Questa storia mi è piaciuta per tre motivi.
Il primo: è una bella storia. Le storie introspettive hanno il rischio concreto di essere dei papponi indigesti di pensieri a se stanti. Qui, invece, seguiamo il filo dei pensieri di Saga senza avere né tempo, né modo di sottrarci. Ci prende per mano, il bastardo, e ci porta a fare una passeggiata per i meandri dei suoi ragionamenti - lucidissimi, che ti lasciano addosso il pensiero che, sì, forse Saga potrebbe avere ragione - e l'unica possibilità di salvarsi da questa passeggiata è quella di chiudere la pagina. Ma quando ti accorgi che forse potresti, che forse dovresti, che forse... è troppo tardi. Perché la verità è che questa storia è una tagliola. Mettici il piedino in mezzo e ti accorgerai di averla attaccata alla tua caviglia solo quando i denti di metallo saranno arrivati all'osso.
In più, anche se ormai il fandom conosce più gli attimi in cui Saga s'è spacciato per Sacerdote rispetto a quelli in cui è stato Saga dei Gemelli, fa sempre piacere vedere quella mente malata al lavoro. Perché da un lato c'è sempre il discorso della catarsi, pronta a prenderci per mano e a portarci chissà dove; e dall'altro, c'è la possibilità di trovare nuovi punti d'osservazione con cui scoprire scorci tutti nuovi di un panorama che si credeva di conoscere (come immagino possa fare Saga prima di scegliere il punto da cui affacciarsi sul Santuario. È un pensiero crfetino, ma tu concedimelo.).
Lo scorcio nuovo qui è dato dalla Storia, quella con la maiuscola, che infila il piedino nella porta. Come una zeppa incastrata nel legno perché l'uscio non si richiuda. Come ho avuto modo di dirti in privato, permettere agli eventi storici di far capolino in un contesto contemporaneo, ma staccato dal nostro continuum, rappresenta una miniera di possibilità ma anche un problema. Qui te la sei cavata chiamando in causa la natura super-partes del Santuario, ed ho veramente apprezzato quello scorcio di contemporaneità dato dal solo accenno alle rivolte studentesche dei ragazzi del Politecnico di Atene. Il 1973 è stato un anno di cambiamento. Non so se Kurumada abbia tenuto a mente questo fatto quando ha deciso di far apparire Atena ai piedi della sua statua, ma tu hai colto un attimo, riproponendocelo con grande eleganza. Come un accenno. Una folata di vento dispettosa che spalanca le finestre e gonfia le tende come fossero le vele di una nave. Perché sì, ci fai credere che forse Sion consentirà a Saga di scendere ad Atene e sistemare le cose; ma è solo un attimo, e quelle che noi avevamo scambiato per le vele della nave, sono in realtà delle candide tendine di mussola.
Brava davvero.
Il secondo motivo è quello di essere, in minima parte, responsabile di questa storia. È bello vedere come, partendo da uno spunto personale, un'altra autrice possa creare qualcosa di simile, ma di assolutamente diverso e autonomo. L'immagine della sera che allunga le sue dita sul marmo candido e sulle rocce del Santuario è bellissima. Sì, dopo la trasposizione animata di "Una notte sul Monte Calvo" di Mussorsgskij, l'oscurità che serpeggia, protendendo i suoi artigli per ghermire il mondo è un'immagine acquisita. Ma qui, qui striscia, pian piano. Ed il lettore se ne accorge solo quando, ormai, è torppo tardi. Quando è calata la sera.
Il terzo motivo è più bieco e personale, di quelli che ti fanno fare la ruota come un pavone - nonostante io non sia un pavone e, soprattutto, non sia un pavone maschio - ossia vedere il proprio nome accanto a personaggi di un certo peso. A parte Manzoni (sciò, sciò), la presenza di Agostino di Ippona, Valerio Massimo Manfredi, Martin Lutero, Erasmo da Rotterdam, Elrond... fa quasi sembrare la sottoscritta una persona seria, e non la solenne cialtrona che è! E di questo, come delle citazioni alle mie robine, ti ringrazio molto. |