Recensioni di Flora

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Recensione alla storia Nel Giardino del Bene e del Male - 16/01/16, ore 03:22
Capitolo 1: Nel Giardino del Bene e del Male
... Morivo dalla curiosità di leggere questo racconto, perché amo le fonti originarie (sia il film che il libro che lo ha ispirato), e sapevo che ne avresti tirato fuori qualcosa di bello. Anche prima di leggere il pezzo, trovavo il materiale originario molto nelle tue corde: c'è passione, eleganza, sentimenti forti e oscuri al tempo stesso, oltre a un'ambientazione storica che so di tuo gusto - dunque gli ingredienti c'erano davvero tutti.

E infatti avevo ragione: hai fatto veramente un lavoro pregevole, in cui nulla sembra lasciato al caso, come un arazzo prezioso in cui ogni singolo filo svolge un compito capitale, nel sostenere la trama.

La cosa che più colpisce, almeno ai miei occhi, è il leitmotiv "botanico" che scorre in ogni vena tematica (o potrei dire nervature^^) del pezzo, a partire dalla voce narrante, che è quanto di più originale avresti potuto pensare: il Giardino - che assume i connotati di un Eden pagano che funge da culla - prima - e da alcova - poi - sebbene quest'ultimo ruolo lo assuma certamente suo malgrado - per le due figliocce.
Amo il fatto che la narrazione inizi prima della nascita di Lucy e Mina - come a voler conferire una dimensione più grande, al di fuori del tempo, a questi occhi altro-da-umani che poi osservano la venuta dei due piccoli bocci, li guardano sbocciare nel rigoglio degli anni - e infine cadere.
Tutto, nel testo, segue questo tema, a partire dal lessico: ho adorato che tu abbia accostato alle due ragazze definizioni che originano dalla botanica (quelle radichette e fusticini che creano un'immagine quasi magica, favolistica) - tanto che, nella lettura, a un certo punto le immagini si sovrappongono, e ho avuto la sensazione che l'umano si confondesse con la materia vegetale - e poi, con quella animale, quando la Bestia entra in scena, recidendo lo stelo di Lucy.
Sei riuscita a creare un'atmosfera magica e arcana - pagana, dicevo, perché questo accostamento tra mondo umano e naturale riconduce inevitabilmente a quell'universo panteistico dove ogni elemento presente in natura conserva in sé una scintilla di divino.

Il testo è davvero ricchissimo - sia a livello stilistico che tematico; molti di questi temi sono sviscerati nelle note, ma in alcuni casi le ho trovate quasi ridondanti, perché il loro significato intrinseco era già detraibile dal testo - e sono i momenti che amo di più, a dire il vero. Come forse ti avevo già detto in altra occasione, amo quando la lettura fluisce libera - il più possibile scevra da note a margine - e l'incanto si crea nel testo stesso, tramite piccoli semi che poi fioriscono spontaneamente nella mente del lettore. La narrativa deve essere il più possibile autosufficiente, ed è ciò che la divide dal saggio o dall'opera divulgativa, almeno secondo me. Altrimenti la magia rischia di spezzarsi, e il mondo dietro lo specchio va in pezzi. La magia svolge al meglio il suo ruolo quando il trucco si vede il meno possibile. :)
In questo caso tu, a mio parere, ci sei riuscita molto bene: le note sono un aiuto in più - un gradito approfondimento, diciamo, che è poi la funzione che è loro precipua - ma il significato pregnante è già nel testo, e infatti le note le ho lette solo alla fine, come una piacevole aggiunta a un piatto già completo in sé.

Lo stile è ricco, denso direi - come una bevanda dal sapore forte, che rischia di stordire; a tratti fin troppo, ad essere sincera. Certamente, in un pezzo di questa brevità, è giusto osare dei virtuosismi stilistici, che in un racconto lungo rischierebbero di stancare il lettore, e soverchiare ogni altro aspetto della narrazione, come lo sviluppo della trama e dei personaggi. In un racconto breve, dicevo, si possono fare molte sperimentazioni ma qua, a tratti, ho trovato la ricchezza di stile quasi eccessiva - il barocco che a sprazzi diventa lezioso, perché la linea di demarcazione tra i due aspetti è spesso molto lieve.
Ripeto, è una sensazione che ho avuto solo a tratti - principalmente quando l'aggettivazione si fa troppo pressante, quasi a voler togliere al lettore il gusto di immaginare, per suggerirgli ogni minima sfumatura.
Ti faccio un paio di esempi, così da esser più chiara:

già pienamente verde e rigoglioso, già Eden, il giardino aveva anticipato di generazioni i loro primi, teneri accenni di foglie.

virgulte, curiose mani a pizzicare ora un fiore, ora un ramoscello indifeso – il Giardino ricambiava quei dispetti molesti, graffiando le guance con le frasche, tirando i capelli infiocchettati, pungendo le dita con le dure spine delle sue figlie più belle.

Lucy svolazzava qua e là, nella sua stagione più bella, perché le perfette promesse[7] di felicità le avevano piantato sulle spalle nude incostanti e meravigliose ali di farfalla, e con quelle andava leggera di fiore in fiore, risplendendo di riflessi bianchi e rossi mentre ai piedi dell'arco si inscenava un dolce dramma

il suo corpo, viscido e lontano, seppellito nella terra cupa e odorosa della sua Transilvania

i pallidi piedi nudi che carezzano i gradini di pietra e affondano fra l'erba bagnata;

In alcuni casi, nelle frasi che ti ho citato, per ogni sostantivo sono presenti anche due o tre aggettivi - e la scorrevolezza ne trae disagio, togliendo ricchezza al tessuto immaginifico, anziché accrescerla.

Quando invece, nelle altri parti del testo dove la mano si fa più sobria a trattenere la briglia del virtuosismo, la ricchezza descrittiva e lessicale regala immagini memorabili, che davvero fungono da catalizzatore per l'immaginazione, suggerendo un caleidoscopio meraviglioso (e a volte terribile, come nell'amplesso con Dracula) di suoni, colori, immagini, scene. Le bambine-pianta, semi quiescenti nel ventre della madre, le fanciulle-Menadi, il giardino che si fa Madre premurosa, e poi matrigna, l'utero vischioso del Diavolo, e molte altre.

Dunque davvero complimenti per questo lavoro così ricco e curato, che davvero non può lasciare indifferenti, e che mi ha regalato emozioni davvero intense.