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Recensione alla storia La fine di un eroe - 01/05/14, ore 00:29
Capitolo 1: La fine di un eroe
Ho cose tante cose da dirti che ho il terrore di non ricordarmele tutte!
Prima di tutto: SPIEGATEMI PERCHè QUESTA OS NON HA 187165987 RECENSIONI?!? No, perché davvero non me ne capacito.
Oltre ad essere scritta benissimo, e ti faccio i miei complimenti perché hai uno stile che fa immergere subito il lettore in quello che legge, trasmette davvero tante cose.
Premettiamo: sono capitata davvero bene.
Spiderman – aka Peter Parker – è il mio supereroe preferito. E io non sono una di quelle che “Si, che bello Spiderman, l’ho visto al cinema”
No no.
Io ho collezionato ragni per una vita, avevo tipo 4 microscopi diversi e cercavo di replicare la stessa formula del DNA di Peter per avere i suoi super poteri.
Ho passato le nottate intere a leggere e rileggere i fumetti di Stan Lee.
Avevo il videogioco, i film, i cartoni, le cassette.
Insomma, sono abbastanza informata sulla questione.

Perciò sono davvero contenta di essere la prima a recensire e di lasciarti una recensione.
Ma andiamo con ordine.

Lo stile è fluido, come ti ho detto prima, e hai una costruzione delle frasi che fa si che il lettore legga con facilità e scorrevolezza. Non ho trovato errori grammaticali significativi, forse una svista o due, ma quelle sono errori di battitura o impaginazione, perciò non c’è da allarmarsi.

Ora, tornando a noi.

“Le stelle non ci sono. Il buio è calato e il cielo è limpido. Ma le stelle non ci sono. Non riesce a vederle più. Allora cerca di nuovo la sua fiaschetta perché la nebbia è più facile alimentarla che mandarla via. Ma la fiaschetta è vuota. E la testa è vuota. E il cuore è vuoto. L’uomo comincia a camminare. Non sa dove sta andando, lo ha dimenticato tempo fa."

Da qui ho iniziato ad avere un vuoto al petto. Dico sul serio.
Forse se si legge il testo con superficialità si può pensare che l’uomo abbia perso l’orientamento a causa dell’alcool.
Ma la colpa non è solo di quella fiaschetta che ha in mano.
Le stelle di cui parla sono morte. Sono sepolte, sotto la terra e lui non sa più dove andare.
Le stelle di solito sono sempre dei punti di riferimento: ebbene, quest’uomo non ha più un punto a cui fare riferimento, non ha più stelle.
È vuoto, come il cielo che lo sovrasta, come il contenitore argenteo che ha sempre con se.

“Ma l’anziana non si è mossa di un millimetro. Il suo viso non esprime paura. Ma tristezza. Le lacrime le colmano gli occhi, ma lei se le asciuga ancor prima che possano scendere. L’uomo non sa cosa fare. Non capisce. “Perché piangi?” Chiede allora, ingenuo come un bambino. “Oh, Peter” La voce dell’anziana è rotta, nostalgica. “Senti, non so se sia per colpa mia o di questo Peter, ma se è colpa mia mi dispiace. Semplicemente non volevo essere imbrogliato, e adesso è meglio che vada” L’uomo parla tanto velocemente che si mangia alcune parole, poi, nervosamente fa per per cercare le scarpe che trova ai piedi del letto senza tanti problemi. Anche la donna si alza, gli occhi sono ancora più gonfi di prima. “Non ricordi niente?” Supplica: “Sono zia May!” La donna ha iniziato a singhiozzare. “Sono io, Peter!”. L’uomo sente una disperata urgenza di andarsene. La saliva gli viene a mancare e le mani iniziano a tremare violentemente, tanto che non riesce ad allacciarsi le scarpe. Allora le lascia così, slacciate, prende il cappotto e si affretta verso la porta, ma l’anziana lo segue. Le sue mani ruvide gli toccano i capelli, le guance. “Devi ricordare qualcosa! Devi!” Scongiura la donna.”


Qui la mia resistenza è stata messa a dura prova. Il personaggio di Zia May è qualcosa di… Non riesco a trovare delle parole. È una figura che in realtà molto spesso viene messa in disparte, perché si da la precedenza all'azione e a tutto il resto.
Zia May, nella sua quotidianità, è un esempio di eroe (o eroina?)
In inglese c’è una espressione, “to keep yourself together”, nel senso che non si cade a pezzi davanti alle difficoltà.
Ecco, lei è questo. Zia May non si è lasciata distruggere e cadere a pezzi, è un caposaldo. Anche quando si vede portare via le persone a lei più care, compreso il nipote ormai perso, è sempre un personaggio pieno di dignità. Apprezzo molto questo aspetto che hai fatto risaltare, dico sul serio.

“<< Ci vieni davvero? >> Gli occhi della rossa si illuminarono.
<< Certo >> Affermò Peter, che quegli occhi avrebbe tanto voluto baciarli. Se solo lui non avesse avuto una missione da compiere. Il suo potere era stato una benedizione molte volte, ma altre si era trasformato in una maledizione.
<< Allora ti aspetto. Non mi deludere! >> Aggiunse la ragazza, poi gli diede un bacio lieve e fresco come una folata di vento sulla guancia, e si ritirò in casa.
<< Non lo farò >> Sussurrò Peter mentre si toccava la guancia destra.”

Momento romantico e Peach incarna perfettamente l’espressione “crying her heart apart”.
Ho preso questo pezzo preciso di tutto il dialogo perché volevo farti notare una cosa, che probabilmente è frutto della mia fantasia, ma che non posso fare a meno di scriverti.

“<< Ci vieni davvero? >>
<< Certo >>
<< Allora ti aspetto. Non mi deludere! >>
<< Non lo farò >>”

Togliamolo dal contesto in cui è stato scritto: ora dimmi te se non sembra una promessa eterna.
Peter le ha promesso che andrà a vederla, a trovarla.
E in realtà così ha fatto. Non a teatro, ma al cimitero.
Lui alla fine c’è andato.
E credo che tornerà a vederla e a vederla altre milioni di volte. Perché ha fatto una promessa alla quale non può non restare fedele.

Da questo punto della OS dovrei evidenziarti praticamente tutto, perché non so davvero cosa non commenterei.
E perciò cercherò di essere breve (si, il dono della sintesi non è il mio forte!)
Una cosa che mi ha colpito è che, diradata la nebbia, Peter in realtà è consapevole. Non c’è nessuno shock, nessuna amnesia post-traumatica, ma un uomo consapevole.
Consapevole della perdita che ha subito, consapevole della “colpa” che ha nel aver perso quelle persone.
Non consapevole però del suo dolore. Dolore che lo lacera dentro a livello di un dolore fisico.
Qui davvero ho sentito il mio cuore strapparsi, il cuore di Peter diventare un fiume di montagna.
E c’è sempre la figura di Zia May, angelo protettore di questo uomo così vuoto ma così pieno allo stesso momento, che lo osserva e lo protegge da lontano.

E infine, la vera fine.
Per tutti questi anni, accanto alla sua fuga- l'alcool-, per Peter c’era sempre stata “l’altra” via di fuga
Perché per certi versi, Spider Man per lui era a volte una fuga.
Ha sempre avuto la maschera lì.
E non so come interpretare questa cosa: se come un segno del fatto che non fosse importante farne qualcosa di diverso che lasciarla in tasca; oppure che quel pezzo di stoffa e vetro ha avuto, nel corso degli anni, un ruolo preciso per Peter, quasi a ricordargli da dove tutti i suoi problemi derivino.

“ E’ notte quando finisce. E’ notte e lui vede le stelle. Sono tante, sono bellissime. Sono libere. Peter raccoglie la maschera e se la mette un’ultima volta. Sa di vertigini e di dovere. Da un grande potere derivano grandi responsabilità. Si toglie la maschera, la piega su se stessa e la seppellisce nel buco che ha scavato. Le unghie sono nere. Ricordatelo sempre Peter. Ricordatelo sempre.
E’ questa, la fine di un eroe.”


Credo si commenti da sola.
Il gesto di rimettersela un’ultima volta è davvero significativo.
Un’ultima volta prima della fine.
Le stelle sono tornate. Forse dei nuovi punti di riferimento si fanno avanti.
Forse Peter doveva lasciare la stella più grande che aveva e che lo teneva lontano dalle altre, non facendogli vedere il resto.
Forse era abbagliato dalla stella più grande.
E ora, sepolta quella stella, torna a vedere bene.




La mia forse è una recensione chilometrica senza un vero senso logico, ma voglio che tu sappia che mi ha davvero entusiasmato leggerla.

Grazie per averla scritta,
Peach.