Recensioni per
Il peluche
di Kiki S

Questa storia ha ottenuto 1 recensioni.
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Nuovo recensore
05/01/18, ore 19:52
Cap. 1:

Credo di aver letto questa storia almeno tre volte da quando ci conosciamo, forse anche quattro, e l'apprezzo sempre più perché ogni rilettura mi permette di notare qualche particolare che mi precedentemente mi era sfuggito. Stavolta mi sono veramente (ma tanto) concentrata sulla scena iniziale e sul tono con cui descrivi l'affetto e la preoccupazione della madre d'occidente nei confronti del suo bambino appena nato. E per la prima volta tutta questa parte scritta così, in corsivo, come se fosse una finzione, un sogno, contrapposta alla cruda realtà che verrà dopo, l'ho trovata stracarica e trasudante di ironia (La madre pensa che per il figlio rappresenti una sorta di angelo custode. oppure Poco importa se il bambino perderà definitivamente il ciuccio mentre dorme: c’è il cane di peluche con lui e questo, di sicuro, non lo farà sentire solo.) In poche righe essenziali hai descritto la serenità, la felicità, la sicurezza, la ricchezza che circondano queste due figurine, la mamma e il neonato. Sono l'immagine della richezza e del benessere perfetti. L’immagine di un occidente egoista, che si compiace di ciò che ha, incapace di vedere come se lo è conquistato e cosa nasconde. Stride da morire quanto la madre si preoccupi per la sua creatura, senza neppure pensare (non può farlo, non ci si riesce, è una realtà troppo dolorosamente lontana dalla nostra) a chi e in che condizioni ha costruito il peluche che mette accanto al figlio. Perchè lo sfruttamento è ormai dovunque, non si può più evitare.
Fingiamo di scandalizzarci (o forse lo siamo davvero), quando leggiamo sui giornali o vediamo in tv le condizioni di vita di chi produce tutto ciò che ci serve e le cose inutili di cui ci circondiamo. Poi ce ne dimentichiamo appena la notizia passa, troppo avvolti nel nostro mondo di benessere. E quando ci troviamo di nuovo davanti questo argomento, ci sentiamo infastiditi perché non vogliamo pensarci. È meglio ignorare cosa succede dall’altra parte del mondo e tirare avanti.
La prima e l’ultima parte con il corsivo sono quasi da sogno (che sfocia in un incubo terribile e doloroso quanto quello che vive quotidianamente Xiwan). La bambina che lavora diciotto ore al giorno un sogno simile non può permetterselo; non ha neppure la capacità di immaginare che esista una realtà così diversa dalla sua. Perché un bambino, pensa, dovrebbe essere felice a possedere un cane finto? La realtà per lei è ciò che la circonda ed verissimo e bellissimo quando scrivi che la bambina non soffre (a parte il dolore fisico) perché non conosce la felicità, la speranza e cosa sia l'affetto di una famiglia. Non sai che una cosa può farti felice se non l’hai mai avuta. E non puoi desiderare di averla se non sai neppure che esista. La povertà, come dici, inasprisce le persone fino a privarle di umanità e forse anche Xiwan diventerà così, senza anima, continuando a lavorare come un robot per tutta la vita. Ciò a cui pensa è tetro e terribile. Gli unici ricordi che porta con sé sono sconvolgenti e preferisce non pensarci. Mi è piaciuta molto questa frase: “il tavolo carico delle ceneri della sua infanzia rubata” perché mi ricorda una storia molto più lugubre e ancor più bella.
Il pupazzo del cane che viene assemblato con sofferenza è una “chiave” che lega due realtà diverse e distinte, diventando quasi un protagonista a sé, che con la sua esistenza cambia gli eventi. Nella camera da letto del neonato è causa della sua morte e di quella della madre, in Cina è fautore del sogno ad occhi aperti di Xiwan; sogno intricato, carico di significato per la presenza della bambina schiava che assembla una bambina di carne e sangue cantando una canzone su una bambina cattiva che uccide i bimbi e sventra le madri: ovvero ciò che ha appena fatto lei semplicemente lasciando un filo allentato.