Recensioni per
La scelta
di Old Fashioned

Questa storia ha ottenuto 263 recensioni.
Positive : 263
Neutre o critiche: 0


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Recensore Junior
04/04/23, ore 04:06
Cap. 18:

No, non mi sono commossa; è che ha iniziato a piovere dalla nuvoletta rosa e marziale.

Quante emozioni. Da dove poter partire, per descrivere in pienezza la meraviglia di quest'ultimo capitolo? Si ha solo l'imbarazzo della scelta, perché ogni scena merita il suo peso e scalpita per essere la prima.

Ehrenold che si rialza, quasi ormai in uno stato di incoscienza, per ammazzare il generale nemico e i suoi uomini, è quanto di più stoico si possa trovare in sul campo di battaglia. Al di là della capacità del fisico, la sua è pura volontà temprata, il senso del dovere che lo muove oltre la sua razionalità, lo obbliga a rialzarsi e a finire il suo compito. La scena colossale della sua caduta, anticipata dalla spada, ricorda il trapasso degli eroi norreni, morti in piedi sul campo di battaglia e abbattutisi al suolo soltanto dopo aver esalato l'ultimo respiro.
Per fortuna, qui l'esito non è la morte dell'eroe.
Lo sapevo che ci avresti tenuto col fiato sospeso fino alla fine, e ammetto di aver patito assieme a Iasay. Ma Ehrenold non poteva morire così, nel silenzio del letto di un ospedale da campo. Sarebbe stato troppo ingiusto. E difatti, sei stato generoso e ci hai regalato quella scena a cui tanto speravamo di giungere. Quel momento così pieno di gioia che, in piena ottemperanza del comportamento di Kjarr, è privo di emotività palesate, ma si passa tutto tramite poche parole e uno sguardo che cementa un sodalizio intimo e potente. Quanto rende l'idea, quella carezza tramite gli occhi, dell'intensità dell'affetto che si sono scambiati. E poi quel breve scambio di riconoscimenti, che chi parla la lingua di Kjarr sa bene essere la punta dell'iceberg di tutto quel che in realtà implicano. Ehrenold gli riconosce di essere stato coraggioso, di avergli salvato la vita, e già lì ero al settimo cielo. Ma che anche Iasay gli riconosca, a sua volta, di avergli salvato la vita è importantissimo. Ricordiamo infatti che Sedgius avrebbe lo stesso dato l'ordine di non ucciderlo. Per come la vedo io, dunque, la salvezza a cui si riferisce Iasay non è quella tra il semplicistico binomio di vita o di morte, ma è l'avergli donato la forza per prendere finalmente in mano la sua esistenza e farne qualcosa di cui poter essere fiero. Qualcosa da poter chiamare "vita" a tutto tondo, proprio perché ambita e conquistata, e non trascorsa passivamente nel torpore di una fragilità glorificata.

Tanto che, a fronte di questa realizzazione e al riconoscimento di essere stato in grado di affrontare la sua prima battaglia, unito al coraggio di aver ucciso per salvarlo, Ehrenold gli conferisce l'immenso onore di un tatuaggio di guerra. Anche qui sarei tentata di mettere alla prova le mie doti amatoriali di traduttrice dall'idioma di Kjarr, ma siamo sinceri: servirebbe davvero? Certi gesti si ammirano per come sono e basta, certe cose restano intraducibili quale che sia la lingua che possediamo.
E va bene, solo io vorrei uno scorcio sul momento esatto in cui Iasay ha chiesto ad Ehrenold se poteva tatuarsi l'aquila del Regno? Perché mi immagino le espressioni di entrambi e sorrido tra me e me (l'espressione di Ehrenold sarebbe, presumo, pressocché immutata. E sorrido proprio per questo). Poi non ti dico il tripudio scaturito dall'apprendere che sia verosimile -o almeno, in questo caso lo è- che mentori e allievi si tramandino i tatuaggi. Volevo già chiederti se nel Regno fosse diffusa una simile usanza, ma mi pareva di averti sommerso di troppe domande, quindi avevo semplicemente azzardato la cosa; e invece ecco che, sempre germanicamente efficiente pure in anticipo di anni, mi hai fatto pervenire la risposta. E' un concetto che adoro, *adoro* per tutta una serie di implicazioni che comporta. Avere tatuaggi simili -o rimandi ad essi- equivale all'imprimersi addosso il nucleo degli insegnamenti ricevuti; è un tributo, un riconoscimento e la forma più sincera di stima, nonché un immenso orgoglio per il maestro che vede riconosciuto il valore di ciò che ha passato al giovane tramite i suoi sforzi.
Considerato il pregio intrinseco dei tatuaggi di guerra di Kjarr, poi, tutto questo viene ulteriormente amplificato. E in questo caso, è una splendida iniziazione rituale alla virilità solare che dipingi con tanta maestria.

Passiamo ai Luogotententi, perché ti pareva che potessi lasciarli così alla chetichella? Su Threwe mi riserbo il dubbio, ma ho il presagio che dal suo titolo di Apprendista di Vatur potrà rifilarmi un'amara sorpresa sulle sfumature dei soldati di Kjarr. Hithaigh, invece, ha avuto modo di ricredersi, e si corregge con tutta la naturale fermezza del caso. Dall'aver tentato di scotennare Iasay, la prima interazione che ha con lui da quell'inseguimento è stata quella di aiutarlo a rimettersi in piedi dopo la battaglia e controllare burberamente che non fosse ferito. Hithaigh è un veterano dai tanti anni, e il suo orgoglio potrà anche essere sofferente e suscettibile di dover obbedire a un giovane come Ehrenold; ma proprio in virtù di questa saggezza accumulata con l'esperienza, sa riconoscere subito gli eventi che contano nel definire persone e situazioni, e ha imparato a riscrivere i propri errori come chi ha appreso che correggersi è meglio che convincersi di avere ragione.
E su Rowden, beh. Ti ho già scartavetrato le gonadi abbastanza nelle recensioni precedenti, quindi non credo sia opportuno proseguire oltr- ha! Ci stavi cascando? Come se potessi mai rinunciare all'occasione di tessere le lodi del nostro beniamino. La farò breve, questo almeno te lo posso garantire: ma posso dirti con sicurezza che è stato il personaggio per cui più ho provato affetto. E questo è, in sostanza, il pregio di Rowden: per gli ufficiali, i generali e i militari tutti di Kjarr, sei portato a provare una vasta scala di sentimenti; dal rispetto, all'ammirazione, al terrore, all'orgoglio. Ehrenold, nella sua massiccia caratterizzazione, mi ha fatto provare tantissime emozioni. Ma trovare qualcuno in grado di esprimere tanta cristallina umanità, pur restando alto nei valori di fortitudine e potenza del Regno, è raro e toccante, e Rowden possiede questo privilegio.

La famiglia di Iasay, l'emblema della sua vecchia vita, è svanita nottetempo senza lasciare null'altro che pareti in cui risuona il silenzio. La villa è un esoscheletro vuoto a cui Iasay si prende il suo tempo per donare il suo addio, conscio che il momento in cui avrà varcato per l'ultima volta i portoni di quella casa per lasciarsela alle spalle, avrà sancito la fine del suo vecchio Io. Non è un addio doloroso, eppure è complicato e agro, necessario, come ne capitano nella vita: sono consapevolezze che destabilizzano con tutta la malinconia che si portano dietro, ma a cui bisogna andare incontro per poterle chiudere e progredire oltre. Un nido d'infanzia non è mai eterno.
Vogliamo pensare che Iorweth, Diorle, Alayna e tutti gli altri abbiano trovato la loro felicità da qualche parte a Nord, ma quella, soprattutto quella è la vita da cui Ehrenold ha salvato Iasay. Un'esistenza cieca e svigorita, scandita dal contare le proprie ricchezze e le gioie effimere, l'affetto accondiscendente di una famiglia e la commiserazione dietro ai loro sguardi, a tremare di paura come una banderuola segnavento al primo innalzarsi della brezza di una minaccia.

I nobili di Kadya hanno distrutto quel che mai si sono premurati di proteggere, primo fra tutti il Duca Jenevin, e la loro epoca dell'oro è ormai giunta a un sanguinoso tramonto sulle rovine della città. L'esercito di Deres, invece, ha semplicemente giocato all'azzardo della guerra ed ha perso; non per scarsità di mezzi o capacità, anzi, si è rivelato un nemico ben ostico per i nostri soldati. Ma quando decidi di approfittare di un'opportunità, per quanto vantaggiosa essa appaia, sai che devi sempre considerare persino i casi peggiori. Sedgius, abbagliato dalle luci della gloria dallo stesso colore d'oro dei suoi monili, si è lasciato andare alla baldanza proprio all'ultimo, e ne ha pagato la vita. Spero che Rador sia sopravvissuto alla battaglia, ancora una volta, di modo che possa avere un'altra storia triste da narrare per, forse, infondere un po' di buonsenso ai nuovi condottieri. Chissà che non facciano come Ekkonwen, e scelgano di dare ascolto all'esperienza di un vecchio veterano.

Il finale, potente e senza fronzoli in perfetto stile Kjarr, è così ampio e pieno di significato. Davanti a loro, Ehrenold e Iasay hanno tutto il mondo; un mondo da combattere sul quel campo di battaglia, un mondo da affrontare per ogni giorno che Hengrist vorrà loro concedere, un mondo da vivere in un'ottica rinnovata e forte.

E sì, Siwald immagino che lo stessero trattenendo in tre nelle Aule di Vopnir, ma direi che ora possa darsi pace. La sua spada sembra aver trovato infine un possessore degno di brandirla di nuovo, e di onorarla col sangue.

Ora, giunta alla fine, sono a metà tra un meringhino pieno di sentimenti e carica di un'ardente gioia marziale.
Ognuno darà a La Scelta la definizione che meglio ritiene calzante, e io la descrivo così: una storia di coraggio e resilienza.
Il suo messaggio è riassumibile nello splendido insegnamento di Ehrenold: "Se vuoi una cosa, devi combattere per averla." In questa storia, sono tanti quelli che hanno combattuto; con onore, o nell'ombra, con le armi, a parole, coi silenzi. C'è chi ha dato fiducia, chi l'ha tradita. E il bellissimo messaggio che lascia alla fine, è che se hai il coraggio di affrontare di petto le conseguenze delle tue azioni, di riconoscere le tue debolezze per poterle sconfiggere, di sacrificare qualcosa per raggiungerne un'altra, troverai la forza di essere la persona di cui essere davvero orgoglioso.

Questi capitoli racchiudono l'importantissimo messaggio che la vita non è giusta, che le tragedie non guardano in faccia nessuno, e che non basta disperarsi per far sì che le cose girino nella direzione che vogliamo noi. Scontato? Di sicuro, per molti è scontato intonare il pianto greco sulle proprie miserie e affibbiare colpe a chiunque non intervenga per risolvere la loro situazione, sia esso la società, o la divinità di turno, o chi dovrebbe consegnargli la soluzione servita sull'argenteria buona; perché certa gente finisce per trovarsi grottescamente a proprio agio nel crogiolarsi nel proprio vittimismo, ed ad appioppare colpe a chiunque tranne che ai propri difetti.
Invece questa è la storia di due protagonisti che hanno trovato il coraggio -e le palle, per non dar troppa aria ai violini-, di ergersi in piedi ed affrontare le loro bestie nere, faccia a faccia. Ehrenold ha trovato la forza di trascinarsi fuori, sui gomiti e sulle ginocchia, da quella spirale di lutto che lo aveva reso la peggiore versione di se stesso e che stava ormai per reclamarlo. E' venuto a patti col proprio dolore, lo ha domato e accolto come un compagno sempre presente nella propria vita, ma ora sotto al proprio controllo. Ha ritrovato quello che lo rendeva umano, e si è concesso di elaborare emozioni che, forse al contrario di quel che temeva, non l'hanno reso più debole, ma più conscio di sé. Sempre per il principio secondo cui una lama ha bisogno di passare tra fuoco, incudine e martello per essere forgiata e migliorata, l'assedio di Kadya è stato il culmine di quella prova. Ne sarebbe potuto uscire o spezzato, o temprato, ed Ehrenold ha avuto l'immensa robustezza morale e fisica di uscirne più forte; una lama di Thrygg fatta carne e sangue.
Lo stesso ha fatto Iasay, e non solo: ha compiuto l'incredibile impresa di ribaltare il suo mondo. Ha messo in discussione i suoi valori, ha addirittura messo in discussione se stesso. Ha toccato con mano la persona che era, ed ha vissuto sulla propria pelle un nuovo punto di vista del mondo che prima, nella sua utopica teca di cristallo, ignorava e temeva. Ha comparato i valori che possedeva e quelli che Kjarr gli ha insegnato: una dignità non regalata da fattori esterni, labili e manipolabili come le persone che li definivano, ma conquistata tramite nient'altro che le proprie mani. Da ragazzetto frignone ed egocentrico, prono a farsi angariare da chiunque gli usasse contro un po' di forza, è diventato a sua volta un guerriero orgoglioso, un giovane uomo fiero e responsabile delle proprie azioni, parte stessa di quell'entità a cui un tempo fuggiva con terrore: i soldati di Kjarr.

Non esiste niente e nessuno che possa tirarci fuori dalle nostre miserie, se non siamo noi i primi a rimboccarci le maniche, stringere i denti e trascinarci fuori da lì. Possiamo avere, tutt'al più, qualcosa che ci dia lo sprone di farlo. E in un certo senso, questa storia è uno sprone anch'essa. Un messaggio che ti impone di smetterla di piangerti addosso, e che se vuoi qualcosa, devi alzarti in piedi e avere il coraggio di prendertela tu stesso. Nulla si ottiene senza dei sacrifici, così come è normale che faccia paura affrontarli, anzi: è proprio passare attraverso queste sfide che ci da la forza di migliorarci, proprio come il metallo.

Non sapevo cosa aspettarmi quando ho iniziato a leggere di Kjarr. Cioè, un po' sì, perché avevo già l'infarinatura del tuo stupendo modo di scrivere, ma questo è stato un approccio che ha portato le cose decisamente su un altro livello. Mi sono trovata a sfogliare figurativamente tra le mani dei valori che amo e che sento familiari, e che non credevo fosse possibile trovare così abilmente intrecciati tra loro tra i capitoli di un fantasy.
Non sai quanto sia contenta di aver scoperto Kjarr; o forse un po' lo sai, dal momento che ti sei passato tutte le mie digressioni, i miei scarabocchi -a proposito, ne ho un altro già in mente-, e le mie infinite curiosità a riguardo. E sappi che sono ben lungi dall'essere terminate. Ma per ora mi fermo qui, per lasciare a questo stupendo finale la conclusione che merita.

Kjarr è proprio come la lama di Siwald; se lo si guarda con occhio sbrigativo, è facile attribuirgli tutti i valori negativi di un'arma severa, invisa, "brutta". Ma se ci si prende il tempo per osservarlo, per calibrare la mano e bilanciarne il peso, allora potrai comprendere fino in fondo la sua potenza e la bellezza di quel che è capace di fare, il suo vero valore che supera di gran lunga quello di altre spade cesellate da orpelli e metalli preziosi. Ognuno poi decide di farne quel che vuole, con le decisioni che reputa sia giusto trarne.
Vorrei ringraziarti del viaggio, per averci condotto attraverso un mondo così meraviglioso che ho imparato a conoscere ed apprezzare a fondo; diciotto capitoli sono stati, al contempo, tanti e pochissimi. Ma d'altra parte, ho già lo zaino e il destriero pronto per avventurarmi nei prossimi. Kjarr ha ancora tanto da raccontarmi, in quelle tre storie che non vedo l'ora di cominciare, e spero che al pari di com'è accaduto qui, lo vorrai rendere ancora più vivo e delineato nelle tue risposte. Quindi non sono troppo triste.

Grazie, carissimo, come al solito e una volta in più.
Possa Hengrist concederci ancora tanti capitoli di questa splendida saga!

Recensore Junior
04/04/23, ore 01:40
Cap. 17:

Va bene, sarà uno sforzo commentare questo capitolo senza fiondarsi subito all'ultimo; ma resisterò. Voglio tenere fede al proposito di scrivere le mie impressioni a caldo, e sarebbe un peccato interrompere una consuetudine ormai stabilita. Se il prossimo capitolo dovesse finire male, che queste righe rimangano ai posteri come l'ultima prova del mio ostinato ottimismo; voglio solo dire che col senno di poi siamo tutti bravi a dire "l'avevo detto io che andava male", eh.

Stavolta però parto dal fondo, perché nel caos della battaglia si è rimescolato tutto l'ordine delle cose. La verità è che l'ultima scena mi ha troppo gasata, e quindi:
ECCOLI! I RINFORZI!
Stavolta niente standing ovation in precario equilibrio sulla sedia, ma poco c'è mancato. Si sa, l'arrivo insperato della cavalleria è sempre il momento più emozionante della battaglia, quello che ti fa saltare il cuore in gola e strizzare di gioia il cuscino del divano. Vorrei citare l'iconico "all'alba del terzo giorno, guarda a Est", ma qui siamo ormai al settimo, per cui dobbiamo arrangiarci con citazioni diverse. Per una preferenza personale e il paragone bizantino dell'assediante, mi figurerò i nostri come gli ussari alati sul Kahlenberg in procinto di spezzare l'assedio di Vienna. Una carica talmente potente che "era come se si riversasse un torrente di nera pece che soffoca e brucia tutto ciò che gli si para innanzi", una descrizione dell'epoca che ricalca perfettamente l'esercito di Kjarr... sempre che Ekkonwen la smetta di osservare l'orizzonte sollevandosi dalla sella come una marmotta, e si dia una sbrigata. Per favore, Ekkonwen, vada di speroni; non per suonare ineducata, siamo tutti nelle sue capacissime mani, ma avremmo giusto un po' di pressione qui a Kadya.
Ma adesso sono rinfocolata da una rinnovata speranza, e quindi attendo galvanizzata gli squilli di trombe della carica e l'armata nera che si riversa sul nemico spazzandolo via sotto l'impatto. Direi che a fronte di un nuovo, enorme schieramento di cavalieri di Kjarr, persino un esercito competente come quello di Deres possa solo farsi il segno della croce -o in questo caso, il suo equivalente- e raccomandare l'anima al cielo. Ora che me ne rendo conto, però, sto già mezzo cantando vittoria come Sedgius, per cui rettifico: nessun criminoso ottimismo.
L'unica speranza è che la carica arrivi in tempo per risparmiare i nostri, e i pochi eroici difensori sopravvissuti con loro.
(Tra l'altro uh, "Ekkonwen", un nome dalle sonorità scandinave? Non mi aspettavo questa splendida chicca infilata così con disinvoltura nella narrazione, ma già ci sto cogitando su ** È forse una particolarità linguistica delle Marche più settentrionali, proprio come i ceppi germanici?)

In tutto questo- fermi tutti. Cosa vuol dire che "la richiesta d'aiuto era giunta con un ritardo inspiegabile"?!
...
Allora.
Io voglio pensare che questo rientri negli errori pregressi di Ehrenold, ovvero che col giudizio ancora adombrato dal lutto avesse dato l'ordine di chiedere rinforzi in tempi ormai disperati. Ma. Threwe. *fissa* Giuro che mi hai lasciato in un limbo, mio caro -sempre per quel principio secondo cui non so mai beccare il colpevole-, e non saprei davvero saltarci fuori. Mi sembra così assurdo che Threwe abbia consapevolmente inviato in ritardo la missiva, perché comunque non avrebbe avuto senso chiudersi e morire in quella trappola solo per far sfigurare Ehrenold. O forse aveva calcolato il momento in cui i rinforzi sarebbero arrivati giusto al filo, per poter far apparire Ehrenold come qualcuno in procinto di perdere la città, e quindi inadatto al ruolo di Sovrintendente? Un enorme azzardo, e comunque una mossa da infami, soprattutto per il sacrificio di tutti i propri uomini. Non ce lo vedo a fare una carognata simile, probabilmente perché non voglio immaginare un uomo di Kjarr prestarsi a certi sotterfugi; ma il sospetto rimane. Un errore del Sovrintendente, o una mossa astutamente rischiata? Non so cosa pensare. Miss Marple non ha mai indagato sotto assedio, e così la mia già esigua diffidenza manca di pattern conosciuti su cui muoversi per risolvere l'arcano. Mi rifaccio a una tua eventuale spiegazione, qualora non fosse invece stata tua intenzione lasciare il dubbio senza una risposta.

Ma ammettilo: in questo capitolo ci hai davvero voluto viziare. Non saprei spiegarmi altrimenti la grandiosità e la catarsi di vedere Ehrenold lanciarsi nel fulcro peggiore della battaglia e condurre i suoi uomini con la potenza di un capobranco lanciato al massacro. Riconfermo tutto quel che si è detto in precedenza: immenso, glorioso, e finalmente degno di quell'Onore che porta nel nome.
E malgrado tutto, non è né per onore né per gloria che combatte. Lo fa a capo chino e lo sguardo puntato dritto davanti a lui, impostato verso un dovere che bisogna portare a termine, una macchina di morte che deve continuare a svolgere il suo compito fino alla fine, che si sobbarca tutti gli scontri più gravosi e pericolosi. Come anche osservato da Ekkonwen e Alwolf, incarna davvero ciò che dovrebbe essere un vero comandante. Non uno che ordina spingendo dalle retrovie, ma uno sempre di un passo avanti ai suoi uomini, che li dirige sulle sue orme e con le sue azioni. Uno che indica la via ed è il primo a percorrerla, infrangendo gli ostacoli come una nave rompighiaccio per aprire la strada; il primo a sopportare i sacrifici che chiede, il primo a patire il dolore che infligge ai suoi. Quello è un uomo degno del comando.
Sono davvero contenta di aver conosciuto ed apprezzato Ehrenold quand'era sul fondo della sua condizione psicologica, malgrado fosse arduo scorgere in lui tutte le qualità di cui disponeva. Ma proprio perché persino nei momenti più grevi ha dimostrato comunque uno smalto temprato sotto la ruggine, ora può risplendere di tutta la potenza propria del suo personaggio.
Me ne sono riempita gli occhi, e sono stata orgogliosa di lui.

Dal clamore della battaglia, scivoliamo con Iasay al silenzio spettrale dell'ospedale da campo. Prima di leggere dell'esercito di Kjarr avevo sempre pensato che le grida di guerra e il boato degli eserciti fossero qualcosa di immane e spaventoso. E lo sono tutt'ora, ma devo ricredermi: in una situazione dove la morte regna sovrana, il silenzio è forse persino peggiore.
Se già mette angoscia l'idea di trovarsi di fronte a nemici spettrali, muti e dediti solo ad uccidere chi hanno di fronte, trovarsi tra feriti silenziosi è ancora più sconcertante. Il dolore non è qualcosa di facilmente controllabile, quindi possiamo solo immaginare l'immane tempra che devono possedere i militari di Kjarr per stringere tra i denti l'agonia delle ferite e della morte incombente. Ancora una volta, tocchiamo con mano lo stoicismo dei soldati del Regno, la loro abnegazione per i compagni d'arme e il loro profondo orgoglio.

In tutto questo, mi avventurerò anch'io tra le righe con ansia al pari di Iasay, ma per scoprire che fine stia facendo Rowden. Sono stata fierissima della sua sortita, ma ora che sono incalzati e costretti a indietreggiare verso la città, per la cavalleria si mette davvero male. Fino alla fine della battaglia, mi aggrapperò al teorema del paradosso del Luogotenente di Schrödinger: Rowden è in una superposizione di vita e morte al contempo, e non oso guardare per non avere conferma. (Non è vero, divorerò i paragrafi per avere una risposta al più presto)
Ovviamente lo stesso livello di apprensione lo abbiamo anche per Ehrenold, con l'unica, magra speranza che se il suo destino sarà la morte, molto probabilmente non potrà essere sbrigata fuori dalle descrizioni. Voglio dire, lo stiamo vedendo combattere come un ariete da sfondamento -e non potremmo amarlo di più-, non ce lo farai trovare cadavere così facilmente.Vero? -...vero? Iasay, resta dentro al palazzo anche tu. Senza il tuo pov, forse non avremo il pov della morte di Ehrenold e tutto andrà nel migliore dei modi :') il paradosso del Luogotenente di Schrödinger magari si applica anche ai Sovrintendenti, e noi preferiamo scoprirlo per empirismo.

No, facezie a parte, è così apprezzabile il coraggio di Iasay di lanciarsi alla ricerca della sorte di Ehrenold. Ormai lontani sono i tempi in cui si rifugiava nella sua camera del Palazzo dei Draghi, racchiuso tra quelle quattro pareti e troppo spaventato per azzardare un passo al di fuori. Ora si lancia nel pieno di un assedio, in mezzo a un inferno in cui non sa muoversi, per raggiungere il fianco dell'uomo che ha scelto di seguire. Non può, nè vuole restare a mendicare informazioni da stralci di conversazioni di terzi; vuole scoprire se Ehrenold sia morto o vivo, quindi si tira su e ci va di persona. Sa che affrontare queste paure è anche quello che la sua scelta ha comportato, e ormai non trova più accettabile l'idea di rannicchiarsi al sicuro e restare passivamente in attesa che gli eventi plasmati dagli altri gli capitino addosso.

Finalmente arriviamo anche al tanto temuto momento dell'insurrezione cittadina. E come si suol dire: il Gatto non c'è, e i cittadini di Kadya... non ballano, ma fanno ugualmente la fine dei topi. Ti dirò, in questo caso non mi dispiace. Posto che in un mondo come quello io sarei ben felice di avere un esercito di Kjarr di stanziamento in città, ma questa è una mia considerazione personale e opinabile: quel che non è opinabile, invece, è che non gli si possa neanche conferire l'orgoglio di chiamarli partigiani. Non glien'è mai fregato nulla della loro città o della loro patria, almeno non prima che venissero imbottiti di scemenze religiose e manipolazioni varie. Tutt'ora si sono dimostrati incapaci di vedere il reale problema dietro quella guerra, ottusi nella loro causa di terrorismo, ben contenti di farsi ammazzare in nome di chi non li considera altro che pedine sacrificabili. Gli idioti utili, per l'appunto.
E poi per me vige la sacrosanta regola che quando sei il primo a colpire, poi puoi essere colpito a tua volta, non importa chi o cosa tu sia, o quanta ragione tu abbia. Se alzi le mani, poi devi essere anche pronto a prendere quel che ti arriva indietro: e se da cittadino alzi le mani sull'esercito più letale del mondo civilizzato, che tra l'altro è giusto un tantino nervosetto per un assedio, allora mi dispiace, ma te la sei chiamata. Il diritto alla difesa vale per tutti, non è che ci sono categorie privilegiate.

Tra l'altro l'esercito di Kjarr era sempre stato corretto nelle punizioni elargite, malgrado fosse bersaglio di tentati sabotaggi su base giornaliera. Se fossero stati gli invasori crudeli che la Mano di Kodarvor andava strepitando, avrebbero potuto fare rastrellamenti casa per casa e dare una lezione esemplare a tutta la città. Sarebbe stato profondamente tirannico, ma nessuno gliel'avrebbe impedito. Invece hanno sempre e solo punito i colpevoli diretti, anche se questo significava trovarsene il doppio il giorno dopo, proprio perché i militari di Kjarr sono estremamente ligi alla loro dottrina morale.
Da dove viene tutto questo livore, probabilmente non lo saprebbero spiegare neanche gli insorti di Kadya.
Inoltre assalire i feriti che si stanno ritirando non si può davvero vedere. Anche se qui non esiste una convenzione di Ginevra (dovrebbero redigerla anche solo per bandire gli orecchini di Sedgius), è davvero un gesto da cani. Persino in guerra ci sono regole entro cui restare, per mantenersi persone con una dignità e una morale, sennò si è solo bestie rabbiose allo sbaraglio. Però è anche vero che i soldati di Kjarr incutono una paura atavica, ed anche da feriti preferirebbero continuare a combattere piuttosto che dire "no, mi arrendo, devo pensare a sopravvivere", quindi in un certo senso ucciderli anche così ha il suo perché; come aveva anticipato Ehrenold, ai soldati di Kjarr non viene concesso di essere prigionieri nemmeno se, assurdamente, lo volessero. Uno vince ed uno perde, questa è la dottrina di battaglia di Kjarr.
Ora almeno la Mano di Kodarvor pare sbaragliata una volta per tutte, ma avrà fatto in tempo a dare il contributo necessario a far collassare la linea prima che sopraggiungano i rinforzi di Ekkonwen?

Volo all'ultimo capitolo. Non vorrei, ma al contempo lo voglio tantissimo.
Ho il tempo e la freschezza per farlo? Tragicamente, affatto. Ma lo faccio lo stesso, e che diamine. Se c'è qualcosa che insegna Kant, più che appropriato in questo contesto, è che l'esperienza è definita anche dalla misurazione temporale del soggetto, e io in quanto soggetto ho tutta la determinazione del mondo di sperimentare la fine di questa meravigliosa storia prima del sonno; quindi che il tempo si adegui alla sua creazione. Spero solo di scrivere queste ultime due recensioni rendendo giustizia, ancora una volta, alla tua enorme bravura.

Recensore Junior
28/03/23, ore 03:17
Cap. 16:

Ovviamente è sempre così: quando stai leggendo e arrivi al momento clou, capitano sempre a interromperti perché c'è da fare altro. A mezza giornata di distanza dall'altra recensione, infine, sono di nuovo qui.

Ed era esattamente per questo che non vedevo l'ora di arrivare allo scontro decisivo! Sì, è da capitoli interi che vado avanti con questa storia che sono in ansia e me la sento male, ma sappiamo bene dov'è il momento in cui Kjarr può davvero dare prova di tutto il suo valore, e lo stavamo aspettando trepidanti. Dopotutto leggere una storia su Kjarr e sperare che non scorrano sangue e acciaio sarebbe come sottovalutare i suoi protagonisti: gli uomini del Regno sono stati temprati apposta per la guerra in ogni sua forma, e se per qualche motivo l'assedio fosse saltato ho l'impressione che sarebbero usciti per trascinare di persona sul campo gli uomini di Deres per gli orecchini.
Comunque.

La battaglia è uno di quei tragici momenti dove l'uomo si mostra davvero per quel che è, nella sua essenza più cruda e messa a nudo dagli istinti di sopravvivenza; e in questa possiamo vedere trasfigurati sia Iasay che Ehrenold. Iasay sta imparando sulla sua pelle, istante dopo istante, cosa voglia dire avere coraggio, e sacrificare le proprie emozioni per anteporre le esigenze dell'intero battaglione. Sta letteralmente fronteggiando la fine del suo mondo per come lo conosceva, la fine della sua vita per come la conosceva -forse anche la fine della sua vita in generale, e basta. Ma non indietreggia più. Ha preso una decisione, e ora ha la determinazione di affrontarne le conseguenze. Saldo accanto a Ehrenold, stringe i denti e tiene imbrigliata la paura, perché il suo disonore ora sarebbe anche quello del suo amante; e che meravigliosa raffigurazione del rapporto mentore-allievo, legati da vincoli molto più profondi di qualsiasi altro patto tra uomini.
Ma direi che questo capitolo sia decisamente tutto per Ehrenold.

C'è il momento dove ordina a Iasay di rifugiarsi al Palazzo dei Draghi, che è forse l'ultimo in cui possiamo vederlo davvero umano prima che inizi la battaglia. Certo, impone a Iasay di togliersi dal campo anche per una questione pratica: l'esercito di Kjarr è una macchina da guerra uniforme e compatta, mossa da ingranaggi perfetti, e un anello debole ne intaccherebbe subito la funzionalità tarata al millimetro. Ma lo fa anche, e soprattutto, perché vuole proteggerlo. Ha già vissuto sulla propria pelle l'immenso dolore di aver concesso a un suo allievo di poter inseguire la gloria a testa calda; ed anche se Iasay ora lo sta implorando di voler restare, di poter prendere parte a quella prova, ha imparato che deve fare un passo indietro e non ripetere lo stesso errore.

Poi smette di essere Ehrenold, e diventa il Sovrintendente. Il più giovane Sovrintendente di Kjarr, nello specifico, e guardandolo non dobbiamo neanche chiederci il perché.

È lui il vessillo e la colonna portante dell'intera armata. È a lui che tutti guardano. Se ad un guerriero dovesse mancare il coraggio, o sentisse i primi morsi della disperazione, la prima persona a cui guarderebbe sarebbe il proprio comandante: ed Ehrenold questo lo sa. Quel che la sua persona prova, in quel frangente, non ha importanza. Non è più un singolo, non è più un umano con le sue debolezze; è la stella polare del suo esercito, la Spada di Hengrist che punta dritta verso il nemico.
Esattamente come un bambino legge la gravità negli occhi del proprio genitore, i soldati leggono la loro sorte nel viso del proprio generale. È per questo che è fondamentale averlo lì, bastione incrollabile che fende i fuochi dello scontro e guida i suoi uomini. L'immagine eroica di Ehrenold che fronteggia il bombardamento mentre tutt'attorno divampano le fiamme, gli occhi azzurro ghiaccio rivolti al nemico, stoico, inamovibile e pronto al dovere, è un dipinto eroico che da il coraggio di affrontare la battaglia a viso aperto. Se il cuore non vacilla, neanche la spada lo farà.
Immenso.
Sono soddisfatta, così tanto soddisfatta di aver avuto l'opportunità di vederlo finalmente ergersi nel suo dominio, potente e terribile, di aver potuto ammirare un frammento del Lupo di Hudach in azione. È il riscatto che si meritava dopo tutta quella sofferenza patita, che lo aveva adombrato e reso quasi inavvicinabile ai primi capitoli, ridotto a un'ombra angariata e torturata di se stesso.

Poi: immagino che da estimatore del minimalismo di Kjarr la questione non ti scalfisca di striscio, ma sappi che la viennese in me sta strillando interiormente all'immagine di tutti quei capolavori architettonici distrutti dal fuoco greco. Antichi palazzi, opere d'arte dal valore inestimabile, il culmine di una cultura che viene spazzato via per colpa della sua stessa civiltà che non ha saputo difenderlo. È come immaginare una nostra città patrimonio culturale data alle fiamme per mano dei suoi stessi alleati; non è colpa né di chi si difende né di chi attacca, perché entrambi stanno facendo il loro dovere di soldati, ma degli sciagurati che hanno permesso che la loro preziosa terra venisse usata come zerbino per i comodi del loro governo.
Guarda che disastro. La perdita dei migliori soldati, e la perdita delle belle arti più raffinate. E se in qualche modo per i soldati di Kjarr è auspicabile cadere in battaglia, e quindi la loro morte è comunque un evento da tributare con onore, la perdita del patrimonio artistico è qualcosa che lascia solo il suo vuoto. Finisco qui il mio pianto asburgico, promesso. Anche perché qualcosa mi dice che negli ultimi due capitoli ci darai ben altro da piangere, nel bene o nel male, quindi meglio conservare le lacrime.

E visto che sento di non fartene mai quanti ne meriteresti, è l'ora di fare un po' di dovuti complimenti anche a te. Raramente ho divorato con tale foga scene di assedio, incalzata dalla sensazione di essere in gabbia, costretta ad attendere una fine inevitabile. Mi sono proprio goduta la magnificenza dei due eserciti, la distesa brillante e reboante oro-granata sotto ai raggi del sole, e le Nere Armate disposte nel silenzio più completo sotto il buio della caligine, un'ordinata e letale pennellata di oscurità su quel quadro dalle tinte epiche.
La tua narrazione è stata come i soldati di Kjarr; diretta al punto e scevra da descrizioni che appesantiscono, ma capace di colpire esattamente dove necessario per sortire l'effetto desiderato.
Oh, e gli ordini di battaglia tuonati nella lingua di Kjarr sopra al rombo dei proiettili infuocati potrebbero essere il mio nuovo asmr preferito. Dici che si possa fare richiesta al governo di Herburg per una playlist motivazionale? Chiedo per un amico.

Per concludere, ormai le danze sono aperte, e dovremo danzare fino all'amara fine. Malgrado la fermezza incrollabile, i guerrieri di Kjarr sono pur sempre uomini, e non potranno sopportare in eterno l'enorme sacrificio fisico e mentale di quell'assedio costante e su più fronti. La situazione è disperata, l'esito sembra già scritto -un massacro da entrambe le parti, che non lascerà sopravvissuti tra le Nere Armate. Ma in cuor mio non ho dimenticato quella richiesta di rinforzi che Threwe avrebbe dovuto mandare al resto dell'esercito; e sottolineo "avrebbe dovuto". So che tutto sembra ormai perduto, ma ci voglio sperare fino all'ultimo. Malgrado gli screzi con Ehrenold, Hithaigh non è venuto meno al suo dovere, e sono sicura che non l'abbia fatto nemmeno Threwe.
... vero, Threwe?!

bonus: Siwald che dalle Aule di Vopnir vede la sua spada venire ritirata dal campo di battaglia, e mette in nota di dover regolare un paio di conti con quei due non appena lo raggiungeranno lì. Prima la sua lama di Thrygg viene donata a quella mezza sega senza tatuaggi che fino al giorno prima frignava nell'angolo. Ora la fanno battere in ritirata dallo scontro proprio prima che inizi a scorrere il sangue. Adesso: va bene che sia servita alla mezza sega per trovare un po' di virilità, e va bene che Ehrenold protegga il suo nuovo amante; ma ci sono cose su cui un vero uomo non può passare sopra neanche da morto. La spada è la spada, non la si disonora così. Poi uno si lamenta se i fantasmi tornano a vendicarsi, oh.

Recensore Junior
27/03/23, ore 17:55
Cap. 15:

E finalmente rieccoci qui, in prima linea per gli atti finali. Già dalle prime righe mi sono resa conto di essermi approcciata a questo capitolo con uno spirito totalmente diverso da quello incuriosito e spensierato dei primi, perché ora sento sì l'entusiasmo, ma anche quel senso di enorme ineluttabilità incombente che ti fa salire ogni peggior presagio. La scelta è compiuta, ed ora possiamo solo assistere all'esercito di Kjarr e Iasay che stanno per accogliersi addosso un'armata di ventimila nemici dentro una città che brulica di ribelli insidiosi.
Me la sento malissimo? Assolutamente. Sono esaltata perché finalmente potremo vedere le Nere Armate in azione? Pure. Sarà un massacro, ma sarà un massacro dannatamente epocale.

In tutto questo non ci posso credere, la scena di Iasay bloccato sullo zerbino del Palazzo dei Draghi aveva davvero basi canoniche: i soldati di Kjarr non hanno ricevuto ordini a riguardo, e quindi, pure se magari lo hanno riconosciuto, giustamente non si schiodano. So che sorridere anche in questi momenti di preludio alla tragedia sia da criminali, però è lo stesso; sono dettagli dell'ambientazione che me la fanno vivere a tutto tondo anche nelle sue piccole sfumature, e non la presentano solo come uno scenario monolitico e apocalittico da cui aspettarsi il peggio.

Anche Iasay mi ha strappato un sorriso, ma stavolta di orgoglio. La differenza delle due occasioni in cui si è trovato a varcare quel portone è abissale, e mostra quanto davvero lui sia cambiato nel profondo. Se la prima volta vi è stato trascinato di peso come un capriolo al laccio, spaventato, tremolante e deciso a gettarsi ai piedi del Sovrintendente per implorare la libertà, ora si erge in piedi di fronte alle guardie ed esige di entrare. Si fa avanti a fronteggiare le lance senza timore, indurisce la voce e la postura, diventa quasi fisico, e tutto questo malgrado sia ben consapevole di trovarsi di fronte a due che lo potrebbero sfilettare sul posto senza troppe remore. Ha imparato ad avere il coraggio delle proprie parole, di fronte a chiunque. Mi consento il riserbo su quel "Voi di guerra non ne avete vista sicuramente più di me", perché Iasay, è un po' ricco da dire quando fino all'altroieri tu facevi merenda con le albicocche al miele e questi sono scesi dal Nord per conquistarsi l'intero Amlinntal. Ma si apprezza comunque il gesto, è un passo avanti enorme rispetto a fare il grosso solo con la buonanima di Feila.

E poi arriva Rowden. Forse negli ultimi capitoli ci eravamo concentrati troppo sui complimenti a Hithaigh e al suo problem solving impromptu, e giustamente il nostro Luogotenente è tornato per ricordarci in poche righe che cosa lo renda il Generale Maggiore. Ancora una volta si è dimostrato necessario e salvifico, perché di nuovo ha sistemato in silenzio le pedine sulla scacchiera affinché Iasay ed Ehrenold potessero trovare un punto d'incontro.
Tu ci credi che altrimenti Ehrenold avrebbe permesso a Iasay di entrare? Io no. Così come non avrebbe mai permesso neppure che venisse a conoscenza della tragedia di Siwald. Eppure sono due passaggi brevi ma vitali perché i loro sentimenti trovino la strada uno verso l'altro, e sono tutti riconducibili all'operato di un amico che davvero, si merita ogni riconoscenza. Facendo affidamento sul suo giudizio e sul profondo affetto che lo lega al Sovrintendente, Rowden decide che Iasay può passare, e così facendo lo pone tra capo e collo ad Ehrenold; non gli chiede nulla, perché sa com'è fatto l'amico, ma semplicemente con le sue azioni gli dice da lontano "so che in fondo avevi bisogno di questo. Non devi ringraziarmi".

Ho trovato parecchio interessante anche il punto di vista dalle fila dell'esercito di Deres, perché offre un contrasto netto tra quelli che sono, di fatto, due eserciti competenti. Okay, Deres è un regno con un esercito, mentre Kjarr è un esercito con un regno (semicit. che immagino tu ben conoscerai), ma anche le armate del principe Xerad hanno tutta l'aria di sapere la loro in fatto di guerra.
Ne abbiamo la prova anche dagli occhi di Rador, che malgrado gli orpelli da battaglia ha un'ottica assai meno gagliarda del comandante Sedgius. Pure se è apparso per poche righe, mi sono trovata ad apprezzarlo. Pare un veterano esperto e realista, che guarda con occhio critico e riconosce il giusto valore dov'è dovuto, con la logora pragmaticità di chi è sopravvissuto già troppe volte e che ormai non si lascia più esaltare da prospettive di gloria o bottino. Scopriamo anche i piani di Sedgius una volta presa la città, che nella sua boria già da per espugnata: e com'era prevedibile, di assecondare Jenevin non c'è neanche l'ombra dell'intenzione. Posso dirlo? Meglio così. Vada come vada, Jenevin si ritroverà infine costretto a pagare il prezzo dell'incapacità pigra con cui ha trascinato avanti il suo opulento governo, distaccato dal resto del mondo; è quello che si meritano i governi incapaci ed egocentrici, assorti solo dai loro diritti e non dai loro doveri.
Ed è anche da notare come entrambi gli schieramenti opposti a Kjarr -le armate di Deres e la Mano di Kodarvor- abbiano fatto ricorso a sotterfugi mascherati da buone intenzioni solo per il proprio tornaconto, salvo poi palesare tutt'altre intenzioni.

L'entusiasmo di Iasay mi ha intenerito. Dimostra che sì, di guerra non ne ha visto neanche il proiettile di una balista, perché altrimenti non sarebbe così sprizzante di gioia alla prospettiva di trovarsi di fronte a un assedio. Ma già solo la felicità con cui si annuncia a Rowden, elettrizzato da quella scelta che ha compiuto e che deve ancora davvero metabolizzare, è di una purezza che solo chi è ignaro ma convintissimo può possedere.
L'incontro con Ehrenold, poi, cosa possiamo dire. E' uno di quei momenti che leggi la prima volta e poi torni subito a rileggere, perché vuoi sentire di nuovo quel tuffo al cuore ma già dalle prime righe. Malgrado non ci sia fisicità, né espressione aperta di sentimenti, quello che si dicono anche senza esprimerlo a voce alta è comunque così tanto, e così bello. Iasay potrebbe dirgli così tante cose, ma persino quel poco che pronuncia pare superfluo, perché basta la sua presenza lì per spiegare tutto; certi gesti non hanno bisogno di nient'altro. Ehrenold ha solo bisogno del tempo per decidere se e come accettarlo.

Sai, ormai credo di aver raggiunto una certa conoscenza della lingua di Kjarr. Potrei, ad esempio, provare a proporre una mia personale traduzione della frase di Ehrenold "Dovremo trovarti una cotta di maglia"; considerata la semantica e la conclusione indelicata, avanzerei: "Non avevi nessun diritto di contravvenire ai miei ordini, ma ora comprendo quanto i miei insegnamenti ti abbiano reso il giovane determinato che sei, e mi riempi d'orgoglio. Devo solo riuscire ad ammettere a me stesso quanto sia felice che anche tu ricambi il mio affetto, e sono grato ad Hengrist per averci concesso di affrontare assieme quest'ultima battaglia; sappi che darò con fierezza la mia vita per salvare la tua"
Ma data la ristrettezza sintattica di Kjarr, poco incline ai verbalismi, riassumerei questi grossi concetti con un più stringato "Ti reputo degno alla battaglia"; dicendola a un madrelingua, otterremo di comunicargli lo stesso significato.
Sottopongo la presente, in attesa di riscontro.
Sempre affezionata,

Artica (diretta spedita al prossimo capitolo perché l'ansia dell'assedio inizia a farsi sentire, ohgod. Spero solo che tengano Iasay lontano dal vero fulcro della battaglia, perché, cotta di maglia a parte, non nè è ancora assolutamente all'altezza. Va bene tutta la buona volontà, ma qui si parla di guerra e soldati veri. Se ad Ehrenold succede qualcosa perché tenta di proteggere Iasay per non fargli fare la stessa fine di Siwald, vale sempre lo stesso discorso delle coronarie che partono, te lo dico in anticipo :' Fine del flusso di coscienza tra parentesi, ora vado veramente al capitolo)

Recensore Junior
24/03/23, ore 04:04
Cap. 14:

Potevo tenermi la curiosità per altri due giorni? Certo che no.
A che serve dormire, quando siamo agli sgoccioli e ormai è tutto alle porte? La Scelta, la rivolta, l'esercito di Deres, persino Iasay, che è stato cordialmente messo allo zerbino e non può tornare dentro neanche per recuperare quel che ha dimenticato, perché i soldati di Kjarr hanno ricevuto l'ordine di farlo uscire ma non di farlo rientrare.
(perché sì, è una scena così vivida che voglio immaginarla per sorriderci su, e non scivolare nella malinconia di questo capitolo)

Ammetto che subito mi hai colto di sorpresa. Avevamo lasciato Iasay in procinto di partire, ma mi ero quasi aspettata che succedesse qualcosa nel mentre; insomma, non mi rassegnavo al distacco, e speravo in un pretesto che rimandasse l'inevitabile. Ma Hithaigh docet -un bello strappo secco e via, camminare.
Veniamo subito immersi in questa scena bucolica della quiete sull'uscio domestico, e il nostro Iasay che si delinea all'orizzonte come una visione sempre più tangibile. E' un attimo di incredulità, poi una dopo l'altra le voci dilagano come un fiume in piena e tutti gli sono addosso. Ma quel che il giovane aveva vissuto infinite volte nella sua mente come uno scoppio di festa, entusiasmo e lacrime di gioia, ora non è che un maremoto in cui restare a malapena a galla tra flutti di abbracci e baci, ed empiti di appiccicosità fin troppo invadente.

Per spezzare una lancia a favore di Kadya, la famiglia ha fatto tutto quello che poteva, così come il loro amore per Iasay li aveva spinti ad agire. Ma questo amplia ancora di più il divario in una maniera tragicamente netta, perché ci fa capire che il rigetto del ragazzo nei loro confronti non è qualcosa che si possa davvero più risolvere. Sarebbe stato facile giustificare l'insofferenza di Iasay se loro fossero risultati odiosi e opprimenti, o avessero spinto i discorsi nelle direzioni sbagliate. Invece è proprio quell'affetto soverchiante che il giovane non tollera più. E' l'opulenza che appesantisce la casa, le emozioni senza freni sbattute in faccia, l'imbarazzo accondiscendente del compatirlo come vittima cercando di non offendere i suoi sentimenti. Si rende conto che lui non capisce più loro, e loro d'altro canto non capirebbero quel che davvero ha passato.
Ai loro occhi Iasay sarebbe per sempre rimasto una povera vittima traumatizzata, umiliato dal sopruso di un altro uomo -un mostro blasfemo- e avrebbero coperto questa vergogna col disagio del silenzio. Come poter spiegare invece di aver desiderato il Sovrintendente con tutto il proprio corpo, di aver conosciuto i valori del suo popolo, assimilato i suoi insegnamenti, e di aver compreso le sue azioni e il suo dolore? Di non vedersi più come una vittima, ma come chi quel "mostro" l'ha conosciuto come umano, cercato e voluto, e di aver a sua volta conquistato il suo rispetto? Già solo questa distanza avrebbe per sempre eretto un muro invalicabile tra Iasay e il resto della sua famiglia.

I dialoghi che avvengono tra loro e Iasay sono proprio lo specchio di quelli che erano all'inizio le discussioni tra Iasay e gli uomini di Kjarr. Parlano due idiomi paralleli, e quella di Kadya è una lingua arzigogolata e inutilmente chiassosa a cui Iasay ora non ha più l'orecchio. Indottrinati dalla propaganda confezionata a puntino per gli imbecilli, i kadyani si vedono già a sventolare bandiere e gettare fiori ai piedi delle truppe di Deres, perché non hanno mai visto una guerra e non immaginano l'orribile scenario di devastazione che diventa una città cinta d'assedio. Così Iasay si trova per la prima volta a considerare con sgomento quanto imbelle e patetico appaia il suo popolo di fronte ad ogni vero esercito, l'ennesima realizzazione di tante.

Nelle brevi ore della notte che segue, l'unico lasso di tempo concesso a Iasay per decidere cosa fare di se stesso, il giovane si strugge consumato da dubbi colpevoli e desideri che gli fanno paura. Scegliere la vita a cui era destinato, con la solitudine e il rimorso di un'ebbrezza che diventerà un ricordo sempre più sbiadito? Oppure gettarsi tutto alle spalle per fronteggiare la morte con l'uomo che gli ha fatto toccare con mano la potenza distruttiva di quel fuoco?
Questi pensieri si rincorrono sulla meraviglia di quella lama al chiaro di luna, sul cui filo si delinea la scelta più importante. Ma convoglio tutta la bellezza della scena in questa frase dal capitolo:
"Quella spada era un segreto fra loro due, qualcosa che nessun altro sapeva. Quella era in effetti la cosa più intima che avevano condiviso."
Allora.
Tu sai che per queste recensioni ho sempre cercato di mantenere un contegno decoroso, a parte qualche (sempre ben meritata) imprecazione a Iasay. Ma adesso raccolgo con grazia la copertina come se fosse una sottana ottocentesca, salgo in piedi sulla sedia e mi do ai cori da stadio. LO AVEVO DETTO. Lo avevi detto anche tu. Ce lo stavamo dicendo a vicenda da un paio di capitoli, e finalmente anche Iasay lo realizza, e ora sono felice e soddisfatta e posso sbandierare a tutto spiano il fazzoletto della vittoria. E' *quello* che ha creato il legame che li unisce, la vera intimità che hanno condiviso, che nessun altro può comprendere davvero fino in fondo. E' stata la lezione di scherma improvvisata da nudi in camera, appena dopo aver cercato di assassinare Ehrenold; sono state le fatiche e il sudore nel cortile d'addestramento, i calli sulle mani e i lividi addosso, è stato l'affidare il suo corpo alla sua spada e ai suoi insegnamenti, prima ancora che al suo letto. E' stato trovare la forza di rialzarsi per tornare al contrattacco dopo un colpo incassato, e la forza di rialzarsi per reagire finalmente a un sopruso. E in ultimo, è stata proprio quella spada, colma di un passato non detto e di un ringraziamento detto solo a metà. Quella spada, e tutta la speranza per il suo futuro che Ehrenold gli ha impresso prima di dirgli addio.
Va bene, sono contenta. Sono un meringhino di marziale gioia, ed ora mi ricompongo dai miei virtuosismi da curva nord e torno focalizzata.

Riguardo a quel che ho commentato la volta scorsa, sono sempre più convinta, dopo questa profonda introspezione di Iasay, che quel che li unisce sia molto più profondo rispetto a una sorta di sindrome di Stoccolma. Quando Iasay pensa a quel che lo aspetta una volta fuggito, a quello di cui già sente una scomoda mancanza nel petto, questi non è Ehrenold: è il se stesso di quando era al Palazzo dei Draghi. E' la consapevolezza di aver trovato la forza di affrontare un mondo assai più crudele e difficile, violento e senza reti di salvataggio; qualcosa dentro di lui ha risposto a quel richiamo e vi si è legata intrinsecamente, e lui ora le sta voltando le spalle.
Immagino che ci sia chi dirà eh, ma la base di questi rapporti tossici sta anche nel piegare la visione della vittima a quella del suo carceriere, è normale e problematico che Iasay abbia preso su la forma mentis di Kjarr; però io con tutta onestà mi chiedo anche quale dei due Iasay si senta più fiero di se stesso.

Poi fin troppo spesso, nei mind-breaking che ho letto, la vittima diventa l'ombra del suo carceriere, una personalità annullata, peggiore, la cui volontà viene sottomessa ad entità più forti e ne diventa un'appendice. Qui invece mi sembra che Iasay abbia compiuto il tragitto contrario. Dal ragazzino intorpidito dalle mollezze, senza alcun desiderio che non fosse il riflesso sonnolento e buonista della sua società, il figlioletto obbediente, il borghesuccio che si sdilinquisce per accattivarsi le grazie dei potenti, è diventato un giovane in grado di farsi rispettare (vabbé, okay, su quello ci sta ancora lavorando), di prendere decisioni difficili, di puntare i piedi per se stesso e di affrontare di petto le conseguenze delle sue scelte. Credo che Iasay abbia acquisito molta più coscienza di sé, delle proprie capacità e del rispetto che merita -ovvero quello che è in grado di reclamare con le proprie azioni, nulla di più e nulla di meno. Chiamalo brainwashing, chiamalo come ti pare, ma a me questo sembra un netto miglioramento, e quindi lo chiamo anche io come mi pare.
Non esiste neanche qui una visione giusta o sbagliata, uno può desiderare la vita nel salottino caldo col maggiordomo e il ferrero rocher, e uno può desiderare una vita con la spada in pugno, in prima linea per prendersi quel che vuole con le proprie forze. Legittimo. Ma dobbiamo anche tenere conto che siamo in un mondo di guerre e violenza, di creature truculente e chissà quali altri orrori, e non possiamo neanche valutare la vita e i valori dei suoi personaggi con i nostri metri di giudizio dal democratico divano di casa nostra.
Poi c'è anche il dettaglio che Ehrenold mai una volta ha cercato di convincere Iasay a vederla come lui. Non si è mai messo lì a tentare di spiegargli il perché e il percome, tantomeno di renderlo un burattino compiacente, anzi. Quando ha visto che il ragazzino frignone aveva racimolato abbastanza coraggio per piantargli un pugnale nel cuore, gli ha stretto le dita attorno all'impugnatura e gli ha detto quasi commosso "Bravo, ti insegno come si fa".
Ma vabbé, non riparto nei miei tour di romanticismo, sennò altro che tomi di Iasay. Ci si fa la Treccani.

Ahh, e dopo tutto questo dilungarmi ora dove la infilo la riunione clandestina della Mano di Kodarvor? Il tradimento nel tradimento. Non ce lo saremmo mai aspettati da quel popolo di serpi, mai *mild shock*. Kadya si riconferma la Versailles dei sovrani inetti e degli arrivisti, nonché il regno angioino dei superstiziosi creduloni. Quando persino il leader propagandista si stupisce che si siano bevuti una balla così assurda come il Divino Consorte, allora sai che la società è arrivata al punto di meritare un bel collasso e ripartire dal reset. E per (s)fortuna, ho come l'impressione che l'opportunità per questo reset si presenterà assai presto.
A questo proposito, molto evocativa e melanconica la scena della giovane ragazza che si pettina alla finestra, nella quiete ignara della notte estiva. Mi ha ricordato le sensazioni di pace di fronte ai notturni dei pittori fiamminghi, l'immensità tesa nel buio di una catastrofe imminente e, nell'angolo, un'umile, intima realtà che ignara di tutto vive nella sua piccola luce.

E finalmente, a fine capitolo, la Scelta è fatta! Il dado è tratto, e da qui non si torna più indietro.
Sono sicura -quasi sicura- che Iasay se ne sia andato per tornare da Ehrenold, tra le truppe di Kjarr; anche se non sono ancora considerabili come la sua casa, neanche quella d'origine ormai lo è più. In questo momento Iasay è sospeso in un limbo, e più che seguire la sua famiglia o Ehrenold, sta seguendo il se stesso che vuole realizzare. Un se stesso che è come la lama di Siwald; essenziale, temprato, affilato e scevro da pesi superflui, passato attraverso il fuoco e uscito da esso ancora più forte.
Sono ancora più ansiosa di leggere il prossimo capitolo!

ps: ti prego, Iasay, ora che sei uscito di casa non fare scemenze eroiche e fila dritto da Ehrenold. Non fermarti da nessuna parte, che ti fanno la pelle. Ti prego, te devi move. Te lo anticipo qui, mio caro Old, se il bimbo tenta di fare qualcosa di combattivo per dimostrare il suo valore a Ehrenold e fa la fine di Siwald, mi parte una coronaria; te lo dico io e te lo dice pure Rowden, che non potrà fronteggiare un assedio combattendo con una mano e impedendo con l'altra a Ehrenold di compiere harakiri. Guardaci.
Non ci farai questo, vero? °u°

Recensore Junior
23/03/23, ore 03:35
Cap. 13:

Appuntamento notturno; dopo lo studio, ci si premia con Kjarr. Perché qui ci trattiamo bene con le ricompense ♥

Anche qui vorrei subito volare a commentare quello che più mi ha emozionato del capitolo, ma procederemo con rigore.
Veniamo subito catapultati nel pieno dell'azione, ma stavolta, purtroppo per Iasay, alla porta non c'è uno dei languidi profumieri di palazzo per sibilargli minacce; poche spallate ben assestate, ed ecco che neanche un intero mobilio in legno di noce può nulla contro i colpi del Luogotenente delle forze d'assedio. E a questo giro, altro che sussurri minacciosi nel crepuscolo mattutino; Hithaigh non le manda a dire né al ragazzino, né al Sovrintendente, e mette subito in chiaro una cosa: ben presto Rowden potrà aggiungere ai suoi tristi aneddoti la storia di un altro allievo di Ehrenold trucidato in maniera assai brutale. Ormai non gli frega neanche più di imbonire la folla di Kadya, vuole solo tirare uno schiaffo insanguinato e morale a Ehrenold e fargli riprendere il senno, prima che vadano tutti a morire in una battaglia sconsiderata.
Al che Iasay, forse nella prima decisione saggia da quando ha messo piede al Palazzo dei Draghi, segue l'arte assimilata da papà Iorweth che ora può davvero salvargli la vita: se da. Non pensavo che lo avrei mai detto, ma bravo Iasay per essere scappato; non eri riuscito a sfiorare Ehrenold nemmeno da addormentato, di certo non potevi avere speranze di arginare la furia omicida di un Luogotenente in armatura e incazzato nero.

Al culmine di un inseguimento angosciante, proprio quando sembra che sia tutto perduto, ecco che Iasay finisce dritto tra le braccia di Ehrenold -forse nell'unica spinta che la sorte ha avuto la benevolenza di donargli. E' un momento che mi ha lasciato emozioni contrastanti, perché se da un lato è un altro punto di svolta assai importante, dall'altro i loro sentimenti sono intrisi di una necessità che sembra bypassare l'affetto -soprattutto per Iasay- e sfocia direttamente nel bisogno totalizzante l'uno dell'altro.
Ma per quanto controverso, posso rendermene conto, a me come climax è piaciuto. Sono personaggi con tutto il loro carico di difetti, in pieno trauma personale, con delle crisi che hanno rischiato di farli restare sotto; condannarli per essersi legati l'uno all'altro sarebbe frettoloso, e non terrebbe conto di tutto quello che hanno passato per giungere a quel punto. Avranno poi tutto il tempo per capire davvero quel che provano a vicenda, lontano dagli eventi sconvolgenti che stanno vivendo ora. Ma per adesso tutto sta precipitando, la loro vita è più che mai appesa a un filo, Deres è alle porte, e non hanno il tempo di chiedersi davvero la natura di quel desiderio.
... /vero che avranno tutto il tempo?
In tutto questo, salutiamo Hithaigh che era quasi riuscito nel suo intento di sbarazzarsi del problema, e che invece si è dovuto fermare lì all'angolo per non terminare il suo inseguimento in mezzo a *svariate* situazioni scomode. Che poi si chiamano "cose private" per un motivo: si fanno in privato. Un onesto Luogotenente si rimbocca le maniche per sbrogliare una situazione spinosa da solo, e finisce quasi in mezzo a un amplesso non richiesto. Così non si può lavorare :')

... comunque.
Iasay.
Metti subito giù quella lama. Non solo è di Thrygg, e sa il cielo se non la meriti- è di Siwald. *Nessuno* se la merita.
Mio caro, sappi che da estimatrice di Siwald (che ho conosciuto per neanche mezzo capitolo, ma certe cose le capisci a pelle) con questa cessione d'armi mi hai fatto gonfiare come il buon Anacleto della Spada nella Roccia.
No, motti di spirito a parte -ho gli occhi lucidi per l'allergia, giuro, non divento per nulla un budino di marziali sentimenti di fronte a queste scene-, è stato un gesto così semplice ma carico di significati che l'ho amato. Se è vero che Iasay non la meriterebbe, di certo però Ehrenold merita di poter elaborare il suo lutto come preferisce. E solo Hengrist sa quanto abbia bisogno di farlo. Cedere la spada di Siwald a Iasay, conscio del fatto che probabilmente non lo rivedrà più, è un altro momento così intimo e così importante tra loro.
Probabilmente dire addio al ricordo tangibile di Siwald, a quell'ultima traccia che è stata il fulcro della sua esistenza, è stato davvero doloroso per Ehrenold. Ma come una bestia rimasta intrappolata nella tagliola, a volte ci vuole la forza di stringere i denti e amputarsi un arto da soli, un'agonia necessaria per poter continuare a vivere, piuttosto che languire verso una lenta morte. Dare quella spada a Iasay non è stato un gesto per lasciarsi alle spalle la memoria di Siwald, tutt'altro; il suo giovane amante era e rimane una parte inscindibile di sé, con le sue gioie e le enormi sofferenze a lui legate, e così sarà fino alla morte. Ma da quel momento in avanti sarà una parte di sé e del suo passato, un dolore e un monito con cui Ehrenold dovrà imparare a convivere, senza più esserne sopraffatto. Un proposito che assume ancora più forza, se si pensa che ormai l'assedio è imminente e che potrebbe verosimilmente non sopravvivere. Eppure, anche se potrebbe morire a giorni, Ehrenold vuole comunque affrontare il suo destino senza più fantasmi ad offuscare il suo vero io.
E non solo.
Perché qui Ehrenold ha anche avuto la forza di fare ben due passi indietro. Non solo ha avuto l'incredibile risolutezza morale di lasciar andare quella parte del fantasma di Siwald che gli impediva di staccarsi dal passato, ma ha persino lasciato andare Iasay. Forse è il riscatto per non aver protetto Siwald a suo tempo, quella vampata di rimorso e coscienza che ora lo sta spingendo ad uscire dal suo schema per salvare la vita a un ragazzino che, in tutta onestà, non avrebbe le capacità di far fronte a un assedio. Fattostà che Ehrenold fa un passo indietro di fronte all'istinto di Kjarr che vorrebbe vedere Iasay a combattere, realizzato come uomo, e capisce che forse la dimostrazione di affetto più grande è lasciarlo andare lì dove appartiene: al sicuro tra la sua gente. Per una volta nella vita, il Sovrintendente contempla il punto di vista di Iasay in confronto al suo, e decide che malgrado tutto, vuole che il ragazzino sopravviva; e così mette il suo benessere prima dell'orgoglio.
Ed è anche il riconoscere a Iasay che, alla fine, si è guadagnato la sua libertà di andarsene. Il suo mentoraggio è durato poco, ma è bastato ad entrambi per imparare qualcosa di importantissimo. Il ragazzo ha appreso la sua lezione, e la spada di Siwald è un monito a non scordarla mai più, qualsiasi sarà la strada che vorrà intraprendere. Ovunque vadano, se mai sopravviveranno, non dovranno più cadere negli errori della loro vita passata.

Perché queste scene colpiscono sempre così a fondo, e mi rendono così romantica? Senza nulla togliere alla splendida complicità fisica appena dimostrata tra loro, che pure ho apprezzato molto, sono le sequenze come questa che mi fanno arrivare a fine paragrafo con la necessità di dover elaborare tutto il loro potente carico emotivo di significati non detti. Davvero bellissima, totalizzante. Come al solito, mio caro, accidenti a te con tanto affetto. Mi sento come se ci fossi stata io al posto della madia, a beccarmi le spallate di Hithaigh in pieno petto :')

Ma è tempo di ricomporre le costole sbriciolate, asciugarsi gli occhi e proseguire, perché questa volta sei generoso e ci consoli subito con un altro momento stupendo.
Infatti, proprio quando si parlava di tatuaggi, ecco che ne vediamo uno importantissimo su Ehrenold. E oh, sai benissimo che con questi dettagli sfondi dei portoni aperti, altro che Hithaigh. Voglio dire, come non aggiungere alle caratteristiche dell'uomo ideale "ha tatuata la versione di Kjarr della Reichsadler prussiana sul petto"? Enorme ♥ Ora sono curiosissima anche io della sua storia, spero che sia affrontata in uno dei prequel anche solo come flashback.
Un altro piccolo tassello del mosaico scivola al suo posto, ed era la sfumatura finale per far aprire gli occhi a Iasay. Ora può finalmente realizzare l'uomo che ha di fronte a sé, senza armatura, senza buio, senza il muro di odio e terrore che lo rendeva un mostro. Comprende le linee umane di Ehrenold, la sua storia narrata da quei tatuaggi già un po' sbiaditi e il suo immenso dolore celato sottopelle; e la connessione che riescono a stabilire, ora che entrambi hanno compiuto passi importanti verso l'altro, li porta a scoprirsi in maniera molto più profonda e intensa.
Insomma: Iasay a quanto pare ha dato ascolto alla pubblicità progresso della recensione precedente, perché lo vediamo intento in una dimostrazione appassionata di raffinata cavalleria. E parlandone seriamente, come non apprezzare tutte le sensazioni di cui è pervaso questo loro ultimo rapporto, in confronto alla violenza soverchiante dei primi o alla fretta incredula di quello consumato poco prima. Qui hanno finalmente il tempo di scoprirsi per davvero, a fondo, forse nell'unica e ultima occasione concessa loro dagli eventi, ed è un'esperienza totalmente nuova. Di nuovo il mondo di Iasay viene ribaltato alle sue fondamenta, sotto la potenza di nuove consapevolezze, e non può più fingere di essere rimasto lo stesso ragazzo che era all'inizio.

Proprio ora che tutto quello per cui aveva pregato Iasay sembra sul punto di realizzarsi, ecco infatti che il grazioso, divino consorte di Kadya sembra non essere più sicuro di volerlo. Gli manca la sua famiglia, gli manca la sua vita, ma per la prima volta si rende conto che gli mancherebbe anche Ehrenold e la presenza di Kjarr attorno a lui. Non si riconosce più in quei vestiti opulenti da festa con cui l'avevano prelevato; non si riconosce neanche più nel debole tremolante che correrebbe in lacrime nel rifugio al primo spiraglio libero. C'è qualcosa che è cambiato in lui, ed è stato proprio Ehrenold a farglielo realizzare.
Di nuovo: era necessario che Iasay venisse sradicato dalla sua vita e cambiasse? No. Ma è successo, e proprio come accade per le tragedie che ti costringono a rimetterti in discussione e affrontarle, sta imparando a far fronte alle difficoltà con un approccio del tutto nuovo; perché era una combattività che aveva dentro, e che Ehrenold lo ha aiutato a tirare fuori.
All'inizio del capitolo Iasay si è gettato tra le braccia di Ehrenold, sollevato perché aveva capito la protezione che l'uomo poteva dargli; ma in fondo non so se pensare che quella sia la spiegazione "kadyana", scaturita di getto dall'abitudine all'opportunismo, e che il vero motivo dei suoi sentimenti sia in realtà dovuto a questo.
Ehrenold è stata la prima causa delle sventure di Iasay, innegabilmente, ma è anche stato il primo a mettergli davanti gli strumenti per rialzarsi e fronteggiarle. Iasay avrebbe potuto restare passivo agli eventi ed aspettare che tutto finisse, galleggiare lungo la corrente e sperare che il destino gliela mandasse buona; così come poteva rimboccarsi le maniche e iniziare a nuotare controcorrente per trascinarsi in salvo. Nella mia ottica non è una relazione affettiva nata su basi del tutto sane, ma è una situazione in cui entrambi hanno affrontato la parte più bassa di loro stessi, e hanno trovato anche grazie all'altro la forza di risalirne; e questa sì che, in tutta la sua disperazione e miseria, è qualcosa che invece è un'enorme conquista.
O forse sono io che mi sto facendo i voli pindarici, chissà.
Dopotutto siamo qui a declamare il coinvolgimento profondo di quell'ultimo rapporto consumato di fronte alla realtà nuda dei loro sentimenti, quando magari quel che ci voleva era quell'olio fin dall'inizio, e sarebbe andato tutto molto più liscio. E no, questo commento finale non è stato affatto scritto per sdrammatizzare, macché; ho solo i lucciconi agli occhi da allergia, lo ripeto. Non ho allergie? Dettagli. Non si può mai sapere.

Anche questo è stato un capitolo ricco di eventi profondi, colpi al cuore e alle costole, e lascia con la smania di leggerne ancora. Spero che la connessione prenda anche nell'ospedale da campo, perché se Hithaigh continua così ne avrò presto bisogno.
A prestissimo! ^^

Recensore Junior
20/03/23, ore 02:12
Cap. 12:

E rieccoci qui ^^
A mente fresca, ora possiamo prenderci il tempo necessario per commentare un po' tutti gli avvenimenti che hanno avuto luogo in questi due capitoli; la vicenda di Siwald aveva preteso, com'era giusto che fosse, tutto un suo commento a parte. Concedimi un unico momento piangino alla Iasay: no, non me ne sono ancora fatta una ragione. Temo e al contempo aspetto che si torni in argomento, così come si attende una discussione importante e greve, perché è qualcosa che va sistemata per poi far andare al proprio posto anche tutte le altre cose.
Naturalmente non mi aspetto che Ehrenold e Iasay si siedano a parlarne apertamente, sarebbe qualcosa di destabilizzante per loro e pure per noi (e forse sarebbe la volta buona che Rowden si becca la famigerata craniata in pieno naso, perché non so quanto Ehrenold approverebbe); ma ora che Iasay ha imparato una cosa così importante del Sovrintendente -che nei suoi pensieri non chiama più "Sovrintendente" da un po', solo "Ehrenold", e sto adorando questo dettaglio-, non può che fare a meno di considerarlo ancora di più un essere umano, e non un'entità di "orrido buio" (cit.). Nonostante il suo odio che lo vorrebbe maledetto dagli Déi, e il fatto che gli auguri d'istinto la morte, queste famigerate entità che dovrebbero risolvere magicamente tutti i suoi problemi non hanno alzato un dito, anzi. Sembra quasi che questa mancanza di aiuti dalla provvidenza abbia dato modo a Iasay di sbattere la faccia su una realtà molto più complicata da elaborare ed accettare: ovvero che anche Ehrenold è un essere umano, capace di sentimenti, così come lo sono i soldati di Kjarr. Certo sono diversi, hanno dei modi considerati inaccettabili, vivono di guerra e militarismo e hanno la loro mole di difetti personali; ma dietro lo smacco culturale si cela un popolo fiero e industrioso, organizzato, leale, che tempra nell'onore e nella disciplina tutti i suoi giovani e lavora all'unisono per la visione del proprio regno.

Malgrado sia ancora riottoso verso i soprusi a cui è stato costretto, in Iasay inizia sempre più a farsi strada la comprensione. Se prima gli era parso di vivere in una vita ideale a Kadya, ora questa stessa utopia gli pare come una realtà a cui non può più guardare con gli stessi occhi; una volta uscito dalla sua campana di vetro, una volta che il suo animo è stato traumatizzato, temprato, spinto al limite e messo alla prova, Iasay è inevitabilmente cambiato. Ha visto che esistono realtà più difficili, più violente, meno corrette ma in un certo senso più giuste, e qualcosa dentro di lui ha in qualche modo risposto ai loro stimoli. Forse inizia a delinearsi all'orizzonte questa Scelta su cui si basa l'intera storia, e ho l'impressione che ci stiamo avvicinando sempre più a un'altra svolta fondamentale.

Torniamo a Threwe e Hithaigh, che se non vedo come un pericolo per Ehrenold, assai diversa è la questione se il bersaglio delle loro cospirazioni diventa Iasay. Il ragazzino è visto -non a torto- come un estraneo, un problema per la sicurezza dell'esercito, una minaccia inconsapevole e uno dei motivi per cui il loro generale non si riprende dall'abisso in cui sta macerando.
Ovviamente restiamo realisti: la "cospirazione" più discreta che potrebbero architettare sarebbe quella di sollevare Iasay di peso, sporgersi dalla veranda al grido di "Toh, il Cielo vi restituisce il divin consorte! Gioite!" e farlo volare direttamente sui manifestanti gandhiani nella piazza. Punti bonus se si schiaccia il cantore molesto. Però di fronte al loro malcontento, neppure Rowden può opporre valide ragioni: certo, una volta riottenuto Iasay la gente troverebbe di certo altri pretesti per lagnarsi; ma la diplomazia è un continuo dare e avere, e imbonirsi il popolo toglierebbe alla Mano di Kodarvor la sua arma principale per sobillare la rivolta. Nel tempo che dovrebbero impiegare per creare un altro motivo di malcontento, forse chissà, avrebbero perso la freschezza del moto rivoluzionario e la concomitanza dell'assedio di Deres. Quindi come poter giustificare Ehrenold, sapendo che in quel frangente non stai davvero facendo il miglior interesse per l'esercito?
Però mi fa anche piacere che Rowden abbia deciso, almeno per il momento e nel possibile del razionale, di difendere la presenza di Iasay. Se la sua intenzione è fare il bene di Ehrenold, vuol dire che ha stabilito che Iasay dopotutto può davvero essere l'elemento in grado di riscuoterlo dalla sua sofferenza. Forse ha notato la scintilla di vita nell'amico per aver trovato di nuovo un giovane da istruire con passione, che gli faccia rivivere almeno un po' quei sentimenti di dedizione e gioia che prima poteva collegare solo a ricordi dolorosi.
Rowden si è accorto che Iasay è cambiato, e ha deciso di dare fiducia a quegli insperati cambiamenti per vedere dove porteranno entrambi -il ragazzino ed Ehrenold. Si può quasi dire, senza scomodare concetti drastici come torto o ragione, che Threwe e Hithaigh stiano decidendo di testa, e Rowden stia decidendo di petto; e in queste situazioni imprevedibili, non si sa mai quale sia il metodo più efficace.

Ultimi, e in questo caso anche e soprattutto in ordine di importanza, abbiamo i tre cortigiani che adesso s'improvvisano assassini. Ora che Iasay ha avuto il sangue caldo di reagire alle loro vessazioni, da bravi sorci sono passati a mordere alle caviglie, e si rifanno sull'unico che non è stato mai in grado di difendersi: il povero Feila.
Finisce così la vita di un poveretto che aveva cercato di adeguarsi alla sua condizione senza mai portarne rancore, restando di basso profilo e confidando nella speranza di una vita migliore. Un po' il simbolo di chiunque provi a vivere a testa china con quel che ha, come riesce, e poi finisce tirato in mezzo come vittima in scontri più grandi di lui. Iasay oggi ha il doppio trauma: non solo vede un cadavere per la prima volta, ma lo fa con la consapevolezza che quel cadavere è anche il risultato di un suo gesto.
Non ne ha colpa, ma in un certo senso ne ha responsabilità; e un po' sembra capirlo, dato che questa volta si fa remore a correre dal Luogotenente a chiedergli un aiuto che, nel possibile, l'uomo potrebbe anche procurargli.
Muove un'accusa e si prende il carico delle implicazioni, comprende che il mondo non gira attorno ai suoi problemi, e che stavolta non può pregare per un aiuto salvifico che risolva la brutta situazione con un colpo di spugna. La sua razionalità sembra aver elaborato che non funziona così, non puoi sempre contare sugli altri per risolverti i guai. Ha voluto esigere rispetto, ed ora deve farsi avanti per mantenerlo: diciamo che quella dei bulletti incipriati non è che la prova basilare, ma per uno come Iasay già solo essere riuscito a fronteggiarli è tanto.
Poi però, siccome Iasay è Iasay, deve sempre farmi ricredere non appena gli faccio un complimento. E dopo tutti gli insegnamenti impartiti da Ehrenold, dopo tutte quelle ore a distruggersi le mani nel cortile d'addestramento, l'unica difesa con cui se ne esce è quella di rannicchiarsi in un angolo della stanza senza nemmeno tenersi addosso un'arma. Usare delle lame? Ora che saprebbe anche come impugnarle? Ma per carità. Ci manca solo che poi si faccia male qualcuno, vero Iasay?
... Kodarvor non ha più forza da darmi, per cui mi appello alla Sacra Spada. Di sicuro il pantheon di Kjarr è più temprato.

Comunque dopo questo misero spettacolo offertoci dallo squallore di palazzo, dobbiamo risollevarci il morale contemplando qualcosa di meritevole. E dunque:
Pubblicità progresso degli squadroni di cavalleria di Kjarr: arruolatevi da noi, abbiamo il miglior Luogotenente che possiate desiderare! Ascolta tutti, non cede terreno a nessuno, all'occasione se gli girano è pronto a saltarti al collo -ma mai al tavolo di guerra; e nel tempo libero tra il fronteggiare un assedio e sedare un moto d'insubordinazione, invece che ritagliarsi un po' di sano, egoistico spazio per farsi i fatti suoi -tipo dormire-, trova pure il tempo di assicurarsi che i vostri inutili amanti siano protetti e che non manchino di nulla.
Sul serio, date una promozione a quest'uomo. O almeno otto ore consecutive di sonno.

Recensore Junior
15/03/23, ore 02:53
Cap. 11:

Vorrei condividere il momento catartico di Ehrenold in armatura completa.
Vorrei condividere l'esultanza di vedere finalmente Iasay raccogliere nel pugno un'insperata voglia di reagire, e sfracassarla sulla faccia di chi se lo merita.

Ma.
Siwald.
Devo riprendermi un attimo dal magone che mi è salito alla gola. Sono state righe pesanti da leggere; da un lato bellissime ed evocative, piene di sentimenti puri e crudi, di un amore che nasce dal sangue e dal ferro, brucia fiero e lega l'uno all'altro così violentemente. Ma poi quella morte arriva con la stessa potenza, distrugge ogni cosa, e lascia dietro di sé solo la disfatta. Dal racconto di Rowden, Siwald dev'essere morto in maniera orribile, tra dolori atroci: e seppur in diversa maniera, è lo stesso destino che è toccato ad Ehrenold dal ritrovamento del suo corpo straziato. Il suo contrappasso non è solo il dover vivere ogni giorno con la consapevolezza che la persona che amava più di se stesso sia morta nel peggiore dei modi: è l'accusa verso se stesso di averne avuto parte della colpa. E queste sono situazioni in cui non sei in grado di razionalizzare davvero quanta colpa tu abbia avuto, o se tu l'abbia avuta: anche solo il dubbio di esserne responsabile diventa l'unico colore dei tuoi pensieri, annichilisce la persona che sei e riempie ogni tuo istante di rimorsi che mai potrai lenire.
Siwald era una fiamma che aveva bisogno di bruciare, ma nessuno si era dimostrato all'altezza di gestire il suo calore; Ehrenold è stato l'unico a capire che non doveva essere contenuto tra la cenere di un focolare, ma che gli si doveva dare il modo di scoprire tutta la potenza di cui era capace. Lo ha compreso e rispettato come uomo e come guerriero, e Siwald ha fatto lo stesso.
Ehrenold lo ha cresciuto come se avesse tra le mani l'arma migliore che un soldato potesse desiderare. Lo ha temprato con severità, che nel linguaggio di Kjarr si traduce con amore, gli ha dato tutto se stesso perché il giovane potesse diventare un uomo fiero e valoroso. Era così orgoglioso di lui, lo erano a vicenda. Come si può vivere sapendo di aver causato la morte di chi più amavi? Come poter trovare il sonno, la quiete, come poter restare da solo con i propri pensieri, quando i pensieri sono interrogativi orrendi? Non è solo la sofferenza al pensiero delle torture, sono quelle considerazioni subdole e velenose che subentrano quando quelle più violente smettono di artigliarti. Ad esempio se Siwald, tra i dolori della morte, abbia avuto modo di restare lucido abbastanza da pensarlo, e se -quanto- anche lui gli abbia dato la colpa. Se già dal primo colpo inferto avesse perso la speranza di rivederlo, e sia andato incontro alla morte con la certezza di essere rimasto solo, o se fosse rimasto aggrappato alla speranza del suo soccorso fino alla fine ed abbia cercato di resistere il più possibile; una prospettiva più straziante dell'altra.
Ehrenold era così innamorato di lui, dei progressi che compiva, che nulla lo rendeva più contento di vederlo trionfare nella luce della battaglia così come meritava. Era così desideroso di procurargli la gloria che era capace di conquistarsi, che lo ha spinto oltre il suo limite in un compito che il cavaliere, valido ma ancora molto giovane, non è riuscito a gestire.
Il loro era quel tipo di affiatamento assoluto che ti capita solo rarissime volte, e ti lega così a fondo a qualcuno che gli affideresti la tua vita ad occhi chiusi; Siwald lo ha fatto, si è fidato di Ehrenold, ed è morto.
Non importa di chi sia davvero la colpa. Ehrenold vive solo considerando quell'ultima realtà: Siwald si è fidato di lui, e lui lo ha mandato a morire.

So che questo commento è drasticamente corto rispetto alla media dei precedenti, ma di fronte a certi lutti, pur se letterari, non c'è davvero nulla da commentare che non suoni ridondante e pretenda di fare spiegoni a vuoto sui sentimenti dei personaggi. Hai fatto un lavoro sublime nell'affidare una narrazione così delicata e potente a chi ha saputo consegnarcela al meglio, e così voglio preservarla.

Vorrei poter dire che questo colpo al petto mi sia arrivato a tradimento, ma la realtà è che me lo aspettavo. L'ho visto arrivare e l'ho atteso esattamente come un russo a Balaklava di fronte alla carica di cavalleria inglese, e l'impatto è stato devastante come me l'ero aspettato, se non peggio. Ora aspetto che l'intero reparto di cavalleria la smetta di stracciare i miei sentimenti a terra sotto la furia degli zoccoli, e provo ad affrontare il prossimo capitolo.
Ma ci vorrà un po'.

Te lo dico con tutta la stima possibile: mannaggia a te. Complimenti come al solito.

ps: ricordi quando avevo scritto "Ehrenold deve sviscerare il suo lutto" e tu avevi dato una risposta tipo "heh, bella scelta lessicale"? Ecco. Io me lo ricordo, e ora mi sento in colpissima. Come quando dici qualcosa di offensivo a qualcuno senza saperlo, poi lo scopri e ci resti male per il resto della giornata :'

pps: bravo Iasay, bella svolta, ma questo capitolo non era per te.

Recensore Junior
15/03/23, ore 01:59
Cap. 10:

Il governo di Kadya a quanto pare ha rispolverato i libri importanti di storia, perché quel racconto da Legenda Aurea sta alla base della manipolazione del popolino. Crea un mito a cui possano associare un evento attuale, inserisci l'intervento salvifico della divinità, e vedrai il popolo comportarsi in eguale maniera, secondo il copione prestabilito e giustificando ogni mezzo per raggiungerlo.
I cittadini di Kadya non si fanno domande, né danno prova di possedere pensiero critico, il che mi stupisce; da un popolo amante delle belle arti -e quindi della letteratura, tra queste-, il fatto che sfoggino un paraocchi bigotto così grosso è qualcosa di inaspettato. Dopotutto c'è un motivo se i grandi filosofi solitamente provengono da nazioni dove si gode di un elevato benessere. Si vede che a Kadya, proprio come in grandi nazioni moderne, la cultura è appannaggio dei ricchi, e per i popolani vige la politica del creare gli "idioti utili". Tieni la popolazione nell'ignoranza, riempile la pancia di cibo e la giornata di svaghi (per alcuni, questo passaggio è facoltativo), creale un nemico esterno a cui attribuire ogni male, e non si faranno molte altre domande.
Funziona ovunque, a quanto pare.

Neeste e Khoste sono la parte funzionale di questo governo, e amareggia un po' vederli sprecati così. Sotto un'altra filosofia politica probabilmente avrebbero potuto davvero far valere le loro capacità. Immagino che agiscano soprattutto per restare attaccati alle loro ricchezze, non li idealizzo (qui si idealizza solo Rowden, e solo perché ha dato prova di meritarselo), ma c'è qualcosa di valido in loro. Il loro restare fedeli al Duca Jenevin affonda le sue radici nel passato, che è una motivazione che mi colpisce sempre in positivo; però proprio questo onore abbarbicato alla tradizione li ha resi ciechi nel considerare che la persona che stanno servendo non possiede le qualità necessarie per il buon governo. Dimenticano che il loro avo ha giurato fedeltà all'avo di Jenevin quand'erano assieme sul campo di battaglia, dopo aver fronteggiato la morte spalla contro spalla; mentre loro si vedono costretti a provare la loro fedeltà nei cunicoli fognari, in una sorta di Corte dei miracoli, mentre il Duca è fuggitivo e in panciolle nel palazzo stellato per una situazione secolare di cattivo governo che la loro inettitudine ha sublimato.
Sono un po' l'emblema delle civiltà che si attaccano ciecamente ai ricordi e alle antiche glorie senza più mettersi in discussione, senza una seria autocritica, e perdono così i valori che un tempo le avevano rese grandi, solo perché arroccate nel loro ottuso "abbiamo sempre fatto così, non possiamo sbagliare".

Torniamo alla nostra amata visione della Prussia di fronte alla mappa da guerra gigante; ora sono cazzi per tutti, loro compresi. E purtroppo, non quelli di cui spereremmo di leggere.
Nella resistenza dei trecento al passo di Uruna si vede il chiaro rimando alle Termopili, l'emblema del sacrificio di chi ha fatto della guerra il suo mestiere; o la stoicità dei Cacciatori delle Ardenne, che seppur per cause diverse scelsero di continuare a resistere contro l'immane avanzata nemica, perché quelli erano stati gli ultimi ordini impartiti. In entrambi i casi, non furono scelte dettate dall'eroismo o dal fanatismo, ma da pura necessità, pragmatismo e fedeltà alla causa.
Ehrenold la pensa uguale. Sa solo che il suo dovere è quello, e va compiuto; e qui si torna al famoso imperativo categorico di cui facevi menzione qualche risposta fa. Non esiste soggettivismo. Ehrenold non perde tempo a farsi domande, a cercare scappatoie o pretesti per sottrarsi. Sa che deve affrontare la battaglia, non per gloria ma per dottrina, e dunque lo fa al meglio che può. Tedesco, efficiente. Kantiano.

A proposito di germanismi, sto sorridendo tra me e me perché “Sono bravi soldati” detto da un generale di Kjarr è il luogo comune del tedesco che ti dice monocorde "non ho nulla da criticare alla tua zuppa". Sai di aver raggiunto il non plus ultra del complimento dal luminare della disciplina, e puoi goderti il meritato alloro. Dici che possa valere come riconoscimento per guadagnarsi un tatuaggio di guerra?

Sul fastidio che mi suscitano certi aspetti di Kadya ho già parlato abbondantemente nelle recensioni precedenti, e potrei dilungarmi a volontà anche qui. Ma col proposito di mantenere un tono non pesante, cercherò di ridurre al minimo lo sdegno. Quanta verità nella considerazione livorosa di Ehrenold. Quanto spesso si vedono persone cresciute letteralmente in ogni privilegio che affrontano il minimo inconveniente (ovvero, qualcosa contro al proprio personale tornaconto) come se fosse la fine del mondo, si strappano vesti e capelli come se i fondamentali diritti dell'uomo fossero stati calpestati senza possibilità d'appello, strillano alla tirannia e al sopruso solo perché gli viene imposta una regola per vivere in società. Sono imbelli che si meriterebbero un reality check grosso quanto una cinquina in faccia, perché se non si rendono neanche conto che nel resto del mondo ci sono realtà ben peggiori, sono davvero dissociati che pretendono di spiegarti come gira la realtà chiusa nella loro camera dell'eco.
Un po' di terapia presso gli Orchi Cinerei e via, vedi poi come indossi i panni del divino Consorte e sei il primo ad offrirti come amante dell'orribile, tirannico, disumano Lupo del Nord.

Perché poi non fatico ad immaginarmi intellettuali da salotto di Kadya dibattere su come i princìpi degli Orchi Cinerei in effetti portino ad una libertà personale del singolo e al potere del gruppo, di come il loro regno presenti ideali di governo auspicabili, e le critiche siano solo basate su pregiudizi stereotipati? Dato che anche delle grosse serie fantasy ad alto budget ultimamente si sono impegnate a promuovere questo messaggio...

Chiudiamo con Threwe e Hithaigh, che no, non riesco davvero a vedere come cospiratori capaci di tradimento. Poi magari sono ingenua io e mi becco la cantonata a fine storia, ma intanto ci metto lo stesso la faccia e li difendo. Per quanto profondamente diversi di carattere, sono ufficiali di Kjarr; possono biasimare la condotta di Ehrenold, possono averne sfiducia e desiderarne la deposizione dall'incarico, ma non sono neanche degli scemi suicidi, e soprattutto, non sono traditori di Kjarr.
Non farebbero mai il danno della loro stessa armata, e sabotare Ehrenold in qualsiasi maniera, finché la vita di tutti è così strettamente legata alle azioni dell'altro, vorrebbe dire condannare tutti a morte certa. Il massimo che fa Threwe è sperare in una sconfitta al passo di Uruna, per far passare il comando a Hithaigh o a chi per lui, ma sembra un obiettivo più sul lungo termine. Allo stato attuale dell'assedio imminente non credo che avrà mai parte attiva nel far fallire l'intento di Ehrenold al passo, con la possibilità di perdere un generale più che capace in combattimento e trecento validi uomini. Sarebbe sconsiderato prendersi un rischio così grande per giocarsi una carta così labile tra le mani.
La mia visione è piuttosto quella di un uomo cinico che sa prevedere ogni situazione per trarre il meglio da tutte le opzioni, senza mai farsi cogliere con le spalle al muro, anche se questo dovesse dire accettare condizioni sfavorevoli o approfittare del disonore; ma non di qualcuno che si muoverebbe per creare inganni e tranelli al suo stesso schieramento, anche nella prospettiva di farne gli interessi.
Vedremo come andrà, e se la mia fiducia verrà ripagata. Come al solito vorrei scrivere tanto altro, ma non mi dilungo in recensioni "kadyane" (che poi lo sono già abbastanza di per sé, ma di nuovo, è anche merito tuo che mi dai sempre così tanto su cui soffermarmi e mi rendi un recensore felice); e poi ho la smania di passare al prossimo capitolo, quindi passo e chiudo! ^^

Recensore Junior
14/03/23, ore 22:56
Cap. 9:

Bentrovato, carissimo! ^^
Oggi è un'altra splendida serata in cui posso dedicarmi a Kjarr, per cui evoco le nuvolette rosa su cui adagiarmi, apro il capitolo e mi preparo ai prossimi massacri figurati e letterali. Da un lato, ora che siamo al giro di boa di metà storia, vorrei centellinarmeli e farli durare il più a lungo possibile; ma dall'altro non pretendo certo di avere la stoica disciplina di Kjarr, quindi cedo alla tentazione~

Legge vuole che dopo la carota venga il bastone, e difatti rieccoci nei fasti immeritati della corte nascosta del Duca Jenevin. Ne sentivamo la mancanza? Non troppo, considerato che abbiamo appena lasciato Iasay in una situazione di profonda crescita. Ma non possiamo neanche viziarci troppo, perché se nel quadrato d'arme siamo ancora lì con gli occhi che brillano, non possiamo dimenticare che fuori dal Palazzo dei Draghi è in procinto di scatenarsi la tempesta perfetta contro le Nere Armate.

Al fasto siculo normanno della corte ci aggiungiamo il tocco persiano del nuovo arrivato, in una corale di culture che immancabilmente stonano con il rigore essenziale di Kjarr. Il generale di Deres, se non altro, appare molto più come un uomo di guerra, e difatti non si mostra granché condiscendente alla pomposità di Kadya di condurre una trattativa. Sedgius sarà anche un pavone che ama sfoggiare il suo status con orpelli d'oro, ma il suo modo di ragionare è molto più di stampo militare. Il Duca Jenevin, da brava serpe diplomatica, aggiusta in fretta il tiro del suo canto sirenico, e ci rende chiaro che per lui non esiste troppa differenza miltoniana tra regnare all'inferno o servire in paradiso... basta che lui se ne stia stravaccato comodo sul suo scranno a Kadya, autonomo a sé stesso o asservito a Deres poco gli cambia.
Ce lo aspettavamo, sì, ma questo non vuol dire che non ne siamo comunque rimasti delusi; anzi, quanta disperazione traspare dal suo mercanteggiare, costretto ad affidarsi a null'altro che alla mercé del suo alleato che lo nomini reggente. Dimostra quanto dietro la sua facciata di grandezza non abbia nulla di concreto a reggere la sua influenza, perché non ha avuto neanche la lungimiranza di costruire alleanze commerciali o dinastiche.
Ad ogni modo, ora di fronte a Kjarr si parano due nemici, e nessuno di essi è sottovalutabile: sia quello viscido che colpisce per vie traverse, che quello capace di parlare la loro stessa lingua, quella bellica. E la situazione si fa sempre più grigia.

(Comunque gli orecchini di Sedgius dovrebbero essere classificati come crimine di guerra: spero che almeno siano solo da parata, perché sto vivendo somaticamente il momento in cui nella foga della battaglia vengono strappati via, e lacerano il lobo col rumore di un gatto aggrappato alla tenda di seta)

Se oltre ai confini delle mura la situazione va male, dentro a Kadya va pure peggio. L'unico lato positivo? Che il vero peggio deve ancora venire, quindi finora non possiamo lamentarci poi troppo.
Di nuovo, tocca al LuogotenenteGeneraleMaggiore Rowden addossarsi l'onere e l'onore di essere l'amico fidato di Ehrenold, col rischio sempre più concreto di prendersi una testata in pieno setto nasale. Ehrenold, in una certa ottica, ha ragione: non vede perché dovrebbe piegarsi a fare concessioni a un popolo vigliacco e imbelle, senza far passare il messaggio che la loro protesta da pecorelle passivo-aggressive poi abbia davvero il potere di fargli ottenere qualcosa.

Ma Rowden lo riporta bruscamente coi piedi per terra con un semplice principio: se hai la forza di combattere, combatti; sennò perdi.
Possono combattere contro il popolo partigiano? Sì.
Possono combattere contro l'esercito di Deres? Certo.
Possono combattere contro i nobili di Kadya? Anche.
Possono combattere contro tutte e tre queste forze contemporaneamente, a schiere ridotte? ... hm.
Affrontare battaglie che non puoi vincere è stupido, ancora di più se sei stato il primo a sopravvalutare la tua forza e a cacciarti nella condizione di perdere. Basare le proprie decisioni con un teorico "Ma io ho ragione", in un certo senso, è assecondare la forma mentis di Kadya. Nell'ottica di Kjarr, Ehrenold avrebbe anche ogni ragione morale per non restituire Iasay; ma se poi durante l'assedio si trovassero con le spalle al muro anche per via della rivolta intestina, come potrebbero farsi valere? Dicendo ai cittadini di Kadya "Avevamo ragione noi, e quindi non è giusto che insorgiate?"
Farsi nemici tutt'intorno può funzionare solo finché hai la forza sufficiente per schiacciarli tutti, ma se lo fai in maniera sconsiderata arrivi ad un punto dove non ce l'hai più. Ecco perché, anche in un mondo di prevaricazione, la lungimiranza e la strategia devono superare la cieca dimostrazione di potenza; due qualità che al momento Ehrenold sembra aver perso, perché sta procedendo a schiacciasassi sul suo percorso, come un cavallo da traino che fermandosi potrebbe venire travolto dal proprio stesso carico. E quando Rowden prova a farlo ragionare, ottiene solo di farlo sentire definitivamente solo in un assedio che non si limita alla città, ma anche a se stesso.
Quanta solitudine che traspare da Ehrenold, e quanto dolore non detto.
So che per i nostri valori andrebbe disprezzato, anzi, verrebbe dipinto come quell'antagonista con cui empatizzi ma di cui al contempo *devi* sperare nella sconfitta. Però, con tutta la sua severità e l'apparenza senza cuore, a me piace parecchio. E' un uomo di dovere e d'onore, al servizio per la visione del suo regno, spinto al limite della sua sofferenza interiorizzata perché si sta sforzando ad ogni costo di continuare a svolgere gli ordini, malgrado sia psicologicamente esausto dalla perdita che ha subito.

Restituire Iasay parrebbe la scelta più sensata; se fosse accaduto prima degli ultimi eventi, se Ehrenold fosse stato meno ottenebrato, probabilmente immagino che avrebbe finito per acconsentire. Magari a denti stretti, contrario a quella concessione verso gente immeritevole, ma l'avrebbe fatto: direi che tra il rinunciare a un diletto personale, e il prevenire una ribellione che potrebbe compromettere la sicurezza e la vita di tutti i reparti di stanziamento, un generale di Kjarr abbia ben chiara la sua linea di priorità.
Ma ormai non è più questo il caso.
Ehrenold ha visto qualcosa in Iasay, forse l'unica cosa che possa ancora riscattare tutta la corruzione morale di Kadya che tanto l'ha nauseato. Iasay può essere la prova che c'è qualcosa di valido anche nei casi più disperati, e che vale la pena rischiare di insegnarglielo: per il bene del ragazzo, e in fondo anche per se stesso.
Ma Rowden sa che non è solo questo; ed ecco che ci viene consegnato quel nome importantissimo, Siwald (che, parentesi, è un nome che amo. Non so se ricordi una mia oneshot, ma avevo un pg quasi omonimo: è un suono così giovane ed eroico, mi ricorda la leggenda di Siegfried, e ora sono in ammollo nel brodo di giuggiole per quest'affinità onomastica). Possiamo intuire, o almeno presupporre, che anche lui fosse l'allievo di Ehrenold che ne è poi divenuto l'amante -magari in un percorso parallelo. Forse, proprio come Iasay, era un ragazzo su cui nessun altro avrebbe scommesso, e che invece con Ehrenold era riuscito a dimostrare di poter cambiare ed essere un guerriero. O forse, malgrado la volontà e gli sforzi di Ehrenold, non è riuscito a cambiare, ed è morto per questo. O forse è morto proprio perché Ehrenold ci aveva dato a mucchio con lui, ed ora non vuole ricommettere lo stesso errore con Iasay.
Dopotutto è un lutto da cui il temuto Lupo di Hudach non si riprende, e quindi devono esserci motivazioni più profonde per il trauma che Siwald si è lasciato dietro. Se fosse "solo" morto eroicamente in battaglia, non penso che Ehrenold si torturerebbe a quel modo col suo fantasma, né che si attaccherebbe in maniera così ostinata al legame -ancora un po' malsano- con Iasay.
... o forse sto completamente andando fuori percorso, e tu sei lì a sogghignartela mentre mi aspetti al varco. Ormai so che non lasci nulla al caso, per cui immagino che lo scopriremo presto.
Con tutte queste ipotesi, invoco di nuovo l'aiuto di Miss Marple per sbrogliare il mistero... o l'aiuto effettivamente più pratico di Rowden, l'unico testimone con la volontà di narrarci la vicenda. Che poi mi sento come quando sei il novellino del fandom e vai al cinema a vedere l'ultimo film assieme al concilio dei veterani: immagino che a questo punto i lettori che già conoscevano la storia siano saltati sulla sedia con "Aaah, oddio! Siwald!", e io sono lì col sorriso awkward che fingo di seguire il discorso, e nel mentre cerco di apprendere quel che posso tramite informazioni laterali :') ma è il bello di lanciarsi nella lettura senza conoscenze pregresse. Ti avevo preannunciato che ci sarebbero state supposizioni a catena, sì?
Comunque Siwald finisce hic et nunc nell'elenco dei beniamini già solo per il suo nome, e spero di non dovermi ricredere. Il mio istinto ha funzionato con Rowden, so che funzionerà anche con lui.

E visto che già nella recensione scorsa avevo nominato Fiore di Ciliegio, lo ri-quoto anche qui, per dirti quanto apprezzi che in queste tue storie ci sia sempre la figura di un amico vero accanto al protagonista. Niente doppi fini o arrivismi, nessuna mira sessuale (oddio, in effetti non conosco il passato da giovincelli in caserma di Ehrenold e Rowden, ma facciamo valere un retroattivo don't ask don't tell :') (che poi, "passato da giovincelli" se ora hanno a malapena trent'anni è un self-burn mica da poco); ad unirli c'è solo un forte legame fraterno di amicizia, un braccio saldo su cui puoi sempre contare, una mano pronta ad offrirti aiuto senza chiederti nulla, o a mollarti un bel ceffone per farti ripigliare se stai facendo la stronzata. Di quelle persone che ti fanno da voce della coscienza quando ti manca, che ti fanno incazzare quando non sei onesto con te stesso, e in generale, che ti fanno bene. Ed ora volo al prossimo capitolo!

Recensore Junior
10/03/23, ore 01:30
Cap. 8:

Che bel capitolo. Che. Bello.
Proprio come Iasay che si rende conto solo dopo della reazione del suo viso, anche io mi sono accorta di avere un enorme sorriso sulle labbra solo dopo essere arrivata alla fine. Potrà sembrare strano da dire, perché anche qui nei primi paragrafi sprofondiamo nella violenza e nella disperazione; ma più va avanti, e più questo è un capitolo che scalda il cuore.

Non bruciamo le tappe, anche se vorrei subito saltare a ciò che mi ha più emozionato, perché anche l'inizio è fondamentale. In un certo senso, si può dire che sia la scintilla da cui sia poi scaturito tutto il resto, ed è una sorta di spartiacque della storia. Inizi a leggere con l'impressione di riprendere la trama da dove l'avevi lasciata, e finisci con la certezza di essere passato "dall'altra parte"; d'ora in avanti, qualcosa nel loro rapporto è cambiato e non si può più tornare indietro dai meccanismi messi in moto.
Iasay ha la forza di tentare di uccidere Ehrenold.
Che sia disperazione, isteria, vergogna, crollo nervoso, delirio mistico infuso dal cielo. Qualsiasi motivazione gli si voglia attribuire, Iasay compie quel salto che non tutti gli umani sono in grado di portare a termine: raccoglie la volontà di togliere la vita a una persona. Non eravamo sicuri che riuscisse a farlo, ed è stata una scoperta importantissima, soprattutto per se stesso. E forse la sua goffa strategia avrebbe funzionato su di me, che al mattino ho bisogno di dieci sveglie e almeno otto ore di tempo per aprire gli occhi; ma di certo non aveva una minima possibilità contro Ehrenold, che immagino come uno di quelli con l'istinto che gli fa spalancare gli occhi un istante prima che suoni l'allarme della caserma.
Però, oh. Ci ha provato, e per uno come lui è già tanto.
Difatti Ehrenold non è nemmeno turbato da questo fatto, ma solo piacevolmente sorpreso. E non sai quanto, quanto abbia apprezzato il fatto che neanche per un secondo lo abbia biasimato, o gli abbia rivolto contro mezza ritorsione o una parola d'accusa. Ehrenold non è un illuso: era ben conscio che Iasay lo odiasse a morte, che detestasse con tutto se stesso quello a cui lo costringeva, che voleva solo toglierlo di mezzo e tornare a casa sua a ogni costo. Quindi non gli è passato neanche per la testa che il gesto di Iasay fosse ingiusto, o ingrato. Non ha meritato una punizione per aver provato a far valere le sue ragioni con l'acciaio, anzi: l'unico moto di delusione lo ha avuto nel vedere che la sua inesperienza non ha reso giustizia a un'arma di Kjarr.
Ma malgrado tutto, Iasay ha provato a risolvere il suo problema con un approccio diverso, dando prova di se stesso, ed Ehrenold ha finalmente intravisto nella scintilla dei suoi occhi quello che temeva di non intravedere mai. La voglia di reagire e di combattere.

La scena dove Ehrenold insegna con entusiasmo genuino a Iasay i rudimenti del pugnale, entrambi nudi nella camera da letto, è paradossalmente molto più intima e vicina di qualsiasi cosa abbiano appena compiuto tra le lenzuola.
C'è Iasay, ancora incredulo e stordito da quel che si è scoperto in grado di fare, che non si capacita di se stesso, né di come il Sovrintendente abbia accolto con tanta noncuranza il suo tentato omicidio. E c'è Ehrenold, che per la prima volta dopo tanto dolore riscopre il tepore di un momento di felicità semplice e cruda; e forse inizia a comprendere che tenersi vicino Iasay, malgrado tutti i dubbi e le ombre del passato, alla fine ha portato a qualcosa di insperato a cui non sapeva dare un nome. Qualcosa che stava cercando e che non riusciva a trovare, magari perché non sapeva di averne bisogno. Mi sto rendendo sentimentale? Colpa e merito tuoi, mio caro, che con questa scena hai toccato delle corde del tutto diverse e profonde.

In quanto veterano più esperto, Ehrenold ha scelto di fare da maestro a Iasay: qualcosa che per il ragazzo ancora non vuol dire quasi nulla, ma che per un uomo di Kjarr vuol dire così tanto. Così tanto, infatti, che persino il suo modo di possederlo cambia da quella notte in poi, perché ora che è suo allievo, Iasay è passato dall'esserne ostaggio all'esserne l'amante. Il suo amante.
Quel che Ehrenold ha scelto di fare è molto più che insegnargli la scherma; a Kjarr una spada non è solo una spada, ma è il proprio posto nella società, il proprio diritto a farsi valere, la capacità di dimostrarsi un uomo in grado di avere responsabilità ed esigere rispetto. Lo sta iniziando ad uno dei valori che sta alla base della loro società, quello di cui sono più orgogliosi ed intransigenti. E questa è una dimostrazione di affetto così profonda che va oltre tutte le parole che si potrebbero mettere in prosa.
Ehrenold vuole che Iasay sia in grado di difendersi e di attaccare. Vuole che riscopra la vera natura della virilità, l'orgoglio di uno spirito combattivo il cui sangue è stato reso torbido dalle mollezze di una società di eccessivo benessere che l'ha resa tronfia ed egocentrica.

Ci sono così tanti cambiamenti, e tutti così profondi.
Persino qualcosa di poca importanza come gli abiti ha in realtà tutto il suo peso. Vestito con abiti frugali e modesti, i bei capelli stretti in una coda, Iasay non è di certo un guerriero di Kjarr in uniforme; ma se non altro non è neanche più allineabile con uno di quegli squallidi ragazzi di compagnia imbellettati e grotteschi che infestano la corte. Sta *diventando*; che cosa di preciso ancora non lo sappiamo, ed è un processo che può andare male in qualsiasi istante (i capitoli sono ancora tanti, e le gioie si prospettano esigue...), ma per il momento c'è qualcosa in atto dentro di lui che finalmente lo sta portando a cambiare. Anche se ne è inconsapevole, il suo animo e il suo corpo reagiscono agli insegnamenti di Ehrenold, quasi con una memoria muscolare che il suo addomesticamento a Kadya aveva soffocato.
Il giovane ha persino il modo di riscattarsi dal precedente incontro con Rowden, quando la pazienza del Luogotenente di riprovare a sondare il terreno è ripagata; questa volta, anche se non se ne rende ancora conto, Iasay è diverso. Sta imparando ad osservare, ad ascoltare.
Sembrerà un dettaglio da nulla, ma ormai sai che mi fisso su certi particolari che non mi levo: nei capitoli precedenti Iasay non aveva mai neanche descritto propriamente Ehrenold, solo il dolore e la violenza a cui associava quella presenza enorme da cui si sentiva schiacciato. Il fatto che ora si sia preso il tempo di osservare il suo corpo, di interrogarsi sulla sua reale età, di cogliere la sua espressione sofferente nel sonno, che abbia sentito l'idioma di Kjarr sussurrato al suo orecchio durante gli amplessi, sono tutti particolari che sommandosi lo aiutano ad aprire gli occhi su un mondo nuovo. E difatti questa volta coglie l'implicazione nelle parole di Rowden (sempre sia lodato il nostro Generale Maggiore), e d'istinto ne è incuriosito. Un passo avanti così grande rispetto all'approccio avuto la scorsa volta, quand'era solo focalizzato a piangere la propria angoscia ed ogni stimolo esterno cadeva a vuoto.
Così finalmente si prospetta all'orizzonte il trauma passato di Ehrenold, e ora che sembra a un soffio di distanza mi trovo combattuta. Da un lato sono ovviamente curiosa di risolvere molti interrogativi e unire qualche filo di trama... dall'altro non so se sono pronta per la mazzata morale. Me ne hai già tirata una bella forte con Fiore di Ciliegio, di cui porto ancora il livido, e so che probabilmente non avrai la mano leggera neanche stavolta. Ma non faccio la Iasay di turno, stringo i denti e vado avanti.

Io non so: sarà che la mentalità di Kjarr mi è così affine che forse la giudico con sguardo preferenziale, ma perché questo intero capitolo mi è sembrato così romantico? Ci meritiamo tutti un uomo che ci insegni a masterare un'arma per dimostrarci il suo affetto. Ancora complimenti, è stata una lettura davvero intensa e piena di significati, a questo giro più che mai.

Recensore Junior
09/03/23, ore 18:10
Cap. 7:

Il capo del complotto era davvero nel mio elenco dei sospettati! Grazie, Miss Marple.
Siamo nel cuore della resistenza nemica -che definirla "resistenza" è generoso, ma pur sempre di quello si tratta-, e mai come ora, senza confronti diretti, emergono le differenze tra i due regni. Ti confesso che un po' mi è mancato leggere del rigore dei soldati di Kjarr; ero così abituata a quelle presenze granitiche ad accompagnare la narrazione, che è stato disorientante leggere un intero capitolo su Kadya privo di critiche -escluse le mie, perché ormai sai dove risiede il mio affetto.
Tutti quegli ambienti meravigliosi, una sinfonia di architetture e fontane che ricordano il rinascimento e l'arabo-normanno, stoffe pregiate, profumi suadenti... e nessun cipiglio biondo e severo a giudicare che sia eccessivo e poco consono all'attuale situazione di guerra. Sono la prima a entrare in sindrome di Stendhal di fronte a certe magnificenze artistiche (in questo più che prussiana sono viennese, mea culpa), ma il fatto che questa gente non abbia vergogna a godersi la bella vita dopo aver appena fallito il loro servizio presso la città che dovevano governare mi urta. Branco di pusillanimi.

Lo scorcio approfondito che proponi per Kadya è un risultato terrificante ed efficace di come funzioni la propaganda. Caste di nobili avvinghiati alle loro ricchezze e ai loro privilegi che riescono ancora a convincere i cittadini che agiscono per il loro interesse, fanno leva sulle loro miserie (miserie che i comportamenti scellerati nobili hanno causato, in primis) e come al solito mandano terze parti a combattere per loro. E' desolante anche il culto della personalità del duca Jenevin, che malgrado sia un fuggitivo strisciato nel suo nascondiglio viene ancora visto da Iorweth come la loro luce di speranza. Subentra anche la devozione per la religione, che già era spiccata nei comportamenti di Iasay e Iorweth, perché nessuno come una divinità -o il suo emissario- può manipolare altrettanto bene un popolo suggestionato.
E qui mi sorge un altro interrogativo: a Kadya abbiamo il nostro pantheon che per certi versi ricorda quello classicista, con il corrispettivo dell'inferno nelle pozze di Sammondach. Invece a Kjarr come funziona il concetto del credo? Ricordo di aver letto della Sacra Spada e una sorta di Valhalla -la Dimora di Vopnir, se ho inteso bene-, ma, forse perché l'ottica religiosa non influisce così tanto, non gode di menzioni altrettanto frequenti. Quindi, ecco, sono curiosa ^^

Tutto questo discorso propagandistico comunque può avvenire in maniera opposta anche a Kjarr; non ho (ancora) visto come funzioni internamente al regno, e quindi non lo escludo a priori. Dopotutto anche le nazioni militari -anzi, soprattutto quelle- hanno fondato le loro basi su forti campagne di propaganda, appoggiati da filosofi, letterati e divulgatori che ne illustrassero le idee per plasmarle sul popolo. Senza raccontarcela con giri di retorica, l'identità di una nazione e il suo senso del dovere è dettato soprattutto da questo. La differenza, nella neutralità dei fatti, sta in che spirito venga creata.
Ci sono stati imperi e imperatori che hanno fatto della guerra un'arte efficiente ed obbediente, dove chi era al comando era tenuto a mostrare il suo valore tra i ranghi. E ci sono nazioni che hanno basato la loro intera aggressività sul gettare masse di soldati nel tritacarne umano del fronte, vincendo non per disciplina, o tattica, o valore, ma solo perché avevano più corpi sacrificabili dei proiettili del nemico. Un'atroce, offensiva, rivoltante parodia della vera arte bellica, una propaganda marcia e vigliacca, fatta da chi poi si guarda bene dall'esporsi in prima linea in quell'orrenda carneficina della battaglia. Sotto una certa ottica, è come Kadya in questo caso. Mandi i tuoi cittadini in battaglia, fomentati dalla paura e dall'asserzione religiosa; mandi un esercito straniero in battaglia, sotto chissà quali promesse. E tu, caro nobile stravaccato sul triclinio, quand'è che metti qualcosa di tuo in palio, in queste battaglie che tanto invochi come necessarie?

Ma tornando a noi, è iconico come i due popoli considerino le difese: ricordo la frase "le mura di Kjarr sono i suoi soldati", mentre qui le mura dell'aristicrazia sono percorsi segreti e sotterfugi, travestimenti e bende sugli occhi.
Astuta, purtroppo, anche la scelta di spingere il popolo alla rivolta per agevolare l'esercito di Deres. Credevo che il duca Jenevin avrebbe spinto i suoi al massacro, o avrebbe in qualche modo sfruttato la presenza di Iasay a palazzo per un attacco mirato al Sovrintendente che privasse Kjarr del suo generale. Ma in effetti, sarebbe stata una rovina annunciata. Mi chiedo solo perché mai l'esercito di Deres, se dovesse accettare di combattere, una volta sconfitto Kjarr e conquistato Kadya dovrebbe acconsentire nuovamente a cederla ai nobili e a non tenersela come enclave del proprio regno. Immagino che possiamo solo continuare con la lettura, e che la diplomazia delle cospirazioni faccia il suo corso. D'accordo, iniziano ad essere cazzi... ma siamo a Kjarr, dopotutto, nulla che non abbiano mai visto. E con gioia -e anche un po' d'apprensione- mi lancio nel prossimo capitolo.

Recensore Junior
09/03/23, ore 16:25
Cap. 6:

Bentrovato!
Oggi si prospetta un pomeriggio libero, il che si traduce con "tazza di té e saga di Kjarr"; perché c'è qualcosa di soddisfacente nel sorseggiare un infuso caldo intanto che si legge di battaglioni scelti, fantasy militare e slash scritto come Di-... come la sacra Spada comanda.

Non poteva mancare un inizio capitolo con l'angoscia di Iorweth, che pover'uomo, si comporta come ha insegnato anche a Iasay: è ben deciso a proseguire nella sua protesta pacifica e silenziosa, una sorta di processione delle candele, nella speranza che serva a qualcosa. E in effetti, a qualcosa sta servendo: non presso i soldati di Kjarr, ma presso chi parla la sua stessa lingua remissiva, ovvero i suoi concittadini. Il popolo di Kadya sta iniziando a ritrarre Iasay come l'emblema delle vittime del pugno di ferro di Kjarr (quali altre vittime lo sapranno solo loro, dato che Kjarr finora non ha torto un capello ai cittadini), e come pecorelle che hanno trovato una guida, una ad una stanno confluendo verso il gregge maggiore; il fatto che Iorweth non abbia mai neanche visto prima alcuni di loro vuol dire che non sono lì perché conoscevano Iasay, ma solo che quel giovane è diventato il simbolo della loro causa.
Si potrebbe anche apprezzare l'iniziativa, se non ponesse una desolante luce sulle cause per cui si impegna il popolo di Kadya:
- dopo decenni di ricche spese a destra e a manca, i nobili li abbandonano come vigliacchi alla mercé del nemico perché nessuno si è mai premurato di organizzare le difese della città? "Tutto okay, così gira il mondo"
- l'esercito invasore *non* si ubriaca nelle taverne e il Sovrintendente prende un giovane affascinante come ostaggio? "Ah, no. Inaccettabile. Questo sventurato è l'emblema della nostra sofferenza ingiusta, dei soprusi e della miseria ai danni di noi povera gente perbene. Proteste, martirio, santo subito."
E in effetti questa preghiera corale ha finito per non passare inosservata neanche ai piani alti, perché compare in scena un emissario delle ombre che, al contrario dei nostri Threwe e Hithaigh, pare essere ben erudito in materia di complotti. E qui ho il mio momento di nemesi giallistica, perché tutte quelle puntate di Miss Marple non mi hanno mai insegnato nulla sul beccare l'assassino. A capo di questo complotto potrebbero esserci tutti, e nessuno: che ci sia il conte fuggiasco di Kadya? I nobili che vogliono riprendersi la città senza il conte, per arrogarsi ancora più privilegi? Qualcuno dell'esercito di Deres che ci ha visto lungo, e con la scusa del "passavamo di qui per caso" sta sobillando una rivolta per conquistarsi Kadya en passant? Depenno i nostri due Luogotenenti dall'elenco dei sospettati solo perché hai detto che sono capaci di ordire trame così come tu di scrivere chick lit, e insomma; sarebbe una prospettiva destabilizzante.
(Colpo di scena: poi viene fuori che sono *davvero* quei due, perché mi hai gabbato e in realtà sei un luminare del chick lit, anzi; si scoprirà che hai nel curriculum bibliografico un best seller sulla spumeggiante vita romantica di una newyorkese in carriera.)
Tornando seri, per riprenderci dall'orrore appena contemplato: Iorweth e Diorle saranno mansueti, ma non sono sciocchi, e si rendono subito conto di essere pedine in uno schema più grande. Ma in fin dei conti, cosa gli importa? A loro non interessano gli scontri di potere, né chi ci guadagna cosa, o perché: loro sono disperati di riottenere Iasay, e si piegherebbero a qualsiasi cosa pur di riaverlo. Quando qualcuno è talmente preso dalla propria angoscia, dopotutto, non guarda più in faccia nessuno.

Ci spostiamo dentro il palazzo, da Iasay, che deve difendersi dagli approcci di un capitano; e a quanto pare ci tiene a rimarcare che "è di Ehrenold" solo fino a quando non deve essere effettivamente di Ehrenold. Che poi non gliene si fa una colpa, poveretto, già subisce quello che a stento può sopportare, ma al contempo mi immedesimo nella mentalità di Kjarr e mi sale spontaneo il commento: "Non impugnare un'arma che non sei disposto ad accettare". Che l'arma in questo caso siano solo parole, l'umiliante rivendicazione d'appartenza al Sovrintendente, poco cambia. Ormai potrebbe sforzarsi di avere un contegno anche solo di facciata, anche solo per amor proprio.
Eaghar, dal canto suo, si unisce al sempre più vasto gruppo di chi si domanda cosa ci faccia uno come Iasay ancora al fianco del Sovrintendente. Che sì, ce lo stavamo chiedendo un po' tutti, ma tenendo le mani al nostro posto. Per fortuna giunge in soccorso la cavalleria, cioè il vero eroe del Palazzo dei Draghi.
Che si becca del mellifluo.
...
Ora, capisco che lo shock culturale di vedersi un uomo di Kjarr propenso al dialogo sia insolito, ma-...
"Ma" un cavolo.
Ho appena terminato gli sgoccioli di sacra pazienza infusami da Kodarvor, per cui ne approfitto per far notare a Iasay, il signor sciopero della fame, voglio-morire-ma-non-è-vero, col palmarès nella disciplina del gettarsi a terra e implorare pietà, voce grossa coi servi innocui e pigolii tremolanti coi soldati massicci, che adesso si sente così in alto sul piedistallo morale tanto da osare definire "mellifluo" l'unico uomo di Kjarr che gli abbia mostrato uno straccio di umana considerazione. Iasay, ma un bell'esame di coscienza te lo fai ora o passi a settembre?!

Senza più curarci di Iasay, che da questo capitolo è agilmente saltato dalla mia compassione al desiderio di mandarlo a quel paese (quello che non è in Amlinntal), concentriamoci su chi, come al solito, si sta meritando sempre di più il suo angolo di analisi e digressione. E oh, se se l'è guadagnato anche a questo giro.
"Ho l'abitudine di non prendere mai nulla che non mi venga spontaneamente offerto.”
Sono piena di orgoglio per lui. D'accordo, usciamo per un istante dall'ottica di Kjarr, e guardiamoci negli occhi: quanta forza c'è in questa frase? E non "forza" intesa come mera capacità coercitiva, ma forza morale. Rowden potrebbe tranquillamente prendersi chi e quello che vuole, a Kadya come in qualsiasi altra città, perché al di là delle dovute eccezioni gode di un vasto potere. Non solo è abbastanza in alto nella gerarchia dell'esercito, ma ha un fisico che avrebbe ragione su molti dei suoi opponenti -soprattutto non di Kjarr.
Nessuno avrebbe nulla da recriminargli se dovesse decidere di reclamare per sé un amante che non acconsente: è tradizione e legge. Se ha la forza per far valere la propria volontà, questo è tutto il permesso che gli serve.
Invece Rowden non lo fa, perché la sua è la fortitudine del buono. E non mi riferisco alla bontà come al regalare gli orsacchiotti di pezza, ma al tenere in considerazione tutto il peso che le nostre azioni hanno sul prossimo e prendersene la piena responsabilità. C'è il benpensante di turno che storcerà il naso a sentir chiamare "buono" il luogotenente di un esercito come le Nere Armate, ma un conto è muovere una guerra secondo le sue leggi perché è una dottrina e perché è necessario, un altro è avere remore sull'infliggere sofferenza per un puro tornaconto personale.
Si torna al concetto che la Giustizia senza la Forza per farla rispettare è muta e debole, ma la Forza senza Giustizia è solo violenza senza ragion d'essere. Poi di nuovo, so bene che questa visione alla Pascal non si applica al mondo di Kjarr; che tu decida di prenderti qualcosa o no, questo non ti rende una persona migliore o peggiore, ma semplicemente uno che ha qualcosa o che non ce l'ha. Anzi, forse questo suo rispetto per la consensualità potrebbe essere persino giudicato peculiare da qualcuno (me li immagino, i soldati di Kjarr: "Hai sentito? Il Luogotenente prende solo amanti che gli si offrono spontaneamente" "Pensa che conosco uno che dice di preferire le donne" "Mah, ce ne sono di pervertiti strani al mondo...").
Ma giudicato coi nostri filtri, Rowden si dimostra d'immensa levatura morale. Il dovere di chi è nella posizione di potere è anche quello di trattare con giustizia chi gli è subordinato. Che poi questo concetto oggi sia stato trasfigurato fino a renderlo la sagra del piagnisteo e del vittimismo sociale è un errore tutto nostro; il suo concetto più ampio è immenso, e il forte che sceglie come, quando e con chi far valere la propria forza senza approfittarne è anche saggio.

Comprensibilissima inoltre la delusione per Iasay, e di riflesso per l'intera Kadya. Messo di fronte a qualcuno che -almeno nell'ottica di Iasay- potrebbe aiutarlo, il ragazzino cosa fa? Non gli chiede *come* poter risolvere il problema, no: gli chiede *se* gli risolve il problema. L'atteggiamento tipico di chi ha sempre avuto la pappa pronta e sa solo prodigarsi per chiedere che gliene venga messa altra nel piatto, senza neanche la voglia di alzarsi e prendere in mano il mestolo.
Ancora una volta, Iasay si dimostra sordo e cieco agli input esterni. Rowden si pone in maniera gentile, prova a buttargli lì qualcosa che potrebbe aiutarlo a capire meglio Ehrenold, sembra quasi volenteroso d'intavolare un discorso più approfondito tra loro due. Un discorso che non doveva per forza essere un'apologia del Sovrintendente -non siamo così bestie da pretendere che uno che si percepisce come vittima abbia pietà per il suo aguzzino-, ma che avrebbe almeno potuto aprire gli occhi a Iasay sulla situazione. Inoltre, credo anche che Rowden non fosse capitato lì per caso; forse stava cercando proprio Iasay, perché anche lui voleva vederci più chiaro in quella situazione. Anche lui è preoccupato per Ehrenold, per la condizione tattica del loro esercito, ma soprattutto per il benessere del suo amico. E dato che vuole fare il bene del Sovrintendente, prima di formulare un pensiero campato su ipotesi vuole farsi un'idea concreta di quel che ha sottomano. Apprendere che la distrazione di Ehrenold, colui che dovrebbe essere il sostituto del freddo fantasma del suo passato, non sia altro che un ragazzino inerme, inetto e piagnucolante, lo getta verosimilmente nello sconforto; da amico, si chiede quanto sia positiva questa influenza, e quanto invece non sia solo un ripiego malsano che gli logori la psiche ancora di più.
Rowden, fatti coraggio. Come posso esprimere il mio apprezzamento per lui senza cadere in una sdolcinatezza poco consona? Sarà anche un Luogotenente nel suo esercito, ma ai miei occhi lui è il Generale Maggiore ♥

Finale con Iasay in estasi mistica di Santa Caterina di fronte al pugnale, a montarsi impalcature di chissà quali giustificazioni a sfondo religioso per il suo desiderio di ammazzare Ehrenold. Ma magari ci provasse; almeno darebbe prova di avere un minimo di capacità combattiva e di reazione ai soprusi. Poi chissà, magari verrebbe recapitato ai suoi genitori direttamente con un volo per posta prioritaria dalla finestra, ma intanto sarebbe un progresso.
Vediamo se riuscirà a tenere fede alle sue intenzioni, o se si rivelerà il solito sprazzo di coraggio che non troverà un seguito concreto. Volo al prossimo capitolo!

Recensore Junior
06/03/23, ore 14:35
Cap. 5:

Per citare una traduzione che adoro, "Sai di essere fottuto quando la Prussia tira fuori la mappa bellica gigante".
(sì, ultimamente nomino sempre la Prussia, me ne rendo conto. Ma quando mai mi ricapita di leggere le gesta di un regno così affine ad esso, che non sia dipinto tra le schiere degli antagonisti brutti & cattivi? Seguimi nei miei apprezzamenti da vecchietta che ripete le cose tre volte in un'ora, sii caro). Il fatto che però si inizi a lanciare manciate di sassolini sulla mappa non è un buon presagio neanche per i nostri.
I luogotenenti di Kjarr iniziano a prepararsi per un attacco esterno, che di base non sarebbe un gran problema... ma inconveniente su inconveniente, dopo un po' è crollato pure l'Impero Romano. Quando il forte mostra un lato scoperto, tutti i più deboli si coalizzano per tirarlo giù. Le lotte partigiane, i nobili che complottano per riavere i loro privilegi, una città indifendibile, un esercito nemico con la gola di metterli con le spalle al muro, le truppe che scarseggiano e al culmine di tutto, il problema più grosso: la sfiducia dei propri uomini.
Da un lato (uno solo) posso dare ragione a Threwe e Hithaigh: Ehrenold sarà anche un esperto di come si conduce una guerra, ma è palese che non sia completamente in sé. La frustrazione dei due luogotenenti è giustificata. Non deriva da invidia o gelosia per i risultati giustamente conseguiti, né stanno complottando per ottenere più poteri per loro stessi. Sono semplicemente indignati perché nello schema ferreo della loro società, è fondamentale che a capo di tutti ci sia la persona più giusta e più capace, quella più adatta a farsi carico di ogni responsabilità. Essere un soldato di Kjarr è un onore e un sacrificio, e chi li comanda deve essere il più onorevole e disposto al sacrificio di tutti. Se non sei in grado di essere l'esempio più corretto, allora ti fai da parte e fai subentrare chi ne è capace. Ehrenold sostiene di esserlo, loro iniziano a dubitarne. Punto.
Dall'altro lato, ma che è questo complottare alle spalle? Signori, c'est pas Versailles ici!
Poi per il resto non mi esprimo, perché prima di condannarli aspetto di vedere come avranno intenzione di sbrigarsi la cosa tra loro. Nel mentre, intanto, soffermiamoci sul dovuto momento di apprezzamento a Rowden per essere quello su cui poter sempre contare. Che poi è come dovrebbe essere un vero amico: ti protegge i fianchi da ogni attacco esterno, e poi aspetta di essere da soli per dirti in faccia che stai facendo la cazzata del lustro. Mi hai anticipato che avremo modo di vedere lui ed Ehrenold spesso assieme, nella saga, e non ti nascondo che non vedo l'ora di scoprire come la loro amicizia si sia evoluta, confrontata ed approfondita fino a questo punto. Te lo confesso: ho strizzato questo capitolo nella pausa pranzo, dalla voglia che ho di continuare a leggere ^^ infatti temo che la recensione non sarà distesa come le altre, ma come al solito ci tengo a darti un parere a caldo.

Passo a dire il mio hot take sulla questione: Ehrenold avrà dei modi di merda per farsi capire, ma ha ragione.
Lascio da parte il concetto dell'imporsi fisicamente, perché ci si è già discusso sopra in precedenza, e faccio piuttosto riferimento a tutti gli altri approcci che ha avuto con Iasay: brutali ma giusti. Esiste una differenza enorme tra l'essere brutale e l'essere sadico, perché il primo infligge qualcosa con violenza, ma solo il secondo se ne compiace. Ehrenold non si diverte nel tormentare Iasay, anzi, vederlo così sofferente lo confonde e lo infastidisce; piuttosto gli fa toccare con mano le sue debolezze, lo sbatte di fronte alla sua miseria caratteriale, e gli insegna il valore crudo delle parole e delle azioni.
A Kadya, terra di retorica filosofica, la decisione di lasciarsi morire verrebbe vista come un tragico canto di eroica immolazione, e da ovunque accorrerebbero persone a chiedersi come poter evitare una simile tragedia sociale. A Kjarr si fanno meno sofismi; hai deciso di morire? D'accordo, ecco la mia spada. Sono un popolo che vive e muore sul campo di battaglia, dove è fondamentale dirsi solo parole efficaci e scevre da secondi significati, e dove devi poter contare totalmente sui tuoi commilitoni. È questione di sopravvivenza; devo essere sicuro che l'uomo che combatte al mio fianco sia qualcuno a cui poter affidare la mia vita, non un ambiguo che dice una cosa, ma in fondo ne pensa un'altra e poi agisce in una terza maniera.

In questo capitolo Ehrenold è stato brutale? Assolutamente. È stato ad un soffio dall'ammazzare Iasay in maniera orribile, e non ha battuto ciglio nel farlo. È stato sadico? Per niente. Non ha fatto penzolare Iasay giù dalla finestra perché si era alzato male al mattino, ma solo perché è stato Iasay il primo ad attaccargli la pezza autocommiserativa del "meglio essere morti, così non posso vivere". Certo è che se sei sconvolto dal lutto per il tuo precedente amante, e quello nuovo fa la tragedia greca del voler morire a sua volta, magari qualche nervo ti salta pure e passi subito alla fase esplicativa del concetto. Un po' come il principio per cui se sei assorto nel tuo dolore e fai di tutto per tenerlo dentro, vedere uno che invece schiamazza il suo sulla pubblica piazza ti da ancora più fastidio.
Forse, in tal senso, Iasay sta a sua volta influenzando Ehrenold. Quell'uomo sembra a tanto così dallo spezzarsi interiormente, e il ragazzino non gli sta facilitando la vita; anzi, al contrario: magari vederlo così assorto e miserando nel suo dramma personale suscita nel Sovrintendente ancora più orrore alla prospettiva di elaborare il suo. Lo scopriremo solo leggendo.
... forse Rowden dovrebbe inserire nel suo giro di responsabilità anche essere l'interfaccia umana (cit.) di Ehrenold su scaletta giornaliera; non sempre, eh, solo in qualche frangente, giusto per evitare queste tragedie annunciate :')

Però spero che questi continui approcci a colpi di realtà sbattuti in faccia avranno un effetto da terapia d'urto per Iasay. Alla fine il vittimismo genera solo altro vittimismo: è più facile accasciarsi a terra e lamentarsi di quel che opprime, finché qualcun altro non ce lo viene a risolvere, piuttosto che fare lo sforzo di rialzarsi ed affrontare la realtà scomoda. Poi nessuno giustifica nulla, Iasay aveva la sua vita felice e il suo carattere, e a tutti stava anche bene così: ma è un po' una metafora della vita. Ti capita una disgrazia a cui non puoi opporti, e allora cosa fai? Come la affronti?

Al di là della trama e del rapporto tra Ehrenold e Iasay, che comunque sto apprezzando tantissimo e spero che trapeli a sufficienza dalle mie parole, ancora una volta con questi capitoli fornisci ottimi spunti di riflessione su temi molto più ampi e sempre attuali. A prestissimo!

Recensore Junior
06/03/23, ore 03:30
Cap. 4:

"Lascia qui tutte le tue armi"
"Non ne ho"
Kjarr contro Kadya: breve storia triste - pixel su schermo; Old Fashioned (2017, EFP museum archives)

Qualcosa mi dice che anche se Iorweth avesse avuto delle armi, probabilmente le avrebbe lasciate a casa: perché nella sua ottica, se si va a un'udienza, bisogna andarci armati solo delle migliori intenzioni e della disponibilità al dialogo. Giusto? Giusto. Peccato che questo approccio sia lontano anni luce da come funzioni nel mondo in cui vive ora, sotto Kjarr. La guardia in alabarda difatti lo schifa come se gli avesse appena detto che non indossa le mutande -anzi, forse lo avrebbe schifato persino meno-, e già capiamo l'antifona di quello che succederà. Dobbiamo solo armarci di buona volontà e seguire le tribolazioni di questo povero genitore distrutto, che malgrado tutti i tentativi maldestri prova lo stesso a salvare suo figlio, e gli va riconosciuto almeno questo coraggio al limite della disperazione.

Durante il colloquio con Ehrenold si ha un altro breve scorcio su Kjarr, e di come non sia esattamente un regno fan del metodo Montessori. Mi pare di aver capito che ogni figlio maschio -o quasi- venga avviato al cammino militare, e quindi direi che possiamo scomodare una grande frase e rielaborarla come "Kjarr non è un regno con un esercito, è un esercito con un regno", e qui di nuovo compare la tentazione di indulgere nell'immagine di un tomo di saggistica sulla sua architettura sociale. E tu, carissimo, potrai dirmi:"Questi lavori certosini li lasciamo ai luminari del fantasy e ai redditors, noi siamo qui per il crudo pragmatismo della storia", ma lascia sognare la medievista che è in me. Compilerò formale richiesta per un colloquio a riguardo con il Sovrintendente, e avrò premura di portare meco un'arma bianca consona da lasciare all'ingresso per non sfigurare.

La domanda che però tutti ci stiamo chiedendo è: perché Ehrenold continua a tenersi Iasay? Persino lui se l'è chiesto, nel capitolo precedente, senza trovare una risposta. O forse ce l'ha, ma è troppo ardimentosa da affrontare ora come ora.
Magari ha bisogno di un amante totalmente diverso dal ricordo del precedente, le cui caratteristiche potrebbe rivedere in ogni giovane di Kjarr, e quindi si è scelto un giovane tremante e facile ai piagnistei (povero Iasay, già soffre di suo e si becca pure gli insulti). Ora so che in tempo di guerra sono vietati i rapporti privati, ma mi pare di capire che il lutto sia accaduto da un po', e che il Sovrintendente non abbia mai scelto nessuno neanche prima?
Alla fine dei conti, per quanto tutto d'un pezzo, Ehrenold è pur sempre un essere umano e ha il diritto d'inciampare e di soffrire: la carne è debole, specie se la mente è funestata da pensieri che la ottenebrano. Lui poi sembra un uomo che ha vissuto parecchie brutte cose nella vita, ma tante, e Kjarr non mi sembra che abbia una cultura adatta per elaborare il dolore su un piano più personale -salutiamo il caro Nietzsche. E' più che comprensibile che stia cercando di rimettere insieme le cose come meglio può, senza lasciarsi sfuggire nulla con nessuno perché lui prima di essere un uomo è un generale, un Sovrintendente e un soldato di Kjarr. Dopotutto, come hai spiegato, i loro ranghi sono inquadrati nella filosofia del non sibi sed patriae, dov'è richiesto un immenso sacrificio personale per far funzionare l'enorme macchina della guerra.
O forse vede qualcosa in Iasay, quel barlume di volontà che rende il giovane di Kadya ancora disperatamente ostile e riottoso alla sua prigionia -un aspetto che poi ritroveremo anche più avanti nel capitolo, nello scambio di battute con Feila. Sarà anche un'ostinazione stupida, ma Iasay ancora non si rassegna ad accettare il suo destino, e si tiene aggrappato a un orgoglio che forse non sapeva nemmeno di avere. Ovviamente, non credo che Ehrenold possa essere attratto semplicemente da questa combattività patetica; siamo tra uomini temprati dall'acciaio, questi cliché da cottarella liceale non fanno per loro. Oserei piuttosto sperare in una sorta di scorcio su un possibile approccio per insegnare a Iasay a lavorarci sopra, a prendere in mano quello straccio di combattività latente e renderla la colonna portante del suo carattere. Mi starò facendo i (bei) viaggi? Forse. Ma dato che hai nominato anche Sparta in una delle risposte, sono già qui coi voli pindarici sui rapporti che intercorrono tra soldati e superiori uniti da un legame affettivo.
Lo so, lo so, lo scopriremo leggendo -e non vedo l'ora!-, ma sai che ci tengo a farti sapere la lista aggiornata delle cose che devo scoprire xD

Torniamo a Iasay, per trovarlo sempre intento nel suo sciopero della fame. L'ultimo porto dei deboli e dei disperati, che però funziona solo se alla controparte interessa effettivamente della tua vita. Nel capitolo prima ha fatto un passo avanti? E qui ne fa due indietro. Gli avevo appena fatto mezzo complimento qui sopra, me lo rimangio subito.
Qualcuno dia La Nascita della Tragedia a questo ragazzo, così si farebbe un paio di riflessioni sull'accettazione del dolore come base per fortificare l'esistenza.
Voglio però pensare che nel già citato confronto con Feila trapeli quel *qualcosa*. Feila, dal carattere amabile e sottomesso, ha accettato la sua condizione di prigioniero con positiva rassegnazione. Iasay, invece, "combatte"; totalmente alla sua maniera, un'opposizione ridicola che non riesce neanche ad arginare la volontà di Kjarr, però non gli sta bene lo stesso, e c'è qualcosa dentro di lui che lo spinge a non cedere. Si è arreso fisicamente, perché non aveva altra scelta, ma mentalmente c'è qualcosa di combattivo in lui.

E come a dimostrazione del mio commento precedente, eccolo qua: l'avevo pronosticato, le genti di Kadya frignano del loro padrone finché non gliene capita uno peggiore, e all'improvviso quello di prima diventa desiderabile.
Allo stesso modo Iasay, che rifugge il predominio di Ehrenold con odio e disgusto, appena si vede minacciato da un pericolo peggiore non esita a farsi scudo dietro al suo nome. Un po' la famosa antifona della vecchietta col tiranno Dioniso: prima di spalare schifo su quel che hai, guarda cosa di peggio potrebbe arrivarti, e fatti due conti in tasca. Ora che è messo all'angolo, si trova costretto a mangiare nel piatto dove ha sputato fino a quel momento; gli fa schifo e se ne vergogna, ma lo fa lo stesso. Costretto a toccare così la sua miseria, chissà che questo non gli serva come shock per smuoversi un po' dal terrore che finora lo ha annichilito. Direi che se la meriti almeno un po' di risolutezza.

Concludo con la gioia per un altro frammento dell'esercito di Kjarr che hai inserito come una chicca: i tatuaggi. La marchiatura del corpo che era ad appannaggio dei popoli combattenti norreni, dove ogni simbolo custodiva un significato intrinseco e andava guadagnato sul campo, sotto gli occhi di tutti. Tanti tasselli che vanno a dipingere un mosaico sempre più variopinto di una società guerriera che costruisce la sua fierezza sull'eroismo.
Ora che so di poter immaginare i guerrieri di Kjarr fregiati da simboli di glorie militari, il mio cuoricino s'illumina di immenso. Grazie ♥

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