Deliziosa.
Ho amato le descrizioni, mai eccessive, sempre funzionali. Ho amato il tuo volerci far assistere alla scena come se ci trovassimo non tanto a teatro, ché a teatro ci sono i limiti fisici delle quinte e dei fondali; ma come se anche noi fossimo assieme a Mask e Aphrodite a degustare il tè. Come se fossimo due mosche. in fondo si dice, no?, «a volte vorrei essere una mosca per vedere come ti comporti!».
E questo siamo noi spettatori: mosche, zanzare o cicale che friniscono sui rami degli alberi, in un primo pomeriggio che sa d'estate ma che è ancora primavera. Un po' come il rapporto tra questi due, che sono complici, ma ancora solo colleghi, compagni d'arme e non di vita.
È un pas de deux, questo, dov'è il vanesio e delicato Aphrodite a condurre il ben più granitico Mask. Ci si aspetterebbe il contrario, piuttosto; ma il bello di Aphrodite, credo, è proprio questo: ti sembra di avere a che fare con un innocuo carassio prima di scoprire, a tue spese, che no, non è un pesciolino rosso, quello che ti sta nuotando davanti, ma un piranha.
E niente, tutto ciò che potrei dire è riduttivo e stonerebbe con la precisa musicalità che hai messo in scena. È un concerto, questo, in cui sono gli archi delle cicale a riservarsi un crescendo che ci lascia col fiato sospeso.
Sì, i miracoli sono un una tantum. Non sono gatti, con le proverbiali sette vite. E sì, è bello essere ancora vivi, sotto un cielo di un blu abbagliante, se la scena che ci mostri è questa.
Complimenti davvero. |