Recensioni per
Apteros
di avalon9

Questa storia ha ottenuto 2 recensioni.
Positive : 2
Neutre o critiche: 0


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Recensore Master
16/01/14, ore 13:59
Cap. 1:

Ci ho messo un po’ per fare mia questa storia; non perché non sia scritta bene e ben orchestrata, ma perché è così ricca e piena di dettagli che ad ogni lettura ci trovo dentro qualcosa di nuovo. Qualcosa che profuma di gesso e gomma da cancellare, di matite e fruscio di carta; qualcosa che è ricordo di lunghe ore spese sui banchi del liceo ad ascoltare una professoressa che avrà avuto la stessa età di Fidia buonanima raccontarci della bellezza di Cnosso e delle sue pareti rosse. E giornate in biblioteca, all’Università, per cercare di far quadrare il cerchio tra Ishtar, Astarte e la Dea Madre e la sua trasformazione e spezzettamento nelle figure dell’Olimpo di Pericle.

L’abbraccio di Kannon bodhisatva è stato un incontro tra vecchi amici alla festa patronale, solo che un matsuri a Tokyo deve avere ben altro sapore, ne? Si dice che è nella calca che l’uomo è più solo, ed è nella calca di visitatori che la mente di Touma si alza in volo, come faceva una volta, e se ne va da lei. Da Artemis. Un volo a planare, per dirla con la Bertè, tra i ricordi di quando ha scalato il cielo ed è diventato l’Angelo e la sua caduta.

Il bello della tua storia è questo: narra di una vicenda umana (l’abbandono, la rottura, la separazione) declinandola, però, nei toni di una devozione quasi blasfema tra uomo e dio (e mi chiedo chi dei due sia blasfemo, se l’uomo, o non, piuttosto, il dio), ancorandola ad un ventaglio di richiami classici ed arcaici che sprofondano nel tempo e si innestano nella trama della storia diventando parte di essa e non semplice e pesante orpello. Dovrebbe essere così, io credo, se e quando si maneggia una materia tanto complessa quanto la mitologia classica. È il classico pentolone sul fuoco che borbotta e chiede di essere scoperchiato, e tu sai che alzare quel coperchio procurerà una rottura dello status quo tale da imbarcarti nell’avventura di capire e conoscere ciò che quel borbottio promette. Ed è un bene, perché tutto ciò che genera curiosità genera vita. E chissà che, cercando cercando, non si incappi in qualcosa di altro, di diverso ma che ci faccia pensare.

Siamo in una fanfic, un luogo ideale per dare corpo a ciò che il Tenkai si lascia dietro le spalle con l’indifferente ed olimpica grazia con cui si muovono Artemis ed Apollo. Touma è l’agnello sacrificale a più valenze che è scampato alla lama del sacerdote, e che anela a tornare sull’altare. Perché, in un certo senso, sa che quello è il suo destino. Il suo posto. Accanto ad Artemis. Ha tradito Artemis, sì, ma per salvare le sue mani dal sangue di Athena. Ed Artemis è un ricordo persistente, doloroso e dolce, da cui Touma non si vuole staccare, per la stessa masochistica scelta che fa chi è stato abbandonato: tornare con la mente ai momenti del passato. Quelli dolci, quelli ricchi, quelli che ti scaldano il cuore per mille ragioni. Quelli che sanno d’oro.

La storia che racconti è un dietro le quinte, una vicenda umanissima (l’abbandono, il distacco, la perdita) che Touma vive da uomo. Col pensiero. Massacrandosi. Estraniandosi dal presente e da sua sorella, che lo attende, paziente, una maschera sul viso. Perché Marin sa. Intuisce. Simpatizza con lui. Anche Marin ha perso qualcosa, suo fratello e quel guerriero che adesso è incastonato nella roccia assieme ai suoi compagni, la cui unica colpa è stata quella di sfidare gli dei; ma Marin spera che forse, un giorno, potrà conoscere quel fratello ritrovato e magari ritrovare in quegli occhi, nella piega del mento o nell'arco delle sopracciglia il bambino che la difendeva da piccoli, quel fratellino che non ha saputo difendere e a cui non è riuscita ad insegnare quanto l'umanità sia fragile ma indistruttibile al tempo stesso.

La storia, dicevo, è una storia umana, e come tale macchiata di quell’ubris che noi mortali no, proprio non riusciamo a lasciare chiusa in un cassetto quando abbiamo a che fare con gli dei.
Però sono anche gli dei che no, non riescono proprio a fare a meno di noi. Che ci cercano. Che scorgono in noi il riflesso di un ricordo sbiadito dai secoli e allora ci accolgono. Dev’essere un fardello pesante, l’eternità. E forse è anche per colmare quel riflesso – o per scacciarlo dagli occhi splendenti di Artemis – che Touma ha danzato. E come il paredro della Dea Madre, è morto. Ikaros è morto. Caduto in quel folle volo verso il Sole, caduto sulla Terra come semplice mortale. E Touma? Che fine ha fatto l'uomo dietro alla maschera?

E qui sta il nodo gordiano della storia: Touma sta staccandosi da Ikaros, dalla maschera che portava, dalla persona che era (nel senso etimologico di maschera, proprio), ma ancora non riesce a spiccare il volo, a rompere il guscio dell’uovo in cui si trova. Preferisce cullarsi nei ricordi che sanno di un altro tempo e di una terra a migliaia di chilometri lontana dal chiassoso Giappone; profumano di sole, fichi, vento ed erba. Che sono rossi come è rosso il sangue, la vita, la morte. Che sono rassicuranti, perché quando non sai più chi sei o cosa sei diventato, tornare a chi eri, a chi sei stato, è tornare alle radici di una piccola parte di te. A qualcosa di concreto, anche se nascosto da una maschera.

Le descrizioni sono, come al solito, una radiocronaca fluida che suggerisce e non mostra con occhi sterili quello che accade. Che ti trascina prendendoti per la mano per la Nakamisedori e per i prati di Creta, sotto cipressi svettanti o ciliegi impazziti di rosa. Artemis torna sempre per gli occhi di Touma, che la cercano in ogni gatto, in ogni ombra, in ogni respiro di vento, come farebbe ogni innamorato abbandonato nelle canzoni dei nostrani cantautori. Perché lei è impressa sul fondo della retina del ragazzo e lui, di lei, non vuole sbarazzarsi. Non vuole. Perché il formicolio delle ali strappate passa. Le cicatrici si rimarginano. I vuoti si colmano. Ma è l’accettare di essere stati privati delle ali che brucia.

Come hai ricordato nelle note (mai benedette come in questo caso), apteros significa “senza ali”. Aptera era sì un appellativo di Artemide, ma anche di Athena si conservava una statua aptera nel tempio di Athena Nike, perché, visto che gli dei di giorno abitavano le statue nei loro templi, si credeva che priva di ali la dea sarebbe rimasta a proteggere la città per sempre. E quindi Touma è sì senza ali, ma perché è stato punito e confinato sulla Terra da Artemis. Che non vuole più vederlo. Che sapeva sarebbe andata a finire così (quante unioni tra divinità e mortali non hanno lasciato morte e distruzione dietro le spalle?), per quella saggezza antica che le colora gli occhi rapaci e ferini di un verde pallido. E l’umanità ha ancora una volta la meglio sui voleri degli dei, per quel finale di volontà di potenza. Touma ha perso le ali. Se le farà ricrescere. Che problema c’è?

Il bello delle tue storie è l’apparato in cui le innesti. Le rendi ricche ma non ridondanti. Complesse, ma non complicate. E spiazzanti, con il ricordo che Artemis è anche lei una maschera, che la Vergine Fanciulla conosce il dolore del parto ed ama come una madre, ma è anche bella e terribile come un esercito a bandiere spiegate.

Encomiabile anche l’apparato di note, che mai, come in questo caso, ripeto, sono state utili e benedette. Perché l’Artemis madre e quasi amante mi ha fatto rizzare i capelli. Poi ho letto. Poi ho chiacchierato con te. Poi ho ripreso in mano i testi di Storia delle Religioni. E ho ricordato.

Gli unici due appunti che mi viene da farti sono legati ad una virgola che forse andrebbe, nonostante il flusso di coscienza di Touma, e al quartiere.

Che io sappia, il quartiere è Asakusa, non Asakusa Kannon. Sì, ad Asakusa Kannon si respira nell’incenso, nelle ciotole di yakisoba e nelle bancarelle (forse manca un ‘ad’?), ma se ne sta nel suo tempio, il Sensō-ji.
La virgola incriminata andrebbe nella frase Hanno ali lunghe e colli flessuosi, le gru. E nel volteggiare bianco(virgola) l’azzurro di zampe intessute d’oro stagliarsi contro colonne infuocate. A mio avviso. Perché quella virgola sottintende il verbo avere, mettendo questa frase in parallelo con la precedente.

I seni e le labbra sono pieni ed Aprile dovrebbe avere la dignità dell’iniziale maiuscola, ma a parte questi dettagli, bruscoli di sabbia nell’occhio, applaudo alla tua storia e alle note sul Giappone (la Ko-Omote e il vezzo dei denti neri per le donne nubili e i luuuuunghi capelli che sporgevano da sotto le cortine e che si rasavano quando si entrava in convento – fiumi di lacrime sulle maniche umide – e potrei andare avanti per ore citando pure gli Otogizōshi in cui Kannon la fa da protagonista assoluta… e scommetto che non è un caso che la storia prenda avvio dal suo tempio, ne?) e l’apparato su Creta e Artemide.

Spero di leggere presto qualcos’altro di tuo.


(Recensione modificata il 16/01/2014 - 02:23 pm)

Recensore Junior
13/01/14, ore 14:18
Cap. 1:

Ciao.
Molto bella questa fic. Mi piace particolarmente la cadenza che hai dato con frasi brevi, efficaci e che colgono in pieno fatti e sentimenti.
Tutta la vita di Touma, le sue speranze, le sue credenze, le sue illusioni, il suo amore descitti come se fossero rapide pennellate su una tela bianca.
Adoro come scrivi.
Bravissima