heine Rammsteiner/Giovanni Rammsteiner (citato)
Generi: Introspettivo, Angst
Avvertimenti: One shot, Missing Moment
Rating: Giallo
Set: 1
Parole: 1075
Prompt Syllables of Time: Il fumo penetra a fondo nella pelle
Note: Capitolo di transizione, dove Heine fa da protagonista praticamente assoluto. A livello temporale, pensatela come un “dopo” la fuga di Heine dal laboratorio, il suo sbando totale in un mondo che non conosce e non riconosce in nulla. La struttura è diversa dagli altri capitoli proprio per questo motivo.


Cadde per terra, senza riuscire a tenersi ritto con la mano sulla parete fredda.
Le gambe, già molli di dolore e bagnate di sangue, si piegarono in una maniera strana – del tutto innaturale – ed Heine anche senza guardare in basso poteva sentire l'osso spezzato che tagliava le carni e fuoriusciva dalla pelle. Non era la prima volta che accadeva e in tutto quello sembrava persino il male minore.
Gli occhi stanchi si alzarono di nuovo al cielo, a guardare quel mondo estraneo nel quale era capitato.
Si ricordava poco, essenzialmente, di quanto era accaduto. L'unico momento razionale che aveva ben presente, con sconcertante chiarezza, si legava all'immagine del busto di Lily e di tutto quel rosso che impregnava lei e impregnava lui; l'urlo, poi, che gli aveva riempito le orecchie e l'aveva fatto diventare ancora più pazzo, sordo a qualsiasi altra cosa. Per il resto, era tutto confusione, così il fatto che si ritrovava in quel luogo.
Strisciò in avanti, aiutato da un istinto che gli faceva preferire sempre e comunque il moto all'immobilità. Aveva i sensi così acuiti, talmente tanta adrenalina in corpo che sembrava quasi isterico – un animale che per la prima volta lascia il proprio recinto per l'aria aperta.
Più terrificante di tutti era quella cupola enorme, sopra di lui, azzurra e grigia come non ne aveva mai viste. Non c'erano stanze, non c'erano porte, non c'erano dottori e non c'erano compagni. Solo lunghi e larghi muri, di colori diversi, e odori mai sentiti prima e suoni acuti che non gli ricordavano la morte ma erano orrendi lo stesso. Di cose vive neanche l'ombra.
Strisciò in avanti, trattenendo un urlo quando sentì la ferita alla gamba aprirsi di un poco. Diede un'occhiata veloce al proprio corpo e quasi ne rise: il fianco destro doveva ancora ricrescergli del tutto, aveva un polmone per metà di fuori e la pelle gli mancava totalmente sia sulla natica sinistra sia lungo tutto il braccio. Persino i suoi medici curanti, di fronte a uno spettacolo simile, avrebbero storto il naso, perché un tale scempio poteva essere il risultato soltanto di una lunga e strenua lotta dove vinto e vincitore si differenziavano davvero di poco. Heine si chiese, in un lampo di consapevolezza, chi mai fosse stato il “vinto” se lui doveva essere il “vincitore”. Lo ricordò a quel punto, un flash assordante, il viso spaccato di Angelika che rideva ancora sotto le sue dita impazzite – e la rabbia, la disperazione, il divertimento a strapparle lingua, occhi e naso, nel cane rabbioso e violento che era diventato.
Strisciò in avanti e si fermò di colpo quando vide un'ombra più corporea delle altre farsi avanti in un secondo. Sembrava un essere umano, ma non di quelli uguali a lui e neppure di quelli uguali agli scienziati. Era strano, a cominciare dall'espressione incredula che aveva in viso, poi i vestiti e la postura. Sembrava malandato, più o meno come lui, e aveva una paura tremenda addosso – strano, dal momento che non era menomato né grondava sangue. Gli si fece vicino e Heine ringhiò d'istinto, come l'animale ferito che era e non sapeva in che nuova situazione si era venuto a trovare. L'uomo, facendo un balzo indietro, alzò le mani in uno strano gesto forse di resa e farfugliò qualcosa. Heine riuscì a capire solo “medico”, “chiamare” e per un attimo fu anche tentato di fermarlo, di dirgli che non serviva niente e che stava bene; uscì dalla sua bocca solo un rantolo e un rigetto di sangue che gli fece dolere tutta la gola e tutto il petto, come un conato di vomito particolarmente abbondante. Il tizio corse via, più veloce che mai, lasciandolo di nuovo solo e riempiendo l'aria di passi veloci e concitati.
Heine decise di fermarsi, allora, e di non fare più nulla. Riuscì in qualche modo a girarsi di schiena, guardando quel soffitto così alto lassù e a vedere se non qualcosa, a sentire delle lacrime fredde cadergli sulla pelle del viso. Di contro, una nube biancastra nata dal terreno lo colpì appieno, nell'odore nauseabondo e nel fumo che gli penetrò fino in profondità.
Quello era l'esterno.
Il ragazzo si sarebbe messo a piangere se solo ne avesse conservato la forza e la capacità in corpo. Felicità e tristezza erano la stessa cosa, in quel solo punto, esattamente come la logica e il delirio. Allargò quel che restava dei suoi polmoni e inalò tutto quel fumo, il sapore della pioggia che lo stava toccando ed accarezzando. Sarebbe diventato “uomo”, da pecora e cane che era stato fino a quel momento.
Eppure c'era dell'altro che gli impediva di vedere in questo solo progetto la catarsi più completa ed era l'ombra di quello che aveva lasciato indietro, la solitudine di una condizione che non gli era per niente familiare.
Lily era morta per causa sua e lo sapeva perfettamente. Arthur e Loto non respiravano già più l'ultima volta che li aveva visti, distesi a terra l'uno sopra l'altro.
Ma Giovanni... Giovanni era ancora vivo – e l'aveva visto mentre faceva a pezzi la sorella. Il senso di solitudine divenne più pesante, sullo stomaco e sul fegato, quando si rese conto di non aver svolto fino alla fine il proprio compito, di non aver mantenuto nessuna delle promesse che aveva dato.
-Ci salveremo tutti.-
-Non dovete preoccuparvi di nulla.-
-Andremo fuori di qui assieme.-
Quando aveva pronunciato quelle parole, la magnificenza e la serietà le avevano caricate di grave sicurezza, tanto che nessuno aveva posto il minimo dubbio. Ma erano tutti morti, tutti quanti, e l'unico che avrebbe dovuto davvero salvare si ritrovava ancora nelle viscere della terra, nascosto agli occhi impietosi del mondo.
La follia gli aveva rubato Giovanni e gli aveva reso la libertà – senza esitazione, la maledì con tutto sé stesso, dal profondo del proprio cuore: non aveva il minimo senso slegarsi dalle catene e correre da soli in una prateria sconfinata, perché il silenzio che circondava la solitudine era come la morte.
Diede un gemito quando sentì l'acqua sporca del cielo entrargli dentro le piaghe del corpo, gelata e veloce, andando a toccare ciò che non doveva. Tutto quello faceva davvero male.
Chiuse gli occhi senza sentire che gli uomini si stavano avvicinando a lui e un medico, buono e senza divisa bianca, stava già giudicando le sue ferite con una veloce occhiata, preparandosi al peggio.

Fuori dal recinto, chi va maledice la propria sorte.

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Capitolo 6
*** Dentro il recinto - Chi rimane ***


Autore: margherota
Titolo: Amore insano
Capitolo: Dentro il recinto – Chi rimane
Fandom: Dogs - Pallottole e Sangue
Personaggi: Heine Rammsteiner (citato)/Giovanni Rammsteiner
Generi: Introspettivo, Angst
Avvertimenti: One shot, Missing Moment
Rating: Giallo
Set: 1
Parole: 1060
Prompt Syllables of Time: Indossa il tuo amore come se fosse odio
Note: Per bilanciare il precedente, ecco un capitolo totalmente dedicato a Giovanni e al momento in cui si “concede” alla pazzia. Come per Heine, analizzo anche l'inizio di una nuova vita per Giovanni, dove lui è “l'unico sopravvissuto” ma non per merito proprio.




Cadde per terra, senza riuscire a tenersi ritto con la mano sulla parete fredda.
Aveva fatto tutto il tragitto fino al confine ultimo della stanza zoppicando, inciampando nei propri stessi piedi, rotolando quasi sul pavimento – cercando, in un qualche modo, di non calpestare corpi e viscere e umori che occupavano quasi tutta la superficie piana della grande sala. Nelle cavità oculari, ancora gli occhi non si erano formati e il senso dell'orientamento, non spiccato di suo, non lo aveva aiutato per nulla.
Il dolore che provava era paragonabile a quello dato da due chiodi che gli penetravano la testa, partendo proprio da davanti, e la sensazione di avere ancora le unghie di Lily dentro la faccia non lo abbandonava, per quanti passi avesse compiuto.
Si rannicchiò a terra, abbracciando le proprie gambe e chiudendosi in un fagotto piccolo e un poco tremante, cercando in un qualche modo di riordinare il pensiero. Perché, anche in quel frangente, non c'era niente più forte in lui che non la coscienza – che urlava per l'orrore, il terrore, il dolore, la miseria umana che era costretta a sopportare ogni secondo di più.
Non sentiva più niente, neppure lamenti lontani di voci sconosciute: c'era solo la puzza di sangue e di morte, in quella stanza, e il fetore che la carne marcita emetteva. Strizzò le palpebre, d'istinto, e ritrovò nel fondo un poco d'occhio che gli permise di dare uno sguardo alla scena e prenderne più consapevolezza.
Azzardò di guardare oltre la frangia e vide un cumulo di cadaveri rigidi dalle espressioni terrificanti. Per quanto fosse abituato a uccidere e a sguardi carichi di disperazione, Giovanni non aveva mai sviluppato l'abitudine, la sola cosa capace di donargli l'indifferenza giusta, la qualità del killer che sarebbe dovuto essere. Scorse nel mucchio il corpo possente di Loto, lo riconobbe più per la stazza che per vera vista. Era girato di fianco e sembrava quasi stesse proteggendo qualcosa con tutte le proprie forze – Arthur, Giovanni lo pensò immediatamente, perché il primo pensiero di Loto sarebbe andato naturalmente a lui e tutti quanti lo sapevano. Pietà e passione, odio e amore erano la stessa cosa, quando si trattava di mettere alla prova la capacità di sopravvivenza di creature come loro. Eppure, per quanta forza il ragazzo avesse sempre posseduto, nelle mani e lungo le braccia, in quel momento a Giovanni non parve altro che uno dei tanti, cadavere in un cimitero senza terra e senza lenzuolo bianco. Fu così terribile che chinò il capo in basso, chiudendo le palpebre di scatto.
Serrò contro le ginocchia le dita e le unghie sporche di carne non più viva, cercando in un nuovo dolore una ragione per vincere il male che lo stava divorando dentro, pian piano. Dubbi e incertezze, mille domande alle quali non sapeva dare alcuna risposta, si affollarono quindi nella sua mente eccitata e lo resero più stupido del solito.
Azzardò di guardare oltre la frangia e vide Lily divisa in due parti, entro una pozzanghera di sangue che non andava via, non evaporava in aria. Heine, dopo averla fatta a brandelli, l'aveva abbandonata lì ed era andato altrove – l'aveva sentito correre come un ossesso, veloce come mai era stato. Non vedeva tutti i particolari, ma Giovanni poteva intuire benissimo lo sguardo della sorella ormai rivolto al vuoto. Rilassato, tranquillo, calmo, surreale, perché solo nella conclusione lei era riuscita a salvarsi, solo nella fine lei era riuscita a trovare la pace a lungo agognata. E il volto della Morte aveva proprio quei suoi stessi contorni, Giovanni ne fu sicuro a quel punto per la prima volta: rideva della misera condizione ormai superata, li prendeva in giro e si innalzava ad un livello non raggiungibile. Così come aveva amato Lily, si ritrovò a odiarne il cadavere orrendamente mutilato.
Ma no, il pensiero stava vagando troppo e gli donava sentimenti e sensazioni che lui non poteva, non doveva condividere. Si fissò le gambe e vide, in un lampo, le ultime ferite scomparirgli dalla pelle, nell'occhio ormai perfettamente formato e capace. Restò immobile a fissare quel particolare, la sua persona composta di contro a tutto quello, gli venne quasi da pensare che fosse paradossale che proprio lui – proprio Giovanni il Piagnucolone – dovesse avere ancora un cervello funzionante tanto da formulare il pensiero. Tra tutti, il meno adatto era sopravvissuto.
Scostò la frangia da davanti agli occhi quando sentì un rumore non troppo lontano e notò un movimento ai margini della stanza. C'era qualcuno che avanzava tra i cadaveri e puntava dritto a lui. Si ritrovò a pensare che magari non fosse l'ultimo rimasto e se per qualche secondo la speranza gli aveva gonfiato il petto alla vista effettiva di chi gli stava arrivando vicino tremò ancora, di inquietudine.
La signora Madre aveva in viso uno sguardo spiritato, terribile, da folle, e non guardava altro che lui in mezzo a tutto quello scempio. Era chiaro che stesse maledicendo la cattiva sorte o qualsiasi altra cosa che le aveva donato, come esperimento ultimo, proprio un campione tanto scadente – proprio Giovanni il Piagnucolone. E Giovanni comprese bene, quella volta più che mai, quanta delusione e quanto disprezzo potessero esserci nello sguardo di Angelika, perché erano le stesse constatazione che lui medesimo faceva verso sé stesso.
Heine avrebbe dovuto occupare il suo posto: Heine era il più adatto, il più forte, il migliore, il “padrone”. Heine era sempre stato tutto e non doveva a niente e nessuno il proprio essere speciale, neppure alla fortuna e al caso. Heine, per tutte queste ragioni, avrebbe dovuto salvarlo.
-Ci salveremo tutti.-
-Non dovete preoccuparvi di nulla.-
-Andremo fuori di qui assieme.-
Come i passi della donna, l'eco delle promesse del ragazzo gli rimbombavano nelle orecchie e lo facevano diventare ancora più pazzo. Non c'erano “tutti” se non loro due, reduci della follia omicida che dal collo prendeva ogni corpo vivente – ma Heine non era lì e lui ancora rimaneva rinchiuso dentro quella gabbia bianca.
Gli suonò alla mente falsa ogni promessa, vanesia ogni speranza. D'improvviso sentì pesante il collare che aveva al collo e ogni goccia di sangue versato.
Per lui non ci sarebbe mai stata alcuna salvezza, neppure in quell'amore indossato come odio che rendeva Heine unico, splendido e dannato – salvatore e diavolo al medesimo tempo, fautore di un destino completamente egoista.

Dentro il recinto, chi rimane maledice la propria sorte.

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Capitolo 7
*** Qualcosa era cambiato ***


Autore: margherota
Titolo: Amore insano
Capitolo: Qualcosa era cambiato
Fandom: Dogs - Pallottole e Sangue
Personaggi: Heine Rammsteiner/Giovanni Rammsteiner
Generi: Introspettivo, Angst
Avvertimenti: Flash fic, Missing Moment, Shonen ai
Rating: Giallo
Set: 1
Parole: 595
Prompt Syllables of Time: Sei nella traiettoria del mio controllo
Note: Capitolo conclusivo, che ricollega la mia raccolta al “canon” del manga.
Spero di avervi dato qualche minuto di buona lettura, la mia raccolta qui finisce ma spero che vi resti in qualcosa, anche solo in un piccolo pensiero. Per me, ormai, questi due non significano soltanto un pair ma qualcosa di molto più profondo.
Buona lettura e arrivederci alla prossima (L)




Qualcosa era cambiato – in entrambi loro.
Giovanni non aveva più i tratti infantili e buoni che l'avevano reso l'ultimo per troppo tempo, ma oltre quei occhiali che racchiudevano tutta la sua razionalità aveva addestrato la lingua alla malizia, il riso alla perfidia, i gesti all'omicidio. Era diventato quel mostro perfetto che nessuno era riuscito a raggiungere.
Heine non trovava più in niente valida ragione per continuare i suoi giorni e come un vagabondo errava a stento e con poca convinzione laddove il bisogno fisico lo spingeva e dove quella pochezza chiamata “istinto di sopravvivenza” lo conduceva. Non pecora ma neppure padrone, assomigliava per aspetto e vocazione ad un fantasma privo di consistenza.
Dopo la fuga del maggiore, si incontrarono solo nei sogni e nelle pallottole e nel sangue versato. Dopo che il minore ebbe accettato la propria condizione come il dono ultimo dell'altro, non ci fu più gentilezza né dolcezza – ma l'aggrapparsi alle spalle di Heine divenne più il tentativo di strappargli la pelle che cercare rifugio.
Disperazione, forse, ma non credevano neppure loro una cosa simile.
Heine aveva realizzato il proprio sogno pagando un prezzo altissimo: la libertà in cambio del nulla più assoluto attorno. Giovanni aveva realizzato il proprio sogno pagando un prezzo altissimo: appagare e compiacere la Signora Madre in cambio del nulla più assoluto attorno.
Avrebbero dovuto capire fin da subito, dalle premesse di quell'amore insano, che non ci sarebbe stato alcun futuro per loro. Non per Destino, non per cattiveria, ma per carattere.
Chi si fa pecora non potrà mai ambire il posto accanto a chi si fa lupo e viceversa, in una logica spietata ma fin troppo scientifica.
Giovanni poteva essere grato di una sola debolezza di Heine, perché nella sua persona si racchiudeva quanto l'altro tentava di superare ma non ci riusciva, benché il primo del branco. Sulla traiettoria del suo controllo, Giovanni si posizionava e non si spostava di un solo centimetro, orgoglioso di un posto tanto speciale e privilegiato come quello. Lui lo chiamava “risveglio” - ciò che avrebbe donato Heine della carica e dell'odio giusto per essere davvero “forte”; l'altro lo chiamava “delirio”. Era sempre così ironico vedere quanta differenza potesse esserci, tra di loro, per un'unica parola.
Qualcosa era cambiato – in entrambi loro.
Ma forse anche no, perché Heine desiderava ancora baciarlo e stringerlo a sé, per farlo piangere in silenzio sulla propria spalla, magari dicendogli che nessuno lì lo potrà vedere e che era sciocco e stupido e nessun altro oltre a lui poteva dirglielo, con così tanto amore. Giovanni, da quando Heine era andato via, non aveva versato neppure una lacrima.
Ma forse anche no, perché Giovanni si rannicchiava ancora negli angoli delle stanze e sentiva la sensazione sulla pelle di una carezza ruvida e poco gentile, di parole dette a bassa voce vicino all'orecchio che nessun altro poteva ascoltare e sì, tanto folli, tanto inappropriate, eppure con la voce di quel cane che Heine non voleva proprio diventare. Heine, d'altronde, aveva ancora la stessa voce di sempre.
Se così non fosse stato, probabilmente, nulla sarebbe stato come prima, nulla come sempre – e Heine sarebbe stato davvero libero e Giovanni davvero morto. Nel bisogno che avevano l'uno per l'altro, gestivano quella farsa come il sentimento che, tragicamente, li univa. Prima di dormire un'ultima volta assieme, di risvegliarsi non in un incubo ma in un bel sogno. Mano nella mano, uomini senza legami e senza collari pesanti.
Qualcosa era cambiato – in entrambi loro.
Era la vita che andava avanti e non li stava lasciando indietro.

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