Ero a letto ed ero dal cellulare quando ho deciso di scorrere EFP, scoprendo (più o meno letteralmente) le tue parole, nel tentativo di decifrare i tuoi accostamenti. Mi hai catturato, al punto da dover prendere il tablet per scrivere, prima che le sensazioni s-fuggano via, questa sorta di recensione.
La brevissima presentazione che hai improvvisato la dice lunga su chi o cosa tu sia. La dice lunga sul tuo duplice e ambivalente rapporto con ció che scrivi, tra la consapevolezza e l'ambizione di versi e parole puri ed elevati, capaci di afferrare qualcosa di ben superiore - ambisci a dei versi perfetti, che possano rispecchiare la tua interiorità apatica e complessa. I tuoi desideri, più o meno ammessi, si scontrano violentemente con un'istanza altrettanto forte, che sminuisce ciò che sei, che rappresenti e che il mondo intero, nelle sue variegate sfumature, rappresenta. Emerge così questo flusso di coscienza che riconosci sia compreso tra due sfere distanti e apparentemente incompatibili: l'assenza di significati e la loro esplosione. Sei onesta ad avvertire chi s'avventura incontro ai tuoi versi: potrebbe trovarci nulla o qualunque cosa. In parte per via dell'immancabile interpretazione soggettiva, che ci lascia cogliere angolature inaspettate, ma soprattutto perché tu stessa non sei sicura di cosa sia fluito, di cosa abbia oltrepassato le tue difese durante quel flusso incontrollabile - ma poi domato - di parole, che hai raccolto in questa poesia. C'è il tuo inconscio, qua in mezzo, ci sono i tuoi timori, la tua circospezione (io credo che l'aggettivo "circospetta" ti riproduca fedelmente. Potrei sbagliarmi a riguardo, eppure mi sembra di percepirlo vividamente), è una collisione di mondi e significati. La tua incertezza, sincera, è l'incertezza di chi non vuole soffermarsi sulle parole che si sono allineate davanti ai propri occhi, l'incertezza di chi vuol mettersi a riparo, di chi ne teme il giudizio. Hai in particolare paura di te stessa.
La tua poesia è velata da una patina macabra, è una poesia che allo stesso tempo ti eleva e ti condanna, con solennità ti rende regina pur tuttavia non dei vivi, regno che t'appartiene meno dell'altro. Difficile dire se ad essere soggetto dei tuoi versi sia la te che conosci, la te che conoscono, se solo una parte di te, se sia solo parte di qualcosa. Altrettanto difficile è capire chi e quale e cosa sia l'amore che vaga tra le strofe e che chiude i tuoi versi. Inizialmente è legato a quel sonno, incipit tematico a cui ti volgi più volte e da cui ripetutamente fuggi.
La morte di cui sei regina è presumibilmente solo (si fa per dire) interiore, sebbene dia l'impressione di essere pronta a sfociare in un atto terribile, nelle sembianze concrete di un mostro. O di una regina. Ti senti fuori posto, ti senti come chi è pronto ad andarsene, percepisci la disarmonia del cosmo e irrazionalmente in quel caos trovi conforto, rispecchia quella tua anima che tu credi sia capace di divorare tutto. Di aspirare ogni lampo di luce. Al punto da farti sentire, vedere, immaginare - o sognare? Si tratta di un fantasticare? Di un sogno notturno? - in qualità di una portatrice di sventura, di morte, dalle labbra velenose e dai baci fatali. Saranno incubi ciò che andranno a toccare, nel sogno tuo compagno, pronti ad inghiottire qualunque cosa.
C'è una strofa, atipica, in cui quel tuo amore appare quasi umano. Le tue parole si addolciscono per qualche attimo, tendono a ripiegarsi, mentre descrivi quel respiro che ti ha spezzato il fiato (soltanto?) più volte. Eppure perfino tu dubiti delle tue parole, della tua debolezza.
La regina dei morti fa allora ritorno, sulle ali dello stesso Corvo che l'ha accompagnata nelle battute iniziali di questo poema volutamente oscuro e seducente. Un Corvo forse simbolico, forse tangibile (come uno stemma, come un compago di viaggio), capace di accompagnare i tuoi lamenti sino alla Luna (ricorda un Ariosto). Sei il più normale dei poeti, in questo istante, mentre nella notte dilagante non trovi nulla di meglio da fare che raccontare le tue sofferenze alla silenziosa e incurante natura che la Luna indica dalla sua postazione privilegiata. Sei caduta in tentazione, proprio mentre sembravi forte ed impassibile dinnanzi alla marea di peccati da espiare. Ti sei commossa, immersa nella sua freddezza, ti sei confidata. Tu, regina dei morti, ti sei comportta da viva in presenza di un ente morto. Sembrano ruoli interscambiabili i vostri.
Che cosa sei? Lo domandi all'amore, che ormai è un'idea, lo domandi a te stessa e al mondo, alla Luna e al cosmo.
Dolcissimi i versi che concludono malinconicamente una poesia priva di speranze espresse e ricca di speranze inespresse, mentre ti dichiari pronta a sparire alle prime luci dell'alba. Proprio come un sogno.
Hai proposto di leggere la tua poesia scegliendo tra lo zero e i mille significati. Io ho scelto i mille, lasciando scorrere quello che ho provato di fronte ai tuoi versi (e forse ho scritto troppo, ma avrei scritto ancora di più se fossi stato al computer e non avessi avuto sonno. E forse ho frainteso molte parole, ma è stato un dolce e coinvolgente fraintendimento). E ti faccio i complimenti, hai il merito di aver scritto qualcosa di particolare, in modo particolare e con una strana raffinatezza. Ne sono rimasto affascinato. |