Quello che mandi in scena è un suicidio con tanto di damnatio memoriae. La casa è la proiezione dell'io. E' il nostro piccolo mondo, che ci rappresenta, ci accoglie, ci protegge. Distruggere la propria casa significa distruggere se stessi. L'io narrante lo fa con meticolosa perizia. Ogni piccolo dettaglio, anche il più secondario, non sfugge alla personale apocalisse. Ciò che rimane sono le rovine fisiche ed esistenziali di chi ha deciso di autodistruggersi. Per ricostruirsi, forse. O per scomparire definitivamente nella discarica di una psiche decomposta.
Bellissimo componimento.
S.

Non potevo che dedicare a te la mia 1.500ma recensione.
Questo componimento è semplicemente perfetto, è "rotondo": parte da un principio di autodistruzione per chiudere il cerchio, estendendo all'esterno ciò che è distrutto, o meglio che è "decaduto", all'interno del protagonista.
Credo che siano emblematici i versi: "La casa ha visto la decadenza. La tua. Tu hai visto la decadenza della casa. È la tua apocalisse personale."
Perchè mantenere intatti gli oggetti, se dentro di noi siamo disfatti?
A che pro? Non è forse più importante quello che siamo dentro di noi, piuttosto che gli oggetti effimeri, le cose, quando la nostra anima cade a pezzi?
 

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