Seconda classificata al contest Lontano da casa di 9dolina0
Sintassi, ortografia, punteggiatura
Ho trovato la tua storia molto corretta dal punto di vista formale: la sintassi scorre bene, perfettamente in equilibrio tra paratassi e ipotassi, senza che l’una prevalga nettamente sull’altra.
Anche l’ortografia è impeccabile: non ho riscontrato né errori, né refusi, segno che, evidentemente, hai messo molta cura nel tuo lavoro.
Per quanto riguarda l’uso della punteggiatura, devo dire che sono piacevolmente sorpresa: è difficile trovare una storia tanto ben scritta anche a livello di segni d’interpunzione. Vanno benissimo sia l’uso dei punti e delle virgole, sia l’uso delle caporali nelle battute dialogate.
L’unico piccolo appunto che ti faccio riguarda il seguente enunciato:
La donna sorrise, ripercorrendo in silenzio le tappe che l'avevano portata fino a sedersi su quella panchina: dopo essersi laureata con il massimo dei voti a Dublino, aveva deciso di realizzare il suo sogno: trasferirsi a Venezia, la città più bella del mondo.
Anche se, in realtà, utilizzare due volte i due punti nella stessa frase è una prassi abbastanza diffusa nell’italiano scritto antico, oggi si tende a evitarlo, proprio perché tale utilizzo appesantisce di molto la narrazione.
9,5/10
Appropriatezza lessicale e stile
A livello lessicale, la storia si presenta decisamente bene. Non hai utilizzato parole troppo artificiose o complesse, ma quelle che hai inserito sono perfettamente idonee al genere e alla trama del racconto. Non ci sono termini fuori posto che possano fuorviare il lettore o far storcere il naso: semplicemente, hai usato con maestria un lessico semplice ma non banale, riuscendo nel compito di rendere apprezzabile e scorrevole la lettura.
Degne di nota sono ovviamente le sporadiche citazioni dal lessico veneziano: Ca’ Foscari – nome dell’Università di Venezia – e Ca’ Dario, pur nella loro evidente brevità, rappresentano comunque un collegamento fondamentale – e richiesto dal bando! – tra l’ambientazione geografica e le espressioni culturali del posto. Hai scelto di avvalerti della lingua e questo lo apprezzo particolarmente. D’altra parte, sarebbe stato arduo citare frasi più complesse o strutturare le battute in veneziano – non tutti i lettori avrebbero capito! –; per cui, anche se magari qualche interiezione tipica avrebbe giovato, direi proprio che hai portato a termine in modo soddisfacente il tuo compito.
Per quanto riguarda lo stile, questo è molto semplice e lineare. Hai preferito raccontare la storia piuttosto che affidarti alle battute dialogate – le quali, per altro, compaiono solo verso la fine – mantenendoti quasi al livello del genere favoloso.
Data la relativa leggerezza della trama, la tua scelta è sicuramente apprezzabile, tanto più che la conclusione del racconto può quasi essere interpretato come una morale.
L’unico piccolo difetto che ho colto è la presenza di alcune ripetizioni che appesantiscano un po’ la lettura. È vero: ripetere la stessa parola o espressione nel giro di poche righe non può essere considerato un vero e proprio errore; ma, a livello stilistico, la narrativa in lingua italiana predilige piuttosto l’uso di sinonimi artificiosi che non un’eccessiva chiarezza espressiva raggiunta attraverso l’utilizzo ravvicinato della medesima parola.
Ti cito un esempio dal tuo testo:
Vivere a Venezia le piaceva perché la maggior parte delle distanze si percorreva necessariamente a piedi, ma non riusciva più a reggere il clima come quando era giovane.
La donna sorrise, ripercorrendo in silenzio le tappe che l'avevano portata fino a sedersi su quella panchina […]
Chiaramente, trattandosi la mia di una valutazione stilistica – e, dunque, parzialmente soggettiva – non sei tenuta a prendere in considerazione il mio suggerimento di modificare uno dei due termini. Credo però che a livello di scorrevolezza la storia ne gioverebbe molto.
8,5/10
Trama: originalità e sviluppo
Una delle particolarità della tua storia riguarda la leggerezza e al contempo la profondità morale della trama. Ne ho lette poche di storie che potessero definirsi apprezzabili sotto entrambi i punti di vista e trovo che ciò vada anche a vantaggio dell’originalità del racconto.
Gli elementi che metti insieme, presi uno alla volta, non hanno nulla di particolare, trasgressivo o originale; eppure, il modo in cui li hai estrapolati dai loro anonimi contesti e li hai miscelati insieme ha creato un risultato a mio avviso egregio.
A farla da padrona, nel racconto, è la solitudine.
La solitudine colpisce la protagonista della storia – anche se ciò non viene detto esplicitamente – e affligge anche un povero gatto dal passato difficile e dal presente tormentato. Tra i due non c’è intesa – almeno nella parte iniziale del racconto – e, anzi, sembra che a dividerli sia una profonda antipatia reciproca. Solo in un secondo momento, verrà fuori che si tratta semplicemente di un’ingiustificata diffidenza, dovuta al fatto che entrambi sono troppo simili per poter apprezzare e ammettere le loro somiglianze. Certo, Gattaccio è semplicemente un animale, e il suo modo di comportarsi è dettato dall’istinto – e, probabilmente, dai soprusi subiti nel passato –, ma Margaret è una donna vissuta, dalla raffinata intelligenza e dall’ottima cultura personale. L’anziana professoressa fatica a percepire e a cogliere le sofferenze di Gattaccio: anche lei, inizialmente, esattamente come tutte le altre persone che hanno a che fare con lo scorbutico animale, tende a prendere le distanze da lui.
È ciò che capita al gatto a farle aprire finalmente gli occhi.
Margaret lo trova accoccolato a terra, visibilmente sofferenze e bisognoso di aiuto.
È in quel preciso istante che ella capisce: capisce che quel gatto è come lei, che è un essere che soffre e che va aiutato. Capisce che Gattaccio è suo.
Il fatto che tu abbia lasciato il finale aperto non pregiudica affatto la comprensione o la qualità della storia. È probabile che l’animale venga effettivamente salvato ma, ai fini della morale della storia, ciò conta poco. Quel che importa è che la protagonista impari cosa sia la solidarietà e a rispecchiarsi negli occhi sofferenti degli altri.
In fondo, anche lei si rende conto di essere sola, proprio come Gattaccio, quando vaga per Venezia alla ricerca di aiuto. È sola perché diversa: nonostante gli anni trascorsi in Italia, infatti, la gente coglie comunque il suo essere straniera e interpreta la sua folle corsa attraverso la città come il delirio di una turista.
Ecco perché, improvvisamente, si rende conto di voler bene a quel misero gatto.
Ecco perché, alla fine, piange per lui.
9,5/10
Caratterizzazione dei personaggi
L’unico personaggio umano di un certo rilievo che compare nel racconto è la protagonista della storia. Una scelta coraggiosa da parte tua quella di limitare al massimo l’interazione di Margaret con altri personaggi.
I pochi che vengono citati sono delle comparse o poco più: l’uomo d’affari molto ricco, i veneziani incrociati per strada, il giovane che presta soccorso a Margaret. Ecco: forse quest’ultimo è quello che ha un ruolo preponderante rispetto agli altri. Ciò nonostante, la tua storia non pecca di efficacia: anche se Margaret è praticamente quasi da sola sulla scena – a esclusione di Gattaccio – ella è caratterizzata bene a tal punto da rendere plausibile il suo modo di agire. Hai voluto, insomma, concentrarti su di lei, sulla sua psiche, sul suo modo di essere e di apparire e sulla sua presa di coscienza. Non trovo difetti, dunque, riguardo alla sua caratterizzazione: è una donna anziana le cui esperienze di vita passata hanno permesso di rimanere una persona di successo, di frequentare un certo ambito e di mettere indosso una sorta di maschera che, alla fine, si ritrova lei stessa a rinnegare. Margaret è più solidale di quanto ella stessa pensi o voglia far credere e il fatto di prendere a cuore la salute del gatto dimostra sostanzialmente quanto lei, pur nell’apparente perfezione della sua vita, si consideri affine all’animale.
Per quanto concerne l’aspetto più importante della caratterizzazione, ovvero l’essere uno straniero in terra italica, devo dire che te la sei cavata piuttosto bene. È vero: non hai raccontato la classica drammatica storia dell’immigrato che viene a cercare fortuna nel Bel Paese – cosa, oltretutto, che da regolamento non era obbligatoria – ma hai preferito buttarti su un personaggio che si è trasferito in Italia per motivi, sì, lavorativi, ma principalmente anche culturali.
La donna sorrise, ripercorrendo in silenzio le tappe che l'avevano portata fino a sedersi su quella panchina: dopo essersi laureata con il massimo dei voti a Dublino, aveva deciso di realizzare il suo sogno: trasferirsi a Venezia, la città più bella del mondo.
Anche questa scelta è abbastanza in controtendenza, ma io l’ho apprezzata particolarmente. Il non essere italiana della protagonista emerge comunque: nonostante, infatti, Margaret viva a Venezia da moltissimi anni, ella non ha comunque perso, evidentemente, l’accento irlandese. Proprio nel finale, questa sua caratteristica si rivela beffarda e il suo tentativo di chiedere aiuto per salvare Gattaccio, viene interpretato come un momento di follia da parte di una turista spaesata. È un po’ come se la realtà avesse improvvisamente bussato alle porte della donna e l’avesse riportata coi piedi per terra, rivelandole non solo dei sentimenti non credeva di possedere ma anche la consapevolezza di essere una persona anziana e sola in terra straniera.
Ottima caratterizzazione!
10/10
Ambientazione
Non ti sei dilungata molto nel descrivere i dettagli riguardanti l’ambientazione, ma, nonostante ciò, la trama funziona ugualmente bene e le informazioni che fornisci sono esaustive. Venezia c’è: la troviamo nei nomi degli edifici e nelle citazioni di qualche luogo particolarmente famoso – come, per esempio, l’Università Ca’ Foscari. Manca, a mio avviso, l’interazione con quell’ambiente: se, infatti, per quanto concerne gli abitanti nativi, verso la fine del racconto c’è un confronto diretto, la città lagunare non viene mai messa particolarmente in primo piano, se non, appunto, quando vengono citati luoghi piuttosto noti. Margaret potrebbe vivere benissimo in una qualunque altra città italiana poiché, di fatto, non trapela in modo evidente il legame affettivo tra la protagonista e il posto in cui ha deciso spontaneamente di vivere.
Rimane comunque il fatto che l’ambientazione è realistica e che ti sei mantenuta fedele ai dettami imposti dal bando. Complessivamente, anche per quanto riguarda questo parametro, il giudizio non può che essere positivo.
8/10
Gradimento personale
Come avrai certamente capito, la tua storia mi è piaciuta molto.
Ho apprezzato lo stile, adatto in tutto e per tutto al genere del racconto, e ho apprezzato la trama che, pur nella sua semplicità, è in grado di commuovere e di far riflettere.
Hai più o meno esplicitamente toccato diversi temi molto interessanti, quali l’abbandono e il maltrattamento degli animali, la solitudine delle persone anziane, la ricchezza che non fa la felicità, i pregiudizi dettati dall’apparenza.
Il tutto, si è svolto senza che mai la lettura risultasse troppo pesante o la trama troppo artificiosa.
È stato un immenso piacere, insomma, imbattermi nel tuo racconto.
Veramente un ottimo lavoro!
Tot: 45,5/50 |