Ho letto questo componimento, ma forse avrei dovuto farlo in un altro momento, quando magari fossi stata più calorosa nell’intimo, ma oggi no. Domani però non andrà meglio e così sarà fino a tutto giorno otto, ma allora sarà troppo tardi per leggere e commentare, così devo farlo ora, con tutta la zavorra che mi porto per i fatti miei.
Mah, spero di non essere troppo dura.
Ho letto, ho letto bene e ho colto tutto, ogni cosa proprio, ma di questo non si può parlare qui e non lo farò.
Una cosa tengo a precisarla però: un riflesso è sempre un riflesso, non è essenza, non è verità.
Ci si illude in mille modi di fronte a uno specchio e raramente si riesce a vedere per davvero l’immagine che si ha davanti. Con quali occhi poi lo si fa? Con gli occhi della pretesa? Con gli occhi della condanna? Con quelli della negazione?
Gli occhi sono uno strumento ingannevole e l’intelligenza e l’acume sono fuorvianti, perché con questi mezzi si mettono in piedi supposizioni veramente credibili e plausibili e ci si convince di esse; le supposizioni così diventano le proprie verità, se non addirittura le proprie certezze.
Ma un asino, anche se lo si cavalca, rimane sempre un asino, non importa in che ottica lo si guardi, così le supposizioni rimangono tali.
Se ci si spogliasse dell’aspettativa irreale e ci si fermasse a guardare quello che di buono e di brutto c’è in se stessi davvero, non ci sarebbero riflessi di sé e non ci si perderebbe.
Non ci si perde, ci si allontana dall’idea di come si vorrebbe essere, perché non esiste un “dovrebbe essere” bensì un “vorrebbe essere”.
Sai cosa si perde? Non l’essenza, nemmeno se stessi.
Si perde l’idea che si ha di sé, perché volente o nolente si cambia ogni giorno un po’ e, se ci si guarda indietro, non ci si può riconoscere nella persona che si era tempo addietro; va così per tutti.
Il tempo che scorre lento e veloce insieme, le insoddisfazioni e le disillusioni cambiano l’indole delle persone, chi dice il contrario è solo fortunato. Si cambia, non si può evitare di cambiare, anche in peggio purtroppo, ma non si perde se stessi, perché si è un divenire che mai – mai – resta immutato, anche se ci si rifugia nel proprio luogo accogliente.
Il luogo accogliente che è “padre-padrone” e che “assecondi”, in realtà opprime, reprime anche.
Nehellenia si sente confortata da questo suo aguzzino interno, perché chi conosce il nero sin da piccola, vi si abitua ed esso rimane il suo elemento, quello in cui –comunque sia – riesce a sentirsi a suo agio e nel quale sa respirare, anche se si sogna intimamente la luce…la speranza a cui non si crede ma che risiede in qualche parte di sé e fa provare dolore.
L’interiorità di Nehellenia tuttavia, secondo me, è più semplice di quella che hai messo in luce qui, perché il flusso di coscienza ivi esposto è di una persona che non cerca disperatamente qualcuno che la accolga, di qualcuno che non risolverebbe i suoi problemi con qualcuno accanto, bensì di una persona che sta male con se stessa e che poco pone l’accento sulla sua solitudine, perché vive un disagio che non dipende dalla sua solitudine.
Nehellenia, invece, è un personaggio abbandonato e disperato, che ha sempre vissuto credendo che solo essendo bellissima avrebbe meritato l’affetto dei suoi sudditi e delle persone a lei vicine, così si è spinta erroneamente verso il culto di sé e dell’estetica, ma negli anni ha ricevuto soltanto elogi e complimenti, mai l’affetto e la vicinanza di cui aveva bisogno e che andava cercando. Da qui, poi, la gelosia nei confronti di Serenity, che riceveva amore e complimenti pur non possedendo una bellezza superiore alla sua e così, covando questa gelosia, si è resa vulnerabile alle manipolazioni psicologiche di Zirconia, un po’ come Fiore e la pianta che gli aveva ottenebrato la mente rendendolo una pedina.
Ad avvalorare la mia tesi, v’è il fatto che Sailor Moon alla fine ha dato una nuova gioventù e una nuova vita a Nehellenia, infondendo nella ritrovata bambina il coraggio di chiedere la compagnia e la vicinanza di qualcuno a corte, così da non essere più sola e da non ricommettere l’errore di credere che la bellezza le facesse meritare l’affetto.
Con qualcuno accanto, in definitiva, la piccola Nehellenia ha risolto i suoi problemi ed è stata felice. La persona che parla qui, invece, sta male a prescindere da chi abbia o no accanto.
Mi dispiace contraddirti o polemizzare su un tuo lavoro, sai che ti stimo molto come scrittrice, ma in questo caso, secondo me, l’analisi introspettiva di Nehellenia che hai fatto qui, è troppo complessa e articolata per questo personaggio e non le si addice pienamente, perché lei, sempre a parer mio, è solo affamata di considerazione e di affetto, ed essendo stata lasciata sola a formarsi le proprie opinioni senza consigli altrui, è andata a cercare questo calore nel posto sbagliato e coltivando valori sbagliati.
Non averne a male, per favore, ma non posso proprio io dirti “bello”, “brava”, quando secondo me chi parla non può essere Nehhellenia, anche se questo componimento è profondo e bellissimo nella sua veridicità e nella sua crudezza.
Ti chiedo scusa, sono mortificata.
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