Recensioni per
Such a Lonely God
di hibou

Questa storia ha ottenuto 3 recensioni.
Positive : 2
Neutre o critiche: 1 (guarda)


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Recensore Junior
26/07/12, ore 18:39

Il tramonto sfumava di rosso il cielo caldo dell’estate e le cicale frinivano tra gli alberi accompagnando il filo dei suoi pensieri. 
Affacciato alla grande terrazza, con i gomiti poggiati alla salda balaustra in ferro, contemplava il paesaggio della città all’imbrunire, mentre seguiva con lo sguardo il passo spedito e sostenuto dei pochi passanti che, velocemente,  sfuggivano ("sfrecciavano", "passavano") davanti ai grandi cancelli della Capsule Corporation. Nessuno, tra le persone che erano apparse alla sua vista, ("Nessuna delle persone...") si era accorto della sua presenza e (congiunzione impropria, preferibile il punto e virgola) sorrise al pensiero che, se avessero saputo chi lui fosse, probabilmente, avrebbero avuto una reazione del tutto differente. 
Fu un pensiero fugace e di poco peso che non lo interessò (il proprio pensiero non può che interessare un individuo, meglio "coinvolse") molto; umile e solitario com’era, si sarebbe sentito a disagio e imbarazzato nel momento in cui anche solo una persona gli avesse rivolto delle particolari attenzioni. 
Sospirò, socchiudendo gli occhi e immergendosi nella dolce brezza che gli solleticava il viso. Rimirò il ben curato giardino sotto di se, soffermandosi a lungo sull’altalena deserta che oscillava languidamente ai piedi di un grande albero. Spostò lo sguardo, torturandosi le mani, (e) percependo il lieve disturbo che lo aveva accompagnato per tutta la giornata. 
Sbuffò, voltando la schiena al panorama della città e abbassando lo sguardo, mentre con le mani giocherellava con l’orlo della lunga casacca. Percepì il ("un", il proprietario dei passi non è ancora stato specificato) lieve suono di passi e alzò appena la testa, scontrandosi con la vista della ("imbattendosi nella...") padrona di casa, intenta a sistemare le tende della portafinestra. 
Sussultò stringendo più forte l’abito quando, accortasi della sua presenza, lei gli rivolse un sorriso cordiale. 
“Dende” lo richiamò avvicinandosi, leggermente stupita; (necessario il punto fermo) “Che fai qui tutto solo?” (punto fermo)
Il giovane deglutì, azzardandosi appena a fissarla in viso, mentre l’imbarazzo si impossessava del suo corpo e il cuore gli batteva in petto furiosamente. 
“Bé, ecco...” farfugliò voltandosi di lato e sorridendo timidamente, “avevo bisogno di un po’ di aria fresca, tutto qui...” 
Bulma sorrise e gli si avvicinò, sistemandosi al suo fianco e poggiando gli avambracci alla ringhiera. 
“Resto a farti compagnia allora, ti va?” gli chiese strizzandogli l’occhiolino ("stizzare l'occhio" e "fare l'occhiolino" sono due modi di dire differenti e non è corretto mischiarli), e a quel gesto il suo stomaco fece una piroetta. 
Era il Supremo della Terra. 
Dall’alto della sua reggia, vegliava su tutte le creature terrestri, assicurando loro protezione e la più totale armonia. Tutto il giorno, tutti i giorni, vedeva persone svegliarsi, fare colazione, andare al lavoro o a scuola e, infine, tornare a casa. Vedeva signore fare la spesa, bambini giocare a palla e uomini uscire con le proprie donne. Felici, tristi, chi in lutto e chi in guerra. Ogni giorno, dall’alto della sua reggia, vedeva la gioia e la disperazione delle persone susseguirsi con monotonia fiscale. E vedeva l’amore. 
Che fosse giovane o vecchio, che fosse profondo o meno; lo vedeva manifestarsi davanti a lui. 
Lui, che l’amore non lo poteva provare. Perché era un essere superiore, puro; abituato alla solitudine e alla riflessione, non gli era concesso provare sentimenti forti, in grado di scombussolare l’armonia e l’equilibrio che da lui dovevano trasparire. 
Lui, Dio di un pianeta azzurro, che tutte vede e tutto sa, costretto a ripudiare e nascondere all’interno della sua anima ciò che lo accomunava (discordanza di tempi verbali) ad un semplice terrestre: l’amore. 
Non affetto, non amicizia, ma un sentimento forte e vero, che sgorgava da ogni poro del suo essere e che, impetuoso, assumeva nel suo cuore e nella sua mente la sembianza (più caratteristiche rendono unica la donna, per questo motivo è più corretto al plurale, "le sembianze") di una donna. Coraggiosa, intrepida, buona, altruista: una donna dalle potenzialità incredibili e dall’animo grande, in grado di accogliere nella propria dimora estranei e di fidarsi del prossimo senza giudicarlo dalle apparenze. Una donna unica, come non ne aveva mai viste; perché lui, realmente, di esemplari femmine ne aveva conosciute poche ("esemplare", maschile: "...ne aveva conosciuti pochi"). Nato e cresciuto in un mondo di pace e uomini, non conosceva la morbidezza di un abbraccio femminile e il profumo della vellutata pelle di (una) donna. 
Lui che, bimbo timido e fragile, aveva dovuto prendersi carico di responsabilità troppo grandi e impegnative, infine si era dovuto precludere la possibilità di essere felice per rendere onore alla sua razza e al suo incarico. 
La guardò di sottecchi, le gote arrossate dall’imbarazzo, mentre, deliziata, socchiudeva gli occhi e si rilassava sotto lo sguardo caldo del sole. Era bella, di una bellezza che lo faceva star male e impazzire. 
Avrebbe voluto urlarle il suo amore, prenderla e scappare, rinunciare al suo ruolo e (per) poter diventare, finalmente, un uomo libero di essere se stesso e di amare la propria donna. 
Ma (sconsigliato iniziare una frase, specialmente in capoverso, con una congiunzione) il volto di Popo e di Junior apparvero prepotentemente nella sua mente e lo costrinsero a serrare gli occhi e deglutire, pieno di vergogna. 
“Sono molto felice” sussurrò Bulma; lei (ripetizione di soggetto) si voltò appena, mostrandogli parte del viso disteso e rilassato, gli occhi che brillavano emozionati. “Sono molto felice che sia tornata la pace” 
E in quel momento Dende dovette mangiarsi le mani per non gridare, per non accorgersi ("realizzare" è più indicato, dato il contesto) del sentimento che da lei sgorgava come un fiume e che si concentrava sull’immagine di un altro uomo che non era lui (ripetizione di complemento: "altro", "che non era lui"). Dovette controllarsi con tutte le sue (proprie) forze per non scoppiare, per non rivelarle ciò che da anni gli logorava l’anima. 
Si sentì terribilmente a disagio e stupido, per quei pensieri, per quelle emozioni... Maledisse quella giornata di festa e desiderò ardentemente tornare a casa e rifugiarsi nel proprio palazzo, libero di mascherare la sua angoscia e di essere spettatore e non protagonista di un sentimento capace di donare ("arrecare") solo dolore. 
E mentre sussurrava un flebile “Anche io” e (ripetizione di congiunzione, preferibile eliminare la prima) si allontanava, (con) un falso sorriso tra le labbra, pensò che, forse, era proprio questa (quella) la giusta punizione per un Dio che tutto poteva, e vedeva.



Correzione della storia, prima classificata al contest.
Maracuja

Recensore Master
10/07/12, ore 21:04

Oh caspita. Complimenti davvero, una shot splendida, scorrevole e coinvolgente su una coppia che non esiterei a definire Crack -benedetti sorteggi xD. (oltretutto, conoscendo in anticipo il tema, sei stata molto "coraggiosa" a scegliere Dende dalla lista)
La descrizione iniziale è molto curata e trasmette un senso di pace che contrasta con lo stato d'animo di Dende che segue poco dopo. A proposito di Dende, devo rinnovarti i complimenti: hai reso il personaggio molto IC e con una profondità davvero notevole anche e soprattutto nella sua consapevolezza che l'amore -nel senso "romantico" del termine- gli è precluso, dalla sua posizione di Supremo prima ancora che dalle sue origini.
Un lavoro impeccabile dal punto di vista stilistico e incisivo nei contenuti. Bravissima!

Recensore Junior
09/07/12, ore 15:34

Davvero complimenti hibou, questa storia è una delle migliori che abbia mai letto. Lo stile e la forma sono pressoché ottimi e non ho notato alcun errore; inoltre, anche il soggetto è molto interessante e non credo che i sentimenti di un essere superiore ed onniscente come il Supremo siano affatto facili da interpretare. Ma, se da un lato il fatto che un Namecciano come Dende possa provare dei sentimenti così forti e a lui estranei, dall'altro credo che sia molto triste il fatto di sapere che l'amore e la felicità ci sono preclusi a prescindere a causa della nostra origine e posizione. Ancora brava,
Fairy_tale