Ciao fervens!
Purtroppo - e sì, sarò ripetitivo - questo periodo è molto scompigliato per me e per i miei programmi. Come presto vedrai, non arriverò più puntuale a recensire le tue poesie: questo mi spiace, perché so che il mio parere ti è molto caro ed importante (e infatti ti ringrazio tantissimo per la sottigliezza d'analisi che ogni volta mi sottolinei), ma purtroppo non dipende né potrà dipendere da me. Vedrò di essere il più costante possibile, comunque ;)
In questo componimento ho letto tantissima tristezza e molta, molta malinconia. Un attaccamento spropositato, direi quasi, ad una storia che, nel bene o nel male, è finita.
Un amore corrosivo ha lasciato nel cuore uno strascico di sensazioni forse mai provate: e questo nuovo assemblaggio di emozioni contrastanti è a sua volta dannoso per l'amore stesso - che finisce per odiare - e per la persona che lo nutre.
Ho apprezzato moltissimo il riferimento al fatto che il cuore venga popolato dai piccioni. Essi sono - purtroppo non mi piace dirlo, ma è così - animali infestanti, talvolta, che occupano un posto e, al pari di topi o insetti, finiscono per impossessarsene totalmente. Il piccione potrebbe rimandare ad una particolare idea di vuotezza colmata da un essere umile, che si ciba di molliche - forse intese come la speranza di poter amare di nuovo - che vengono lui date da passanti, no?
E così i ramoscelli crescono nel giardino del cuore, laddove, un cortile non più curato dall'amore, permette a piante infestanti - anche queste, sì - di crescere incolte. Le rose che sorgono e che pungono tra queste sono elementi di dolore: la rosa è bella, profuma tantissimo e rimanda molto alla passionalità emotiva e carnale. I petali della rosa sono il simbolo quasi emblematico del romanticismo: eppure, molto spesso, si tende a dimenticare che questa pianta sia in grado di pungere e ferire a sangue. Mi chiedo: ma non è forse un po' come l'amore stesso?
L'amore è attraente, ammaliante, profuma dell'odore dell'amato, eppure, sotto petali dolci e rosei, nasconde insidie che potrebbero anche ferirci, se colto il suo stelo dalla parte sbagliata.
E bellissimo il finale: le margherite tornano a sorridere, dopo che l'anima ha versato il suo sangue, soffrendo. Il sole illumina i ricordi, gli consente di ricavare il loro nutrimento permettendogli di portare a termine il processo di fotosintesi - sempre in richiamo alla flora - con cui sopravvivere. E quindi i ricordi non muoiono, non vengono lasciati nel dimenticatoio di uno scaffale del cuore, ma risorgono nelle code del pavone, che - come già analizzato un'altra poesia della raccolta, se non erro - è simbolo di immortalità... di resurrezione... di rinascita.
Che bella, bellissima poesia. Non ti smentisci proprio mai.
Sei bravo, molto bravo. E mi colpisci sempre con ogni tuo verso. Non vedo l'ora, dunque, di continuare a leggerti dopo questa breve pausa.
Makil_ (Recensione modificata il 20/09/2017 - 10:37 pm) |