Ciao! Avevo adocchiato questa storia in periodo d'esami e -conoscendoti- sapevo che al di là di quel click non ci sarebbe stata una lettura superficiale o banale, quindi ho aspettato tempi migliori prima di passare a leggere e a lasciarti un parere che potesse almeno avere un barlume di senso logico. Ritengo di aver fatto bene, anche se, devo ammetterlo, non posso dire di aver compreso fino in fondo la marea di sentimenti e significati che hai conferito al testo. Tuttavia, la storia mi è piaciuta proprio per la sua complessità, proprio per quelle riflessioni profonde in cui si intravede molto più di Gaara, molto più di Naruto, molto più di quelle mani di bambino. Per citare uno dei miei autori preferiti, Haruki Murakami, "non nutro alcun interesse per le opere di cui mi sembra di capire tutto". Senza contare il fatto che anche io, spesso, nascondo un po' di me stessa tra le righe. Chi non lo fa, in fondo? :)
Ma, tralasciando i convenevoli: ho trovato molto azzeccato e curato questo ritratto che ci hai dipinto di Gaara, o meglio, del suo intimo. Non dico "coscienza" perché finirei per impelagarmi nelle sue stesse riflessioni, finendo per essere la vittima bella arrotolata sulla tela del ragno che ci hai teso qui dentro. Ho apprezzato tantissimo il fatto che tutta la storia sia partita da quella citazione di Pirandello, uno dei miei autori preferiti anche lui, e anche l'implicita contraddizione -almeno a mio parere- nel fatto che a raccontare la storia sia una prima persona che parla di sé, e quindi, visione fallace e parziale, che tenta di dare un ritratto comunque soggettivo della propria individualità. Potrei sbagliarmi, potrei aver equivocato il senso di tutta la storia, è vero, ma tu mi hai permesso la speculazione, lasciando tutto volutamente criptico con accenni a tratti pure filosofici, quindi stavolta ti toccano le mie elucubrazioni a vuoto, ahah. (Tra l'altro, le storie aperte all'interpretazione sono tra le mie preferite, pensa un po').
Tra le parti che ho apprezzato particolarmente ci sono questi passaggi:
"L'uomo crede di poter sopportare l'Inferno altrui meglio del proprio: le fiamme di carceri estranee lasciano soltanto bruciature superficiali, nessuna cicatrice permanente. Effimera compartecipazione."
Questa frase mi sembra adatta sia a Naruto che a Gaara, anche se a descrivere il primo ce la vedo di più. È come se additasse con una certa superiorità, derivata dall'esperienza personale, il luogo comune della compassione e della partecipazione emotiva che distingue l'essere umano dal mostro; però questo generico "essere umano" è un po' mostro anche lui, perché la sofferenza la può comprendere a fondo solo chi soffre, quindi sopportazione può essere offerta solo da chi ha già imparato a soffrire i propri demoni. Solidarietà tra Jichuuriki sì, ma tra bambini orfani e soli prima di tutto. Perché diciamocelo, Gaara è sempre stato un orfano, almeno concettualmente. Mi sembra un po' di risentire le parole di Nagato/Pain, quando spiegava a Naruto le due ragioni per cui aveva deciso di dar vita al suo piano.
"La mente umana costruisce architetture visive imperfette e fallaci, se adesso tu immagini un bimbo paffuto dagli occhi gentili, ad accompagnare quelle dita titubanti.
Non fidarti della tua percezione tattile e non lasciare che questo ritratto si sedimenti – non sono io. [...] Ma ancora non sono pronto per mostrarti il mio volto; sfumerebbe in crepe al contatto con un altro essere umano."
Questo passaggio mi ha ricordato in parte Pirandello e in parte Wilde. Pirandello per ovvie ragioni, Wilde a causa di una citazione (direttamente dal mio quadernino delle annotazioni): "Man is least himself when he talks of his own person. Give him a mask, and he will tell you the truth."
Penso che tutta la tensione narrativa che hai sviluppato nella storia raggiunga il suo culmine proprio qui, anche se non siamo davvero ancora alla fine. Perché in fondo è vero: le percezioni sono fallaci, e Gaara questo lo sa bene, lui che per sentirsi vivo aveva bisogno di macchiarsi le mani di vita altrui, cancellare un'altra esistenza per avere una prova tattile della propria. E allo stesso tempo, crearsi una maschera che vive come una seconda pelle, chiamala "difesa assoluta", chiamala paura o quel che ti pare. Gaara è fragile, Gaara diventa forte. Per questo è uno dei miei personaggi preferiti, uno tra i più vivi, tra i più fallaci e quindi umano, a dispetto della sua ostentata "disumanità" con la quale Kishimoto ce lo presenta all'inizio.
Cado nello stesso tranello della frase d'apertura, dicendo questo, ma non importa, perché la verità è sempre individuale: secondo me, il più giovane tra i fratellini della Sabbia è uno tra i personaggi con cui è più semplice mettersi in relazione, tragedie familiari e omicidi a parte. Gaara è spaventato dal contatto umano, lo nega a tutti i costi, è pronto a vivere isolando se stesso e dandosi infelicità pur di chiamare aiuto, pur di mostrarsi umano. Ha paura di essere spezzato, ancora, e che per lui la medicina non possa più arrivare. Di questo hai fatto un ottimo ritratto, secondo me. Che poi a Suna una tale umana compassione sia negata a priori è un altro discorso, ma per quello c'è sempre Naruto -sia benedetto quel ragazzo.
"Credevo di essere speciale, ma il sangue che perdo ha lo stesso sapore di quello che ho versato – mi brucia la pelle, scavando epidermide già escoriata"
Questa frase mi ha colpita parecchio, non so bene neanch'io perché. Sembra la voce flebile di una vita che si stacca dal corpo, che perde lentamente coscienza di sé e diventa dolore, solo cieco dolore. Un'immagine che colpisce con la violenza di un pugno, di sicuro effetto. Quel rosso del sangue sembra una scia che conduce il lettore fino alla frase finale, quasi trascinandolo per mano, come hai detto tu, fino ad acquisire un significato diverso, ben lontano dalla violenza. Quel contatto con Naruto, lo stravolgimento che ne consegue, io lo percepisco più come un contatto di anime che di sentimenti veri e propri, quindi non posso dire di rivedermici troppo negli accenni NaruGaa; eppure quella delicatezza che traspare da tanta disperazione sembra raggiungere vette diverse da quelle semplicemente romantiche, sembra la vera e propria comprensione, come un concetto puro e non un'ipocrisia dettata da falsi moralismi, come quelli della gente comune. Boh, questo finale mi è piaciuto, con tutti i suoi veli -e i probabili strati di significato.
Se devo farti un appunto, però (e bada, te lo faccio proprio perché la storia mi è piaciuta così tanto, altrimenti starei zitta), la prima persona, in barba a quanto ho detto finora, non ce la vedo moltissimo, per una storia di questo tipo. Mi spiego meglio. Io adoro il tuo stile e la profondità delle tue storie e riflessioni, dove spesso intrecci filosofia, letteratura e riflessioni personali; tuttavia, proprio perché si tratta di una fanfiction e non di un originale, e proprio perché si tratta di un'introspezione, secondo me un eccesso di quanto detto sopra tende a rovinare l'illusione di star filtrando la realtà dal punto di vista di un personaggio che non ci appartiene. So benissimo che questa è una mia opinione e quindi né "giusta" né "sbagliata", ma io penso che quando si affronta il pov di un dato personaggio x, bisogna farlo con coerenza narrativa e soprattutto prospettiva. Capisco che è il tuo stile e capisco che tu voglia aggiungere concetti filosofici-estetici-letterari, liberissima di farlo, ma io per farlo avrei utilizzato una seconda o una terza persona, per inserirli senza "snaturare" l'iinocenza di un punto di vista quasi "infantile", un bambino come è Gaara in questa storia. Poi vabbè, de gustibus. Ripeto, la mia è solo un'opinione, spero di non averti offesa, la mia intenzione non era affatto quella, anzi :)
Bene, penso di aver blaterato anche troppo (con la speranza di non aver detto castronerie il 99% del tempo).
Un grandissimo abbraccio e alla prossima, keep up the good work!
thyandra |