che lavora in quel negozio da anni. “Posso farcela.”
«Mi servono un paio di cose. Tanto per cominciare, vorrei delle fascette stringicavo»
Mormora, con una punta di ironia negli occhi gelidi. “Fascette stringicavo?”
«Ne abbiamo di diverse lunghezze. Vuole che gliele faccia vedere?»
Mormoro, con voce tremante. “Datti un tono, Steele.”
«Grazie, Miss Steele, la seguo»
Dice. Cerco di ostentare nonchalance mentre esco da dietro il bancone, ma in realtà mi sto impegnando al massimo per non inciampare e franare al suolo: le mie gambe hanno la consistenza della gelatina. Sono così felice di aver indossato i miei jeans più carini stamattina.
«Si trovano nel reparto materiale elettrico, scaffale otto.»
La mia voce è un po’ troppo squillante. Gli lancio un’occhiata e me ne pento quasi subito. Accidenti, è proprio bello!
«Dopo di lei»
Mormora, allungando una mano dalle dita affusolate e perfettamente curate. Con il cuore in gola, imbocco uno dei corridoi che porta al reparto materiale elettrico. “Cosa ci fa a Portland? Cosa ci fa qui da Clayton?” E da una minuscola, poco usata parte del mio cervello affiora il pensiero: “È qui per vedere te”.
Impossibile! Perché mai quell’uomo splendido, potente e raffinato dovrebbe volermi vedere? È un’idea assurda, e io la reprimo immediatamente.
«È a Portland per affari?»
Chiedo, e la voce mi esce troppo stridula, come se mi fossi chiusa un dito in una porta o qualcosa del genere. “Cerca di rimanere calma, Ana!”
«Ero in visita al dipartimento di agraria della Washington State University. Ha sede a Vancouver. Sto finanziando alcune ricerche sulla rotazione delle colture e sulla micro morfologia del suolo»
Dice, in tono neutro. “Visto? Non è affatto qui per vedere te.” Le mie ridicole fantasie mi fanno arrossire.
«Fa tutto parte del suo piano per sfamare il mondo?»
Lo stuzzico.
«Qualcosa del genere»
Ammette, con un mezzo sorriso. Osserva la serie di fascette stringicavo. Che cavolo se ne farà? Non riesco a immaginarlo mentre si dedica al bricolage. Le sue dita scorrono sulle varie confezioni esposte e, per qualche inspiegabile motivo, devo distogliere lo sguardo. Si china a sceglierne una.
«Queste dovrebbero andare.»
«Le serve altro?»
«Vorrei del nastro adesivo di carta.»
“Nastro adesivo di carta?”
«Deve imbiancare?»
Le parole mi escono prima che possa fermarle. Certo chiamerà degli operai, o avrà dei domestici che lo aiutano nei lavori.
«No, niente del genere»
Risponde in fretta, poi sorride, e ho l’inquietante sensazione che stia ridendo di me. “Sono così divertente? Ho un aspetto buffo?”
«Da questa parte»
Sussurro, imbarazzata.
«Il nastro adesivo di carta è nel reparto vernici.»
Gli lancio un’occhiata da sopra la spalla, mentre mi segue.
«È da molto che lavora qui?»
Parla a voce bassa e mi fissa. Arrossisco violentemente. Ma perché mi fa questo effetto? Mi sembra di essere una quattordicenne: impacciata, come al solito, e fuori posto. “Stai in campana, Steele!”
«Quattro anni»
Mormoro, quando arriviamo a destinazione. Per distrarmi, mi chino e prendo i due formati di nastro adesivo di carta che abbiamo in negozio.
«Va bene questo»
Dice Bieber, indicando quello più largo, e io glielo porgo. Le nostre dita si sfiorano e sento di nuovo quella scossa che mi attraversa come se avessi tocca to un cavo scoperto. Sussulto mio malgrado, in un posto oscuro e inesplorato del basso ventre. Cerco disperatamente di riprendermi.
«Qualcos’altro?»
Ho la voce roca e affannata. I suoi occhi si dilatano impercettibilmente.
«Un po’ di corda, direi.»
La sua voce, roca, riecheggia la mia.
«Di qua.»
Mi dirigo verso lo scaffale.
«Che tipo di corda le serve? Abbiamo quella sintetica e quella in fibre naturali… lo spago… il fil di ferro…»
Mi interrompo nel vedere la sua espressione, il suo sguardo che si incupisce. “Oddio.”
«Prendo cinque metri di quella in fibra naturale.»
Rapidamente, con dita tremanti, misuro la corda, consapevole di avere addosso i suoi occhi ardenti. Non oso guardarlo. Accidenti, potrei mai sentirmi più in soggezione? Prendo il coltellino dalla tasca posteriore dei jeans, taglio, e arrotolo con cura la corda prima di legarla con un nodo. Per miracolo, riesco a non tranciarmi un dito.
«Era negli scout?»
Chiede, piegando le labbra scolpite e sensuali in un sorriso divertito. “Non guardargli la bocca!”
«Le attività di gruppo organizzate non sono la mia passione, Mr Bieber.»
Lui aggrotta la fronte.
«Qual è la sua passione, Anastasia?»
Chiede con la sua voce vellutata, e si riaffaccia il sorriso misterioso. Lo guardo, incapace di articolare una risposta. Mi sembra di stare su placche tettoniche in movimento. “Cerca di calmarti, Ana” Implora il mio subconscio torturato.
«I libri»
Sussurro, ma la vocina interiore sta gridando: “Tu! Tu sei la mia passione”. La soffoco subito, avvilita che la mia psiche alzi la cresta in questo modo.
«Che genere di libri?»
Piega la testa di lato. “Perché gli interessa tanto?”
«Oh, le solite cose. I classici. Soprattutto letteratura inglese.»
Lui si gratta il mento con il pollice e l’indice mentre riflette sulla mia risposta. O forse è solo annoiato a morte e sta cercando di nasconderlo.
«Le serve altro?»
Devo cambiare argomento… quelle dita, quel volto sono troppo affascinanti.
«Non so. Cosa mi consiglia?»
Cosa gli consiglio? Ma se non so nemmeno cosa deve fare!
«Per il bricolage?»
Lui annuisce, con lo sguardo animato da una strana luce. Arrossisco, e i miei occhi si posano sui suoi jeans.
«Tute da lavoro»
Rispondo. Ormai so di aver perso il controllo.
Lui alza un sopracciglio, divertito.
«Non vorrà rovinarsi i vestiti.»
Faccio un gesto vago in direzione dei suoi jeans.
«Posso sempre togliermeli.»
Sorride.
«Ah.»
Sento che le guance mi bruciano. “Smetti di parlare. Smetti SUBITO di parlare.”
«Prenderò qualche tuta. Dio non voglia che rovini i miei vestiti»
Dice in tono impassibile. Cerco di allontanare l’importuna immagine di lui senza pantaloni.
«A posto così?»
Gracchio, mentre gli porgo le tute blu. Lui ignora la mia domanda.
«Come sta venendo l’articolo?»
Finalmente una domanda priva di insinuazioni e disorientanti doppi sensi… una domanda a cui posso rispondere. Mi ci aggrappo come a una scialuppa di salvataggio, e opto per la sincerità.
«Non lo sto scrivendo io, ma Katherine. Miss Kavanagh. La mia coinquilina, è lei la giornalista. È soddisfatta di come sta venendo. È il direttore del giornale, ed era molto avvilita di non averla potuta intervistare personalmente.»
Mi sembra di aver preso una boccata di ossigeno…
«Le dispiace solo di non avere sue foto.»
«Che genere di foto vorrebbe?»
Okay. Non avevo previsto questa replica. Scuoto la testa, perché non lo so.
«Be’, io sono in zona. Domani, magari…»
«Sarebbe disponibile a posare per un servizio fotografico?»
La mia voce è di nuovo stridula. Kate sarebbe al settimo cielo se riuscissi a mettere a segno questo colpo. “E tu potresti rivederlo domani” Sussurra suadente quel punto oscuro alla base del mio cervello. Cancello quell’idea: non c’è niente di più stupido e ridicolo di…
«Kate ne sarebbe entusiasta… sempre che riusciamo a trovare un fotografo.»
Sono così contenta che gli faccio un ampio sorriso. Lui socchiude le labbra come se dovesse prendere fiato e sbatte le palpebre. Per una frazione di secondo, sembra quasi smarrito, e la terra si sposta leggermente sul suo asse, le placche tettoniche scivolano in una nuova posizione. “Oddio. Lo sguardo smarrito di Justin Bieber.”
«Mi faccia sapere per domani.»
Tira fuori il portafoglio dalla tasca posteriore dei pantaloni.
«Ecco il mio biglietto da visita. C’è anche il mio numero di cellulare. Mi chiami prima delle dieci del mattino.»
«Okay.»
Gli sorrido. Kate sarà elettrizzata.
«Ana!»
In fondo al reparto si è materializzato Paul. È il fratello più giovane di Mr Clayton. Avevo sentito che era rientrato da Princeton, ma non mi aspettavo di vederlo oggi.
«Ehm, mi scusi un secondo, Mr Bieber.»
Lui aggrotta la fronte, mentre gli volto le spalle. Paul è mio amico da sempre, e visto lo strano dialogo che sto avendo con il ricco, potente, super bello maniaco del controllo Bieber, è fantastico parlare con una persona normale. Paul mi abbraccia forte, cogliendomi di sorpresa.
«Ana, ciao, sono troppo felice di vederti!»
Esclama.
«Ciao, Paul, come va? Sei a casa per il compleanno di tuo fratello?»
«Già. Hai un aspetto magnifico. Davvero magnifico.»
Mi sorride, esaminandomi a distanza ravvicinata. Poi allenta la stretta, ma continua a tenermi un braccio protettivo sulla spalla. Io sposto il peso da una gamba all’altra, imbarazzata. È bello vedere Paul, ma è sempre stato troppo espansivo. Quando lancio un’occhiata a Justin Bieber, vedo che ci sta osservando come un falco, con gli occhi castani socchiusi e pensierosi, le labbra strette in una linea dura e impassibile. Il cliente stranamente interessato si è trasformato in qualcun altro, una persona gelida e distante.
«Paul, sono con un cliente. Una persona che dovresti conoscere»
Dico, cercando di disinnescare l’antagonismo che vedo nell’espressione di Bieber. Trascino Paul a fare la sua conoscenza, e i due si soppesano. L’atmosfera all’improvviso è polare.
«Ehm, Paul, ti presento Justin Bieber. Mr Bieber, Paul Clayton. Suo fratello è il proprietario del negozio.»
Per qualche strano motivo, sento di dover dare altre spiegazioni.
«Conosco Paul da quando lavoro qui, anche se non ci vediamo spesso. È appena tornato da Princeton, dove studia gestione aziendale.»
La sto facendo troppo lunga… “Fermati adesso!”
«Mr Clayton.»
Justin tende la mano, con un’espressione indecifrabile.
«Mr Bieber.»
Paul gliela stringe.
«Aspetti un attimo… quel Justin Bieber? Della Bieber Enterprises Holdings?»
Paul passa dalla stizza al timore reverenziale in un nanosecondo. Bieber gli rivolge un sorriso gentile che non coinvolge gli occhi.
«Wow… Posso fare qualcosa per lei?»
«Ha già provveduto Anastasia, Mr Clayton. È stata molto premurosa.»
La sua espressione è impassibile, ma le sue parole… è come se stesse dicendo qualcosa di completamente diverso. È sconcertante.
«Ottimo»
Replica Paul.
«Ci vediamo dopo, Ana.»
«Certo, Paul.»
Lo guardo sparire verso il magazzino.
«Le serve altro, Mr Bieber?»
«Solo queste cose.»
Ha un tono freddo e risoluto. Dio… non si sarà offeso? Con un respiro profondo, mi giro e mi dirigo verso la cassa. “Che problema c’è, adesso?”
Batto la corda, le tute, il nastro adesivo di carta e le fascette stringicavo.
«Sono quarantatré dollari.»
Alzo lo sguardo su Bieber e vorrei non averlo fatto. Mi sta osservando attentamente, con i suoi occhi intensi e misteriosi. È inquietante.
«Vuole un sacchetto?»
Gli chiedo, mentre prendo la sua carta di credito.
«Sì, grazie, Anastasia.»
La sua lingua accarezza il mio nome. Mi sembra di non riuscire a respirare. Infilo rapidamente i suoi acquisti in un sacchetto di plastica.
«Mi chiamerà se vorrà fare il servizio fotografico?»
Ha ripreso l’abituale pragmatismo. Annuisco, senza dire una parola, e gli restituisco la carta di credito.
«Bene. A domani, forse.»
Si volta per andarsene, poi si ferma.
«Ah… e… Anastasia, sono felice che Miss Kavanagh non abbia potuto fare l’intervista.»
Sorride, poi con rinnovata energia si dirige fuori dal negozio, facendo penzolare il sacchetto dalla spalla e lasciandomi tremante e in balia di una tempesta ormonale. Prima di tornare sulla terra passo diversi minuti a fissare la porta da cui è uscito. “E va bene… mi piace.” Ecco, dentro di me l’ho ammesso. Non posso continuare a negare i miei sentimenti. Non mi sono mai sentita così. Lo trovo attraente, molto attraente. Ma è una causa persa, lo so, e sospiro con un rimpianto dolceamaro. La sua venuta qui è stata solo una coincidenza. Comunque, posso sempre ammirarlo da lontano, no? Non può certo farmi male. E se trovo un fotografo, domani potrò ammirarlo meglio. A quel pensiero, mi mordo il labbro e mi sorprendo a ridere tra me e me come una scolaretta. Devo chiamare Kate e organizzare il servizio fotografico.
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Ciao a tutti! Sono riuscita finalmente a pubblicare anche il secondo capitolo. Già nel primo capitolo ho ricevuto 80 visite e ciò mi fa davvero felice, spero che il numero presto aumenti. Ringrazio anche le persone che hanno lasciato una recensione. A presto! |