Scambio... culturale?

di SimplyMe514
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio della fine ***
Capitolo 2: *** Benvenuti a Hugwrts ***
Capitolo 3: *** Ma che posto è questo? ***
Capitolo 4: *** Gossip ***
Capitolo 5: *** Nella tana delle serpi ***
Capitolo 6: *** Redivivi e nuovi arrivi ***
Capitolo 7: *** La dura realtà ***
Capitolo 8: *** Salvate il soldato Draco ***
Capitolo 9: *** Un disastro di festa ***
Capitolo 10: *** Alla ricerca dei libri perduti ***



Capitolo 1
*** L'inizio della fine ***


 SENSAZIONALE! MAGONÒ SCRIVE COMPENDIO DI STORIA DEL MONDO MAGICO MASCHERATO DA CICLO DI ROMANZI!

Una follia o un passo avanti nella cooperazione coi Babbani?

Era cominciato tutto così.

Poi era stata la volta di:

NOTIZIE DELL'ULTIM'ORA! CASA CINEMATOGRAFICA ACQUISTA I DIRITTI PER LA TRASPOSIZIONE DELLA NOSTRA STORIA IN FORMA DI FILM!

Un espediente per raggiungere le masse o l'inizio della fine?

Per ulteriori informazioni sul concetto di “film”, vedi pagina 13.

E infine il colpo di grazia:

MAGIE SENZA MAGIA: I BABBANI TENTANO DI IMITARE IL NOSTRO MONDO!

Un'inviata speciale è andata ad assistere alla grande apertura del parco divertimenti dedicato alle vicissitudini del Bambino Sopravvissuto. Continua a pagina 4.

Per il povero Harry, che di fama ne aveva più che abbastanza, era stato un autentico incubo. A non poter uscire di casa senza sentire richieste di autografi e gridolini di: «Guardate! È lui! Non riesco a crederci, è proprio Harry Potter!» si era abituato da un pezzo, ormai, ma aveva impiegato un po' più tempo ad accettare di non poter fare nemmeno una passeggiata nella Londra non magica senza essere fermato ogni dieci passi da qualcuno che faceva notare: «Ma lo sa che lei somiglia proprio a Harry Potter, solo più grande? Se la vedesse mia figlia...»

Un paio di volte aveva commesso l'errore madornale di non appiattirsi la frangia sulla fronte in seguito a quei commenti, che puntualmente finivano con: «Ah, lo sa eccome, eh? Fan sfegatato? Diamine, sembra proprio vera!»

Ma non era ancora finita. Ron e Hermione avevano recentemente installato in casa propria un computer con tanto di connessione a Internet, che con tutta la magia nell'aria avrebbe sicuramente fatto i capricci ogni santo giorno, ma per un qualche miracolo, arrancando, portando la poverina sull'orlo della crisi isterica per quant'era lento, funzionava. Più o meno.

«Mi insegni?»

«Con piacere, se si decide a muoversi. Ho una cosa divertente da farti vedere, anche se potresti subire un piccolo shock».

«Muoversi in che senso? E che shock?» chiese subito lui dubbioso, squadrando l'oggetto come se temesse di vederselo saltare addosso da un momento all'altro.

«Inteso come “darsi una mossa” o anche “spicciarsi”, tesoro» spiegò lei, premurandosi apposta di suonare come un dizionario su due gambe come ai tempi della scuola. La sua vena so-tutto-io si era calmata rispetto ad allora... un pochino. «E se te lo dicessi non sarebbe più una sorpresa».

Un tempo di attesa spropositato e qualche click dopo, Ron lesse lentamente, come cercando di decifrare una lingua sconosciuta: «Fan... fanfiction? Sarebbe?»

«L'ultima frontiera di quello che hanno fatto i Babbani dopo aver letto quei libri. Altre storie su di noi scritte da gente che li ha adorati».

«Ancora? Non ne hanno avuto abbastanza?»

«A quanto pare no».

«E che c'è di scioccante in tutto questo?»

«Lo scoprirai presto» sospirò Hermione scegliendo un titolo che prometteva di tenerlo incollato alla sedia. In senso negativo.

Dlin-dlon!

Ron emise un verso ben poco umano. «Per le mutande sporche di Merlino!»

Da quando la loro figlia aveva cominciato a intrattenere rapporti un po' troppo stretti con un certo Scorpius, i due avevano rimandato e rimandato all'infinito il momento in cui Malfoy senior avrebbe varcato la soglia della loro casa, trascinandosi dietro uno strascico di brutti ricordi, ma scappare ancora avrebbe solo trasformato l'odio cordiale in qualcosa di peggio, quindi avevano stabilito una data. Ed era arrivata.

«Vado io». Col senno di poi, Hermione avrebbe dovuto capire subito che lasciare Ron solo con un aggeggio Babbano era una pessima, pessima idea.

«Buongiorno».

«Buongiorno».

«Allora... quanti ricordi, eh?»

«Per me anche troppi. Dov'è... Ron?» Sembrava che non chiamarlo per cognome fosse costato a Draco uno sforzo titanico.

«Di là», rispose Hermione con un gesto vago in direzione della stanza dove suo marito stava studiando il computer come avrebbe osservato un avversario sul ring. «Stavo cercando di insegnargli a usare il computer».

«Bah... roba da Babbani».

«Sarà anche “roba da Babbani”, ma è pur sempre utile».

«Oh, dai, vuoi sbrigarti, maledetto trabiccolo?» sbottò Ron.

«Che c'è?»

«C'è che lo schermo è ancora bianco!»

«Pazienta, c'è troppa magia in giro».

«Oh, al diavolo! Mi sa che adesso la magia darà un aiutino a questo catorcio». E prese a picchiettarlo a caso con la punta della bacchetta, sperando di incitarlo a mostrargli quella cosa scioccante di cui aveva parlato sua moglie.

«Ron, no!» Hermione e l'ospite sgradito accorsero, ma era troppo tardi. Un lampo di luce bianca li avvolse e la stanza rimase deserta. I futili tentativi del rosso avevano prodotto qualche effetto, però: la pagina si era caricata e mostrava la tanto sospirata fanfiction.

Cominciava così: Era una giornata grigia alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hugwrts. Hermione Granger, meglio nota come Regina dei Grifoni, aveva lo sguardo perso fuori dalla finestra. Non l'avrebbe mai confessato, ma rivedeva un certo paio d'occhi nel cielo che prometteva tempesta...

 

Note dell'Autrice: grazie, grazie e ancora grazie a Lely1441, che ha ispirato questa nuova parodia con il suo fenomenale, esilarante inno al canon “C'era una volta, un'Autrice che...”

Eccola qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=919120

Ho un piano generale, ma i dettagli sono ancora un po' sul fumoso andante. Non so proprio quando arriverà il prossimo aggiornamento.

PS: prima di ritrovarmi orde di fan che minacciano di uccidermi, il nome della scuola nel simil-incipit di fyccina è scritto sbagliato apposta. Anzi, è un errore reale commesso nel titolo di una fic esistente su FanFiction.net, che essendo un sito enorme e per la maggior parte in inglese ho immaginato che fosse quello visitato dai nostri eroi. Ma il mio inizio non è la traduzione di quella, è inventato.

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Capitolo 2
*** Benvenuti a Hugwrts ***


 Hermione si ritrovò seduta di fronte a una finestra alta e stretta che poteva appartenere solo a un castello senza sapere bene come ci fosse finita. Scosse forte il capo come se dare una scrollatina ai suoi pensieri confusi avesse potuto aiutarla a mettere un po' d'ordine. Brutta mossa. Il principio di mal di testa peggiorò, pulsante e insopportabile. Che diamine era successo?

Dunque, un bel respiro profondo. L'ultima cosa che ricordava era Ron che si accaniva a colpi di bacchetta contro il computer, poi una luce accecante, e poi... poi cosa? Osò guardare fuori e riconobbe la superficie familiare del lago, simile a una gelida lastra d'acciaio. Era il parco di Hogwarts! Quanto tempo!

Ma che ci faceva lì? Che c'entrava Hogwarts con il computer di casa? Stavano soltanto... oh, no. Stavano cercando di leggere una storia che si svolgeva proprio a scuola. E se – idea folle, sconclusionata, ma pur sempre l'unica con un briciolo di senso – fossero stati chissà come risucchiati nella fanfiction?

Doveva trovare gli altri due, e subito. Ma tutti si sarebbero accorti che era un tantino troppo grande per essere una studentessa, no? Per fortuna non c'era nessuno (il che era strano, ma ripose il pensiero in un angolino per dopo). Ripromettendosi di trovare una qualche soluzione al problema dell'età prima di essere vista, si alzò e partì in direzione del primo posto dove potesse essere logico rintracciare Ron, la Torre di Grifondoro che era stata il loro punto di riferimento per tutti quegli anni. Fu solo quando si mosse che notò che c'era qualcosa di strano nel suo corpo, anche se non riusciva a capire bene cosa. Si fermò sul posto e squadrò ogni centimetro di se stessa che riusciva a vedere, incuriosita.

Oh, diamine. Non sapeva bene come né perché, ma era decisamente ringiovanita. Quello era il corpo da adolescente di cui non le era mai piaciuto niente, a parte il cervello. E per completare l'opera, era in divisa. La sua vecchia divisa, che nostalgia... no, un momento. A ben pensarci, la cosa che stava indossando non le somigliava affatto. Per cominciare, non c'era traccia del lungo mantello da strega d'ordinanza. Secondo, la cravatta rossa e oro era slacciata – perché? Meglio affrettarsi a rifare il nodo prima che la sorprendessero –, e terzo, ma non meno importante, la camicia era stata sostituita da qualcosa di semitrasparente che si incollava in un modo che sperava di essere provocante alle sue non proprio eccellenti forme e alla gonna mancavano diversi centimetri di stoffa. L'unico dettaglio riconoscibile in quel disastro era lo stemma con il leone, il resto avrebbe trovato posto più in un film per adulti che in una scuola seria e rispettabile.

Forse a una ragazza più bella quell'uniforme indegna di questo nome avrebbe donato moltissimo, ma non aveva bisogno di uno specchio per sapere che su di lei il risultato era ridicolo, una grottesca imitazione di una sensualità che non aveva mai avuto se non, chissà come, ai suoi occhi. Ricacciando indietro la vergogna, ripartì per la sua missione.

Non impiegò molto a capire che la divisa non era l'unica stranezza che avrebbe incontrato sulla sua strada. Non solo tutte le ragazze erano abbigliate allo stesso modo – e nessuna, con sua gran sorpresa, pareva a disagio o assolutamente patetica: avevano tutte parecchio da mostrare e lo sapevano – e gli abiti maschili erano ugualmente alterati, con pantaloni in pelle ovunque voltasse lo sguardo e fior di addominali parzialmente in mostra, ma la scuola in generale era molto meno popolata del normale. Niente caos di voci sovrapposte né folle di studenti che migravano frettolosi di aula in aula lamentandosi della mole di compiti, solo qualche perdigiorno che passeggiava indolente per i corridoi semideserti e, per un buon novanta per cento, fidanzatini fin troppo felici che si sbaciucchiavano in ogni angolo libero, completamente incuranti del fatto di essere in pubblico o delle conseguenze che avrebbero subito se fossero stati scoperti da qualche insegnante. C'era decisamente qualcosa di strano, quasi palpabile, nell'aria: il pensiero fisso di tutti sembrava essere quello di trovare al più presto qualcuno a cui avvinghiarsi come un polpo lì dove si trovava, infischiandosene del pudore, dell'orario delle lezioni e di tutto il resto. Alla tredicesima “adorabile” coppietta, di cui diverse omosessuali – non che si fosse mai considerata omofoba, ma si era chiesta più di una volta quale fosse l'atteggiamento del mondo magico, che per certi versi era ancora così antico, nei loro confronti – Hermione cominciò a sviluppare il ragionevole sospetto che qualcuno, magari Pix (che non aveva ancora né incontrato né udito far baccano in lontananza, altro particolare da registrare), avesse messo le mani su un filtro d'amore nei sotterranei e l'avesse oculatamente distribuito nei succhi di zucca mattutini degli studenti.

«Oddio, 'Mione! Quasi non ti riconoscevo!» strillò una voce vagamente familiare alle sue spalle. Si voltò, ma solo perché le pareva di conoscere chi la stava chiamando: il diminutivo “'Mione” le giungeva nuovo.

«E da quando mi chiami “'Mione”?» chiese automaticamente, guardando finalmente in faccia la ragazza misteriosa. I capelli rossi le dicevano che si trattava di una versione a sua volta ringiovanita di Ginny, ma il resto era irriconoscibile sotto un pesante strato di trucco che se voleva somigliare a quello di una star di Hollywood aveva fallito miseramente, facendola sembrare invece un incrocio tra un pagliaccio e una... ehm, “donna scarlatta”.

«Diciamo da sempre?»

«Cosa? Davvero? A me non pareva proprio». Sempre più incomprensibile.

«Ehi, dico, ma hai preso una botta in testa? E a proposito di testa, mi spieghi cos'è che hai fatto ai capelli?»

Hermione si passò una mano in quella massa crespa che continuava ostinatamente a resistere a tutti i suoi tentativi di domarla, trovandola identica a quella di sempre. «Niente, perché? Ti sembrano diversi?»

«Diversi? Cioè, ma ti sei vista? Sono esplosi! Eri tanto carina con quei boccoli... hai messo le dita nella presa di corrente?»

«Frena, frena, frena. Tanto per cominciare non ci sono prese di corrente a Hogwarts, e lo so che tuo padre colleziona spine, ma non credevo che tu avessi idea di cosa fosse una presa, complimenti. Terzo, i miei capelli non sono cambiati di una virgola, e anche se fosse non ne farei un dramma, lo sai meglio di me». E quali boccoli, tra parentesi?

Ginny scoppiò in un'orribile, incontrollata risatina acuta che non era affatto da lei. «Come, non ci sono prese? Ma dove ti credi di essere, nella preistoria? Senza prese la gente dove ricaricherebbe i cellulari?» Hermione sentì gli occhi che le uscivano dalle orbite.

«I cellulari non prendono qui, Ginny. È uno scherzo, vero?»

«Come sarebbe a dire che non prendono? E poi, fammi il favore, “Ginny” è troppo un soprannome da bambina, non lo usa neanche più mia madre».

«Ah, no?» Meglio assecondarla. «E come ti dovrei chiamare?»

«Come ti pare, Gin, Gin-Gin, ne ho a miliardi. O se proprio vuoi fare la Caposcuola noiosa puoi anche dirlo per intero, Virginia».

«Ma il tuo nome completo è Ginevra!» Per non dire poi che allo status di Prefetto era arrivata, ma mai a quello di Caposcuola, visto che aveva avuto... diciamo di meglio da fare durante il settimo anno.

«Oddio, ti hanno fatto un trapianto di personalità o cosa? Neanche ti ricordi più il nome della tua migliore amica! Tu stai male, ragazza».

«Senti, se proprio ci tieni dopo farò un salto in infermeria, ora sto cercando Ron. Sai dov'è?»

«Ah, boh... o è ad allenarsi o è nelle cucine a divorare tutto quello che trova. Come fa a mantenere il fisico da Quidditch con tutto quello che mangia, non lo so».

«Che fisico da Quidditch?» Non che avesse qualcosa da ridire sul tono muscolare di suo... be', se erano ringiovaniti doveva ricordarsi di non chiamarlo più “marito”, ma da quando il nobile sport degli stregoni dava un fisico mozzafiato? Pazienza per i Battitori, che usavano non poca forza fisica, ma a parte fare meraviglie per i glutei – e qui Hermione si assestò uno schiaffo mentale per riportarsi sulla retta via – il Quidditch non era il genere di attività che regalava muscoli torniti da statua greca.

«Ma che, sei cieca? I ragazzi della squadra hanno tutti degli addominali da paura. Che c'è, hai bisogno di rivederli per dare una rinfrescatina alla memoria?» Perché l'aveva detto come per attribuirle l'abitudine di vedere petti maschili nudi regolarmente? Hogwarts era forse diventata una scuola per aitanti indossatori di biancheria intima firmata anziché per maghi?

«Io controllo le cucine, allora» annunciò Hermione, fin troppo contenta di avere un'occasione di separarsi da quella Ginny che non era più quella che conosceva. Girò sui tacchi e diversi piani dopo – e avere la fortuna di imbattersi in una scala semovente che invece di portarla da tutt'altra parte l'aiutasse no, eh? Per una buffa serie di coincidenze, rimasero tutte immobili lungo il percorso, facendole ricordare con dolore quant'era irritante dover affrontare ogni santo giorno tutti quei gradini. Era proprio fuori esercizio – eccola sotto il castello, con le nature morte piene di generi alimentari assortiti a suggerirle che la fonte di tutto il ben di Dio servito alle ore dei pasti dovesse essere vicina. Sapeva anche che la Sala Comune di Tassorosso era da quelle parti, ma non le parve di vedere le botti che ne nascondevano l'entrata. Forse non ci aveva fatto caso, o forse non era esattamente dove credeva.

Fece il solletico alla pera del quadro e, come promesso da quella strana Ginny, Ron era lì, con un intero banchetto tutto per sé e apparentemente nessuno che l'avesse preparato, tornato a sua volta al vecchio se stesso tanto alto e scoordinato che pareva l'avessero stirato con la forza.

Ripensandoci, dov'erano finiti gli elfi domestici? Il suo lato da paladina dei loro diritti si mosse da qualche parte nelle sue viscere, ma lui era più importante.

«Ron! Finalmente! Ti prego, dimmi che almeno tu sei normale...»

«Normale come?»

«Normale nel senso che non sei una specie di invasato, sai come funziona questo posto e non vedi niente di diverso nei miei capelli».

«Tre su tre. Perché? E che c'entrano adesso i tuoi capelli? Sono sempre gli stessi, no?»

«Be', tua sorella non è d'accordo, a quanto pare».

«Hai visto Ginny? È qui anche lei? E come sta?»

«Be', ecco, non sono proprio sicura di aver visto Ginny».

«Sarebbe a dire?»

«È diversa, è strana, sembra che le abbiano fatto un incantesimo. Mi ha detto cose assurde, tipo che dovrei avere i boccoli, che la gente qui ha i cellulari e che il Quidditch sviluppa gli addominali. E crede di chiamarsi Virginia!»

«E non l'hai risistemata? A me pare che sia stata Confusa, da come me l'hai descritta».

«Mmm, sarebbe possibile, se non fosse che secondo me il problema è un altro».

«E cioè?»

«Onestamente, Ronald, hai fatto lo sforzo di chiederti che ci facciamo qui?»

«Be', il mio ultimo ricordo è che stavo cercando di far funzionare quella fan-cosa...»

«Ecco, appunto. Credo che siamo stati risucchiati nella storia!»

«Come, scusa?»

«Siamo a Hogwarts perché la fanfiction era ambientata lì. O almeno, nella Hogwarts che si immagina chi l'ha scritta. È una pazzia, ma è l'unica cosa vagamente sensata».

«Non mi dire che anche Malfoy è nella stessa barca».

«Non l'ho ancora visto, ma a rigor di logica direi di sì».

«Troviamolo».

«Di tutte le persone al mondo, non riesco a credere che sia tu a suggerirlo, Ronald Weasley».

«Non sarà divertente, ma da come parli sembra che qui siano tutti matti. Potrebbe aver bisogno di una mano».

Mentre uscivano, Hermione domandò: «Che ci facevi nelle cucine, tra parentesi?»

«Non ne ho idea, ma siccome mi ci sono trovato ho pensato che per qualche motivo dovessi restarci».

«E non ti sei fatto tentare neanche un po' da tutta quella roba?» lo punzecchiò lei.

«Nah... sono una buona forchetta, ma non fino a quel punto».

Essendo già in uno dei punti più bassi della scuola, impiegarono meno del previsto a trovare Draco, che non si era allontanato molto dalla Sala Comune dove disse di essersi misteriosamente ritrovato.

«... e quei due sono scomparsi nel nulla, proprio ora che avevo messo in conto di rivedere Vincent, e Nott e Zabini sono impazziti, fanno gli amiconi quando era già tanto se studiavamo insieme sotto esame! Sempre che quello sia Zabini... dice di esserlo, ma ha completamente cambiato faccia! Ditemi che è un incubo...»

«No, Malfoy, questo è peggio di un incubo» sospirò Hermione, e gli fece il riassunto delle sue vicissitudini.

«Quindi questo qui...»

«“Questa qui”, è sicuramente una ragazza».

«... va bene, va bene, questa qui è convinta che a Hogwarts si vestano tutte», e indicò la divisa di lei con un ampio gesto, «così? Ma è stupida o cosa? Non ce li hanno dei college o qualcosa del genere, questi Babbani? Posti con delle regole, non so se mi spiego...»

«Sì, i college ci sono, ma ho come la mezza sensazione che lei non ne abbia mai frequentato uno. Anzi, mi sono appena resa conto che non ho visto una singola persona con un libro in mano qui in giro. Forse non ha proprio capito che è una scuola».

«Be', adesso che facciamo?» interloquì Ron.

«Brancolo nel buio quanto te. Che ne dici di far rinsavire Ginny?»

«Vale la pena di tentare».

«E io dovrei seguirvi come un cagnolino?»

«Hai un altro posto dove andare, Malfoy?» lo rimbeccò lui.

«Va bene, come vi pare. Ma non aspettatevi che vi dia una mano. Vi vengo dietro solo perché siete gli unici due sani di mente a parte me».

Hermione decise a nome di tutti che tornare sui propri passi e cercare nei pressi della Torre di Grifondoro sarebbe stato un buon punto di partenza, ma ben prima di raggiungerla i tre si resero conto di essere seguiti da sussurri, sobbalzi di sorpresa e maleducati che addirittura li segnavano a dito.

«Ma che cos'hanno tutti quanti?» sbottò lei alla fine.

«Sai una cosa, Hermione? Mi sa che fanno così perché siamo diversi».

«Diversi da chi?»

«Da tutti gli altri! Abbiamo le divise strane, ma loro sono tutti bellissimi, mentre noi... senza offesa, eh, lo sai che ti amo lo stesso... siamo normali. E non ci stiamo sbaciucchiando selvaggiamente. Ci toccherà mimetizzarci».

«Mimetizzarci? Sei entrato in modalità Auror?»

«Diciamo di sì. C'è un solo modo per non farci notare troppo».

«Avanti, dimmelo...» Ma sospettava già di cosa si trattasse, e a metà di lei l'idea piaceva, mentre l'altra recalcitrava.

«Comportarci un po' più come loro». E la baciò a tradimento, lì sul posto, percependo il suo imbarazzo all'idea di essere vista da tutti ma sacrificandolo in nome della mimetizzazione. Peccato solo che il suo gesto sembrò peggiorare le cose invece di migliorarle.

«Ommioddio!»

«Non ci credo!»

«E lui... lui è lì a guardarli... e non dice niente?»

«Ma allora te l'eri inventato?»

«No, ti giuro, li ho visti con i miei occhi, avrà cambiato idea...»

«Ohssignore, i Caposcuola si sono lasciati, non si parlerà d'altro per un mese...»

«Anch'io credevo che lei stesse con Malfoy!»

Al che Ron mandò al diavolo la modalità Auror e, bacchetta in resta, scattò: «Questa me la spieghi».

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Capitolo 3
*** Ma che posto è questo? ***


  Qualcosa d'invisibile la strattonò da qualche parte nella regione dell'addome e la sbalzò con la forza via dalla sedia. Come una Passaporta, ma peggio. Peccato solo che non stesse toccando niente, quindi che diamine... ?

Be', a giudicare dall'atmosfera non era uscita dall'edificio, anche se il luogo non le era granché familiare, con tutti quegli scaffali che non finivano più pieni di libri polverosi dall'aria così pesante che dubitava di riuscire a sollevarli, figurarsi a leggerli. Doveva essere la biblioteca. Mmm, sì, ci si era trovata qualche volta, all'inizio, ma adesso aveva di meglio a cui pensare, tipo godersi il suo Dracuccio, approfittare del bagno dei Prefetti per dedicarsi a certe attività con il suddetto, organizzare feste in entrambe le Sale Comuni più la Stanza delle Necessità, tanto per assicurarsi di non far torto a nessuno, prendersi cura dei suoi capelli, starsene in panciolle sul lettone della sua fantastica stanza singola... eh, i privilegi di essere Caposcuola...

E a proposito di Draco, meglio muoversi e andare a cercarlo, casomai fosse capitato anche a lui uno spostamento inspiegabile. Magari era stato catapultato in cima alla Torre di Astronomia, altro posticino niente male per appartarsi, dato che la vista era ultraromantica, e aveva bisogno del suo aiuto... che cosa assolutamente drammatica!

Quindi, immaginandosi una scena madre dopo l'altra (Draco che le aveva fatto una sorpresa e aveva fatto comparire un bel lettone lì, sotto le stelle... no, ancora meglio, Draco sul punto di precipitare da chissà quanti metri, lei che correva a salvarlo e lui che la ringraziava in un certo modo che sapeva lei), partì alla ricerca del suo adorato e... ohssignore. Com'è che l'orlo della gonna arrivava così in basso? Inchiodò dove si trovava – suvvia, Dracuccio poteva aspettare qualche misero secondo in più, giusto il tempo di venire a capo di quel mistero – e si ispezionò i vestiti. Disastro totale! Conciata così poteva correre direttamente a farsi suora e sarebbe stato lo stesso. Cos'era, uno scherzo? Qualcuna invidiosa di lei che voleva farle fare una figuraccia davanti a tutta la scuola? Be', non aveva tempo di rimediare (e come, tra l'altro?), perciò avrebbe sopportato l'umiliazione a denti stretti.

Uscì di corsa da quel posto che sapeva di polvere e, sempre che avesse un odore, di noia, e... ehi, ehi, ehi. Stop. Cos'era quella marea di gente? Perché improvvisamente doveva muoversi a zigzag per non essere spinta e anche sgomitare un po' a sua volta per arrivare dove voleva? Vero, visto qual era il passatempo al top delle preferenze di tutti il rischio di moltiplicarsi come conigli era concreto, ma anche se la matematica le dava il mal di testa sapeva fare quel paio di calcoli elementari che le dicevano che era un po' presto per avere una tale moltitudine di studenti in giro.

E poi cos'era quell'esubero di single? Perché la gente si spostava più a branchi che a coppie, e per di più tutti con una fretta del diavolo? E soprattutto, perché tutte le ragazze indossavano quella roba da educande e i ragazzi dei seriosi completi stile pinguino?

Colse qualche frammento di conversazione:

«Mi spieghi come faccio a scrivere un metro di tema?»

«Non me ne parlare... io se arrivo a trenta centimetri mi commuovo...»

Bah... perché farne una tragedia del genere? Oppure:

«Bleah, perché sulla lista di cose da comprare non c'è mai una mascherina? Non voglio farmi mai più esplodere una pozione in faccia in tutta la mia vita!»

«Be', sorridi, hai trovato una motivazione per andare un po' meglio in Pozioni... non ti offendere, ma sei senza speranza...»

Poverina... ma quando poteva esserle capitato un incidente simile? L'ultima volta che l'aveva rischiato lei era stata... era stata... be', che diamine, senza la lezione in comune con i Serpeverde ora non sarebbe stata in coppia fissa con Dracuccio, ma a parte quell'incontro da batticuore non ricordava di essere mai tornata là sotto a spaccarsi la testa su un librone maneggiando insetti e altre schifezze assortite.

«Guarda dove vai!» pigolò una ragazzina così piccola che doveva essere in parte folletto... no, un attimo, forse era solo del primo anno. La squadrò per benino mentre raccoglieva la quantità di volumi caduti a terra nell'impatto, assolutamente sproporzionata al suo peso piuma (i professori erano per caso diventati sadici? Era tanto comodo quando si facevano vedere a malapena...): mingherlina, anonimi capelli color topo, cravattina gialla e nera – mmm, sì, ne aveva vista qualcuna spuntare da qualche parte, ma le combinazioni rosso-oro e verde-argento erano praticamente le uniche che era abituata a vedersi intorno – allacciata così stretta che era un vero miracolo se non era ancora soffocata... bleah, cosa sarebbe diventata da grande? Non prometteva per niente bene. Non come lei, che era abituata a sentirsi parecchi sguardi addosso ovunque passasse. E magari un giorno uno di quegli sguardi le sarebbe parso più interessante del solito... certo, ora aveva Draco, ma lei e le sfere di cristallo erano un po' ai ferri corti, quindi chissà... se avesse dovuto fare la lista di tutte le persone che la consideravano un bel bocconcino ci avrebbe messo un pezzo. Con tutto quel che succedeva durante quelle pazze feste, un Whisky Incendiario di troppo avrebbe potuto fare il miracolo...

«Sta' attenta tu! Un po' di rispetto per i più grandi!» Quella se ne andò con la coda tra le gambe. Un problema in meno. E ora sotto con le ricerche.

«Ehi! Ma che ti salta in testa?»

«Come, scusa?» No, un attimo. Quella era... era... nah, Gin non si sarebbe mai fatta vedere in pubblico in quello stato!

«Ti si sono tappate le orecchie? Allora te lo ripeto: che ti salta in testa? La butti per terra come se niente fosse e neanche le dai una mano a raccogliere la sua roba?»

«Avrei dovuto?»

«Ah, be', nessuno ti obbliga, ma c'è una cosetta che si chiama educazione. Sai, quella che ti ha insegnato la tua mammina...»

«Mi fai la predica, Gin?»

Lei rise, malgrado la situazione. «Ma scusa, il gin non era una bevanda alcolica?»

«Be', anche, per questo è divertente, visto che lo reggi pure bene... Virginia, Gin... insomma, ti sta a pennello. E poi ti chiamo così da secoli, perché adesso hai da ridire?»

«Uhm, no. Mi sa che questa è la prima volta che lo sento. Mezzo mondo mi chiama Ginny e l'altro mezzo Ginevra, non Virginia. Sicura che stiamo parlando della stessa persona?»

«Oddio, ma stai male? Hai perso la memoria o cosa?»

«No, veramente qui quella strana sei tu. Tra parentesi, qual è la grande occasione?»

«Che grande occasione?»

«I capelli, Hermione... dopo la versione liscia al Ballo del Ceppo adesso hai trovato pure la pozione per farti i boccoli? Ma c'è qualcosa che non sai?»

«I miei capelli sono sempre stati così, ehm... Ginny, se ci tieni. E visto che siamo in argomento di nomi, perché cavolo hai detto “Hermione” per esteso? Sei diventata pomposa come Percy, adesso?»

«Eh? Per il semplicissimo motivo che se volevi un diminutivo potevi dirmelo, oh, non so, qualche annetto fa...»

«Ma se mi chiami “'Mione” fin da... più o meno l'eternità!»

«E da quando l'eternità dura due secondi netti? Io ti porto in infermeria».

«Ma sto benissimo!»

«Non sei più tu, invece! No, adesso ti farai una simpatica chiacchierata a quattr'occhi con Madama Chips, dovessi trascinartici di peso».

E fu esattamente quel che tentò di fare.

«Ma... ma...» balbettò 'Mione impotente.

«Ma cosa?»

«Ma io stavo cercando Draco!»

«Tu? E che vuoi da lui, si può sapere? Tirargli un altro schiaffo? Perché se è così hai tutto il mio supporto, sappilo».

«Ma quale schiaffo? Non me lo sognerei mai!»

«Veramente l'hai già fatto, carina, e da quello che mi hanno raccontato sei stata grande. E poi, ripeto, perché tu, di tutte le persone del pianeta, stai cercando Draco Malfoy

«Be', che diamine, è diventato illegale passare un po' di tempo con il proprio ragazzo?»

E qui Ginny dimenticò di colpo la sua missione di trasportarla come una bambola di pezza in infermeria per un check-up completo.

«Come, prego?» Dall'espressione sembrava che stesse tentando, e fallendo miseramente, di ricacciare indietro uno scoppio di risa. «Tu... e Malfoy... insieme?» annaspò, per poi trarre un respiro profondo per calmarsi e continuare con un briciolo in più di compostezza: «Parli dello stesso Draco Malfoy che non ti toccherebbe neanche con un manico di scopa lungo tre metri perché pensa che i Nati Babbani siano infetti? Altro che infermeria, adesso cambiamo strada e andiamo da qualche professore a farti trasportare dritta dritta al San Mungo, nell'ala di quelli che hanno completamente perso la testa».

«Ma che... che stai dicendo?»

«La pura verità! Quel viscido è cresciuto a pane e razzismo! Scommetto quello che vuoi che dopo il famoso schiaffo s'è disinfettato la guancia, Hermione, svegliati. Quello pensa che tu non sia degna di baciare neanche la terra su cui cammina, figurati la sua regale boccuccia!»

«Giusto per tua informazione, io e Dracuccio abbiamo superato la fase dei baci un secolo fa, e tu sei pure stata la prima a saperlo. Come si fa a dimenticare una notiziona così?»

«Dracuccio? E questo adorabile nomignolo come te lo sei inventato? Ah, PS: giuro che credevo che fossi... insomma...»

«Oh, dai! Beata ingenuità! Ma se le nostre feste finiscono in camera da letto una notte sì e l'altra anche!»

«Che feste? Guarda che da queste parti c'è il coprifuoco! La McGranitt chiude un occhio quando c'è da celebrare una vittoria a Quidditch perché sotto sotto è più fanatica lei di tutti noi messi assieme, ma figurati se ci lascerebbe far baccano ogni sera...»

«No, dico, ti sei rammollita? Sembra quasi che Minnie ti faccia paura... guarda che diventa una gattina, mica un drago!»

«Quasi quasi preferirei affrontare un drago a mani nude che l'ira di... Minnie? E da quando hai tanta confidenza? Capisco che ti adora perché sei l'unica della tua classe a riuscire a digerire tutta la sua teoria della Trasfigurazione, ma fino a questo punto... andiamo, non mi avevi detto tu una volta che Minnie è un personaggio di un fumetto Babbano?»

«E se anche fosse? Dai, su, non farmi perdere tempo, devo trovarlo...»

«Magari è già a lezione... ora che ci penso, mi sa che i tuoi vaneggiamenti mi faranno arrivare in ritardo, odio lasciarti sola in questo stato, ma Vitious mi ammazzerà, piccolo o non piccolo...»

«Eh? A lezione, oggi, a quest'ora?»

«No, il trenta febbraio nella fantomatica venticinquesima ora della giornata... certo che è a lezione! Siamo o non siamo in una scuola?»

«E quindi dov'è?»

«Per il calzino sinistro bucato di Merlino, Hermione, vuoi che sappia a memoria pure l'orario dei Serpeverde del tuo anno? Ma che succede oggi a tutti quanti?»

«Tutti quanti chi?»

«Ron... l'ho incrociato e mi è parso diverso, per non dire poi che non si riusciva a schiodarlo dall'argomento cibo, neanche fosse a digiuno da mesi... tra parentesi, se proprio ci tieni a vedere Malfoy, mi pare che oggi dopo le lezioni tocchi a loro allenarsi, ma non ti garantisco niente, magari mi confondo, i turni sono un gran pasticcio...»

«Grazie, grazie, grazie!» strillò 'Mione. Forse cominciava a ragionare...

«I danni permanenti ai timpani me li potevi anche risparmiare, ma prego».

E ora doveva solo aspettare l'ora degli allenamenti, giusto? Tutto quel tempo da riempire... ma come?

«Signorina Granger, non dovresti essere in classe?» chiese una voce severa da qualche parte dietro di lei. Girò sui tacchi e si ritrovò faccia a faccia con una versione di Minnie di cui sì, effettivamente c'era da aver paura. La voglia di affibbiarle soprannomi le passò all'istante.

«In classe?»

«Sì, esatto. Immagino che tu debba pur avere qualche lezione».

«Ehm, lezione?»

«C'è l'eco, per caso?» sbottò la McGranitt. «Sì, a lezione! Ad imparare, apprendere, assimilare nozioni, liberarti di un po' delle “mosche morte e idee deliranti” di cui parla il nostro inno scolastico di dubbio gusto... a meno che tu non abbia un'ora libera, nel qual caso mi scuso per la sfuriata, ma mi pare che tu abbia l'orario più pieno che io abbia mai visto da qualche anno a questa parte, quindi ne dubito».

«Ma... non credevo che ci fosse lezione».

«Questa, poi... devono averti fatto qualcosa alla memoria... fin dove si spingeranno ancora questi scherzi? Ti rimetterei in sesto io, ma non mi prendo questa responsabilità, la diagnosi è un tantino affrettata... seguimi, ti lascio nelle sapienti mani dell'infermiera...»

«Ancora? E due! Ma sto benissimo!»

«Sì, sì, dicono tutti così... poche storie, vieni con me».

«Oh, uffa! Ma non ne ho bisogno!»

«Ti direi di moderare il tono se non fosse lampante che al momento non ne sei in grado. E altrettanto chiaramente non sei del tutto padrona di te stessa, quindi mi dispiace, ma ti conviene non discutere, prima di far male a te o a qualcun altro. Adesso è un'amnesia, ma chissà cosa succederà se non ci sbrighiamo...»

Non del tutto padrona di se stessa” era più o meno un modo carino per dire “fuori di testa”, no? Quindi, qualsiasi cosa avesse detto, la professoressa non le avrebbe creduto. Dato che ciò metteva fine a qualsiasi speranza di ribattere, la lasciò riuscire dove Ginny aveva fallito e prima di rendersene conto si ritrovò sdraiata su un letto bianchissimo e asettico, con una preoccupatissima Madama Chips che le passava sapientemente la bacchetta sopra punti noti solo a lei in una serie di gesti che evidentemente servivano a fare una diagnosi un po' più accurata di quella azzardata al primo sguardo dalla McGranitt.

«Niente».

«Come sarebbe a dire, niente? Te l'assicuro io, Poppy, ci deve essere qualcosa. Controlla di nuovo».

«Io posso anche farlo, ma sono certa che questa ragazza sia sana come un pesce, anzi, dall'ultima volta che l'ho vista si è sviluppata non poco! Hai preso qualche pozione che ti ha fatto qualcosa agli ormoni ultimamente, signorina Granger? Perché non credo proprio che siano legali».

«Assolutamente no! Come si permette? Se parla di queste», e accennò al proprio davanzale, «non ho bisogno di sporchi trucchi!»

«Calma, calma... ipotesi sciocca, comunque, perché possono dare mille problemi, ma amnesie no di certo... in ogni caso per oggi te ne resti qui per qualche altro accertamento, e se i professori verranno a chiedere, sei giustificata. E non pensare nemmeno di svignartela, perché lo verrò a sapere».

Cosa? E come diamine avrebbe fatto ora a fare una sorpresa a Dracuccio a fine allenamento? Aveva urgente bisogno di un qualche piano per scappare da quell'inferno bianco...

 

Note dell'Autrice: un milione di grazie a Charme, figlia dei fiori, gossip_girl e Lely1441 che hanno inserito questa storia tra le seguite.

PS: dolore fisico. Proprio dolore fisico. Ho provato questo cercando di immedesimarmi in “'Mione”.

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Capitolo 4
*** Gossip ***


 L'intero corridoio trattenne il fiato come un sol uomo, poi cominciarono i cori:

«Oooooh! Si fa interessante!»

«Botte! Botte! Botte!»

«Dieci galeoni sul rosso!»

«Ma sei scemo? Malfoy lo fa a polpette!»

«Non ci sarà nessun duello!» li zittì Hermione. Poi, rendendosi conto che forse sarebbe stato troppo strano, aggiunse: «O se sì, sarà una cosa privata. Non c'è niente da vedere!»

Il capannello di scommettitori si disperse, borbottando commenti delusi.

«Duello o non duello, me la spieghi comunque».

«Non ho niente da spiegarti, Weasley. Questi qui sono matti se pensano che ci possa passare anche solo per l'anticamera del cervello di metterci insieme».

«Ma allora... ?»

«Ron?»

«Sì?»

«Fa' un bel respiro e ascoltami, okay? Questa era la cosa scioccante. Alla gente piace stravolgere le nostre vite sentimentali».

«Cosa? Ma perché?»

«Non chiederlo a me... non so, magari sono convinti che l'autrice abbia fatto le accoppiate sbagliate, oppure lo fanno per divertimento...»

«Sono l'unico che non ci vede niente di divertente?»

«Odio essere d'accordo con te, ma no, non sei solo» intervenne Draco, vagamente nauseato.

«Giusto per prepararmi psicologicamente, c'è qualcuno che ha avuto idee ancora peggiori?»

«Mmm, be'...» La prima risposta che le era venuta in mente era stata un bel “Devo proprio elencarle tutte?”, ma ci teneva alla salute mentale del povero Ron.

«Lo prendo come un sì».

«Che genio».

«Il sarcasmo a dopo, magari...»

«Comunque voglio che tu ricordi un fatto importante: qualunque cosa tu veda, niente di tutto questo è mai successo».

«Io di te mi fido, Hermione. È solo che sentir dire certe cose mi fa arrabbiare, quando mi arrabbio non penso, e... sai cosa succede quando non penso».

«Io invece devo ancora vedere cosa succede quando pensi, Weasley. È finito il siparietto romantico? Perchè abbiamo una decerebrata da trovare, se non mi sbaglio».

«E andiamo» dissero gli altri due in coro, come preparandosi per una battaglia.

Un altro po' di scale dopo, Draco si bloccò davanti al ritratto della Signora Grassa. «Be', è il vostro territorio. Andate avanti voi e poi magari ditemi se siete riusciti a far entrare un po' di sale in quella zucca, eh?»

Ma non ebbero bisogno di separarsi, perché in quell'esatto istante il quadro si mosse rivelando la figura di Ginny, o chiunque fosse, che usciva di furia.

«'Mione! Oh, menomale, così non devo neanche cercarti in capo al mondo... è vero sì o no che ti sei messa con mio fratello?»

Hermione ebbe la sacrosanta soddisfazione di guardare il suo presunto ex-ragazzo con tutto il disprezzo di cui era capace. «Come viaggiano veloci le notizie da queste parti...»

«Ohssantocielo! Quindi adesso è un po' come se facessi parte della famiglia! Notizia bomba!» La travolse con un abbraccio spezzacostole. «Ma che ci fa lui qui, allora?»

«Lui, ehm...», scoccò a Malfoy un'occhiata implorante che sperava gli facesse afferrare il messaggio “reggimi il gioco”, «cercava di convincermi a tornare insieme, ma non vuole proprio capire che anche se mi si attacca come una sanguisuga non c'è storia! Vattene!» Lo spinse via, piano, e lui barcollò molto più dello stretto necessario. Forse aveva capito l'antifona.

«Non vuoi proprio ripensarci?» supplicò Draco, sfoderando doti di attore che probabilmente non sapeva neanche lui di possedere.

L'apertura si stava affollando di teste di curiosi che cercavano di sbirciare per scoprire la fonte di tutti quegli strilli. Ottimo, altri pettegoli. Se avessero inscenato una litigata storica, forse il resto della scuola avrebbe smesso di stupirsi di vederla con Ron... chissà, magari sarebbero riusciti a riportare un briciolo di normalità in quel manicomio e lei avrebbe addirittura potuto godersi un assaggio della storiella adolescenziale che tra loro due, prima troppo testardi per capire di amarsi e poi costretti dalla guerra a crescere troppo in fretta, non c'era mai veramente stata.

«In che lingua te lo devo dire? Non voglio più vederti!»

«Ma...»

«Niente ma! Sparisci!» E stavolta lo schiaffo non fu per niente finto. Accidenti, che senso di déjà-vu.

Draco corse via senza aggiungere altro, ma dallo sguardo d'intesa gli altri due capirono che si sarebbe soltanto nascosto poco lontano. Diamine, stavano collaborando. Peggio di così...

«Allora... com'è successo?» chiese Ginny, affamata di gossip. Ecco, quella era una parte a cui non aveva ancora pensato.

«Io... io...», ti prego, ti prego, fa' che interpreti male e creda che non mi vada di parlarne, pensava disperatamente Hermione mentre cercava una storia plausibile, «l'ho sorpreso con un'altra, ecco. E ho pensato di rendergli pan per focaccia».

«No! Fuori dal mondo! Chi è la colpevole?»

Okay, forza, il primo nome che fosse vagamente credibile in quel mondo di pazzi, quindi non quello della sua attuale moglie. Visto che la Bulstrode era così brutta che avrebbe provato compassione perfino per lui se l'avesse costretto a fingere di far coppia con lei, si aggrappò disperatamente al ricordo del Ballo del Ceppo e inventò sui due piedi: «Pansy Parkinson».

«Ma dai! Quell'immane cagna della Parkinson?» Be', visto il muso da carlino l'insulto non si allontanava troppo dalla realtà. «Ma c'è qualcuno qui dentro che non l'abbia ancora vista come mamma l'ha fatta, secondo te?»

Qualche fischio e apprezzamento proveniente dall'interno della Sala Comune fece meditare a Ron di nascondersi come poteva dietro Hermione per non far vedere le orecchie scarlatte.

«Senti chi parla!»

«E a quando il tuo, di spogliarello?»

Hermione ebbe la presenza di spirito di gettarsi fisicamente su di lui, mascherando da abbraccio possessivo il tentativo di trattenerlo dall'andare a suonarle di santa ragione a chiunque avesse osato fare quelle insinuazioni su sua sorella.

«Senti, ehm, noi andiamo... andiamo...» Accidentaccio! Se lei e Malfoy erano Caposcuola, doveva significare che l'autrice della storia si era inventata un settimo anno, e lei non aveva la più pallida idea di dove avrebbero dovuto trovarsi i Grifondoro del settimo anno a quell'ora. «Scusa, ho perso il mio orario e non sono ancora riuscita a memorizzarlo, non è che ti ricordi tu che lezione dovrei avere?»

«Che lezione?»

«Come, scusa? Sono sospese? È successo qualcosa?»

«Sospese, sospese...» ripeté Ginny, come soppesando la parola. «Boh, non c'è lezione e basta, è tutto quello che so».

«E non lo trovi neanche un pochino strano?»

«Dovrei?»

«Be', ehm... noi abbiamo da fare comunque. Ci si vede, eh?»

«Guarda che lo so che genere di cose avete da fare voi due adesso che state insieme... non sono mica stupida!»

«Su questo avrei parecchio da discutere...» borbottò Ron prima di riuscire a trattenersi.

«Hai detto qualcosa?»

«Niente, niente...»

«Sarà stato il tuo stomaco» ridacchiò lei. «Allora vi lascio soli soletti... poi però voglio i dettagli, eh, 'Mione?»

«Sono io o tua sorella sta peggiorando?»

«Non chiamarla così, mi rifiuto di credere che quella sia mia sorella».

«Ti capisco» sospirò Hermione. «Se usa ancora una volta quel diminutivo la strangolo».

«Quindi adesso che facciamo? Andiamo a riferire il fallimento su tutta la linea a Malfoy?»

«Abbiamo scelta?»

L'accoglienza loro riservata da Draco, che si stava ancora platealmente massaggiando la guancia, non fu delle più gentili. «Si può sapere perché l'hai fatto?»

«Esigenze sceniche» si giustificò in fretta Hermione. «Ah, e mi sono dovuta inventare una storia di copertura. Ti toccherà far finta di stare con la Parkinson».

«Di quello non preoccuparti. Sarà comunque più realistico che con te. Quanti ricordi... certo che se Astoria lo scopre avrò uno Kneazle da pelare...»

«Non ha motivi per venire a saperlo, giusto?» rispose lei, il ritratto della praticità.

«E abbiamo scoperto anche un'altra cosa: a quanto pare questa non è una scuola» aggiunse Ron.

Hermione lo guardò con tanto d'occhi. «L'hai fatto notare tu prima di me?»

«Be', scusa se ci sono rimasto un tantino sotto shock!»

«Come sarebbe a dire, non è una scuola?»

«Non c'è lezione, a quanto pare, e l'androide che ha sostituito Ginny non solo non ha saputo dirmi perché, ma non lo trova neanche insolito».

«Che cos'è un androide?» le risposero gli altri due in coro.

«Lunga storia. Comunque, fingiamo di tirare avanti come se niente fosse. Io intanto cercherò nella sezione di Babbanologia se c'è qualcosa sulle interferenze tra tecnologia e magia, in modo da poter tornare a casa... siamo stati spediti indietro di anni, ma i computer esistevano, anche se nel frattempo sono migliorati. Qualcosa dovrò pur trovare...»

«Mi mancava, sai?»

«Cosa?»

«Lo sguardo che hai quando ti fissi su qualcosa, soprattutto se ci sono di mezzo dei libri».

«Ehi, voi due... ancora un po' e mi verrà il diabete!»

«Meglio, così siamo più credibili. Tu sparisci pure dalla circolazione, Malfoy, giusto per non farci saltare la copertura» ribatté svelto Ron.

Il resto della giornata scivolò addosso ai nostri eroi senza che accadesse niente d'incredibile, almeno per gli standard di quel posto che di credibile aveva poco. Draco sparì effettivamente dalla circolazione – risultò solo dopo che aveva passato quelle ore, non necessariamente in quest'ordine, sopportando un Theodore e un Blaise eccessivamente amichevoli, flirtando spudoratamente con una Pansy fin troppo felice di vederlo così disponibile e che a giudicare dalla sparizione del muso da carlino aveva scoperto le gioie della chirurgia plastica Babbana e cercando invano Tiger e Goyle, che erano semplicemente scomparsi – mentre Ron e Hermione, col pretesto di farsi vedere insieme il più possibile per rendere l'annuncio ufficiale, misero a soqquadro una buona metà della sezione di Babbanologia senza trovare uno straccio di formula che potesse riportarli indietro, il tutto sforzandosi ben poco di mantenere il silenzio e l'ordine, ma senza che Madama Pince, misteriosamente sparita anche lei, fosse loro addosso per zittirli.

Una giornata senza incidenti, insomma, a parte l'ora di andare a letto, sempre che ce ne fosse una.

«Ma dove vai?»

«Tu dove credi? Ai dormitori del settimo anno, no?»

«Oddio, allora non sei ancora andata a farti risistemare la memoria? Non sai che hai una stanza tua?»

«Ehm...»

«Oh, tesoro, sei messa male... vieni, ti ci porto io...» E un po' la trascinò e un po' la sospinse in una camera tutto sommato accogliente, ma arredata – rigorosamente con i colori di Grifondoro – da qualcuno con uno strano senso delle proporzioni, dato che il gigantesco letto matrimoniale ne occupava la maggior parte.

«Grazie» disse Hermione riluttante.

«E di che? 'Notte-notte... sempre che tu abbia intenzione di dormire...»

«Ma i ragazzi non possono entrare nei dormitori femminili, quindi immagino che valga anche per questa stanza».

«Come, non ci possono entrare? E allora con chi è che ci divertiamo ogni notte, con le loro gemelline identiche? Dormici su, magari domattina sarai tornata normale...»

Solo quando la porta fu chiusa Hermione si concesse di sussurrare: «Se “normale” vuol dire come te, non vorrei diventarlo mai, grazie tante».

 

La mattina seguente Hermione si svegliò con il classico senso di disorientamento di quando ci si ritrova in una camera poco familiare. Una volta messe in ordine le idee, nell'ondata di pensieri negativi su quel che l'aspettava ne emerse, a sorpresa, uno positivo: se in un certo senso era tornata indietro nel tempo, avrebbe potuto rivedere Grattastinchi! Il micio aveva trascorso una vita felice con loro, inseguendo qualsiasi cosa gli capitasse a tiro, dai gomitoli di lana agli gnomi del giardino, fino alla fine dei suoi giorni, che sebbene fossero stati ben più lunghi di quelli di un gatto comune dovevano pur giungere al termine prima o poi. Hermione era stata inconsolabile, ma poi aveva acconsentito con gli occhi lucidi a seppellirlo insieme al suo topo giocattolo preferito, quello a cui avevano staccato di proposito un dito per farlo somigliare a Crosta, in modo che potesse avere la sua vendetta, anche solo per finta.

Perse un po' di tempo a cercarlo, ma per quanto chiamasse e ispezionasse tutti i suoi angolini preferiti, della palla di pelo non c'era traccia. Meglio risolvere quel mistero dopo e scendere di corsa, sperando di non arrivare troppo in ritardo.

La prima cosa che la colpì, entrando in Sala Grande per la colazione, fu che le tavolate erano immensamente più corte di quanto ricordasse. Ah, giusto, questa versione di Hogwarts ospitava meno studenti. La seconda fu che il tavolo di Tassorosso, oltre ad essersi rimpicciolito come gli altri, era praticamente deserto. La terza furono i sussurri. Che in attesa del cibo si facessero quattro chiacchiere era normale, ma questo era diverso: c'era un che di eccitato nel ronzio di commenti che rimbalzavano per la Sala, come se fosse accaduto, o stesse per accadere, qualcosa di speciale.

Hermione sedette accanto a Ron, ignorò le vivaci proteste del suo senso del decoro e, giusto per far felici quegli invasati, gli appioppò un plateale bacio del buongiorno. Soddisfatta della sua pregevole opera, si diede all'ascolto dei pettegolezzi, per captare cosa fosse il grande evento che faceva bisbigliare ininterrottamente tutta la cosiddetta scuola.

Uno degli ovvi argomenti era lei, naturalmente: il fatto che la Caposcuola preferisse le attenzioni di Weasley a quelle di Malfoy ormai era di dominio pubblico, e buona parte della popolazione femminile non pareva molto d'accordo con la sua scelta, anche se la notizia che il biondo fosse libero le faceva somigliare a cagnolini che si litigavano un osso. Patetico.

Poi ci fu un frammento di conversazione che fece drizzare (e arrossire) le orecchie anche a Ron:

«Ti dirò, io mi sono stupita di più quando si sono messi insieme che quando si sono lasciati». Ehi, possibile che almeno una di loro avesse un briciolo di cervello?

«Ma dai! E perché?»

«Perché quelli così belli sono sempre o già occupati o gay. Ti giuro che pensavo che ci fosse del tenero con Potter». Ron non sapeva se diventare scarlatto dalla testa ai piedi o scoppiare a ridere, ma i due continuarono imperterriti a origliare lo scambio di battute, rapiti da quant'era disgustoso.

«Ma se sono cane e gatto!»

«Iiiiih, quanto sei ingenua! Te lo fanno credere! O se no, sai come sarebbe potuta finire, invece?»

«Sentiamo un po'...»

«Che Weasley e Malfoy, a forza di litigarsela, si mettessero insieme loro. T'immagini la scena?»

«Io preferisco non immaginarmela» sussurrò l'interessato all'orecchio di Hermione, lasciando credere ai pettegoli che le stesse mormorando sdolcinatezze da romanzo rosa da quattro soldi.

«Ohssignore, troppo gustoso!» convenne l'altra. «Ma non è successo, quindi pazienza».

Ma c'era un terzo argomento che spuntava ogni tanto su qualche bocca: un misterioso nuovo arrivo. Fonti certe dicevano che quella mattina si sarebbe presentata una nuova studentessa, e già volavano scommesse su che aspetto avrebbe avuto, cosa ci facesse lì, dove sarebbe stata Smistata e soprattutto se avrebbe fatto concorrenza sleale alle altre ragazze...

 

Note dell'Autrice: special thanks a Fry93 che segue questa storia e a Charme che oltre alle seguite ora l'ha messa anche tra le preferite.

PS: sono giunta alla conclusione che i capitoli di numero pari sono più divertenti da scrivere.

PPS: “avere uno Kneazle da pelare” è un'ovvia deformazione del nostro modo di dire “avere una gatta da pelare”.

PPPS: ho scritto il pezzo su Grattastinchi con il mio, di gatto, installato (giustamente) accanto al mouse. Leo, ti voglio un mondo di bene. Pure la mia Musa dovevi diventare, adesso? E la prossima volta cosa farai, soffierai contro qualcuno di cui non mi devo fidare come un vero Kneazle? (Fun fact: recentemente ho riguardato Harry Potter e il Principe Mezzosangue, che a mio parere è il film in cui Hogwarts è più simile a “Hugwrts”, per entrare nell'atmosfera. Leo era sdraiato sul divano con me. Le uniche due scene durante le quali s'è minimamente mosso sono state: 1. l'entrata in scena della mitica barca e 2. l'arrivo dei Mangiamorte via Armadio Svanitore. Questo gatto ha dei geni magici nel DNA.)

PPPPS: secondo voi ho già velatamente protestato abbastanza per la totale assenza dei Tassorosso nelle fyccy?

PPPPPS: ci sono troppi PS?

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Capitolo 5
*** Nella tana delle serpi ***


 Oh, porco Salazar. Meglio correre in infermeria a farsi dare una controllata allo stomaco, dato che si era appena ribellato di sua spontanea volontà. Se avesse dovuto descrivere la sensazione, l'avrebbe paragonata a una Passaporta, ma non gli pareva di essersi mosso: era sempre in Sala Comune.

No, un momento... l'impressione era quella di non essersi spostato di un centimetro, ma era la gente intorno a lui ad essere diversa, anche se gli fu necessario qualche istante di perplessa osservazione per capire in che senso.

Uno: i vestiti. La moda di mettere in mostra gli addominali da Quidditch era passata nel giro di un secondo. Per quanto si arrovellasse, Draco proprio non si spiegava tutte quelle camicie abbottonate e cravatte allacciate. E le ragazze, poi... ciao ciao all'effetto cattiva scolaretta, benvenute castigate gonne lunghe che dovevano essere state all'ultimo grido qualche secolo prima.

Due: ma quant'erano brutti tutti quanti? Non sapeva se cominciare da quella là in quell'angolo, quella con la mascella squadrata e l'aria di poterlo mettere al tappeto toccandolo con un dito, da quei due tipi più larghi che alti che ridevano sguaiatamente di una battuta che doveva essersi perso o da... nah, per favore, i capelli di quell'altra forse somigliavano a quelli di Pansy, ma sembrava che qualcuno le avesse deformato la faccia con una maledizione. Che era successo?

Resistette alla tentazione sempre più forte di tastarsi il viso per controllare di non essere stato colpito a sua volta dall'evidentissimo scherzo di cattivo gusto che doveva averli magicamente imbruttiti (be', se aveva avuto la fortuna di essere l'unico immune non c'era più competizione... non che avesse mai veramente temuto che qualcuno gli contestasse il titolo di Principe delle Serpi...) e passò a un problema ancora più pressante.

«Blaise? Dove sei?» chiamò, osservando la stanza a vuoto.

«Dove guardi? Sono proprio qui!» Stava scherzando, vero? Il ragazzo che aveva appena sventolato la mano per farsi notare era di colore, per Salazar! Blaise aveva stuoli di ragazze quasi – quasi! – pari ai suoi che cantavano le lodi dei suoi occhi color cobalto e della sua pelle d'alabastro... o erano tutte daltoniche, o qualcuno gli aveva cambiato i connotati, e Draco propendeva decisamente per la seconda. «Sicuro di star bene?»

«Io sto benissimo, sei tu che sei diverso!»

«Diverso come?»

«Mmm... la tua faccia...»

«Sì, Draco, ho una faccia diversa da quella dello studente medio, te ne sei accorto adesso? Pensavo che per la pelle non ti facessi problemi. Conoscendoti, finché uno è Purosangue può anche essere viola a pallini verdi e tu non fai una piega, ma se solo ha un cugino di terzo grado Babbano sono dolori... mi sbaglio?»

«Be', più o meno hai ragione. Poi c'è sempre l'eccezione che conferma la regola...»

«E cioè? Ne hai trovato uno a cui valga la pena rivolgere la parola?»

«Oddio, hai perso la memoria? Non mi dire che ti devo rifare il discorsetto sul background non proprio pulito della mia ragazza, perché una volta passi, ma due...»

«La tua ragazza? Va bene che non ci parliamo tanto, ma neanche sapevo che ce l'avessi... a meno che con Pansy non sia diventata una cosa ufficiale, ma in quel caso cosa stai blaterando sul suo background

«Come, non ci parliamo? Abbiamo litigato e me lo sono perso? Io e te siamo amici per la pelle! Ops... pelle... argomento sensibile?»

«Non ti prendere tanta confidenza... non ti ricordi quanto ci è voluto per smettere di chiamarci per cognome?»

«Ma se siamo andati d'accordo subito!»

«La tua definizione di “subito” ha bisogno di una sistemata, caro mio. L'ultima volta che ho controllato, giravi sempre con Tiger e Goyle alle calcagna e del sottoscritto non t'importava se non quand'era in arrivo un esame in cui ero più bravo di te».

«Chi, scusa?»

«Sveglia! Tiger e Goyle, i tuoi gorilla... sono sempre più convinto che tu stia male». Indicò con un cenno i due energumeni che, forse sentendosi chiamati in causa, lo guardarono con aria ebete.

«Io sono sanissimo! Allora... che si fa?»

«Come, “che si fa”? Si va a lezione, sempre che tu sia in condizione di farlo. Dai, faremo tardi».

Decidendo che chiedere “Che lezione?” sarebbe stata una brutta mossa – quando uno era fuori di testa, meglio assecondarlo –, lo seguì senza una parola, anche se l'ultima volta in cui ricordava di essere andato a lezione era molto, molto lontana.

Be', a giudicare dai vasi ricolmi di sostanze non meglio identificate e cose viscide che una volta dovevano essere state vive la lezione era di Pozioni. Tanto meglio per lui, essere un Serpeverde gli garantiva automaticamente vita facile con Piton... ehi, un momento.

«Lei chi è?» chiese al buffo tricheco in sovrappeso che essendo l'unico adulto nella stanza doveva essere l'insegnante. «Che fine ha fatto il professor Piton?»

L'intera classe trattenne il fiato. Ma che aveva detto di male?

«Mio caro ragazzo, spero vivamente che tu stia scherzando... il professor Piton non è più fra noi, e dovresti portare più rispetto alla sua morte da eroe!»

«Come sarebbe a dire?»

«Hai dimenticato... ? Gargoyle galoppanti, questo ragazzo sta male!»

«È quello che ho cercato di fargli capire anch'io, professore, ma non c'è stato verso» intervenne Blaise. Ma come? Quelli strani erano loro, non lui!

«Bene, bene, il signor Malfoy resiste stoicamente e si presenta a lezione anche in condizioni non proprio ottimali... se fossi in te mi farei vedere, ma se sei così certo di sentirtela, non vedo perché non dovremmo procedere... forza, forza, il tempo passa! Aprite i libri a pagina cinquantasette e mettetevi al lavoro!»

Libri? Quali libri?

«Ehm, Blaise, ti dispiace... ?»

«Hai pure perso il libro, adesso? Trovatene uno nell'armadio delle scorte, no? Per Merlino, quanto sei appiccicoso oggi...»

Okay, era ufficiale: doveva aver fatto qualcosa per offenderlo ed essersene misteriosamente dimenticato. Se no perché avrebbe bellamente ignorato tutti quegli anni di amicizia? Sospirando, Draco si avviò verso il mobile socchiuso e ne recuperò l'ultima copia rimasta (e viste le condizioni in cui si trovava, non c'erano dubbi sul perché fosse l'ultima: quelli erano morsi di topi, per caso? Bleah!).

Aprì il volume alla pagina indicata, pregando tra sé che non cadesse a pezzi al minimo tocco, e... oddio. La lista di indicazioni da sola gli procurò una vasta gamma di malesseri assortiti, dall'attacco di nausea (be', che diamine, non si poteva certo dire che avesse torto, no? Erano veramente disgustose!) al mal di testa per quant'erano complicate.

«Uhm, e noi dovremmo fare tutto questo? In un'ora?»

«Ma certo che sì, e faresti anche meglio a imparare a farlo correttamente, dato che è di vitale importanza per gli esami!»

Esami? Cioè? Decidendo che esprimere le sue perplessità ad alta voce l'avrebbe solo messo in ridicolo davanti a tutti, strinse i denti e tornò per la seconda volta all'armadio delle scorte, dove si stava formando una discreta coda di compagni alla ricerca di questo o quell'altro ingrediente. Non ricordava affatto che le classi fossero così numerose: doveva addirittura sgomitare per guadagnarsi la sacrosanta precedenza che spettava al Principe.

«Ehi! Piano!»

«Ma chi ti credi di essere?»

«Mettiti in fila come tutti, Malfoy!»

Afferrato tutto ciò di cui aveva bisogno – e ringraziando interiormente Merlino o chiunque ci fosse lassù per l'esistenza di guanti protettivi, vasetti di vetro e tutto ciò che si frapponeva tra la sua pelle e quella robaccia – se ne tornò al tavolo da lavoro, disorientato. Dunque... da che parte doveva cominciare?

Fu un autentico inferno. Prima ebbe qualche difficoltà ad accendere il fuoco, poi corse il serio rischio di vomitare udendo l'orribile crunch degli scarafaggi nel mortaio e infine, per non farsi mancare niente, prese un po' troppo sul serio la riga di istruzioni che diceva di schiacciare certe bacche di non sapeva bene cosa, facendosene schizzare in faccia il succo che avrebbe dovuto versare nel calderone. E bruciava anche parecchio.

«Ahi!»

«Gargoyle galoppanti! Ti è finito negli occhi? No, no, non toccare, peggiori le cose... sbrighiamoci, può essere tossico...»

Tossico? Da quando in una scuola si correvano rischi simili?

Ma per scongiurare il pericolo bastarono un abbondante lavaggio con acqua corrente e una piccola dose di chissà quale antidoto che sapeva vagamente di cavoletti di Bruxelles; dopo quei pochi minuti da cardiopalma, Draco fu salutato come l'unico sopravvissuto a una catastrofe e il professore come l'eroe che l'aveva strappato all'ultimo istante dalle grinfie della morte. Che esagerati.

«È stato orribile! Mai più nella vita!»

«Sei diventato allergico alla scuola, Malfoy? Perché se è così sei messo male... non so se hai dimenticato anche questo, ma qui c'è lezione tutto il giorno...»

«Cosa?»

Ma l'autore del commento sarcastico aveva avuto maledettamente ragione: si ritrovò trascinato dalla folla di aula in aula tutto il tempo, ricavandone solo delle gran fitte di dolore alla testa. Forse aveva il cervello stanco. Non l'aveva mai usato così tanto in una sola giornata. Ma alla fine della tortura, ecco un debole raggio di speranza:

«Be'? Ti vuoi muovere?»

«Che c'è stavolta?»

«Allenamento di Quidditch... credevo che tenessi almeno a quello...»

Oh, finalmente qualcosa di familiare: sfilarsi la divisa ordinaria per indossare quella della squadra, ulteriore status symbol del Principe, e pavoneggiarsi sulla scopa mostrando i muscoli guizzanti alla schiera di fan infiltratesi sugli spalti... forse anche quel mondo di pazzi che sgobbavano come api operaie cominciava a sorridergli.

«Benissimo, andiamo!»

Ma non avrebbe dovuto metterci tutto quell'entusiasmo.

Quando vide i suoi compagni fu incerto se ridere (come potevano sperare quei cosi malaticci di giocare a Quidditch? Dov'erano finiti i pettorali? S'erano sgonfiati, per caso?) o piangere (le speranze di Serpeverde erano appena colate a picco, se quella era la squadra).

Ma la prima impressione non avrebbe potuto essere più sbagliata. Entro cinque minuti dall'inizio della sessione si rese conto con orrore che gli altri sei appena saliti in sella diventavano delle autentiche belve, entro dieci sviluppò un odio feroce per il suono acuto di quello stupidissimo fischietto, entro quindici un desiderio irrefrenabile di scendere a terra e usare la scopa per uccidere a bastonate il capitano anziché per volare. Non somigliava per niente agli allenamenti che conosceva lui. Prima una serie di noiosissimi giri del campo, “per riscaldarsi”, diceva quello là; poi, una volta liberato il Boccino, un buon novanta per cento del suo tempo fu dedicato a cercare di non rompersi qualche osso a causa di un Bolide vagante scagliato con la potenza di un missile da un Battitore senza scrupoli che a giudicare dalla forza che ci metteva sembrava pensare che la palla gli avesse fatto un torto personale, mentre il suo vero obiettivo era scomparso. Andato. Sparito dalla circolazione.

«Ehi, ti è calata la vista? Sei un disastro oggi!»

Ma come si permetteva? Lui era bravissimo a Quidditch... solo non quando lo si giocava così. Era per caso colpa sua se erano diventati tutti dieci volte più feroci del normale?

E dov'erano le ragazze, poi? Era abituato ad allenarsi sotto una pioggia di commenti femminili decisamente favorevoli, mentre ora non solo la patetica imitazione di una divisa che era stato costretto a mettersi lasciava molto più spazio all'immaginazione di quanto ricordasse, ma gli spalti erano praticamente deserti, punteggiati qui e là solo da qualche maniaco dello sport che li fissava in modo inquietante, borbottando tra sé e sé valutazioni sulla loro forma fisica e strategia di gioco in vista delle future scommesse pre-partita con i suoi amici, commentando con aria saputa il suo equilibrio, i suoi riflessi e i suoi rapporti con la squadra invece di parlare in tono tutto concitato dei suoi addominali, degli ammiccamenti sexy che concedeva al pubblico quando gli capitava di passare lungo i limiti del campo e dell'effetto che faceva quand'era sudato.

Si voltò per rispondergli a tono, ma prima che potesse trovare le parole un lieve fischio minaccioso gli disse che non avrebbe dovuto. E poi...

Crack. Il dolore arrivò con un istante di ritardo, oscurando tutto il resto.

 

Bianco. La sua prima impressione fu un sacco di bianco. Si concesse un respiro profondo per riordinare le idee – ahia! Le costole! – e associò quel colore all'infermeria. Ah, giusto, si era fatto male durante quella tortura in piena regola che veniva spacciata per un allenamento.

«Draco! Dracuccio mio! Ohssignore, finalmente ti sei svegliato!»

«'Mione?» Piano, pianissimo, temendo altro dolore, voltò la testa verso il letto accanto al suo. Era proprio lei! Niente faccia deformata, niente comportamenti strani, niente di niente. E a ben guardare non c'era niente in lei a suggerire che stesse male: nessuna fasciatura, nessun bicchiere con gli sgradevoli resti di qualche pozione sul comodino... ma allora che ci faceva lì? Non poteva essere semplicemente venuta a fargli visita, altrimenti non sarebbe stata a sua volta a letto. Ma perché nessuno gli aveva fatto sapere che l'avevano mandata in infermeria? Se fosse riuscito a ottenere una giustificazione per andare a trovarla si sarebbero rivisti molto prima e lui si sarebbe anche preso una pausa da quell'inferno: un vantaggio dietro l'altro.

«Almeno tu te lo ricordi!»

«Cosa?»

«Il mio soprannome. Qui non lo usa nessuno».

«Allora l'hai notato anche tu che sono tutti strani? Pensa, Blaise non sapeva che stiamo insieme!»

«Oddio! Ancora peggio del previsto! Menomale che almeno tu sei sempre il solito...»

«Stavo per dire lo stesso di te... questo posto sembra tutto un altro mondo...» E le raccontò la sua orribile giornata con dovizia di dettagli, guadagnandosi la sua meritatissima dose di sospiri, sobbalzi ed esclamazioni.

«... e tu? Costretta pure tu a sgobbare?»

«No, sono stata qui tutto il tempo... mi ci hanno trascinata perché credono che stia male, ma sono sana come un pesce!»

«Ci volevano portare anche me. Avessi saputo che eri qui sarei stato zitto e li avrei lasciati fare... non sai quanto mi dispiace...»

«Non scusarti, amore, non potevi saperlo».

«Come ci sentiamo generosi oggi...»

«Ah, guarda, mi sento così generosa che... quel lettino ti sembra abbastanza grande per due?»

«Penseremo dopo a festeggiare il fatto di esserci ritrovati, 'Mione».

«Oddio! Non mi dire che sei diventato strano!»

«No, è che mi si stanno ancora rimettendo in sesto le costole» sorrise. In effetti rifiutare non era da lui, soprattutto considerando che a memoria sua l'infermeria era uno dei pochi angoli dell'edificio che non li aveva ancora visti impegnati in... diciamo effusioni... maggiori di un misero bacetto. «Vedila così: se rimandiamo adesso, l'attesa lo renderà più bello dopo».

«Quanto ti adoro quando hai ragione, Dracuccio...»

«Rimandare cosa, piccioncini? Non ci saranno strani trasferimenti finché ci sarò io a badare a voi. A ciascuno il suo letto, e riposatevi il più possibile». Madama Chips si eclissò borbottando qualcosa che somigliava tremendamente a: «Devo avvertire Minerva... questi due sono peggio di quel che credevo...»

 

Note dell'Autrice: scusate il ritardo nell'aggiornare. Mi posso giustificare solo con il mio odio feroce per i capitoli dispari. Questo è stato un po' più facilino da scrivere, a parte l'ultimo pezzo che mi faceva tremare le mani sulla tastiera, ma più difficile da pianificare. A proposito di piani, ho già progettato tutto il resto, anche se è una bozza.

Special thanks to: _lu che segue questa storia e Lyra Snape che l'ha messa tra le preferite.

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Capitolo 6
*** Redivivi e nuovi arrivi ***


 Il lieve tintinnio di una posata contro un calice fece voltare parecchie teste, comprese quelle dei nostri eroi, in direzione del tavolo degli insegnanti, che Hermione non aveva ancora degnato di uno sguardo, presumendo – o illudendosi? – che almeno quello fosse normale. Tre bocche di nostra conoscenza, due tra i Grifondoro e una tra i Serpeverde, si spalancarono e dimenticarono di richiudersi.

«Il professor Silente?» squittì Hermione nello stesso esatto istante in cui Ron sbottava: «Che ci fa lì Piton?»

«Non è possibile... okay, diamoci una calmata... questa è la Hogwarts che si immagina qualcun altro, ricordi?»

«E allora?»

«E allora questa persona li vorrebbe ancora vivi, almeno credo...»

«Già, ha senso. Cioè, a me sembrano... come dire... solidi».

«Che occhio... credo che ce ne accorgeremmo se fossero fantasmi!»

«Perché, tu dici sempre cose intelligenti quando sei sotto shock?»

«Oh, dai, adesso basta, stiamo disturbando».

«Come probabilmente già saprete», annunciò solennemente il Preside redivivo, «abbiamo oggi l'onore e il piacere di una nuova aggiunta al corpo studentesco!»

A un suo gesto, le massicce porte della Sala Grande si spalancarono e tutti si voltarono come un sol uomo a guardare la ragazza che stava facendo il suo ingresso.

E avevano dannatamente ragione a fissarla. La misteriosa nuova arrivata aveva all'incirca le forme di una Barbie a grandezza naturale, una cascata di capelli nerissimi lunghi fino alla vita e spruzzati di improbabili mèches viola, occhi di un verde incredibile e una quantità di piercing sul viso. La sua uniforme, su cui Hermione avrebbe già avuto moltissimo da ridire così com'era, era stata ulteriormente personalizzata con l'aggiunta di calze a rete, stivaletti dai tacchi impossibili che ticchettavano in modo irritante sul pavimento di pietra mentre ancheggiava senza alcun pudore verso il tavolo degli insegnanti e una pregevole collezione di spille recanti i loghi di vari gruppi musicali Babbani, che portava con l'orgoglio con cui un generale avrebbe indossato delle medaglie.

Hermione aggrottò le sopracciglia. «Un momento...»

«Che c'è? A parte il fatto che lei sia più assurda di tutti loro messi insieme, intendo».

«Ron... secondo te in che anno siamo?»

«Considerato che c'è di mezzo la guerra direi nel '99, o se no, se questa scrittrice misteriosa l'ha ignorata, nel '98... perché?»

«Le vedi quelle spille?»

«Sì... che hanno di strano? E non venirmi a dire che non dovrebbe avere il permesso di portarle, perché c'ero già arrivato».

«Be', quelle band non sono per niente il mio genere, ma ho idea che una buona metà non esistesse ancora nel '99!»

«Ma dai! Allora è un caso disperato...»

«E l'hai capito adesso?»

«No, un secolo fa, ma questa è la prova definitiva».

In quel mentre la ragazza passò proprio davanti a loro – poco importava che stesse percorrendo la Sala esattamente al centro e i nostri eroi ricordassero il tavolo di Grifondoro in posizione laterale: l'autrice aveva un'idea molto meno chiara della disposizione delle quattro Case – e fece mulinare le lunghe chiome in un gesto seducente.

«Non è possibile!» sbottò Hermione.

«Gelosa? Guarda che puoi rilassarti... è carina, ma non è il mio tipo».

Segretamente confortata ma neanche remotamente intenzionata ad ammetterlo, lei riportò il discorso su un problema dieci volte più preoccupante delle forme conturbanti della new entry: «No, Ron... quella ha una cicatrice!»

«E allora? Può capitare a tutti una brutta caduta da piccoli...»

«Non una cicatrice qualsiasi! È identica a quella di Harry, solo che ce l'ha sul collo, quindi se non avesse fatto quella cosa con i capelli non l'avrei vista».

«Che cosa? Ma non ha senso! Harry è l'unico, lo sanno anche i bambini!»

«La cosa mi puzza».

Intanto la ragazza misteriosa aveva terminato la sua piccola sfilata e si era voltata a scrutare i presenti, godendosi tutti gli sguardi che riceveva di rimando.

«Molto bene. Vorresti presentarti?» la incoraggiò Silente.

«Con vero piacere» trillò lei con un gran sorriso. «Sono Harriet Lily Emerald Calista Dupont ed entro direttamente all'ultimo anno. Finora non ho frequentato perché studiavo a casa con i miei genitori adottivi, ma ora uno dei loro incantesimi sperimentali è andato tremendamente storto e devo finire la mia istruzione qui. Spero di trovarmi bene con tutti voi».

«E lo dice così, senza fare una piega?»

«Shh, comincio ad avere qualche sospetto su di lei, credo di sapere perché è rimasta così tranquilla».

«Ah, sì?»

«I segnali ci sono tutti: ci troviamo di fronte a un bell'esemplare di Mary Sue».

«Un esemplare di che?»

«Lunga storia. Intanto pensa un po' a come si chiama. Andiamo, Harriet? Più ovvio di così...»

«E il suo secondo nome è Lily, mentre quello di Harry è James...» continuò Ron, che sembrava trovare quella caccia all'indizio piuttosto esaltante.

«Emerald per via degli occhi, sicuramente... quante volte si sarà sentito dire che ha gli occhi di sua madre?»

«E Calista che vuol dire?»

«Suonava bene» rispose Hermione con un'alzata di spalle. «E se non sto dicendo sciocchezze significa “la più bella” in greco, e una Mary Sue lo è sempre».

«Conclusione?»

«In questo mondo di pazzi i Dursley non sono gli unici parenti rimasti a Harry».

Le chiacchiere che si erano sollevate tacquero di nuovo: stava facendo il suo ingresso trionfale il Cappello Parlante, che probabilmente non era molto felice di essere tirato giù dal suo comodo scaffale prima del tempo, ma era pronto a fare il suo dovere. Harriet pareva conoscere già la procedura, perché ancora prima che le fosse indicato si sedette sullo sgabello come su un trono e attese, quasi in posa, che l'antico copricapo le venisse poggiato sulla testa.

«Ci sono delle regole anche sullo Smistamento di queste Mary-non-so-cosa?»

«Regole, regole... è una parola un po' grossa, ma io direi di escludere Tassorosso a priori, e probabilmente anche Corvonero».

«Ahi. Brutta notizia, vero?»

«Molto».

Attesero. E attesero ancora. E poi ancora un po'. Aspettarono fino a quando Harriet mandò in frantumi tutti i record per lo Smistamento più lungo della storia della scuola, e finalmente il ruggito: «Serpeverde!»

«Almeno non è toccata a noi...»

«... ma ora lui dovrà sorbirsela tutto da solo!»

«Hermione, frena un attimo. È compassione quella che ho sentito? Ti dispiace per Malfoy?»

«Dispiacerebbe anche a te se sapessi».

«Sapessi cosa?»

«Aspetta e vedrai».

Semicoperta dallo scroscio di applausi, la voce di Harriet – che aveva preso posto a colpo sicuro accanto a Draco – stava dicendo: «Oh, credevo di rimanere lì per sempre... naturalmente ci ha messo così tanto perché ha visto in me le qualità di tutte e quattro le Case, ma alla fine eccomi qui...»

«Come fa una sola persona ad essere coraggiosa come una Grifondoro, ambiziosa come una Serpeverde, leale come una Tassorosso e intelligente come una Corvonero? Tutte quelle virtù messe insieme la farebbero esplodere!»

«Non se questa persona è una Mary Sue, Ron. Vedi, hanno la sgradevole tendenza a essere assolutamente perfette».

«Ma è impossibile!»

«Non qui».

«Mi fido sulla parola. Chissà che faccia farà Harry...»

«A proposito, io non l'ho ancora visto, tu?»

«Solo ieri sera... boh, era strano anche lui, credo, ma non ci siamo parlati tanto, se Merlino ce la manda buona è un po' meno pazzo degli altri. La parte peggiore sono state le battutine...»

«Che battutine?»

«Da queste parti due maschi non possono essere amici senza che la gente sospetti subito che siano gay!» sbottò Ron in risposta, con le orecchie simili a un bel paio di semafori.

Quando tutti furono felicemente pieni di bacon e altre amenità, Hermione notò qualcosa di strano, o meglio, di così normale da essere straordinario: i Grifondoro e i Serpeverde del settimo anno, Harriet compresa, si stavano alzando in massa per dirigersi nella vaga direzione dei sotterranei.

«Non mi dire che per una volta c'è lezione!»

«Così pare... non so come fai a esserne contenta. C'è di nuovo Piton!»

«Credo di sapere perché la mente diabolica dietro la fanfiction si sia ricordata improvvisamente che questa è una scuola».

«E cioè?»

«Ricordi quando ti ho detto che le Mary Sue sono perfette? Voleva darle un'occasione di far vedere quant'è brava anche in questo».

«Hai intenzione di prenderla sul personale?»

«Io? Neanche morta! Se fosse normale forse sì, lo ammetto, ma competere contro la perfezione assoluta? Fatica sprecata...»

«Secondo te dobbiamo avvertire Malfoy che quella nuova è pericolosa?»

«Appena riusciamo a parlargli».

 

«Ehi! Draco!» Doveva ammetterlo, chiamarlo per nome suonava strano anche a lei.

«Che c'è?»

«Quella nuova... sta per arrivare il professore, non ho tempo di spiegarti, ma tu sta' attento, va bene?»

«Attento a che? Io la trovo bellissima...»

«Oh, no!» gemette Hermione. «Un altro tassello che va a posto... credo di aver appena capito che ci fa qui la Mary Sue».

«E cioè?»

«Di solito tutti i maschi s'innamorano perdutamente di lei, Ron. Avevo trovato un po' insolito che non ti facesse né caldo né freddo, ma adesso so il perché».

«Non tenermi sulle spine!»

«Lei è stata creata per lui, capisci? In questo mondo era il mio ragazzo, ma quando siamo arrivati abbiamo sconvolto tutto: noi due stiamo insieme e Malfoy è rimasto solo, quindi la storia ha prodotto quell'abominio per trovargli una compagna a tutti i costi e rimettersi in carreggiata. Ci saranno un sacco di altre persone che la adorano, ma scommetto quello che vuoi che nelle intenzioni dell'autrice dovrebbe finire con lui».

«E adesso?»

«Lo salviamo, ovviamente. O preferisci che resti un patetico idiota per sempre?»

«Lui è già un patetico idiota. “Mio padre lo verrà a sapere!”» L'ultima parte era stata un falsetto che le strappò un sorriso suo malgrado.

«Be', allora vuoi che diventi peggio? E prega che non ti abbia sentito...»

«Pregheresti invano, Weasley, non sono sordo. E cos'è questa storia che Harriet è pericolosa? Voi non capite niente dell'amore a prima vista!»

«Okay, lo salviamo» concesse Ron. Di fronte a uno spettacolo del genere non aveva alternative. “Amore a prima vista”? Sul serio?

«Il problema è come...»

Ma dovettero rimandare la risoluzione di quel mistero a dopo, perché in quel preciso istante, in un gran agitarsi di mantello nero, fece il suo ingresso trionfale il redivivo professor Piton. E la resurrezione doveva avergli fatto bene: era riconoscibile, ma aveva anche lui quel certo non so che che lo marchiava a fuoco come appartenente a quel mondo dove non essere bellissimi era illegale.

«Ecco cos'ha di strano...» sussurrò Hermione dopo un istante di osservazione.

«Illuminami, lo vedo diverso anch'io ma non capisco in cosa».

«Ha scoperto le gioie di qualche prodotto per capelli come si deve. E io sono tutto tranne una maniaca dei capelli, quindi se ci faccio caso dev'essere proprio un bel cambiamento...»

«Sai che hai ragione? Alla faccia dello spirito d'osservazione, Robards mi taglierebbe la testa se sapesse che sono così poco attento ai particolari...»

«Non buttarti giù, sarà lo shock di rivederlo. Sei ancora il mio Auror preferito».

La lezione procedette in modo sorprendentemente ordinario, tranne per il fatto che i due calderoni che Piton controllava più spesso erano quello di Harriet – per sperticarsi in lodi davvero esagerate che di ordinario avevano poco: sarà anche stata una Serpeverde, quindi automaticamente favorita, ma nemmeno lui, che aveva sempre un commento sarcastico sulla punta della lingua ma quanto a elogi aperti era decisamente avaro, era mai arrivato a tanto nella sua ovvia parzialità che non si dava nemmeno la pena di nascondere – e quello di Hermione.

La prima volta fu solo per confrontare il perfetto blu fiordaliso della pozione di Harriet con quello della sua: abbastanza da farle conficcare nervosamente le unghie nel palmo della mano finché se ne fu andato, ma niente di allarmante.

Poi la situazione cominciò a precipitare.

«Attenta, queste radici andrebbero tagliate un po' più fini...» Okay, primo: indicare esattamente dove gli studenti stavano sbagliando non era nel suo stile, lui tendeva di più a lasciare che facessero un disastro prima e metterli in ridicolo poi. E secondo, le sue fettine erano già sottilissime. Fu chiaro solo un istante troppo tardi che era stato un pretesto per piazzarsi strategicamente dietro di lei, con ben poco rispetto per il suo spazio personale, e guidarle la mano con la propria osservando il tavolo da lavoro da sopra la sua spalla. Oh, Dio, che imbarazzo.

«Ma... ma...» protestò debolmente.

«Niente ma, signorina Granger. Se discuti dovrai scontare una punizione... io e te da soli, sai...»

C'era da sperare che in quel mondo non facessero pagare alle famiglie degli studenti eventuali danni alle strutture scolastiche, perché i colpi che un Ron ormai sul punto di vomitare stava dando a quelle povere, innocenti radici raggiungevano anche il banco nella loro violenza, lasciandovi lunghe scalfitture.

«Sto per sentirmi male» commentò la poverina quando il professore fu fuori portata d'orecchio.

«Mi associo».

«E ho anche avuto un'idea su come salvare Draco dalla Mary Sue, ma non ti piacerà».

«Tu dimmela lo stesso».

«Si chiama Pozione d'Odio, è il contrario di un filtro d'amore. Dovrebbe far vedere a chi la beve tutti i peggiori difetti di un'altra persona. Ottima per farsi passare un'infatuazione come quella».

«Fantastico. E non dovrebbe piacermi perché... ?»

«Perché è complicata. Non credo che si trovi tutto nelle scorte degli studenti, ma se vado a dire a quel professor Piton che “oh, sa, è per scopi puramente accademici” sta' sicuro che riesco a entrare nel suo ufficio. Ho pensato di avvertirti, sai... prima di...»

«... buttarti di proposito tra le braccia di quel viscido, schifoso pipistrello troppo cresciuto che non sa tenere le mani a posto? Hai fatto bene».

«Allora, approvato?»

«Ho scelta?»

«Non proprio».

 

Note dell'Autrice: oddio, quanto mi diverto a scrivere i capitoli pari! Soprattutto se ci sono di mezzo delle Mary Sue, che sono il mio fenomeno preferito da prendere in giro. E anche l'occhiolino alle Severus/Hermione e a Harry e Ron più-che-amici è fatto, che sollievo.

Grazie un milione a: Edvige Black, kiky 92 e Vattelapesca che seguono questa storia;

ferao che l'ha inserita tra le preferite.

PS: la Pozione d'Odio più o meno esiste, non so se è mai nominata nella saga vera e propria ma è pubblicizzata in uno dei quattro numeri della Gazzetta del Profeta mandati dalla Bloomsbury come newsletter ai membri del fan club ufficiale inglese. Non li ho letti, sigh, ma ci sono spizzichi e bocconi sul Lexicon e l'ho presa da lì.

PPS: se qualcuno non se lo ricorda, Gawain Robards dovrebbe essere il capo di Harry e Ron al Quartier Generale degli Auror, successore di Kingsley da quando quest'ultimo è diventato Ministro.

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Capitolo 7
*** La dura realtà ***


 Riposarono ben poco quella notte, ma non per il motivo che avrebbero voluto. Erano troppo occupati a pianificare quando l'avvoltoio era fuori portata d'orecchio e fingere di dormire quando passava a controllarli.

«Quindi adesso che si fa? Li facciamo tornare normali? Perché io non so se riesco a sopportare un'altra giornata così senza impazzire».

«E che possiamo fare se ci tengono bloccati qui?» obiettò 'Mione. «Qualcosa c'inventeremo, ma mi sa che nel frattempo dovremo stringere i denti e far finta di essere come loro, altrimenti non ci fanno neanche uscire».

«Forse non hai capito a cosa vai incontro. Quelli non stanno fermi un secondo! Sempre a spaccarsi la testa e mai un attimo di sacrosanto divertimento».

«E credi che io scoppi dalla voglia di fingere di essere una sgobbona del genere? Non abbiamo scelta!»

«Forse hai ragione. Siamo in minoranza. Solo io e te in questo mondo di pazzi... è quasi romantico, no?»

«Odio rovinarti il momento, Dracuccio, ma può darsi che anche Ron sia rimasto lo stesso di sempre. Io non l'ho visto, ma a sentire Gin potrebbe essere normale pure lui».

«Il suo stomaco non si smentisce mai, eh?» sospirò Draco. Ciao ciao alla scena madre. «Devo proprio lavorare con lui?»

«Tre è sempre meglio di due. Siamo ancora pochi, ma forse così riusciremo a far capire a un po' di gente in più che nella vita c'è ben altro che libroni mordicchiati dai topi e succhi tossici che ti schizzano dove non dovrebbero».

«E come hai intenzione di farglielo entrare in testa?»

«Ecco... a questo non ho ancora pensato. So solo che dovremo... ehm... muoverci sotto copertura! Come agenti segreti!»

«Forte! Quasi quasi mi piace. Avevamo già giocato al dottore, alla maestrina sexy...» elencò contando sulle dita, «ma alle spie internazionali mai!»

«Il mio James Bond preferito» ridacchiò 'Mione. «Pronto alla missione?»

«Puoi scommetterci». Non le venne neppure in mente di chiedergli come facesse a conoscere James Bond: il suo Dracuccio certe cose le sapeva e basta.

Sembrava davvero un ottimo piano. Ma come tutti gli ottimi piani, si rivelò un tantino più difficile da mettere in pratica di quanto lo fosse sembrato in fase di progettazione.

'Mione aveva sempre dato per scontato di essere la prima della classe. Non ci voleva tanto: lo era, fine della storia. Be', forse ciò era anche dovuto – giusto un pochino – al fatto di avere, come dire?, un certo ascendente sul professor Piton.

Ma non aveva fatto i conti con la palla di lardo che l'aveva sostituito in questo strano mondo.

«Signorina Granger, ti consiglierei di limitare certe... allusioni... a un luogo un po' più privato, se non vuoi una punizione».

«P-punizione?»

«Non mi piace ricorrere a metodi drastici, soprattutto se si tratta di una strega di talento come te, ma sì, rischi una punizione. Per non dire poi che dovresti rivolgere quel genere di attenzioni a qualcuno della tua stessa età, perché con me non ti porteranno lontano». Lumacorno sembrava categorico su quel punto. «A un po' di idromele barricato non direi di no...», continuò con aria sognante, per poi riprendersi: «ma se sarai sorpresa un'altra volta a cercare di guadagnarti i favori di un insegnante con atteggiamenti provocanti, ci saranno conseguenze».

Mmm... e così gli piacevano i superalcolici, eh? Buona a sapersi. Non corrispondeva per niente agli standard fisici dei soliti invitati, ma chissà, forse avrebbe addirittura potuto approvare una di quelle feste di cui sentiva già la mancanza.

Scene del genere parvero volersi ripetere all'infinito anche con gli altri professori: 'Mione era famosa per il rendimento scolastico alle stelle – altrimenti non sarebbe diventata Caposcuola, giusto? –, anche se non ricordava l'ultima volta in cui aveva fatto qualcosa per guadagnarselo, ma mantenerlo sembrava essere diventato improvvisamente molto più impegnativo.

«No, signorina Granger, le Cinque Principali Eccezioni alla Legge di Gamp sulla Trasfigurazione degli Elementi non sono cinque incantesimi particolarmente impressionanti che trasformeranno qualsiasi tugurio nel perfetto locale dove tenere un festino. In punizione!»

«No, signorina Granger, la Terza Legge di Golpalott non ha niente a che vedere con fantomatiche pozioni afrodisiache. In punizione!»

Perfino quella lagna infinita del professor Rüf, quello che non si poteva stare ad ascoltare per più di un minuto di fila e che 'Mione avrebbe consigliato a chiunque come rimedio contro l'insonnia, ebbe da ridire: «No, signorina Grant», non ricordava nemmeno il suo nome! «La Rivolta dei Folletti del 1901 non fu scatenata da una sordida storia di sesso che coinvolse il capo ribelle Ranulph il Rancido. In punizione!»

Lucidò così tanti trofei da non sentirsi più le braccia, senza peraltro riuscire a vedere alcuna utilità in quella crudele tortura: se l'avessero interrogata sulla storia della Coppa del Quidditch dalla fondazione della scuola all'anno precedente avrebbe preso Eccezionale, ma se le avessero rifatto la stessa domanda sulle eccezioni a quella stupida Legge di Non-so-chi non sarebbe migliorata neanche un po'. Ripulì così tanti barili di robaccia viscida non meglio identificata da guadagnarsi l'odio del suo stesso stomaco, che cedette miseramente nel bel mezzo del pavimento dell'aula di Pozioni (incidente a cui dovette ovviamente rimediare lei stessa). Scrisse così tante volte la frase “La Storia della Magia non è un giornaletto scandalistico” da avere quasi il riflesso condizionato di continuare a oltranza anche a castigo terminato, senza che la cosa le suscitasse alcun rinnovato interesse per quella pizza mostruosa che erano le rivolte dei folletti.

In brevissimo tempo, da pupilla dell'intero corpo insegnante che era, divenne il flagello della scuola, una faccia tristemente nota che faceva mettere le mani nei capelli per la disperazione anche al più composto dei professori se solo la vedeva arrivare in lontananza. E menomale che avrebbe dovuto far finta di essere quello che tutti lì dentro credevano fosse “normale”...

Non che Draco se la passasse meglio: pezzo dopo pezzo, la sua popolarità si stava sgretolando. Blaise e Theo continuavano a fare gli offesi per qualche motivo che non aveva ancora capito, passando con lui meno tempo che potevano e chiamandolo “insopportabile sanguisuga bionda” quando credevano che non sentisse, convinti chissà come che fosse diventato improvvisamente invadente quando non era cambiato di una virgola. In compenso, però, c'erano quei due energumeni, Lion... no, Tiger... e Goyle, che sembravano avere come unico scopo nella vita quello di seguirlo a un passo di distanza annuendo a tutto quello che diceva, che l'avessero capito o no, ridendo sguaiatamente di situazioni che non erano affatto divertenti e – sì, forse quello poteva essere un vantaggio – minacciando con inquietanti scricchiolii di nocche chiunque osasse mettergli i bastoni fra le ruote. Ma la sua immagine, per Salazar, quella sì che ne soffriva! In confronto a loro probabilmente attirava ancora di più l'attenzione – oh, quanto avrebbe desiderato uno specchio per controllare che effetto faceva – ma detestava frequentare (o essere frequentato da) tipi del genere. Dato che si erano tutti imbruttiti in quel modo non doveva più temere la concorrenza, certo, ma da che mondo era mondo avere gli amici giusti era una parte importante dell'essere il Principe delle Serpi. Doveva farsi vedere in giro solo e soltanto con la crème de la crème della Casa di Serpeverde e guardare tutto il resto del mondo con quei sorrisini di sufficienza da bello e dannato che facevano svenire l'intera popolazione femminile della scuola. Era la sua filosofia di vita.

E poi... la tragedia. La fine di tutto. Il dramma. Il disonore. L'onta. La macchia indelebile che mai, mai si sarebbe cancellata dalla sua brillante carriera di Principe. Ma torniamo un attimo indietro e cerchiamo di capire cosa lo rendesse così disperato.

Ormai si era tristemente rassegnato al fatto che gli allenamenti di Quidditch volessero dire sudore vero, di quello che non aveva mai conosciuto, e non quell'insignificante perdita di liquidi corporei che bastava giusto ad appiccicargli i vestiti al corpo in modo estremamente sexy, ma senza che ciò si accompagnasse a dolori atroci dettati dalla fatica in posti che nemmeno sapeva che potessero far male.

Aveva un solo conforto: aver comunicato a 'Mione gli orari delle sessioni in modo che potesse essere lì almeno lei, in mancanza degli infiniti cortei di fan. Aveva preso l'abitudine di portarsi dietro anche Weasley – doveva essere geloso, forse? Nah... lo faceva solo perché sì, effettivamente era sano di mente anche lui, se per “sano di mente” s'intendeva “incapace di presenziare a un allenamento senza una discreta scorta di generi alimentari da sgranocchiare durante lo spettacolo” –, che nel frattempo era stato informato del loro embrione di piano per riportare quella gabbia di matti agli antichi splendori.

E infatti eccoli lì, troppo vicini per i suoi gusti (ma era solo per tenersi a distanza di sicurezza da quei fanatici che blateravano dati tecnici sul suo fido destriero tratti dall'ultimo numero di Quale Manico di Scopa), lei che si sgolava per fargli il tifo e lui che, se anche avesse avuto la remotissima intenzione di unirsi, era troppo occupato a masticare per farlo. Era già qualcosa.

Il capitano non era molto felice che due Grifondoro si presentassero regolarmente agli allenamenti di Serpeverde: temeva che fossero spie. Per Salazar, che paranoia! Alla fine l'aveva convinto che non c'era niente di male se la sua ragazza e un suo – amico? Compagno di Casa? Chi era esattamente? –, be', un suo qualcosa stavano a guardare. I dubbi c'erano stati, naturalmente, ma l'aveva spuntata.

«Quella, la tua ragazza? Che ha fatto per conquistarti, ti ha raccontato che viene dalla famiglia di maghi più antica d'Inghilterra? Perché ehi, notizie dell'ultim'ora: ti ha mentito».

«Ma come ti permetti?» Crack, crack: gorilla pronti all'azione. «Io so tutto del passato della mia 'Mione, e non è stato facile, ma ho deciso che non m'importa! L'amore è più forte del sangue!»

«Questa è proprio bella, Malfoy. Non pensavo che avrei mai desiderato un aggeggio Babbano in vita mia, ma in questo momento vorrei avere uno di quei registracosi per poterti far riascoltare quello che hai appena detto...»

Oppure:

«Che ne sai tu se sono o non sono luride spie?»

«Non lo sono e basta! Mi fido di 'Mione!»

O ancora:

«Senti, non m'importa come o perché quell'indemoniata è qui, ma falla star zitta, distrae la squadra!»

«Ma... ma... sta solo facendo il tifo! Credevo che facesse bene al morale!»

«Non se strilla come una Banshee!»

Ma dopo tante fatiche l'aveva avuta vinta:

«O loro restano qui o io faccio sciopero e alla prossima partita ti ritrovi con un Cercatore che non tocca una scopa da settimane».

E così ce l'aveva fatta. Finse, sperando di essere convincente, di aver avvistato il Boccino più o meno dove si trovava 'Mione e le fece l'occhiolino passando. Poi tornò indietro e le soffiò un bacio. Una terza volta addirittura inchiodò davanti a lei e si mise in una di quelle pose plastiche che le piacevano tanto, guadagnandosi tutto il suo entusiasmo... e uno dei Cacciatori, che era troppo impegnato a tenere gli occhi sulla Pluffa per far caso a lui, gli rovinò addosso. Caddero entrambi in un groviglio urlante di corpi maschili sudati che se si fosse trovato nel mondo che conosceva sarebbe rimasto negli annali per sempre, gettando ulteriore benzina sul fuoco del gossip, ma un provvidenziale incantesimo proveniente non si sapeva bene da chi o da dove attutì l'impatto. Fu più lo spavento che il danno... o no?

Fiiiiii! Porco Salazar, quel dannatissimo fischietto gli avrebbe causato danni permanenti ai timpani, ne era praticamente certo.

«Ne ho avuto abbastanza, Malfoy!»

«Di cosa?» biascicò lui tentando di districarsi, la voce semisoffocata dal dolce peso del compagno.

«Come sarebbe a dire, di cosa? Di te, delle tue lamentele continue, dei tuoi amichetti e dei tuoi atteggiamenti da galletto! Vuoi fare sciopero? Benissimo! Sei fuori da questa squadra! Fuori!»

Udì vagamente 'Mione trattenere il fiato. «Come, fuori?»

«Esattamente quello che ho detto. Troverò un sostituto che non si porti dietro la scorta, che non piagnucoli come un lattante alla minima difficoltà e che soprattutto sappia giocare! Prendi la tua scopa e vattene! All'istante!»

Fuori dalla squadra. A Draco fu necessario qualche lungo, doloroso istante per scendere a patti con la realtà. Il Principe delle Serpi era fuori dalla squadra. Il suo lasciapassare per il mondo scintillante della popolarità... scomparso. Il ruolo di Cercatore era quello che piaceva di più alle ragazze, lo sapevano anche i mocciosetti del primo anno. E ora... ora ci sarebbe stata un'altra star al suo posto. Era semplicemente impossibile, inaccettabile, inconcepibile!

Be', a questo punto poteva solo sperare – e visti gli standard era ragionevolmente sicuro di poter avere almeno quella piccola consolazione – che il nuovo idolo del Quidditch fosse meno bello di lui, altrimenti sarebbe definitivamente caduto nel dimenticatoio.

«Non ti sarai di nuovo fatto male, vero, Dracuccio?»

«No, no, non preoccuparti. L'unica cosa ferita, qui, è il mio orgoglio».

«Oh, lo so, sono stati tanto cattivi con te... è proprio ingiusto!»

«Quanto ti amo quando siamo d'accordo...»

«Sei ancora il mio Cercatore preferito, lo sai, sì?»

«Certo che lo so, 'Mione, ma è sempre bello sentirselo dire un'altra volta».

E sussurrandosi altre simili romanticherie che risparmiamo ai nostri gentili lettori per evitare che accusino sintomi simili a quelli che potrebbero seguire all'ascolto della versione integrale delle Fiabe del Funghetto di Beatrix Bloxam, se ne andarono sdegnosi dal campo di Quidditch, ben decisi a non invitare, il benedetto giorno in cui fossero riusciti a dare una festa, né il capitano né il sostituto.

Quella sera Draco non si presentò nei sotterranei, né 'Mione alla Torre. Non che ne valesse la pena, d'altronde, ora che erano state negate loro le stanze private. E siccome la Stanza delle Necessità in quel mondo era sicuramente abituata a sottostare ad altre necessità ma pur sempre solo una Stanza era, e per questo incapace di protestare, si crearono un piccolo angolo più simile alla Hugwrts che conoscevano e si dedicarono allegramente a un genere di attività che la sopracitata autrice avrebbe giudicato troppo scandalosa per le sensibili orecchie dei bambini.

«Oh, Dracuccio, è stato meraviglioso!»

«Se ne sentiva proprio la mancanza, eh?»

«E c'è anche un'altra cosa che mi manca parecchio».

«E cioè?»

«Le nostre feste».

«Vuoi dare una festa? Qui? Ma è un suicidio!»

«E noi ci proveremo lo stesso».

«Sei uno schianto quando tiri fuori quel coraggio da Grifondoro».

Lei per tutta risposta ruggì, lasciandosi placare solo dal suo: «Shh, gattina, sta' buona...»

E ripresero esattamente da dove si erano interrotti.

 

Note dell'Autrice: grazie mille a potterina_writes che segue questa storia e a Carrot_98 che l'ha messa tra le preferite.

Mi è stato gentilmente fatto notare che nella vera Hogwarts sono presenti sia Tiger sia Goyle, quando il primo dovrebbe essere morto. Chiariamo questo mistero: la pura verità è che non riuscivo a non concepirli in coppia, quindi mi sono creata una giustificazione su misura per potermeli tenere stretti entrambi e così rendere giustizia alla misteriosa scomparsa di tutti e due, e non di uno solo, dalle fyccy. E cioè: vi immaginate cosa sarebbe successo se avessi spedito quegli scemi nel vero passato dei nostri eroi? Avrei cambiato la loro storia! Quindi l'universo in cui sono stati catapultati quando i veri personaggi hanno preso il loro posto è uno dei tanti possibili, ma non proprio lo stesso in cui questi ultimi vivono. Conclusione: Ron, Hermione e Draco si trovano in una fyccy della peggior specie, ma anche 'Mione, Dracuccio e Ron-pozzo-senza-fondo sono, a tutti gli effetti, in una “What if... ?”. Più precisamente, “What if Crabbe hadn't died?”. Prendetelo come il mio modo per dimostrare che le “What if... ?”, se meritano, non sono un peccato mortale. Ignorare una morte o alterare una regola, se la trama si regge in piedi e la scrittura è corretta, fa parte del fenomeno fanfiction e anche gli amanti del canon più duri & puri come me possono o passarci sopra o, semplicissimamente, decidere di non leggere, pur rispettando l'autore. Ignorare tante morti e cambiare tutte le regole, specie se ciò si accompagna a personaggi piatti e grammatica morta e sepolta, è un'altra storia.

Visto che ci siamo, mi rendo conto anche che ho fatto comportare la McGranitt più come una normale insegnante che come Preside, ma questo non dipende da “What if... ?” o non “What if... ?”: è una questione di stile. Ciascuno ha il proprio. Chi ha detto che il/la Preside si barrichi nel suo ufficio e nessuno lo/la veda mai? Nah, sarà che l'adoro, ma io credo che alla nostra Minerva il contatto diretto con i ragazzi mancherebbe troppo, dopo tutti quegli anni di onorata carriera.

PS: chiunque sappia dirmi perché Crabbe in italiano è diventato Tiger avrà una statua a grandezza naturale (virtuale). È uno di quei cambiamenti che io proprio non mi spiego.

PPS: la Rivolta dei Folletti del 1901 e Ranulph il Rancido sono di mia invenzione.

PPPS: per chi non ha letto Le Fiabe di Beda il Bardo, Beatrix Bloxam è una “scrittrice” che le ha riadattate perché le giudicava inadatte al pubblico infantile, creando così una raccolta di fiabe così melense da provocare il vomito.

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Capitolo 8
*** Salvate il soldato Draco ***


 Se c'era un vantaggio nella misteriosa assenza di lezioni in quella strana versione di Hogwarts era che i nostri eroi avevano un sacco di tempo libero. In men che non si dica, Hermione copiò la lista degli ingredienti della Pozione d'Odio e prese l'abitudine di portarla sempre con sé. Se anche l'avessero scoperta, non era stata tanto stupida da scriverne il nome in cima al foglio e dubitava che qualcuno, a parte forse il professore, avesse tanta esperienza con le pozioni da riconoscere a prima vista quelle indicazioni per quello che erano senza che dei bei caratteri cubitali indicassero di cosa si trattasse. Alcuni non erano difficili da reperire – bardana, levistico, elleboro... le bastò cercarli nell'armadio delle scorte lì, davanti a quel gruppetto così esiguo che non aveva il coraggio di chiamarlo “classe”, fingendo di aver bisogno di tutt'altro, e la conseguenza più drammatica fu qualche lamentela da chi aspettava il proprio turno dietro di lei – ma altri la facevano sudare freddo al solo pensiero. Aculei di Knarl: se ci fosse stata la benché minima traccia di Hagrid, svanito nel nulla anche lui (e sì che ci voleva uno sforzo notevole per liberarsi di cotanta mole), avrebbe potuto ottenerli da lui, dato che un tempo ne aveva tenuto qualcuno per le sue lezioni, ma naturalmente era chiedere troppo. Lo stesso problema si presentava per le uova di Ashwinder: pur di non ritrovarsi sola con quell'essere con qualche tentacolo di troppo che aveva sostituito il professor Piton avrebbe fatto il giro di tutti i caminetti del castello nella speranza che una di quelle creaturine, attratta dal fuoco, si fosse insediata da qualche parte, ma le leggi della probabilità erano decisamente contro di lei.

«E a cosa devo il piacere di questa visita, signorina Granger?»

Era ora di inserire la modalità attrice. Sempre che ne avesse una. «Mmm, be', sa che ho sempre accordato alla sua materia una preferenza... come dire, speciale...»

«E?» la incitò, avvicinandosi pericolosamente. Hermione fece un passo indietro, ma quello recuperò terreno. Un altro. Un altro ancora. Andò a sbattere, piano, contro lo scaffale dietro di lei, facendo tintinnare minacciosamente i contenitori di cui era carico. Spalle al muro, accidenti.

«E... mi stavo chiedendo se lei potesse farmi un piccolo, piccolo favore altrettanto speciale, ecco».

«Sarebbe a dire?»

«Sto lavorando a qualche piccolo... mmm, progetto nei ritagli di tempo, e mi domandavo se per caso ci fossero degli aculei di Knarl in più nelle sue scorte, professore. E delle uova di Ashwinder, ora che ci penso». Conoscendolo, sostenere il suo sguardo sarebbe stato un errore fatale, ma la questione nemmeno si pose: quello di lui scivolò inesorabilmente parecchio più in basso del suo viso, passando in rassegna tutto quello che la cosiddetta uniforme metteva più in mostra.

«Per i primi non c'è alcun problema... sarà il nostro piccolo segreto... ma», e in barba all'audacia, al fegato e alla cavalleria quel “ma” le mise i brividi, «temo di doverti fare qualche domanda in più prima di dire di sì anche alla seconda richiesta».

«E... e cioè?»

«Risolvimi questo mistero: perché proprio tu dovresti averne bisogno?»

Okay, calma. Non aveva chiesto esattamente “A che ti servono?”, quindi forse quella che voleva non era una confessione... un momento. Uova di Ashwinder... credeva che volesse preparare una pozione d'amore!

«Non si è mai troppo sicuri, professore». Meglio tenersi sul vago.

«Credimi, te la caveresti egregiamente anche senza certi aiutini, ma se il tuo è solo un interesse accademico, non vedo perché no. E per quanto mi sia sgradevole domandartelo, chi è il fortunato?»

«Come ha detto lei, è un interesse puramente accademico. Non dev'esserci per forza un fortunato».

«Fingerò di crederti...» La squadrò ancora una volta in un modo che le fece venire l'inspiegabile (ma non troppo) voglia di essere inghiottita lì sul posto dal pavimento di pietra e scomparire, per poi cercare per qualche tesissimo minuto i due ingredienti che le mancavano. «Ecco qui. E ricorda di farmi un'altra visitina privata quanto prima, perché vorrò qualcosa in cambio...»

«Allora... arrivederci, professore». Fu per un vero miracolo se si ricordò che strappargli il bottino di mano e correre via sarebbe stato sospetto. Quando fu fuori portata d'orecchio, sussurrò: «Sì, arrivederci a mai più... spero di essere fuori da questa gabbia di matti prima di doverla rivedere, professore...»

«Allora? Ce l'hai fatta?» Ron l'aveva aspettata poco lontano, teso come una corda di violino e probabilmente pronto a fare irruzione in pieno stile Auror se Mister Viscido si fosse spinto troppo oltre.

Hermione esibì i piccoli contenitori come se avesse appena vinto una coppa. «E ora, se non ti dispiace, faccio una corsa al bagno delle ragazze a vomitare. È stato orribile».

«Se penso che l'hai fatto per Malfoy...»

«Non solo».

«Eh?»

«No, dico, ma sei cieco? Non hai visto gli altri ragazzi?»

In effetti, sebbene Harriet fosse stata progettata appositamente per Draco, aveva più o meno inavvertitamente fatto la più gran strage di cuori che si fosse mai vista: era seguita ovunque andasse da un codazzo di ammiratori che tentavano di attaccare discorso e, una volta fallito miseramente, o inventavano problemi inesistenti con i pochissimi compiti che si facevano da quelle parti affinché lei, risolvendoli, si degnasse di rivolgere loro la parola, o si rassegnavano ad aspettare con aria adorante che facesse almeno quel gesto così sexy con i chilometrici capelli.

«Sì, be', ora che mi ci fai pensare ultimamente mi sembrano ancora più idioti... non avrai mica intenzione di distribuire quella pozione a tutti?»

«Sarebbe l'ideale, ma non ho ancora ben chiaro come. Dai, andiamo alla Torre. Ho lasciato il resto nella mia stanza... unico vantaggio di averne una tutta mia...»

Hermione nascose il malloppo in borsa e, memore del suo secondo anno, stava già puntando a colpo sicuro verso il bagno di Mirtilla per avere un po' di privacy durante la delicata procedura di preparazione, ma fu fermata da un piccolo tornado urlante con i capelli rossi.

«Oddio, 'Mione, hai saputo?»

«Cosa?»

«Festa in arrivo! Stasera! Lo so che è all'ultimo momento, ma dai, devi venirci assolutamente, ci sarà tanta di quella gente che non so come farà la Stanza delle Necessità a contenere tutti...»

«Ehm...» Se era il genere di festa che temeva che fosse, non aveva la minima voglia di presentarsi, ma all'idea di avere gran parte della scuola riunita in un solo posto un embrione di piano le si era già formato nella mente. «E ci sarà abbastanza da bere per tutti?»

«Ma sicuro! Si chiama Stanza delle Necessità per un motivo, no? Eddai, devi esserci a qualsiasi costo! Sei o non sei la Regina dei Grifoni? Che figura ci fai se non vieni?»

A Hermione vennero in mente due possibili risposte, una delle quali sarebbe stata l'espressione di tutta la sua perplessità su quell'assurdo titolo, l'altra una lunga tirata su come e perché fosse fisicamente impossibile che la Stanza producesse superalcolici da sé, ma entrambe sarebbero state alquanto inopportune, quindi si morse la lingua e si limitò a un semplice: «Okay».

«Grande! Sai già cosa metterti?»

«Mmm... facciamo che poi ci penso, eh? Ora ho da fare».

«Ma cos'avrai mai da fare di più importante che decidere cosa indossare per la festa?»

«Ehm... lunga storia» temporeggiò Hermione. «Diciamo che è una sorpresa per stasera, okay? Quindi non fare domande, altrimenti te la rovini».

«Se lo dici tu...» si rassegnò lei. «Allora vai pure, ma quando torni ci pensiamo. In due».

Imponendosi di non lasciare che lo sconforto all'idea di subire i “consigli” della rossa in fatto di moda la deconcentrasse, Hermione portò tutto l'occorrente in un cubicolo, grata, per una volta, che quella versione di Hogwarts fosse così poco popolata. Di Mirtilla non c'era traccia, il che la gettò per un istante nel panico. E se qui non esisteva affatto? Senza di lei, il bagno era perfettamente utilizzabile e quindi pessimo come luogo appartato dove portare a termine grandi piani.

Ma per sua gran fortuna, le bellissime ragazze di quel mondo evidentemente non avevano bisogni fisiologici, dato che nessuno la disturbò e il problema più grande che ebbe durante il suo gran sminuzzare e bollire fu che, non avendo più il corpo di una dodicenne, aveva meno spazio per muoversi di quanto ricordasse lì dentro. Uscì trionfante con una quantità di liquido ampiamente sufficiente a riportare sulla retta via sia Draco sia parecchie altre persone: al contrario di altre, che se mescolate a bevande comuni perdevano il loro effetto, la Pozione d'Odio non reagiva male con l'alcol, quindi se l'avesse versata di nascosto in più drink che poteva le frotte di seguaci sbavanti di Harriet si sarebbero sfoltite di parecchio.

Nascosta la Pozione in borsa (non prima di aggiungere un Incantesimo Imbottito al suo interno affinché il contenitore non si rompesse), tornò alla Torre di Grifondoro, incontro al suo destino. Aveva almeno una grossa perplessità da esprimere riguardo all'idea di Ginny.

«E quindi cos'hai intenzione di fare? Andare a Hogsmeade di nascosto e provare da Stratchy & Sons? Perché non credo proprio di avere niente di particolarmente... mmm, festaiolo».

«Oddio, ma sei ancora strana? Cioè, capisco il panico, sembra sempre anche a me di non avere niente di decente da mettermi, ma ti sei scordata pure il tuo guardaroba?»

Detto questo, la trascinò senza troppe cerimonie nella sua stanza e spalancò trionfalmente l'armadio. In effetti – Hermione non lo ricordava, ma che in quel pazzo mondo governato da una mente a cui della coerenza importava poco comparisse senza ragione apparente ciò di cui c'era bisogno non la stupì più di tanto – sembrava una boutique in miniatura. A un primo, orripilato sguardo intravide una collezione variopinta come la coda di un pavone di innominabili cose semitrasparenti, tessuti luccicanti che l'avrebbero trasformata in un faro umano e oggetti non meglio identificati che probabilmente non avrebbe neanche saputo come indossare, tutti con lo stesso minimo comun denominatore: chiunque li avesse realizzati doveva essere tirchio, perché aveva risparmiato moltissimo sulla quantità di stoffa.

Ginny emise un gridolino spaccatimpani e annunciò con finta serietà: «Diamo inizio all'operazione Cenerentola!» Be', okay, il paragone era abbastanza calzante, ma...

«Tu... conosci la fiaba di Cenerentola?»

«E perché non dovrei, scusa? Dai, muoviamoci...»

E fu così che quel ciclone umano ebbe una specie di regressione all'infanzia e si mise a giocare alle bambole, con la povera Hermione che le faceva da Barbie vivente. Poi si passò al trucco (anche se da dove venisse tutto quel materiale professionale degno di uno studio cinematografico era un mistero). Proprio quando credeva che sarebbe impazzita o scoppiata a piangere, la sua aguzzina trillò: «Finito!»

«Davvero?» Poi, accorgendosi che forse mostrare tutto quel sollievo era una brutta mossa, si corresse: «Ehm, voglio dire... grazie...»

«Oh, guardati, sei uno splendore...»

Hermione commise l'errore fatale di guardarsi davvero nello specchio a figura intera presente nella stanza e quasi svenne. La ragazza riflessa non solo non le somigliava, ma aveva il viso ridotto a una pubblicità di cosmetici ambulante, e dal collo in giù era un tripudio di rosa che se non fosse stato così smaccatamente provocante sarebbe piaciuto alla Umbridge.

«Allora? Che ne pensi?»

«Ehm... non ho parole...» Lasciò che interpretasse la frase in senso positivo, quando in realtà la sua temporanea incapacità di trovare i termini giusti per descrivere quel disastro era dovuta a puro orrore. Intanto l'ora della festa si avvicinava inesorabilmente. «Adesso va' pure a prepararti anche tu, non manca molto». Qualsiasi cosa per liberarsi di lei.

Sentendosi ricordare che il tempo stringeva, Ginny sparì con un patetico strilletto e la lasciò sola. Perfetto. Hermione praticò un Incantesimo Estensivo Irriconoscibile sulla microscopica borsetta abbinata a quella cosa che la sua cosiddetta amica aveva osato chiamare “vestito” e vi infilò con cura infinita la bottiglia di Pozione d'Odio. Era ora di andare in scena.

La Stanza delle Necessità era irriconoscibile. L'eco lontana di qualcosa di martellante che avrebbe dovuto essere musica si sentiva già da fuori, e quanto all'interno... be', era una discoteca con annesso un bar dedicato ai soli alcolici, tra l'altro con ben poco spazio riservato al Whisky Incendiario e al suo posto una gran varietà di cocktail dai colori assurdi, anche se l'esperienza pari a sottozero che Hermione aveva sull'argomento – sì, esisteva al mondo qualcosa di cui si vantava di non sapere niente, che novità – non le permetteva di esprimersi sulla qualità dell'intrattenimento fornito. Gli altri sembravano divertirsi sulle note di quel ritmo ossessivo che minacciava di farle esplodere la testa, e molto apprezzate erano anche le luci stroboscopiche che evidentemente traevano l'energia dalla magia dell'edificio, perché suvvia, elettricità? Da quando? Ginny aveva detto che c'erano le prese di corrente, ma faticava ancora a crederci. A parte lei, l'unico non troppo contento di essere lì era Ron, che non capiva, parole sue, come facessero i Babbani a chiamare “ballo” quella roba frenetica che sembrava il risultato di un Tarantallegra riuscito male, e soprattutto non era affatto felice di vedere Hermione vestita così in pubblico.

«Scusa, ho dovuto... sai, per non dare nell'occhio...»

«E va bene, diciamo che ti stai mimetizzando, allora... ma dovevi proprio?»

Draco, invece, non era molto a suo agio a quella festa in pieno stile Babbano, ma non riusciva a fare altro che ripetere come un disco rotto che brava ballerina fosse Harriet, e del resto non gli importava un granché.

«Vorrei chiederle di ballare con me, ma... insomma... non ho mai ballato così...»

Era l'occasione perfetta. Hermione lo soccorse prontamente con un drink opportunamente truccato.

«Tieni, scarica i nervi con questo».

«Già, magari con qualcosa di forte mi sciolgo un po', da' qua...»

Lo buttò giù tutto d'un fiato. La sua prima reazione fu di contrarre il viso in una smorfia orribile che per un lunghissimo secondo fece temere agli altri due che qualcosa fosse andato storto, ma la ragione di quell'espressione fu presto spiegata: «Ma che schifo! Capisco che non siamo amici per la pelle, Granger, ma da qui a cercare di avvelenarmi...»

«Scusa, era necessario. Allora, ti sei sciolto abbastanza? Vai e colpisci, tigre...»

«Eh?»

«Ma scusa, non volevi chiedere a Harriet di ballare?»

«Chi, io? Allora, primo: a modo suo sarà anche una bella ragazza, ma l'avete vista bene? Non è normale, sembra che l'abbiano gonfiata da quelle parti», il gesto eloquente bastò e avanzò a indicare il davanzale, «e quei capelli non possono essere veri, a meno che non sia una Metamorfomagus, quindi mi dispiace, ma se ha usato una di quelle tinte Babbane per farseli non m'interessa. Secondo: questa non è musica. E a proposito di musica, non riesco a credere che mi sia mai piaciuta una con dei gusti così... porta tante di quelle strane spille che non so come faccia a reggersi in piedi e scommetto che non ha neanche mai sentito le Sorelle Stravagarie... ma che mi è preso?»

«Oh, grazie a Merlino!» sbottò Ron. «Hermione, sei un genio. Se mi avessero detto che un giorno sarei stato contento di sentirlo parlare così non ci avrei creduto».

«Ti spiego dopo cos'è successo, ora dobbiamo finire la missione».

«Che missione?» domandò Draco.

«Aspetta e vedrai». E versò con estrema discrezione il resto della Pozione nella ciotola del punch, dedicandosi per il resto dell'orrida serata a fare una pubblicità spudorata alla bevanda per assicurarsi che più gente possibile, soprattutto maschi, ne bevesse un po'. Ad ogni sorsata, Harriet sembrava accorgersi che qualcosa non andava: ogni volta che perdeva un ammiratore si fermava un attimo, come se un dolore improvviso le impedisse di ballare. E ogni volta il coro di voci preoccupate era sempre più esiguo, finché anche l'ultimo dei suoi ignari adoratori si servì dietro gli incoraggiamenti anche troppo entusiasti della nostra eroina. A quel punto accadde qualcosa. Qualcosa che nessuno dei tre avrebbe dimenticato tanto facilmente. Harriet emise un orribile urlo strozzato, immobile al centro della pista, e cominciò a... rimpicciolirsi? La prima impressione era quella. No, un attimo...

«Mi sto sciogliendo! Mi sto sciogliendo!» Ignorando caparbiamente il fiume di ricordi di quando da piccola aveva letto Il Mago di Oz, Hermione osservò, tra l'orripilato e il soddisfatto, la trasformazione della Mary Sue in quello che sembrava un mucchietto di cera calda.

«Ma che diamine... ?» saltarono su due voci maschili a lei ben note.

«Be', Harriet era una Mary Sue. Ora che nessuno la adora più, non ha ragione di esistere» spiegò semplicemente.

Un'altra piacevole conseguenza della “misteriosa” sparizione della signorina Dupont fu che la reazione di panico e fuggi-fuggi generale dichiarò automaticamente finita la festa. Solo il nostro improbabile trio restò indietro, con Hermione che ripeteva a un Draco finalmente rinsavito tutti i dettagli di cos'era successo durante la sua infatuazione per Harriet.

«Ma se lei era qui solo per me, non è che adesso che non c'è più ne arriverà un'altra al suo posto, vero?»

«Oh, no... detesto dirlo, ma ha ragione... qualche idea?»

«No, dovremmo liberarci del problema alla radice, ma è impossibile!» gemette Hermione.

«Be', ma queste Mary Sue dovranno pur provenire da qualche parte...» rimuginò Ron, marciando a vuoto avanti e indietro come se volesse scavare un fosso nel pavimento di pietra a furia di consumarlo. «Se solo potessimo trovare il posto da cui vengono tutte...»

Ma gli altri due non lo stavano più ascoltando. Erano troppo occupati a fissare allibiti la porta comparsa alle sue spalle. La Stanza delle Necessità si era trasformata da locale per feste a esattamente quello che aveva appena detto: il luogo da cui provenivano tutte le Mary Sue.

«Ron, sei un genio!»

«Ah, davvero?» biascicò lui, semisoffocato dall'abbraccio. «Buona a sapersi».

La stanza somigliava vagamente a una fabbrica. Su grossi nastri trasportatori scorrevano parti del corpo simili a quelle di bambole a grandezza naturale che andavano ad assemblarsi in forma di ragazze. Un distributore in un angolo sputava caratteristiche speciali, dal Serpentese al talento per l'opera lirica, come caramelle. Su un tavolo troneggiava un grosso tomo che conteneva tutti i possibili nomi e i rispettivi significati (ecco spiegato come la stessa persona che non aveva nemmeno la decenza di rispettare la storia della musica conoscesse l'etimologia di “Calista”). Parrucche improbabili e occhioni dalle tinte altrettanto impossibili venivano dipinti a mano dai dipendenti di quell'assurdo stabilimento; altri piccoli lavoratori mescolavano freneticamente quelle che a prima vista sembravano pozioni, ma che erano tutte composte da ingredienti tipo “ibrido tra due specie”, “orfana” e via dicendo, e che quindi dovevano essere i lacrimevoli passati dei personaggi in via di creazione. Un momento... piccoli lavoratori? Forse era stato lo shock a farle impiegare quell'eterno istante per rendersene conto, ma era tutto azionato da elfi domestici!

«Cosa? Lavorano qui? Ecco perché erano spariti dalle cucine!»

«Oh, no, non un'altra delle tue stupide crociate...»

«Be', per tua informazione questa volta la mia “stupida crociata” potrebbe tornare utile anche a te, quindi vedi di non lamentarti!»

Draco emise un grugnito rassegnato che forse in Troll poteva significare “hai ragione”.

Hermione si avvicinò cautamente a uno degli elfi artigiani, che al momento reggeva nella manina quello che sarebbe diventato un occhio viola, e ricacciando indietro il disgusto di fronte a quell'immagine vagamente inquietante esordì: «Ehm... salve...»

Quello sobbalzò visibilmente, lasciando una brutta sbavatura sulla sua pregevole opera. «Oh, no! Tibby ha rovinato il suo lavoro! Ora Tibby deve rifare tutto!» Cestinò tristemente l'occhio difettoso e tentò di infilare il pennello nel proprio per procurarsi dolore, ma Hermione gli bloccò il braccio con necessaria prepotenza.

«Non è colpa tua! Ti ho spaventato io, semmai dovresti arrabbiarti con me!»

«Tibby deve tornare a lavorare, signorina». Fissò con una certa irritazione le dita che ancora lo stringevano. «E Tibby non può se la signorina lo tiene fermo».

«Se rispondi a qualche domanda ti lascio andare» promise.

«E va bene» acconsentì Tibby.

«Per chi lavori?»

«Tibby... Tibby non lo sa, signorina. Tibby sa che deve preparare questi occhi per le bamboline viventi, ma non si ricorda chi gli ha detto di farlo... Tibby è davvero molto, molto dispiaciuto...»

«No, no, aspetta!» lo prevenne frettolosamente, vedendo arrivare i primi segni di una rumorosissima crisi di pianto. «Va bene così, ti ringrazio. E ti piace questo lavoro?»

«Oh... be', a Tibby è sempre sembrato strano non sapere chi è il suo padrone, signorina, ma Tibby non deve fare domande...»

«E lavorate tutti per la stessa persona?»

«Sì, signorina».

«Be', noi veniamo da parte della vostra padrona» inventò Hermione sui due piedi. «Lei... lei ha deciso che cambierete lavoro». Calò un silenzio di tomba. Tutti gli elfi trattennero il fiato, le macchine si bloccarono, un paio di Mary Sue quasi complete caddero inerti con un tonfo. «Anzi, cambierete padrone».

Ci fu una reazione collettiva di ululati disperati e Tibby si fece portavoce dello sconforto di tutti: «La padrona ci ha licenziati?»

«Più o meno. Ma non ve ne accorgerete neanche. Avete già un altro lavoro al posto di questo. Dovete andare giù di sotto, nelle cucine, e d'ora in poi il vostro padrone sarà il Preside».

Per un po' l'unico suono fu di strumenti da lavoro abbandonati a terra senza troppe cerimonie e piedini che correvano fuori in massa.

«Geniale! Quasi quasi credevo che li avresti liberati tutti...»

«E con quali vestiti? E poi tecnicamente dovrebbe essere l'autrice in persona a mandarli via, e non credo proprio che si presenterà...»

«Giusto anche questo. E ora?»

«E ora ci liberiamo anche dei macchinari».

Qualche sano Evanesco dopo, il flagello Mary Sue fu un lontano ricordo.

 

Note dell'Autrice: arigato, merci, gracias, danke... insomma, grazie a: avalonne, Harry Potterish, Mary_, Mela Shapley, Nipotina, Padme Dandychill Malfoy e uranian7 che seguono questa storia e Russian Sonia che l'ha inserita sia nelle preferite sia nelle seguite.

PS: la lista degli ingredienti è mia. Me la sono bellamente inventata. Non si trovava e ho improvvisato di brutto. Tutti, o quasi, hanno una ragion d'essere, e ora mi calo nei panni di un certo professore e mi diletto a spiegarvi i dettagli. Se non siete dell'umore giusto per una lezioncina di Pozioni, saltate a piè pari, non mi offendo. Bardana: confesso con vergogna che è lì solo perché ha un sapore amaro e mi sembrava che ci stesse bene in qualcosa che deve causare odio. Niente di più. Se poi si va a vedere che effetto ha nella vita reale, molti dei suoi usi hanno il minimo comun denominatore di essere in qualche modo purificanti, il che è calzante, visto che lo scopo è liberarsi di quel flagello, no? Levistico: citato nel capitolo 18 di Harry Potter e l'Ordine della Fenice come capace – nel mondo magico, in quello reale non si sa – di causare “stati di imprudenza e testa-calda”. Cosa che succede quando si detesta qualcuno. Elleboro: okay, questa è ironica, dato che è un ingrediente (che Harry peraltro dimentica di aggiungere) della Bevanda della Pace, ma essendo, o almeno credo, un ingrediente del kit di base di ogni studente, non può servire solo a quello. E poi, confessione numero due, l'ho voluto mettere perché nella vita reale è molto tossico e chissà perché trovo affascinante che le pozioni siano piene di piante velenose che magicamente, è proprio il caso di dirlo, diventano semi-innocue. Aculei di Knarl: si tratta di un animale magico indistinguibile da un riccio, se non per il fatto che non si fida. Di nessuno. Mai. Non provate a dargli del cibo, si offenderà credendo che stiate cercando di tendergli una trappola. Di nuovo, abbastanza adatto per qualcosa che dovrebbe causare odio, no? Uova di Ashwinder: qui Catullo docet. In realtà sono famose per l'uso nelle pozioni d'amore, ma io ho pensato che potessero servire anche al loro contrario se combinate con ingredienti diversi: dà l'idea di quante sfaccettature abbia la “sottile scienza e l'esatta arte del preparare pozioni”. Sarà che quell'“odi et amo” mi è rimasto impresso... o forse che volevo da morire citare Piton nelle note...

PPS: come ho fatto anche capire nel passo corrispondente, l'idea dello scioglimento non è mia ma di L. Frank Baum, autore originale de Il Meraviglioso Mago di Oz.

PPPS: l'elfo domestico Tibby è mio, spudoratamente riciclato da una fanfiction mai pubblicata la cui protagonista, sì, era un po' Mary Sue. Non del tutto, ma un po'. E i dialoghi con gli elfi sono terribili da scrivere.

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Capitolo 9
*** Un disastro di festa ***


 All'inizio 'Mione ebbe difficoltà a trovare abbastanza tempo libero da cominciare a organizzare la festa. Era abituata ad averne tantissimo, e a prenderselo anche quando non avrebbe dovuto averne, ma in quel mondo ciò significava altre punizioni, e quindi altre preziose ore andate in fumo.

Ma in qualche modo riuscì a conciliare la massa spaventosa di impegni che le erano piovuti addosso con la sua importantissima missione, e così ebbe inizio la Fase Uno della preparazione: decidere la selezionatissima lista degli invitati. Le feste che conosceva lei includevano più o meno tutta la scuola, ma anche se non sembrava, c'erano dei requisiti, e il fatto che praticamente tutti li soddisfacessero era solo una felice coincidenza. Bisognava essere belli, popolari, saper ballare, possibilmente reggere l'alcol e... ah, sì, essere a conoscenza dell'esistenza della Stanza delle Necessità. Che avrebbe dovuto essere un segreto, ma era il segreto peggio mantenuto della storia, visto che quando dava appuntamento lassù le bastava nominarla e tutti capivano subito e si presentavano infallibilmente. Qui, invece, era tutta un'altra storia: dovunque si voltasse vedeva gente irrimediabilmente brutta e goffa, orribili casi di acne, ragazze invisibili che per capire cosa fosse la popolarità avrebbero dovuto cercare la parola su quella cosa che non toccava da un bel po', un dizionario, bambinetti a malapena svezzati che si sarebbero presi una sbronza colossale solo sentendo l'odore di uno dei suoi soliti cocktail e soprattutto una massa indistinta di persone che anche se con un po' di fantasia potevano essere considerate mediamente carine non sembravano essere molto interessate a una festa di quel tipo e probabilmente – orrore! – avrebbero rifiutato l'invito.

Dopo una serie di accurati appostamenti individuò una manciata di ragazzi con la giusta aria da playboy e qualcuna che a giudicare dagli argomenti di cui le piaceva parlare (corredando i discorsi di familiari risatine, per una volta) si sarebbe divertita, ma quanto a numero di invitati e a Indice di Bellezza Medio (esisteva?), la festa avrebbe fatto pena. Quindi, Fase Due: doveva assolutamente compensare stupendo i presenti con effetti speciali indimenticabili. Questo poteva significare solo una cosa: le toccava correre alla Stanza a fare le prove. Consegnò frettolosamente al suo Dracuccio la lista di nomi, delegandogli il compito di scrivere gli inviti, e si mise subito all'opera. Eh, i vantaggi di avere un ragazzo Purosangue... quando si trattava di superare certi pregiudizi per stare insieme, nessun problema, aveva argomenti molto convincenti per fargli dimenticare tutto, ma le piccole cose gli restavano dentro, e visto che aveva sicuramente ricevuto chissà quale affascinantissima istruzione vecchio stile da eroe romantico aveva una calligrafia dieci volte migliore della sua.

Ma la Stanza, per la prima volta in vita sua, la deluse profondamente.

Marciò con tutta la sua determinazione davanti al punto dove sarebbe comparsa la porta, ordinando un locale per feste pieno di decorazioni specialissime che avrebbero lasciato tutti a bocca aperta, e cosa le si presentò davanti agli occhi? Santo Godric, che spettacolo patetico! Okay, la pista da ballo c'era, se quel misero spiazzo al centro si poteva chiamare così, ma quanto a musica... davvero quella stupida Stanza si aspettava che lei, la Regina dei Grifoni, si accontentasse di un grammofono e di una collezione di dischi giganteschi con su scritto “Sorelle Stravagarie”, “Celestina Warbeck” e “Gli Hobgoblin”? Ma per favore! E le luci, poi... Si era aspettata il solito bell'armamentario di riflettori assortiti, ma no, neanche per sogno. Candele sospese a mezz'aria e cosine svolazzanti che a occhio e croce dovevano essere fate, tutte molto contente di avere qualcuno che le fissava insistentemente, così prese a pavoneggiarsi davanti alla nuova spettatrice che ci misero un pezzo a offendersi quando si resero conto che no, 'Mione non era affatto felice di averle intorno. E quando avvenne non fu affatto piacevole. Una di qualche millimetro più grande delle altre che doveva essere il capo emise un “bzzz” molto arrabbiato. Non ebbe nemmeno il tempo di domandarsi cosa significasse: era ovvio che volesse dire “Alla carica!”, perché nel giro di mezzo secondo si ritrovò sommersa di creaturine luminose e ronzanti che la attaccavano da tutte le direzioni con dita perfidamente sottili, cercando di infilarsi sotto i suoi vestiti, cavarle gli occhi e, orrore degli orrori, strapparle i capelli. 'Mione si aggrappò disperatamente all'unica soluzione possibile: fuggì da quell'inferno strillando con quanto fiato aveva in corpo e si chiuse per benino la porta alle spalle, trafelata e graffiata dalla testa ai piedi, avendo cura di inserire “niente fate” nella sua lista di richieste per la nuova versione della Stanza.

Il tentativo numero due non fu molto diverso dal numero uno, a parte l'assenza di quei piccoli flagelli vanitosi dalle unghiette troppo affilate, ma ora che 'Mione era ufficialmente sola nella Stanza e poteva fare un bel respiro profondo e mettere in fila due pensieri coerenti senza timore di essere aggredita, notò un altro problema enorme: il cibo. O meglio, la sua assenza. Lungo i muri c'erano dei tavoli pronti, come se la Stanza sapesse che una festa senza rinfresco non poteva esistere, ma erano vuoti. Bottiglie di alcolici, zero. Vassoi di spuntini presentati così bene che mangiarli era un delitto, spariti. Che strano. Stare attenti alla linea era un conto, ma non poteva mica far digiunare tutti! Che razza di festa sarebbe stata?

«Uffa! Voglio del cibo!» si lamentò ad alta voce. Nessuno poteva sentirla, ma magari così la Stanza si sarebbe accorta di quella dimenticanza imperdonabile.

E in effetti accadde qualcosa, ma non esattamente quello che si aspettava. I tavoli non si riempirono, ma in compenso nella parete si aprì quello che poteva essere solo un passaggio segreto. Questa, poi... pensò 'Mione, stizzita. Se la Stanza risponde così alla richiesta di cibo, allora dall'altra parte del tunnel dev'essercene per forza, ma com'è che adesso mi tocca fare questa fatica extra? S'infilò nella strettoia con un grugnito contrariato e ci rimuginò sopra mentre percorreva la scala di pietra, ma tutto quel che ottenne fu di perdere il conto dei gradini: quando sbucò all'estremità opposta non era neanche minimamente più vicina alla soluzione.

Le fu chiaro al primo sguardo che con un po' di fortuna da quel posto avrebbe potuto ottenere qualcosa di commestibile, ma di certo non all'altezza dei suoi soliti standard di qualità. Il locale era così sporco che avrebbero potuto frequentarlo dei maiali, ma sicuramente non degli esseri umani, e oltre al familiare odore di alcol nell'aria regnava sovrano un insopportabile puzzo di selvatico che le diede quasi all'istante un conato di vomito e che forse, tranne per il fatto che non aveva molto senso, avrebbe potuto attribuire a qualche animale, tipo... mah, magari una capra? Ma che poteva mai farci una capra in uno squallido pub? E quanta strada aveva fatto? Aveva difficoltà a calcolare la distanza. Era a Hogsmeade? Il posto non le era familiare, ma non poteva dire di averla esplorata tutta, magari era finita nella parte un po' meno alla moda, ammesso che ce ne fosse una.

«Oh! E io che credevo che il passaggio non servisse più!»

Ehi, un momento. Ma se Silente era ancora in circolazione, perché non era più il Preside? Ah, no... non era lui, ma per mezzo secondo aveva creduto di sì.

«Be', veramente io neanche sapevo che ci fosse mai stato...»

«Ma come? È vero che hai un'aria diversa, magari è di nuovo ora di cambiare questi maledetti occhiali e ti confondo con qualcun altro, ma tu non sei Hermione Granger?»

«Sì, e allora?»

«E allora se non lo sai tu, dell'esistenza del passaggio, non lo sa nessuno al mondo, ragazza mia! Sicura di star bene?»

«Mi creda, me lo stanno chiedendo un po' tutti ultimamente, ma se proprio vuole sentirselo dire pure lei, sono sana come un pesce! Sono solo capitata qui perché cercavo qualcosa da mangiare...»

«Per la barba di Merlino! E non ne fanno più al castello? Che è successo?»

«Sì che ne fanno, è che ho bisogno di cibo extra perché sto per dare una festa, sa, e credevo di trovarmelo già bell'e fatto, invece sono sbucata qui... perché?»

«Be', non avrò collezionato tanti premi alla carriera accademica in vita mia, ma non ci vuole tanto a capirlo. Come fai ad aspettarti il cibo già pronto così, dal niente? Cucinare con la magia si può, ma la materia prima dev'essere già lì. Se non lo so io che gestisco questo posto da sempre... diamine, ragazza mia, dicevano che eri la strega più brillante della tua età...»

«Ma... ma... ha sempre funzionato!»

«Impossibile».

«Ma mi è successo un miliardo di volte!»

«Magari sognavi. Impossibile, ti dico. Però... però... visto che siamo qui, i viveri te li passo io, che ne pensi? Ma poi, sei sicura che ti lascino dare quella festa? Che è capitato di bello? È il tuo compleanno? Avete vinto a Quidditch?»

«Nah... è una festa così, tanto per divertirsi, fare una pausa, socializzare, darsi un po' alla pazza gioia...» Non le passò neanche per l'anticamera del cervello che il vecchio, sentendola parlare così, potesse rimproverarla e attaccare un borbottio infinito sui giovani d'oggi, o peggio, farsi venire dei sospetti sulla sua condotta scolastica non proprio esemplare: dopotutto, da dove veniva lei ragionavano tutti più o meno così, quindi che poteva esserci di male?

«Contenta tu... ma non venire a lamentarti da me quando ti toglieranno qualche milione di punti! Dovrei avere abbastanza Burrobirra per tutti i tuoi amichetti, ho appena rifatto scorta...»

'Mione trattenne a stento una risata. «Burrobirra? Quanti anni crede che abbiamo, cinque? Ci vuole qualcosa di un sacco più forte, se no dove sta il divertimento?»

«Scusa, ma non ho intenzione di farvi ubriacare tutti di Whisky Incendiario».

«Veramente stavo per ordinare proprio quello, in mancanza di meglio. Non va un tantino contro i suoi interessi? Potrei praticamente svuotare i suoi scaffali da sola, è una cosa in grande. Non le conviene mica tanto dirmi di no...» Fece il gesto che significava “soldi” con le dita.

«“In mancanza di meglio”? Oh, be', scusa se la Testa di Porco non ti soddisfa... e che ci sarebbe di meglio, poi? Il Whisky Incendiario è forte eccome!»

«Mah, le solite cose, qualcuno che sa fare dei cocktail decenti si trova sempre...»

«Cocktail? Non sono cose da Babbani? Sicura che piaceranno?»

«Oh, si modernizzi un po', certo che piacciono a tutti!»

«Se lo dici tu... io però ho quasi solo bevande da maghi, quindi non troverai l'occorrente per i tuoi cocktail da queste parti, a meno che non te ne voglia inventare qualcuno...»

«Se avessi più tempo sarebbe un'idea, ma direi proprio di no». In effetti, la sua idea di mescolare ingredienti si fermava a Bloody Mary, Cosmopolitan e compagnia bella, che erano molto più interessanti di quelle stupide pozioni.

Era deciso: per il cibo sarebbe tornata indietro e avrebbe rubacchiato qualcosa dalle cucine, ma il problema delle bevande rimaneva. Al Professor Tricheco piacevano gli alcolici, ma le probabilità di intrufolarsi impunemente nelle sue stanze e mettere le mani sul suo prezioso idromele erano bassissime, per cui non le restava che cercare qualche altro locale, possibilmente in condizioni igieniche un po' più decenti, a cui rivolgersi. Uscì a passo di carica dalla Testa di Porco senza nemmeno un arrivederci.

«Ehi! Dove vai?»

Ma 'Mione era già lontana. Magari ne avrebbe addirittura approfittato per fare un po' di shopping, chissà che sorpresa per il suo Dracuccio vederla presentarsi al grande evento con un vestito nuovo...

Peccato solo che anche il suo meraviglioso progetto di rinnovare ulteriormente il suo guardaroba già all'ultimo grido andò in fumo non appena mise piede fuori dal pub: quella non era Hogsmeade. Non poteva esserlo, fine della storia. Suvvia, dov'erano le vetrine scintillanti davanti alle quali tutte le ragazze facevano la coda e le invitanti insegne dei locali dove i suoi amici si intrufolavano quando non avevano voglia di festeggiare a scuola? Questo era un patetico paesello così all'antica che non si sarebbe stupita di veder spuntare da dietro un angolo di strada una ridicola banda di suonatori in stupidi costumi tradizionali, rossi in viso a furia di soffiare nelle cornamuse. Di posti dove trovare roba del genere che intendeva lei – e sì, intendeva anche cose non proprio legali, perché andiamo, la dipendenza da Felix Felicis era passata di moda – non c'era traccia.

Per la questione dell'abito si risolse a entrare, dubbiosa, da Stratchy & Sons, ma ne fu fuori in neanche cinque minuti, dato che alla sua richiesta di “qualcosa di speciale per una festa” la commessa le aveva presentato tutta un'orrida serie di vesti lunghe fino ai piedi, in buona parte di tutte le sfumature esistenti di viola e verde, che sarebbero state bene nelle illustrazioni di un libro di storia, se ne avesse mai letto seriamente uno.

Quanto al rinfresco, fece un salto in un posticino chiamato Madama Piediburro, che non era quello che cercava ma che avrebbe dovuto segnarsi, magari per San Valentino o anche solo se Dracuccio si fosse sentito particolarmente romantico, e poi trovò un barlume di qualcosa che forse era accettabile ai Tre Manici di Scopa. Grata per la sua abitudine di portarsi sempre dietro del denaro, che non ricordava bene da dove fosse spuntato ma era costantemente a disposizione, si caricò all'inverosimile di tutto ciò che riuscì a trovare di alcolico e, ignorando caparbiamente l'aria offesa del simil-Silente, apparentemente incapace di capire perché non avesse preferito il suo locale, lo trasportò a scuola attraverso il passaggio. Poi richiese una versione della Stanza dove conservare le bottiglie in modo che si mantenessero in buone condizioni e non fossero scoperte e partì a razzo verso le cucine.

Quella parte del piano fu estremamente facile, anche se non mancò di riservarle una sorpresa, o per meglio dire, tante piccole, incredibilmente brutte sorpresine servizievoli che forse se avesse avuto voglia di pensarci su le avrebbero addirittura fatto vagamente tenerezza con quegli occhioni fuori misura. Al momento però non aveva il tempo materiale di fermarsi a riflettere se quei cosi fossero o meno carini (anche se propendeva per il no): preferiva di gran lunga approfittare della loro presenza senza stare a farsi problemi d'estetica. D'altronde, praticamente non aspettavano altro che di sentirsi dare ordini. Era perfino divertente.

«Be'? Che aspetti? Fammeli trovare al settimo piano!» abbaiò a una di quelle creaturine, che reggeva precariamente un vassoio di spuntini. Il piatto da portata sparì con un crack, spedito di sopra dalla strana magia che quegli affarini dalle vocette acute e dalla grammatica peggiore della sua sapevano fare.

«La signorina è di cattivo umore?» pigolò quello, tormentandosi l'asciugamano con lo stemma della scuola con le lunghe dita sottili.

«Nah, ho solo una fretta del diavolo, qualcosa in contrario?»

«No, è che... la signorina non deve fraintendere Darter, Darter non si sta lamentando, proprio no, ma di solito la signorina è molto più carina con gli elfi domestici...»

Carina? Be', okay, non è che li avesse trattati da amiconi, ma da quel che aveva capito erano la cosa più vicina che quel mondo avesse a dei robottini programmati per fare praticamente qualsiasi cosa venisse loro ordinata, quindi perché sprecare tempo in cortesie inutili?

Dunque: bevande, più o meno okay. Cibo, okay. Luci, disastro completo, ma poteva sempre dire che era un party a tema che richiedeva un'illuminazione disperatamente datata. Musica, per niente okay, ma quelle Sorelle Stravagarie avevano qualche pezzo ogni tanto con degli assoli di chitarra al giusto livello di decibel, doveva solo sperare che ci fosse qualche rockettaro incallito che li avrebbe apprezzati. Vestito... si sarebbe arrangiata, forse. Quattro parole: diamo inizio alla festa!

Ah... a 'Mione era mancata un sacco quell'atmosfera speciale che precedeva il momento di scatenarsi. Erano tutti lì riuniti, qualcuno intimorito all'idea di una così ovvia e gigantesca trasgressione alle regole, ma all'incirca pronti a divertirsi sul serio.

«E allora divertiamoci!» decretò 'Mione estasiata, aprendo finalmente le porte della Stanza trasformata in locale.

«Non prima di avermi dato una spiegazione» la sorprese una voce maschile piuttosto contrariata. Lì, lanterna alla mano, improvvisamente minaccioso in tutti i suoi chili di troppo che fino al giorno prima le erano sembrati solo ridicoli, c'era il professor Lumacorno, evidentemente impegnato in una ronda notturna e allertato da chissà chi del gran movimento al settimo piano. «Ora, sono contento che le mie cenette speciali vi abbiano dato tutta questa voglia di socializzare, ma chissà come non ricordo di aver autorizzato questa simpatica riunione. Una piccola ispezione, se non ti dispiace...»

Il risultato della “piccola ispezione” fu che mezza scuola decise improvvisamente di odiare gli organizzatori della festa per via dello spaventoso numero di punizioni: probabilmente non ne erano mai state date così tante in una sola notte prima di allora. I tre responsabili (perfino alla Preside risultò difficile credere che quel Ron, incapace di fare altro che fissarla con aria ebete e pensare con rimpianto a tutte le leccornie che si era perso, avesse avuto una parte nell'accaduto, ma a quanto pareva aveva convinto qualche giocatore di Quidditch di Grifondoro recalcitrante a partecipare) furono trascinati oltre il temutissimo gargoyle dell'ufficio per avere quello che si meritavano.

«Ci sono occasioni in cui il corpo insegnante è disposto a chiudere un occhio di fronte alle celebrazioni un po' troppo entusiastiche degli studenti», esordì la McGranitt con una calma pericolosa, «ma stavolta, e senza nessun evento importante di cui io sia a conoscenza, avete introdotto nell'edificio scolastico quantità enormi di bevande alcoliche, invitando al vostro simpatico festino anche ragazzi infinitamente troppo giovani per consumarle. Tralasciando il fatto che tutte le riunioni tra studenti dovrebbero essere preventivamente autorizzate da un professore e che l'ora dell'appuntamento sarebbe stata giustificabile solo con un fantomatico club di Astronomia, avrebbero potuto sentirsi male in massa! Vi rendete conto di quello che stavate per fare?»

«Ma...» esordì 'Mione. Ma dopo quel “ma” non c'era niente. Stavolta era rimasta senza parole per davvero.

«E ti permetti ancora di dire “ma”? Dispiace più a me che a te, ma visto il crollo che il vostro rendimento ha avuto negli ultimi tempi, le ripetute mancanze di rispetto a insegnanti e compagni, e ora il serio rischio che avreste potuto far correre alla loro salute... mi vedo costretta a espellervi. Consideratevi fuori da questa scuola. Contatterò il conducente dell'Espresso e ve ne andrete domattina stessa».

 

Note dell'Autrice: i consueti special thanks di rito a: Isarma che ha inserito questa storia nelle preferite, Lizzyluna e Lyu chan che la seguono.

Vi chiedo perdono in ginocchio per il ritardissimo. Date la colpa alla scuola e a una specie di blocco dello scrittore che ho avuto per via della mole di roba da studiare. E ora vai di PS!

PS: la descrizione e il comportamento delle fate corrisponde abbastanza a quello citato in “Gli Animali Fantastici – Dove Trovarli”, tranne per il fatto che non so se siano abbastanza intelligenti da organizzarsi a tal punto da avere un capo e che ho reso il suddetto capo più grande solo perché era visivamente carino.

PPS: per i cocktail citati, giuro, ho guardato una lista. Il primo lo conoscevo, l'altro mi è tornato in mente solo rileggendolo. Tra l'altro, ma questo non potete saperlo se non frequentate FanFiction.net, nominare proprio il Bloody Mary è un mezzo omaggio al più grande probabile troll della storia del sito, “My Immortal”, in cui, tra i vari scempi al canon, Hermione scopre di non essere davvero una Nata Babbana e cambia nome in B'loody Mary Smith. Con l'apostrofo e tutto. Essendo la versione americana di una fyccy della peggior specie, solo scritta ancora peggio del normale, anzi, così male da far sospettare che fosse uno scherzo, ho pensato che fosse appropriato farvi una strizzatina d'occhio. Anche se una l'avevo già fatta: l'errore delle band inesistenti e parte dell'aspetto fisico di Harriet erano liberamente ispirati all'OC protagonista di quell'orrore, Ebony Dark'ness Dementia Raven Way.

PPPS: il verde e il viola, spesso insieme, sono i due colori indossati più spesso da maghi e streghe, parola di JKR. Inutile dire che quando l'ho scoperto ho fatto un salto sulla sedia che neanche nei cartoni animati, dato che il viola è il mio colore preferito e costituisce una buona percentuale del contenuto del mio armadio.

PPPPS: Darter è inventato sul momento. Spiegazione del nome: dove il Tibby di prima doveva essere tenero e somigliare nel suono a Dobby, per lui mi sono aggrappata al principio che “Kreacher” è un perfetto omofono di “creature”, ho cercato tutti i sinonimi e le parole associate a “creature” su The Free Dictionary (il mio salvatore!) et voilà: la definizione di “darter” è “una persona o altro animale che si muove bruscamente e rapidamente”. Cosa che secondo me gli elfi devono saper fare. Siccome l'esempio che il dizionario portava era lo scoiattolo e io trovo gli scoiattoli troppo carini, la decisione era bell'e presa. 

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Capitolo 10
*** Alla ricerca dei libri perduti ***


Ora che il rischio dell'arrivo di un'altra Mary Sue era scongiurato, per i nostri eroi c'era poco o nulla da fare se non adattarsi allo stile di vita di quegli studenti a cui qualcuno sembrava aver magicamente svuotato il cervello, o almeno fingere di farlo. Tra coppiette apparentemente sotto il perenne effetto di un filtro d'amore, orde di ragazzine urlanti e pettegolezzi su tutto e su tutti che si diffondevano a velocità tale da far sospettare che qualcuno, avvalendosi della misteriosa presenza dell'elettricità, avesse installato telecamere nascoste ad ogni angolo, la pazienza era agli sgoccioli. Dovevano assolutamente trovare un modo di tornare indietro, e se c'era un vantaggio in tutte quelle ore vuote era che potevano setacciare la biblioteca, fortunatamente esistente ma sempre deserta, centimetro per centimetro. C'era ancora una buona metà della sezione di Babbanologia da controllare, e fu proprio questo che fecero, libro dopo libro, in un lento stillicidio che li vide sfogliare tonnellate di materiale completamente inutile ai loro scopi sobbalzando ogni volta che leggevano la parola “computer” o “scambio”. C'era chi era interessato, chi semplicemente desideroso di uscire da quell'inferno, chi vagamente disgustato dagli argomenti trattati dai volumi, ma ciascuno fece la propria parte, grande o piccola. L'importante era andarsene, e subito.

«A-ha!»

«Vuoi dire che ci siamo? In questo momento ti amo più del solito, sai?»

«Odio ammetterlo, ma quella faccia felice mi piace».

«Dove l'hai trovato, si può sapere?»

«Proprio in fondo alla sezione, e così in alto che nessuno si sarebbe mai preso il disturbo di cercarlo a meno che non fosse disperato. Tragedie Tecnologiche e Incidenti Interdimensionali di Hubert Webster... credo di aver appena trovato il mio nuovo autore preferito».

«Se ci tira fuori da qui, è anche il mio preferito».

«Sì, sì, felice di sapere chi è il geniaccio che ci salverà la pelle, ma ora sbrigati a spiegare. Ogni secondo passato qui è un secondo sprecato».

«Qui c'è tutta la procedura» annunciò raggiante Hermione facendo scorrere un dito lungo il paragrafo che sperava li avrebbe riportati a casa, in un gesto che era a metà tra l'intenzione di indicarlo e un'amorevole carezza. «Ma sentite cosa dice: “Ogni opera di narrativa messa a disposizione del pubblico dalla tecnologia Babbana che alteri più o meno sensibilmente la realtà a cui è ispirata crea una potenziale dimensione alternativa. Il mago o la strega che si trovi intenzionalmente o accidentalmente all'interno di una di esse dovrà avere a disposizione, per invertire il processo, una descrizione il più possibile accurata dell'universo di partenza che agisca da portale di ritorno”».

«Ti dispiacerebbe tradurre?»

«Significa che abbiamo un bel problema. Per farla semplice, siamo arrivati qui tramite una fanfiction che descriveva le nostre vite nel modo sbagliato, e per tornare indietro dobbiamo mettere le mani su qualcosa che ne parli nel modo giusto».

«Non sai quanto mi costi farti un complimento, ma detta così si capisce meglio. Peccato solo che siamo daccapo: dove diamine la troviamo una descrizione corretta qui

«Qui dentro non se ne troverà una neanche tra un secolo, ma se riuscissimo a uscire per un po', credo di aver capito cosa cercare».

«Ah, sì?»

«Pensateci: qual è la versione della nostra storia più accurata che conoscete? Chi è andato a controllare perfino gli archivi scolastici per sapere i nostri voti dei G.U.F.O.?»

«Frena un attimo. Non starai parlando di quella Maganò che è finita su tutti i giornali, vero? Perché non solo i suoi libri sono di una precisione abbastanza inquietante, ma credo proprio che chiunque abbia creato questo posto non li conosca poi tanto bene» gemette Ron, a cui la missione stava cominciando a sembrare sempre più impossibile.

«E qui sta il problema: non penso proprio che ne troveremo delle copie qui».

«E cosa suggerisci, sapientona? Afferriamo tutti i soldi che possiamo, scappiamo da questa cosa che non ho la forza di chiamare scuola, li cambiamo in denaro Babbano, compriamo i libri e torniamo indietro, il tutto senza farci beccare?»

«Più o meno sì».

«Ma io scherzavo!»

«E io no» concluse perentoria Hermione.

«Ma...»

«Abbiamo altre possibilità?» sbottò Ron, il ritratto del senso pratico, troncando ogni possibile lamentela sul nascere.

«In effetti... no. Quando andiamo?»

«A questo non ho ancora pensato».

«Sentite, qui non verrà mai anima viva, se ci Smaterializziamo facciamo in tempo e nessuno ci vedrà partire né tornare».

«Ronald Bilius Weasley, quante volte devo ripeterti che non ci si può Smaterializzare da Hogwarts?»

«Da quella che conosciamo noi» obiettò lui, gongolando visibilmente all'idea di avere un'argomentazione valida contro quell'enciclopedia ambulante. «Magari da questa si può, visto che è così diversa».

«Oh. Giusto anche questo» ammise, sconfitta.

«Dai, vale la pena di provarci».

Hermione ci provò. E ci provò ancora. E poi ancora una volta.

«Zero! Niente di niente! Ma con tutti gli errori che ha già fatto, non poteva dimenticarsi anche di questo?»

«A quanto pare no» disse Draco gelido. «Era chiedere troppo, immagino. Si torna al vecchio piano?»

«Direi di sì».

«Io penso ancora che sia un suicidio».

«Non è detto, da queste parti le regole non esistono. Ti aspetti sul serio di finire in punizione? Gli insegnanti sono praticamente spariti!»

«Sì, ma se ce ne andiamo così, di punto in bianco, mi sa che lo noteranno, non credi? Ci vorrebbe una scusa per uscire dai confini della scuola. Possiamo anche partire mezzo metro fuori dai cancelli, per quel che m'importa»

«E dove hai intenzione di trovare una scusa credibile, Malfoy?»

«Ottima domanda». Poi, come rendendosi conto in ritardo di quello che gli era appena uscito di bocca: «Se te lo stavi chiedendo, Weasley, non era un complimento».

Ma la scusa che cercavano piovve dal cielo poco dopo. Intorno alla bacheca della Sala d'Ingresso si era radunata un'emozionatissima folla – più piccola di quelle a cui erano abituati, ma almeno stavolta se ne meritava il nome – mormorante e ridacchiante. I tre lottarono per un posto nelle prime file da dove leggere quale fosse la causa di tanta eccitazione, ma non riuscirono a conquistarlo.

A malincuore (meno le rivolgeva la parola, meglio era per tutti), Hermione individuò la versione pesantemente riveduta e decisamente non corretta di Ginny e le domandò: «Che succede?»

«Ma come, non lo sai? Questo weekend si va a Hogsmeade!» Le pareva di ricordare che gli avvisi di libera uscita venissero affissi alle bacheche delle singole Sale Comuni e non a quella generale, ma forse per l'autrice era più comodo farlo sapere a tutta la scuola in un colpo solo.

«Ah, ehm... fantastico. E cos'è questo ingorgo? Hanno intenzione di andarci tutti?»

«Ma certo che sì! Sono secoli che non ci danno l'ora d'aria per andare a fare shopping! Ci sarai, vero? Vero? Dai, dai, dimmi che ci sarai...»

«Penso di sì, ma... sul serio sono tutti così felici di andare? Quelli più grandi non si sono già stufati da un po'?»

«Stufarsi di Hogsmeade? Ma quando mai? Ci sono milioni di cose troppo forti da fare!»

«Ehm... se lo dici tu...» Hermione avrebbe potuto definire Hogsmeade in tanti modi, ma per quanto fosse interessante trovarsi nell'unico villaggio abitato al cento per cento da maghi di tutta la Gran Bretagna, non era di certo un posto così fervente d'attività. Le prime visite, al terzo anno, erano sempre divertenti, ma dopo un po' anche la Burrobirra con gli amici ai Tre Manici di Scopa perdeva il suo fascino.

«Allora è deciso! Sabato shopping sfrenato!»

«Ecco, a proposito di quello... niente in contrario, figurati, ma ti secca se me ne vado un po' prima? Avrei, uhm... da fare».

«Oh, uffa! Se proprio vuoi...» E se ne andò con un'espressione delusa decisamente esagerata.

«In cosa mi sono cacciata?» chiese Hermione più a se stessa che agli altri due.

«Sei una ragazza, se è per tornarcene a casa un po' di compere le sopporterai...»

«Lei non è una ragazza come tutte le altre» ribatté svelto Ron.

«Se intendi che ha il cervello montato al contrario, me n'ero accorto».

«Faresti meglio a portare un po' di rispetto al cervello di Hermione, Malfoy, visto che è dieci volte migliore del tuo!»

«Lo sai che per me quello è il complimento che conta di più, sì?»

«Come volevasi dimostrare, è fatta al contrario».

Stavolta Hermione si difese da sola: «Se come termine di paragone prendi quelle ragazze là», e indicò un capannello di aspiranti modelle che discutevano fitto fitto dei loro futuri acquisti a Hogsmeade, «sono ben felice di essere fatta al contrario, grazie».

 

L'attesa fu un autentico dolore fisico per i nostri eroi, ma alla fine venne il gran giorno. Hermione sostituì la divisa, sempre che così si potesse chiamare, con gli abiti Babbani più rispettosi della sua idea di decenza che riuscì a trovare nella vastità dell'armadio (impresa non facile, dato che sembravano essersi ristretti), caricò le tasche di denaro al doppio scopo di essere pronta per comprare i fatidici libri e di lasciar credere a Ginny di avere una gran voglia di sperperarli tutti in altri scampoli di stoffa che con un po' di fantasia potevano essere definiti vestiti e fu pronta per quella che sperava fosse l'ultima fase della missione.

Vedere anche Draco vestito da Babbano, e non troppo maldestramente, a dir la verità, dato che – come spiegò in fretta lui stesso – il suo guardaroba sembrava un negozio d'alta moda in miniatura ed era praticamente impossibile scegliere qualcosa di inappropriato (chissà, forse lasciato a se stesso si sarebbe messo in tutta tranquillità un kilt e un poncho come quel tizio al campeggio nell'estate del Campionato di Quidditch), fu uno spettacolo ben strano, ma aveva pronta una giustificazione così perfetta che probabilmente aveva fatto le prove prima di pronunciarla: primo, gli toccava comportarsi come tutti gli altri, e secondo, quando fossero finalmente scappati avrebbero dovuto fare acquisti in una libreria Babbana, quindi era come essere già sotto copertura e non avrebbe nemmeno dovuto fermarsi a Trasfigurarsi i vestiti per l'occasione.

Si unirono all'allegra processione di vocianti fashion victim immersi in discussioni sulle ultime tendenze e presto, troppo presto, Hermione notò Ginny che si sbracciava per chiederle di unirsi a lei.

«Io vado» sospirò. «Se non mi rivedete entro un'ora, Ron verrà a salvarmi. Ora che siamo riusciti a far capire a tutti che stiamo insieme, non sarà troppo strano se il mio ragazzo mi porta via, chiunque ci veda penserà che stiamo andando a imboscarci chissà dove».

«Buona fortuna. Spero proprio di riaverti tutta intera».

«Per Merlino, Weasley! Sta andando a fare spese, non in guerra!»

«Tu non sai di cos'è capace quella là» replicò Hermione con un brivido. La cerimonia di vestizione per la festa era ancora fin troppo vivida nella sua mente.

Inframmezzando il chiacchiericcio costante di Ginny con qualche “hmm”, “sì” e “certo” dove le parevano più opportuni, ma senza ascoltarla realmente, Hermione fu finalmente fuori dai cancelli. Meditò per un istante di Smaterializzarsi sul posto e scappare prima che fosse troppo tardi, ma una promessa era una promessa, e perfino quella si sarebbe insospettita, quindi le toccava sopportare.

Di lì a poco scoprì che Ginny non aveva avuto tutti i torti a definire Hogsmeade un posto di cui era impossibile stufarsi... a patto di avere la stessa idea di divertimento che sembrava condivisa da tutti i decerebrati che popolavano la scuola. Molto semplicemente, quella non era Hogsmeade. Era più grande, tanto per cominciare, e le casette costruite chissà quanti secoli prima che stavano ancora in piedi quasi solo per magia erano state, a quanto pareva, brutalmente demolite per essere sostituite da edifici dall'aspetto più moderno e sì, doveva ammetterlo, anche un po' più solido, ma infinitamente meno pittoresco. Un'altra caratteristica che saltava all'occhio ad una più attenta osservazione era che rispetto al villaggio che conosceva c'era molta meno varietà nel genere di negozi che si aprivano, teoricamente invitanti, su quella che supponeva fosse High Street. Nel punto dove, se non aveva perso l'orientamento, avrebbe dovuto esserci l'entrata dei Tre Manici di Scopa, occhieggiava invece un inequivocabile night club. Stratchy & Sons, anche se aveva cambiato nome, era riuscito chissà come a mantenere la sua natura di negozio d'abbigliamento, ma esposti in vetrina c'erano jeans che definire “a vita bassa” sarebbe stato un eufemismo, top striminziti che nel poco spazio disponibile recavano stampate scritte molto allusive e minigonne così mini che Hermione sospettò seriamente che qualcuno le avesse rimpicciolite con un incantesimo. Non osava pensare a che aspetto avrebbe avuto il negozio di accessori Mondomago, anche se di una cosa era matematicamente certa: non sarebbe più stato il posto ideale dove divertirsi a trovare calze surreali con improbabili funzioni extra da regalare, rigorosamente spaiate, a Dobby.

«Oddio, che carino, ucciderei per averlo! Dai, entriamo!»

Hermione scoccò un'occhiata, cercando di non assumere un'aria troppo inorridita per il bene della sua piccola recita, all'abitino ridicolmente corto indicato da Ginny. Avrebbe avuto parecchio da dirle: che sperava davvero che quell'“ucciderei” fosse un'esagerazione voluta, che la stoffa era così poca che poteva anche evitare di comprarlo perché non indossare niente sarebbe stato quasi lo stesso, che le sarebbe stata eternamente grata se avesse abbassato il volume dei suoi strilli e, non da ultimo, che il suo sguardo era più o meno accidentalmente scivolato sul cartellino del prezzo ed era dolorosamente ovvio che non potesse permetterselo. Forse fu quest'ultima considerazione, più ancora dei suoi tentativi disperati di tenere su la maschera, a convincerla a tenere la bocca chiusa: sarà anche stata diversa dalla Ginny di sempre, ma con uno sforzo d'immaginazione era lei, e non voleva offenderla.

Risultò che almeno su quell'ultimo punto si era sbagliata di grosso. Le tasche di Ginny – tante, se si considerava quanto poco era vestita al momento: forse i suoi indumenti erano fatti quasi interamente di tasche, come il pastrano di Hagrid – sembravano pozzi senza fondo da cui sorgevano spontaneamente fiumi in piena di monete d'oro che la ragazza era fin troppo felice di spendere senza ritegno, caricando prima se stessa e poi la sua incredula compagna di shopping di una quantità spropositata di borse che forse, a giudicare dalla capienza, erano magiche.

L'ora, che Hermione aveva passato per la maggior parte a guardare Ginny sfilare dentro e fuori da un camerino e a darle pareri falsamente entusiasti a intervalli regolari, stava per scadere.

Curva sotto il peso di tutti quegli acquisti, ansimò: «Scusa, ho... ho bisogno di un po' d'aria fresca. Ti lascio qui la roba, così non la perdi di vista».

Le depositò non troppo gentilmente ai piedi la sua parte di carico, resistendo stoicamente alla fortissima tentazione di dire qualcosa del tipo: “Non sono la tua bestia da soma personale!”, e scappò non proprio a gambe levate, perché sarebbe stato quantomeno sospetto, ma quasi. Lasciamo al lettore il compito di immaginare quale immenso sollievo provò la nostra eroina vedendo una familiare testa rossa in attesa fuori dalla camera delle torture... ops... il negozio.

«Ti prego, Ron, salvami!»

«È andata così male?» s'informò lui, un po' premuroso e un po' scettico, accogliendola in un goffo abbraccio che aveva il doppio scopo di confortarla e di aiutarli a mescolarsi allo sfondo composto in gran parte da fidanzatini ugualmente abbarbicati l'uno all'altro.

«Lasciami fare un bel respiro profondo...»

«E perché, scusa?»

«Perché almeno qui fuori respiro aria, non consumismo allo stato puro. Per piacere, defiliamoci e scappiamo, okay?»

«Ottima idea, dobbiamo solo trovare...»

«Allora? Dai, un'ora in questo posto sono sessanta minuti di troppo, prima mi levo questi cosi più sarò felice...» Draco si era decisamente stufato dei suoi jeans. E anche del fatto di aver dovuto aspettare Hermione per un'ora intera senza nessun altro con cui parlare che Ron, dal quale perlomeno aveva dovuto mantenere un'alquanto gradita distanza di sicurezza, perché intavolare più di una conversazione ridotta all'osso faceva immediatamente scattare i sospetti che fossero una coppia.

«Stavi per dire “Malfoy”?»

«Ecco, allora abbiamo finito di cercare. Filiamocela».

Zigzagarono tra la folla fino a raggiungere il limitare del paese, dove avrebbero dato meno nell'occhio – ciò richiese una scarpinata ben più lunga del solito, ma era per una giusta causa – e si Smaterializzarono tutti insieme.

Smaniosi di farla finita il prima possibile, atterrarono senza inutili passaggi intermedi nel cortile sul retro del Paiolo Magico e si affrettarono a far aprire l'arco. Avrebbero attirato un po' di sguardi combinati così, ma la gente della Diagon Alley che conoscevano loro era abituata a vedere qualcuno in abiti Babbani ogni tanto, specie nei pressi della banca – in fondo non era troppo strano vivere in equilibrio tra i due mondi e dover spesso cambiare valuta – e, tutti e tre sarebbero stati pronti a scommetterlo, i frequentatori di questa si sarebbero stupiti ancora meno.

Di fronte alle porte dell'imponente edificio bianco ebbero un attimo di panico – l'autrice di quell'universo conosceva o no i folletti? – ma furono subito confortati dalla vista, piuttosto sgradevole in qualunque altra circostanza, delle solite creaturine. Erano addirittura più taciturne e scontrose del normale, forse perché la scrittrice misteriosa non era del tutto sicura di come farli comportare, ma c'erano e a quanto pare erano in grado di scambiare il loro oro e argento sonante con una quantità delle care vecchie sterline che a occhio e croce all'esperta della situazione sembrò equa. Un'altra fase del piano era stata completata con successo.

«Problema in vista» annunciò Draco, cercando di nascondere la nota sconsolata nella voce e fallendo miseramente, non appena furono fuori. «Dove la troviamo una libreria?»

Hermione non avrebbe voluto scoppiare a ridere, davvero, ma non poté farci niente. «Davvero conosci così poco la Londra Babbana?»

«E perché dovrei? Quando anche vado a fare spese, arrivo direttamente nel cortile o al massimo al Paiolo Magico. Perché?»

«Perché se ti prendessi il disturbo di mettere il naso fuori sapresti che ce n'è una proprio accanto al pub! Su, muoviamoci».

La previsione della ragazza, a cui anni di compere per i futuri anni scolastici prima propri e poi dei figli avevano dato un'ottima conoscenza di Charing Cross Road e dintorni, si rivelò esatta. Il negozio di dischi sull'altro lato era chiuso e aveva un grosso cartello “VENDESI” in vetrina, ma la libreria era lì in tutto il suo splendore, oggetto occasionale degli sguardi di qualche passante ignaro di cosa ci fosse tra quella e il locale vuoto.

Entrarono e, incrociando non troppo segretamente le dita, chiesero senza mezzi termini della saga di Harry Potter, pregando in silenzio che fosse disponibile almeno un esemplare di ogni volume. Suvvia, quella non era proprio Londra, era una sua copia creata dalla mente di quell'autrice, quindi anche eventuali problemucci cronologici, tipo l'ambientazione in un anno in cui non erano ancora usciti tutti e sette, non importavano affatto: lei li conosceva (definizione un po' azzardata, meglio “era al corrente della loro esistenza”), pertanto dovevano esserci. Punto. O almeno, così speravano i nostri eroi.

«Ma sicuro!» cinguettò la commessa. «E come potremmo non averli? Sono una fan perfino io, sapete, e... vi rendete conto di dove siamo? Il negozio confinante una volta vendeva dischi, me lo ricordo ancora, quindi potrebbe tranquillamente esserci qualcos'altro in mezzo, no? Sarebbe davvero da stupidi finire le scorte di Harry Potter proprio qui... oh, scusate tanto, mi sono lasciata un po' prendere... torno subito!»

Sparì da qualche parte sul retro e ne tornò con una torre pericolante in cui riconobbero quelle copertine colorate che avevano reso le loro vite un inferno. Li scaricò sul bancone ed ebbero modo di notare che, con la precisione maniacale che solo un'appassionata poteva avere, li aveva impilati in ordine cronologico, con il più recente in alto. I suoi occhi saettarono dal ritratto dei tre amici di sempre travolti da un'ondata di oggetti preziosi ai volti dei suoi clienti... e si dilatarono più o meno quanto quelli della professoressa Cooman, ma senza bisogno di occhiali.

«Oddio, ma somigliate un sacco a... a... non so se mi spiego, avreste dovuto fare i provini, voi tre... questa me la segno, poco ma sicuro...»

«Non sappiamo recitare» mentì Hermione, che pure negli ultimi tempi aveva recitato abbastanza da guadagnarsi l'Oscar, sperando che il suo tono di voce risultasse perfettamente innocente. «Ci avranno fatto notare la somiglianza centinaia di volte, ma nessuno di noi è un granché come attore».

Lasciarono a lei il compito di pagare per non far vedere alla commessa quanto fosse penosamente scarsa la loro confidenza con le sterline, si divisero più o meno equamente il sospirato bottino e se ne andarono con dei gran sorrisi che, a ben pensarci, non erano di circostanza, visto che stavano per tornare a casa. Ripiegarono in una traversa poco frequentata, e quindi perfetta per sparire senza che nessuno se ne accorgesse.

«Un momento!» li fermò Hermione un istante prima che si Smaterializzassero. Tenne aperta la microscopica borsetta abbinata ai suoi abiti Babbani che a malapena si meritavano il nome di abiti, a cui aveva saggiamente aggiunto l'ormai consueto Incantesimo Estensivo Irriconoscibile, e intimò: «Metteteli tutti qui. Non c'è modo peggiore di dare nell'occhio che presentarsi carichi di libri in un posto dove probabilmente qualcuno neanche sa leggere».

Ubbidirono prontamente e infine furono pronti a rituffarsi in quell'inferno per quella che speravano fosse l'ultima volta.

Il giretto a Hogsmeade, ufficialmente, stava finendo, anche se tra la folla c'era un gran sussurrare di festaioli incalliti che progettavano di tornare nottetempo per folleggiare in qualche locale. Si accodarono agli altri, furtivi e silenziosi, desiderando intensamente di passare inosservati. Impresa decisamente non facile.

«'Mione! Dov'eri finita? Alla faccia dell'aria fresca! Hai idea di che fatica sia stata portare tutta quella roba da sola?»

«La prossima volta compra solo quello che sei sicura di riuscire a trasportare, allora» sbottò Hermione, che normalmente avrebbe considerato molto imprudente comportarsi da sana di mente in quel mondo di pazzi, ma ormai, dato che stava per lasciarlo, sentiva di potersi permettere tutto.

«Ma... ma... c'erano tante di quelle cose carine! Lo sai che non resisto!»

«Lo shopping compulsivo è curabile, sai?»

Hermione ebbe come la sensazione che la sua borsetta stesse vibrando, ma la bollò come una falsa impressione. Da quelle parti i cellulari funzionavano, ma non ricordava di averne portato uno con sé, quindi era impossibile, no? Non c'era nient'altro lì dentro che potesse vibrare.

Ma la vibrazione aumentò man mano che si avvicinavano al castello. Una volta superati i cancelli, divenne così forte che dovette tenerla ferma perché il movimento non si notasse. Dentro l'edificio fu peggio che mai: gli altri due si erano ormai accorti da un pezzo che qualcosa non andava e la accompagnarono di corsa in biblioteca, loro guardandosi l'un l'altro perplessi senza capire cosa mai fosse quella specie di animaletto vivo che lottava nei recessi della borsa, lei con l'oggettino stretto al petto nel tentativo di non farselo sfuggire.

Soltanto quando furono soli, con le istruzioni per tornare a casa aperte su uno dei tavoli da lettura, Hermione poté liberare la cosa. O meglio, le cose, dato che i colpevoli erano proprio i sette libri della saga, che appena usciti dalla borsetta fuggirono a gambe... o pagine... levate, cercando disperatamente di non farsi acchiappare. Alcuni puntavano alla porta, altri alle finestre, ma l'intento era chiaro: volevano uscire. Hermione schiacciò due dei più piccoli, che volevano svicolare l'uno saltellando e l'altro strisciando, per costringerli a restare sul tavolo, e riuscì a raggiungere anche un terzo tomo che se ne stava andando piano piano, agitandosi convulsamente ma senza concludere molto quanto a velocità.

«Per le mutande di Merlino, Malfoy, vuoi deciderti ad aiutarci? Qui il Cercatore sei tu, ce ne sono un paio che stanno volando, vedi di arrivarci!»

Sentendosi così aspramente rimproverato, o forse perché era stato punto nel suo orgoglio di giocatore, Draco si affrettò ad afferrarne uno davvero grosso che planava spalancato in giro per la stanza, con le pagine a mo' di ali, e si gettò all'inseguimento di un altro di quelli consistenti che in effetti si comportava all'incirca come un Boccino troppo cresciuto. Lo raggiunse con un insospettabile salto niente male e si unì a Hermione con un libro sotto ciascun braccio, facendo mostra di aver fatto molta fatica.

«Tu non ti lamentare!» gli urlò Ron, che aveva decisamente ragione ad essere arrabbiato, dato che stava ingaggiando una lotta furiosa con gli ultimi due, che tentavano rispettivamente di morderlo e di prenderlo a botte in testa. Fu un incontro di wrestling due contro uno piuttosto emozionante, che alla fine il nostro eroe vinse con un grido di trionfo.

«Ma... perché... fanno... così?» annaspò.

«Non sono sicura, ma ho una mezza idea».

«Mezza è sempre meglio di nessuna, sputa il rospo» le intimò Draco.

«Secondo me», azzardò lei, «qui è tutto così diverso da quello che descrivono che i libri hanno orrore di questo posto. E sì che in biblioteca dovrebbero sentirsi a casa!»

Miracolosamente, con l'aiuto degli altri due, Hermione riuscì a liberare una mano per poter far apparire una corda con cui legarli in una sorta di pacchetto dall'aria molto ribelle. Ai ragazzi fu affidato il compito di tenerlo fermo, mentre lei seguiva scrupolosamente il paragrafo di indicazioni. C'erano movimenti di bacchetta che avevano poco da invidiare all'eleganza di un balletto e abbastanza paroloni latini da bastare per una vita intera, ma doveva aver fatto tutto come Webster comandava: la colonna di libri diede un ultimo violento scossone e finalmente si acquietò, cominciando invece a splendere dall'interno della stessa luce bianca che li aveva portati lì.

 

Un flash, qualche lacrimuccia per lo sforzo a cui avevano costretto le loro povere pupille e una puzza molto sospetta di plastica bruciata più tardi, eccoli tutti e tre, vestiti esattamente come quand'erano partiti, riuniti davanti al computer di casa Weasley-Granger. Computer che, come commentò poco cerimoniosamente Ron, era decisamente andato, ma pazienza.

«Io queste fan-cose non le leggerò mai più!»

«Fai bene, Ron. È passata la voglia anche a me».

«Be', allora io vado» annunciò Draco, girando sui tacchi.

«Ma come?» saltò su Hermione, fintamente sorpresa, dopo un'occhiata all'orologio. «Tecnicamente è passato a malapena un secondo, e tu sei appena arrivato!»

«Se questo è un secondo, è stato il secondo più lungo della mia vita. Alla prossima, se ci sarà... ne ho avuto più che abbastanza di rivangare il passato».

«Ma quello non era il nostro passato... non proprio. Allora ciao, e sta' lontano dalle fanfiction. Sono pericolose».

 

Note dell'Autrice: grazie mille a Beatrix_ e FaDiesis che hanno inserito questa storia nelle seguite.

PS: secondo il sito dove l'ho trovato, Hubert significa “mente brillante” o “intelligente”. E il cognome Webster dovrebbe essere collegato a “weaver”, cioè “tessitore”, il che molto alla lontana potrebbe anche dare l'idea di “rete”, ma in realtà l'ho scelto perché comincia con “Web”. Nel senso di Internet. Sciocchezza immane, lo so.

PPS: sì, lo so che in molte fyccy la regola “niente Smaterializzazione” viene ignorata, ma in questa no, perché... perché se no sarebbe stato troppo facile per i nostri eroi, giusto?

PPPS: ma quanto bisogna essere fissati da uno a dieci per sapere a memoria che l'entrata del Paiolo Magico è tra una libreria e un negozio di dischi su Charing Cross Road? Cosa molto realistica, tra l'altro (complimenti, zia Jo!), visto che sono i due tipi di negozi per cui quella strada è più famosa e mi sa che trovarne due vicini è fin troppo facile. Ho pensato che quello di dischi potesse essere andato in rovina perché la scena in cui viene nominato si svolge nel 1991, mentre adesso se la gente vuole della musica di solito se la scarica. Un negozietto nella mia città che io ho sempre immaginato molto simile a quello ha fatto la stessa fine, per cui mi sembrava che avesse senso.

PPPPS: la descrizione della copertina si riferisce all'edizione inglese.

PPPPPS: sono davvero tanti PS, ma questa ve la devo proprio spiegare: come avrete notato, ciascun libro si comporta in modo diverso. Il loro modo di scappare dovrebbe, in teoria, avere una ragion d'essere:

  • quello che saltella è La Pietra Filosofale, che è un po' più per bambini e quindi è come se volesse giocare;

  • quello che striscia è La Camera dei Segreti, per un motivo che se l'avete anche solo aperto indovinerete sicuramente;

  • quello che morde è Il Prigioniero di Azkaban, per via del Libro Mostro dei Mostri;

  • il Boccino gigante è il Calice di Fuoco, che per via della finale di Coppa del Mondo e dello Spinato ha un sacco di scene di volo veramente epiche;

  • quello che prende a botte in testa è L'Ordine della Fenice, che è rozzo e violento come Grop;

  • quello che si agita è Il Principe Mezzosangue, che si comporta come la scatola delle cose rubate del piccolo Tom;

  • quello che usa le pagine come ali è I Doni della Morte, che doveva essere più serioso e solenne perché, come da locandina, “It All Ends Here”.

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