Recensioni di Minaoscarandre

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Recensione alla storia Pur - 26/04/24, ore 20:21
Capitolo 56: Di burro, zucchero, vaniglia e cacao…
Mi sono risolto.
Mi sono voltato indietro.
Ho scorto, uno per uno negli occhi i miei assassini. Hanno – tutti quanti – il mio volto. ~ Giorgio Caproni ~

Per poi riscoprirsi vivo all’improvviso, rovente di un nero gangiante, inaspettato quasi come quel treno nel campo di girasoli, come il solitario iris in barca al largo del cielo stellato, gli scarponi dismessi adesso calzati, il letto, una volta solo, ora coltre di ricordi, vivo in quadri che per strada hanno perso bordi e cornici. Si riscopre con la stessa vecchia faccia ma che ha mangiato polvere, medesima eppure impallidita stella, certa di tutto e nulla, e che pure taglia vivo labbro e sapore dell’errore, espone il dente lucido di speranza. È l’unica a sorreggere il bianco lillà colto oltraggioso e bello sul suo sentiero ma a metà tra partenza e arrivo, mai giunto in nessun dove se non nel paese più straziato del suo cuore, con tutto il trascorso, un tempo illuminato davanti agli occhi, adesso cane che lo morde e insegue.
Sola, ora la tegola di un tempo a tempo gli casca addosso, tagliente e già sbrecciata, con la sabbia al fondo della clessidra, cenere della sua voce bruciata, richiamo caduto nel vuoto per chi può averla udita ma, forse, non ascoltata.

Ti abbraccio,
Sabrina
(Recensione modificata il 26/04/2024 - 08:27 pm)
Recensione alla storia Pur - 02/04/24, ore 17:21
Capitolo 55: Sì...
Cosa è costante, al mondo?
Fritillarie in un vaso di rame. Due logori
scarponi, segnati da piedi deformi. Un iris solitario.
Farfalle. Erbe indolenti.
Quattro anni ancora, ignaro della data
finché vorticose sbanderanno le stelle
dentro il cielo notturno, 
i corvi tempesteranno il tuorlo del mezzogiorno, tutto si altererà, avanzerà, traboccherà…

Per ora cerca di comportarti normalmente.
Cerca di guadagnare, sii fermo, indipendente.
Le stampe giapponesi sono in gran voga.
Imitale: le loro quiete, rigide
ombre pastello, il loro formale, piatto
– qualcosa intorbida il fondo, rotola in onde
più vicino, qualcosa dentro, qualcosa sotto
quattro anni ancora –

Sottobosco, allora. Tornato di moda
ma in stile tradizionale. Esercita
il tuo mestiere, l’arte di disegnare, la disciplina,
trattieni il timore per quanto intorbida e si torce turbinando al fondo. Sottobosco. Sì. Però domato, ordinato.
No, la tua tavolozza-coltello sfregia il sensibile.
Il tuo imbrattare percola una forza che si inarca,
si attorciglia, tre anni ancora 

preme ogni lama d’erba e la piega
a un vento senza uguale.
Il sottobosco dilaga dal basso
da ciò che non può essere visto là dove
le radici degli alberi avvitano le nocche ad afferrare –
Gli alberi, oggi, fanno tendenza. I viali. Imponenti, solenni,
maestosi. Truppe in formazione.
Cerca di comportarti normalmente, dipingi alberi.

Ma questi rami e tronchi si annodano e deformano,
li aggroviglia una forza che sconvolge
le linee rette, nel lavorio, sotto la spinta
del crescere. Non è normale? Forse,
ma non è popolare. Oppressa
la gente non vuole vivere con queste storpie
tenebre alle linde pareti. Cerca
di comportarti normalmente. Non c’è sicurezza, non indipendenza

possibile, soltanto questo andare ai margini di un campo di –
Guarda! Guarda che cosa irrompe! Grano radioso, spighe
languide gru giallo limone dal lungo arco del collo tuffato in uno stagno.
Nature morte, allora. Sempre affidabili. Frutta in una coppa. Fiori
pastello amabili. Ma guarda! Volgari, sfrontati girasoli, spigolosi
comuni – un’offesa, per chi colleziona. Due anni ancora.
Pere, allora. Pesche, una mela. E quiete
finalmente. La coppa posa immobile. Qualcosa da comprare, appendere

conservare… ma l’aria, guarda, e lo spazio
che accerchia la frutta, che assedia la coppa:
sfregi di tavolozza-coltello a centinaia, fitti segni pulsanti
che fanno crepitare la bufera soffiando da vicino. Un anno ancora.
La norma non si trova, la retta in natura
non esiste, la natura non è morta, la tela non è piatta,
perché qualcosa avanza a ondate, percolando
da sotto. Muoverà le stelle a stravolgere il cielo notturno,

i neri uccelli a tempestare il mezzogiorno, a denudarsi l’aria.
Quando una sola fucilata spaventerà i corvi
non ci sarà più attesa, non resterà più tempo. È ora
di entrare nel campo di grano, nei gialli fulgenti
ai cui bagliori ancora trasaliamo, nei blu bui come bruma
nei bianchi grigi di sfinimento. Entra nell’energia
che si srotola nella tua mente, osserva più dimensioni
arcuarsi nella prospettiva, entra nel grido

del colore, nel momento di torsione che diranno follia
ma che tu saprai essere salute, entra dentro il vigore
che darà centinaia di opere in quelle ultime
settimane: per ciascun giorno, un capolavoro.
Accogli il turbine del vento
lascia che la bufera ti rompa
nella testa, ti rompa
dentro il cuore
e lascia andare il resto, così che
la pioggia
una pallida cortina che altera
teneri verdi fradici di blu fantasma
possa slavare il dolore in una grazia
oltre la pace o l’abbandono
infine
vinto.


Robin Morgan ~ Ai margini del campo di grano ~


Anno più, anno meno, quattro, tre, due, l’inesorabile conto ne rovescia ancora uno e forse un altro ancora ad accorciare spazio e tempo, mezzi passi dallo zero di un luglio feroce, impietoso cecchino di vita e padre d’eterno. Incalzante sornione, il conto, presenta, con urgenza prepotente, a storia e Storia un debito di nuovo colore e di futuro, di rosso e di sangue, da saldare ed estinguere, o forse, a seconda, credito da mettere in banca.
Affilato, il tacito sguainare della lama intanto non sgozza il sottile cordame rozzo di parole intorno al collo e, allora, un alfabeto di miserie scandisce la sua maiuscola viscosità di melma e fango su maschera e volto, ché l’identità forse è definita dal tratto scuro e profondo dell’azione piuttosto che da quello dell’essere.

Ed è ad occhi chiusi che il frinire sordo degli eventi canta incessante sul limitare di un’estate che verrà e incenerisce inclemente il passato di giallo e di oro.
Regina, esplode rabbiosa nel narrato la Narrativa e di contro al fuoco dell’affidabile bugiardo, convincente narratore per accumulo di infranta immagine ma, ancora, incapace di salvare se stesso. In una piazza dove i timidi e dubbiosi interrogativi scompaiono al cospetto di esclamativi puntuali e ingannevoli, la realtà purtroppo è un processo senza appello mentre nel sangue scorre filato il veleno con lo zucchero, amaro di libertà piena e di scelta.
Mentre il silenzio, opposto come unico scudo alla finzione narrata, non ricompone l’immagine di maschera e volto, non è il sì della ragione che permette la riconciliazione del quieto vivere nello zoo con la sopravvivenza libera nella giungla; il no antico, oscuro e del sangue, è in erba ai margini di un giorno di luglio come se quei fili verdi e lunghi fossero trasfigurati di giallo, ai margini di un campo di grano che prende fuoco e arde.

Un abbaccio e grazie.

Minaoscarandre 
(Recensione modificata il 02/04/2024 - 05:37 pm)
Recensione alla storia Pur - 15/02/24, ore 11:01
Capitolo 54: Rouge ou blanc
A certi uomini arriva un giorno
in cui devono dire il grande Sì 
o il grande No. Si riconosce subito colui
che in cuor suo ha pronto il Sì, e pronunciandolo
fa un passo in là nella sua stima e nella convinzione.

Ma chi ha fatto il rifiuto non si pente. Se tornassero a chiederglielo,
No direbbe ancora. Eppure ne viene stremato
da quel No - così giusto - per tutta la sua vita.

~ Che fece ... il gran rifiuto ~ 

Constantino Kavafis 

Il ragionamento torna così bene da condurre alla follia, doppio, triplo, quadruplo, infinito come di ripetuta immagine allo specchio davanti allo specchio, dell’altro, e alle sue finite e rotonde ragioni. Brillante e quadrato, senza un fondo dove (an)negare o a andare a vivere, col punto di fuga sempre piu piccolo, lontano, inghiottito.
Ed è lento il suono della porta che si chiude sull’Amore accolto fino in fondo, in un accordo che fredda anima e cuore nella stretta che ha i denti serrati in bocca. E allora è gabbia d’acciaio, e pure ferruginosa, quella a lambirne il collo, lo smalto a grumi e di acide lacrime a laccarne l’amara libertà.
Non un sol passo avanti e nessuno indietro, quello del vecchio destino da essere salvato o, altrimenti, scongiurato in ginocchio.

Grazie e un abbraccio

Sabrina 
 
Recensione alla storia Pur - 12/02/24, ore 20:21
Capitolo 53: Le coeur de Paris
Ci sono al mondo due categorie di individui: coloro che credono nell’incredibile, come gli altri, e coloro che fanno l’improbabile, come me.”  
~ Oscar Wilde ~  Una donna senza importanza 

Assurda provocazione, ovvia eppure folle, quella del bene, all’occorrenza puro avverbio invariabile e che, pure, come fosse un forse e un domani, spalanca la porta al possibile, infinto. 
Intanto però è probabile che l’inafferabile sia nello sfondo del quadro, che sia lì, racchiuso, solo quel che conta, nella grande follia da tener nascosta e con l’agonia differita di quel bene puro e ‘letterato’, che sa leggere e scrivere, che si ostina a distinguere il sé dell’una dall’altro, in primo piano. Che in realtà, nella verità filtrata da mille maschere cangianti, il bene sacrificato per sé all’altare dell’uno non è che l’esponente nullo d’accrescimento per l’altro, il fallito zero che annulla la somma di vita, prodotto di felicità.  
Il futuro forse inciderà un’altra linea su questa storia, una firma gloriosa apposta sul bruto fatalismo di Storia e storia, chissà allora se una maschera calata tagliarerà via la faccia per sempre, se l’incredibile non coincida in fondo e sempre con l’improbabile che accade e diventa storia, se regna possibile e possente solo quel che è accaduto.
Ti ringrazio e ti lascio con parole non mie ma che dicono la loro.
Un abbraccio, 

Sabrina

Se Pirro non fosse caduto ad Argo per mano di una strega, o Giulio Cesare non fosse morto accoltellato. Cose che non vanno accantonate, segnate dal tempo col suo marchio, che in catene dimorano nel luogo delle infinite possibilità che esse hanno spodestato. Avrebbero potuto essere possibili visto che non furono mai? O fu possibile solo ciò che avvenne?  ~ Stephen Dedalus ~ 

Joyce ~ Ulysses
Recensione alla storia Pur - 18/01/24, ore 15:08
Capitolo 52: Un souffle de vent
“LIBERI TUTTI! È il più bel gioco del mondo. Non basta fare a
nascondersi, non basta fare a rincorrersi. È un gioco complicato e  disteso come una rete. Ecco: v'è un centro, punto di partenza, e si chiama «la tana»…

poi arriva il “Trentuno!” ..

Ma non basta andare a scoprire il lepre nel nascondiglio.
Qui il gioco si complica. Il cacciatore nella sua ricerca ha dovuto
allontanarsi, ha fatto qualche svolta, non ha più la via e forse neppure la visuale diretta verso la tana. Ora il lepre scoperto balza e fugge, e se riesce a raggiungere lui la tana, il cacciatore è perduto, l'altro trionfa e può di là proclamar libero chi vuole, anche tutti: «Liberi tutti!». Dunque, snidatolo, bisogna inseguirlo e afferrarlo a tempo. Intanto gli altri saltan fuori, chi di qua chi di là; s'erano affondati nel suolo, incarnati negli alberi, disciolti nell'aria; ora avanti ai suoi occhi si riplasmano, riappaiono; lui s'è voltato, nè riuscito ad afferrarne due, uno per ogni mano, che è già un'impresa grande, e sente la voce d'un terzo dalla tana: «Liberi tutti!». 
Grande gioco, gioco da generali d'esercito. Vi eccellono i ragazzi tra i sette e i tredici anni. Passati i tredici, le qualità di astuzia barbarica e selvaggia prontezza ch'esso richiede si corrompono; il ragazzo si volge a giochi più violenti e meno immaginosi, la fanciulla comincia a impadronirsi del mondo. Prima di quell'età vi riescono ugualmente bene i maschi e le femmine. È bello a giocarsi in parecchi: almeno quattro, non più di sei. Ma i bambini hanno immaginazione e possono fare a meno di tutto, anche del numero. Ho visto più d'una volta un bambino giocare a briscola da solo. Non mi maraviglierei di trovarne uno che inventasse il modo di giocar da solo a nascondersi, a rincorrersi, a «Liberi tutti!». Io non so immaginar come, io non so immaginare che dei romanzi, perché ho più di tredici anni, e dopo quell'età l'immaginazione è meno potente a sostituire in tutto il reale.
Tullia e Remo, partiti i loro piccoli amici perché le governanti sono venute a prenderli per il pranzo, continuano in due a giocare a «Liberi tutti!»
Tullia ha otto anni, Remo sei. È un po' presto per quel gioco, ma Remo è precoce.
È la volta di Remo di andare a nascondersi. Tullia, con le mani sugli occhi e il dosso delle mani appoggiato al tronco di una magnolia, sta contando a voce alta: – uno… due… –. Conta lentamente, forse più lentamente di quanto la tradizione imponga. A ogni numero che Tullia pronuncia, un'ombra di più cade dagli alberi sulle aiuole, avviluppa i rosai che si bagnano e imbrunano. – Trentuno! –.
Tullia alzò il capo, sciolse la faccia dalle mani e si voltò, si maravigliò accorgendosi che il vespero era calato così rapido. Guardò l'aria, e mosse alla ricerca del fratello. Di là dalla pianura, sparsa di pochi pini, un bagliore rosso nell'orizzonte lontano si spense. Tullia seguì cautamente la curva di un'aiuola, si lanciò dritta contro una spalliera di mortella, ivi esitò poi volse a sinistra, ficcò lo sguardo tra due cipressi in fondo a un vialetto. Aveva smarrito ogni facilità. Alzò lo sguardo alle finestre illuminate della villa. Un'onda di profumo salì dalla terra. Tullia fu corsa da un brivido di freddo e tutt'a un tratto si sentì sola, chiamò perdutamente: «Remo» ma nessuno rispose…

~ Massimo Bontempelli ~

Recitano a soggetto fuori dallo spartito della vecchia storia, rispondono solo alle battute dell’amore, si incontrano sulla finestra impossibile. Chiudono così lo strappo della tenda al buio, sul cieco limitare del crepuscolo che declina l’alba senza stelle. Si ama dispari e impauriti ché l’amore è canaglia e non vive di puro sole ma ma impone anche i raggi più scuri. Allora stilla il sangue, si condensa al buio, morde al morso che grida lo sfacciato tradimento mentre la coscienza è già lama nella carne.
Si rimane come portati via, si rimane sotto il cielo inarcato da tinte rare mentre si tenta di sciogliere i grumi nelle trasparenze più pure, i nodi nella libertà legata, il sacrificio prima che si rinnovi, domandandoci se il soppresso torni a vendicarsi, il vissuto a rischiare ancora, se l’imprevisto sorprenda il pre-scritto sul muro già rampicante di storia, se il vorticare del canarino sarà libero fuori dal recinto. 

Grazie e un abbraccio
Sabrina