Recensioni per
Il gusto del sidro e del mare
di avalon9

Questa storia ha ottenuto 5 recensioni.
Positive : 5
Neutre o critiche: 0


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Recensore Master
12/10/19, ore 18:46

“È un carico da novanta”.
Sì, lo è stato. E lo sarà anche commentare una storia dove, personalmente, ho ritrovato tutto ciò che Camus e Milo dovrebbero essere. Nel loro rapporto, ma anche, e soprattutto, presi individualmente. 
Non riesco bene ad esprimere quanto io ci abbia visto sia l’uno, che l’altro. 
Camus, nella sua naturale ritrosia, nel suo non essere ancora avvezzo alle faccende umane al punto da dover fuggire -ora come allora - per non rischiare di lasciarsi da esse sopraffare; Milo, così schietto e leale da non riuscire a intravedere delle trame studiate ad arte, nemmeno se le stesse sono state intessute dalla persona che, al mondo, conosce meglio. 
Camus e Milo, con una storia tanto diversa alle spalle, che pure sono legati da un sentimento profondo, troppo profondo per consentire a qualsivoglia fattore di distruggerlo, fosse anche un tradimento supposto. 
Anche se, pensandoci bene, quello di Soul of Gold è solo l’ultimo dei “voltafaccia” di Camus; credo bene che, dopo di esso, Milo si sia sentito stanco. Ma non così tanto da non provare a sciogliere i nodi: non sarebbe stato nella sua indole. Così come non sarebbe stato nell’indole di Aquarius fare tanti passi in direzione dell’amico, che tuttavia, in questo caso, secondo me gli erano pienamente dovuti. 
E poi, il contesto, il tuo meraviglioso modo di prendere questi personaggi “già dati” e calarli in un’ambientazione del tutto differente, che tuttavia diventa gradualmente parte della loro storia, del loro essere, del loro carattere. Così, semplicemente leggendo. Senza fatica. Perché, adesso, é con estrema naturalezza che penso a Camus nel suo villaggio di pescatori, e a Milo, che nella sua isola nativa torna tanto di rado. 
E questo vale anche per gli altri cavalieri. La familiarità con cui accenni a ognuno di loro, il fatto che a tutti tu abbia dato un nome me li ha resi ancora più “cari” di quanto già non lo siano (moltissimo, dopo anni passati a leggere, scrivere e guardare anime su di loro). 
Senza contare, poi, l’accuratezza delle descrizioni, che restituiscono a chi legge delle immagini come dipinte: più volte, nel corso della narrazione, mi sono venuti in mente i lavori degli Impressionisti. Non da ultimo, l’utilizzo delle espressioni in lingua, che rende tutto più “vero” ed “umano”. 
Questa recensione fa spavento, tanto è affastellata di considerazioni. Spero che tale confusione possa darti un’idea di quanto questa storia mi sia piaciuta. 
Complimenti, davvero.
Irene 

Recensore Veterano
14/09/19, ore 15:58

L'ho letta tardi, molto tardi, rispetto alla pubblicazione. L'ho trovata per caso, come quei libri che ti catturano sulle bancarelle, con le copertine sgualcite e le pagine ruvide e poi.. poi non puoi più posarli finché non ne hai divorato l'ultima pagina e nemmeno li cederesti mai, perché ormai sono parte del tuo tesoro.
La recensisco giorni dopo averla letta tutta, dalla prima all'ultima parola, come consigliato da te, in una sera pigra, con un temporale che non arrivava. Lo percepivo lontano,dai riverberi nelle nuvole ma mancava il rumore ritmico della pioggia, e sì che, sul finale del racconto, sarebbe stata davvero perfetta. I capelli bagnati come Milo e Camus.
La recensisco tardi perché e' rimasta lì, in angolo della mente, bella, piena di immagini i vivide.
...Leggendo, finalmente, dopo anni, ho avuto una spiegazione sensata al comportamento assurdo del cavaliere di Aquarius, il mio preferito, in SoG.
Ma non è solo questo: una spiegazione, al limite del credibile, forse, in qualche modo, credo se la sia data ogni fan di Saint Seiya e, in particolare di Camus, quindi non e' stato solo questo che mi ha spinta a leggere ancora, rileggere qualche passaggio, fino alla fine.
Nel tuo lungo, lunghissimo racconto ho avvertito tutto il peso delle cose non dette. Il peso di gesti mai compresi e mai spiegati. Il macigno dei chiarimenti mancati, di sguardi evitati, di parole non pronunviate o dette solo a metà, che si sono accumulati su un'Amicizia vera e preziosa, rara, che è arrivata al limite della sopportazione e poi ha rischiato di soccombere.
Ho sentito dentro me l'angoscia di Camus, di chi non riesce a tirare fuori la sofferenza e la porta lontano, quasi bastassero chilometri a seppellirla in un abisso, dal quale lo tormenterà comunque, nonostante lui si sforzi di non ascoltare per guardare avanti.
Perché lui non le cerca, le spiegazioni. Incassa lo stato delle cose, si fa tormentare ma non affronta ciò che lo fa soffrire. Prova a seppellirlo. Ha un armadio pieno di scheletri pronti a schiacciarlo. Crede basti non aprirlo.
Ma per andar avanti, ora che è stremato, è costretto a tornare indietro, alle origini, per ritrovare una strada che lo riconduca a se stesso, dopo tutto ciò che è accaduto in una vita già al limite.
Tutto e' successo in un crescendo, in un tempo davvero troppo breve per rendere accettabili morte e tradimento, e di nuovo morte e di nuovo tradimento. Sfido la psiche di chiunque...
Ritrovarsi da solo, adesso, contando solo sulla certezza data da luoghi e persone che appartengono ad un passato sereno e sicuro, secondo me, per Camus sarebbe difficile, troppo difficile, anche perché il suo presente è instabile e il suo futuro, beh, non credo riesca ad essere obiettivo sul suo futuro, ora.
Concentrarsi sul passato, e' qualcosa che ha insegnato a Hyoga a rifiutare, non può pensare che sia un bene nemmeno per sé stesso.
Ma adesso non ci sono altri punti fermi, o meglio, non lo ha più, un punto fermo, nel suo presente.
In queste condizioni potrebbe ricreare un nuovo se stesso, lontano dal Tempio, dai suoi doveri di Saint, da ciò che e' stato, da ciò che sa di essere.
Lui sa di essere un Saint e sa che lo era quando ha affrontato Hyoga come lo è adesso, di fronte a Milo, adesso realizza che non si scappa da ciò che di è, si può solo cercare un compromesso per vivere con se stessi.
E poi c'è Milo, lui che in loro due ci crede sempre e ci scommette sempre, con tutto se stesso.
Lui che in Camus ha una fiducia aperta, lui che è trasparente e non nasconde ciò che prova, sa di non averne necessità. Lui a questa amicizia ha sempre dato più possibilità di quante ne abbia mai date Camus, nonostante proprio per Camus lui sia un punto fermo. IL punto fermo, probabilmente, dal momento in cui ha imboccato la via di Saint, ma, nonostante ciò lo ha dato per scontato.
Aquarius ha osato un po' troppo, si e' fatto ammazzare (inutilmente, secondo me) da un allievo che non voleva prendere il suo posto, si e' costretto a fingersi un traditore non una ma due volte, il tutto senza uno straccio di spiegazione.
Insomma, fossi Milo, forse tutti questi chilometri non li avrei fatti per parlare con lui, che si è ostinato a non spiegarsi.
Ma un paio di cazzotti sul naso, quelli non glieli avrei negati, una volta tornati al Tempio, dopo la corsa dei bronze alle Dodici Case, dopo Hades, dopo Asgard, beh ci sarebbero stati bene e forse lo avrebbero fatto ragionare.
Non si affida a Saga o a Diego (mi piace Diego invece di Shura, più adatto) una spiegazione al tuo più caro amico, si fa lo sforzino di dargliela di persona, quella spiegazione, una volta che hai di nuovo le scale dell'undicesima casa davanti ai piedi.
Ma Milo sta una spanna sopra a Camus, di cuore, e anche di testa, perché sa che Camus non ce la fa. Non tornerà indietro se non sarà lui a prenderlo per mano e riportarlo ad Atene, ad Atena, ad Aquarius, a se stesso.
Ma la capisco la sua frustrazione e la stanchezza, il desiderio di fare ciò che ho scritto sopra.
Fallo, Milo, picchialo, io lo tengo fermo. Ha fatto arrabbiare anche me la leggerezza con cui ha appreso che lui ci e' rimasto male per ciò che e' accaduto ad Asgard.
Come se una spiegazione data da Saga potesse essere sufficiente. Ma dove ce l'hai il cervello? Lo hai lasciato in Ade?
Splendida la conclusione. La possibilità concreta, la certezza, mi dico, che tra loro l'Amicizia si sia solo trasformata, sia più matura, ricca di tutto il loro vissuto.
Splendido dalla prima all'ultima parola. Sei bravissima. Mi spiace dirtelo con tanto ritardo. Complimenti, la FF più bella che ho letto qui.

Recensore Master
20/08/18, ore 02:19

Avalon, bentornata!
Mi erano mancate le tue storie, che lo so ce ne sono tante, ma non cambia la cosa. 
Purtroppo, non ho potuto leggere questa novel tutto in una volta, come volevi tu, poiché era troppo lunga e la mia lentezza nella lettura e il poco tempo a disposizione mi ha costretto a dividerla in tre trance. Forse, un giorno in cui avrò davvero tempo, la rileggerò tutta d'un fiato, come l'autrice comanda. 
Con questa storia sei riuscita a rendere giusto e bello un erroraccio che in SoG poi nessuno potrebbe mai perdonare. Ovvero Camus. Tutto Camus, tutta la sua esistenza in SoG è sbagliata. Dalla prima volta che compare alla penultima. 
Ma qui no. Qui hai spiegato tutto, a menadito, puntigliosa. Non c'è niente lasciato al caso, è tutto perfetto, anche ciò che hai solo lasciato intendere, appena velato. Quello che ha portato un uomo -prima ancora che Cavaliere- a rischiare di dover uccidere -di nuovo- un amico, il più importante, per qualcosa che sa essere più grande. Ma anche se lo sa, non è meno doloroso. 
Quelli che hai descritto tu sono due uomini. Non i cavalieri. Gli uomini. Soldati, sì, ma prima di tutto persone. Persone con i loro desideri, le paure, gli ideali per cui darebbero la vita, i sogni, le speranze. Quella voglia di poter vivere, anche solo per un giorno, quei se. Se non avessimo un cosmo, se non fossimo cavalieri, se fossimo persone normali. 
Sono umani. Di un'umanità tale da stringere il cuore, da sentire chiaramente il groppo in gola, la voce che trema. 
Particolarmente a cuore, quasi a livello personale, mi sta poi il tuo Camus. Quell'uomo- ragazzo- che si sente in colpa nell'andare avanti. Nel decidere che i lutti ci sono stati, sì, e fanno male, ma bisogna proseguire. E Hyoga fa male a criticarlo. Perché la scelta presa da Camus è la più dura e la più difficile e la più giusta che si possa far. Perché checché se ne pensi, è proprio andare avanti la cosa più difficile. Superare, ma non dimenticare. Non c'è niente di più difficile, niente, e non ci sarà mai. Perché sai che è giusto, ma ti senti in colpa per chi non c'è più, perché inevitabilmente chi non c'è più rimane indietro. E si percepisce come un'ingiustizia. 
Non c'è un modo giusto per affrontare i lutti, ma c'è una scelta giusta da fare, alla fine della salita. Ed è andare avanti. E' dura, ma si deve. Camus l'ha fatto, ha avuto la forza di farlo. 
Tutto quello che hai scritto è così sensato e vero che fa male. Fa male sul serio, credimi!
Fa male il dolore di Camus, che comprendo e condivido perché è anche il mio, e fa male vedere Milo così, Milo che per l'ennesima volta, l'ultima si sente tradito. Tradito da chi doveva essere amico e fratello di vita, e morte. Che già una volta lo ha abbandonato, rinunciando alla vita per l'allievo amato, e che poi lo ha pugnalato alle spalle. Due volte. Dandolo per scontato. 
Non si danno per scontato le persone, mai, questo Camus l'ha capito sulla sua pelle, ormai. A buon rendere, mi auguro. 
In tutto questo, anche se non compaiono mai direttamente, ho apprezzato Aiolos e Athena stessa, Anissa. 
Aiolos, che qui è intelligente, scaltro, calcolatore. Muove le sue pedine anche se esse sono i suoi compagni, suo fratello, tutto per Athena. Ma è umano, e non vorrebbe morire di nuovo, ancora, non lui che è morto a soli quattordici anni, bambino. Senza neanche viverla, la vita. Ci regali un ragazzo fragile e allo stess tempo sicuro, diverso dall'idea generale che i fan hanno di Aiolos. Un Aiolos che in scaltrezza non avrebbe nulla da togliere a Saga. Che accanto a Saga, anzi, è il perfetto scudo, il perfetto braccio destro, il perfetto consigliere. 
E poi Anissa. Athena. Dea della guerra. Una Dea che finalmente rivedo qui, non nella ragazzina viziata mostrata da Kurumada. La tua Athena E' Athena, con il sorriso dolce, enigmatico, crudele al tempo. Seduta sul suo scranno, a guardare il mondo con i suoi occhi buoni, con ai piedi i cadaveri di chi, inevitabilmente, per quella pace agognata dovrà sacrificarsi. Cadaveri che piangerà, se alleati, ma senza abbassare la testa. 

La storia del corpo privo di vecchie cicatrici di Aiolos mi ha incuriosita, e mi dispiace tu l'abbia lasciato- volutamente penso- a metà. Ci ritornerai? Perché un'idea me la sono fatta, qualcosa l'ho pensata, ma leggere la tua, da te, sarebbe un altro paio di maniche. 
Mi chiedo se saresti in grado di giustificare anche l'unitilità di Mu e Dohko, in SoG, o se loro sono semplicemente insalvabili -Dohko, almeno, ci regala qualche scena divertente!- xD
Attenta, ci sono degli errori di battitura (hai scritto tre volte Camsu, per esempio) -ma dopotutto, è una storia talmente lunga che l'occhio si perde. 
Devo essere brutalmente onesta, per quanto scritta in italiano impeccabile, anzi, da brividi oserei dire, l'uso che fai della punteggiatura a volte mi ha irritata. I punti erano...di troppo credo. Pause nette, a metà della frase, di frasi che poi ricominciavano comunque da dove le avevi lasciate. A leggere mi sono sentita stroncata a metà, col fiato mozzato, che forse era l'effetto che volevi dare, in tal caso riuscitissimo, ma arrivati a metà li ho trovati di troppo. 
Non è una critica, è una cosa mia, penso. Secondo me ci sono dei punti, delle pause, che non dovrebbero esserci, ecco. 

Infine, e lo metto dopo tutto quanto perché è la cosa che più mi ha emozionata, di un'emozione vera, la fine. Quel pezzo di quotidianità agognata, bramata. Quel Camus eccitato come un bambino, e dolce. Che sorride e si impegna in cucina perché sì, almeno la colazione la sa cucinare anche lui. Quel Milo che si ferma sulle scale, che si chiede se la felpa lascerà colore e macchierà gli altri o no, che nota la chiazza d'acqua sul pavimento, da asciugare. 
Normalità. 
Normalità nel decidere di andare in gita in barca, appena farà bel tempo. 
Una normalità, una quotidianità che loro non avranno mai del tutto, non fino in fondo, ma che a volte, per un giorno, una settimana, un mese, insomma per un po' possono prendersi. prima di tornare alla guerra, alle battaglie. Alla morte. 
Un'amicizia ritrovata, diversa ma forte come prima, con alle spalle un panorama che sono riuscita ad immaginare, favoloso, pur non avendolo mai visto. Con quel vento gelido che mi sento ancora addosso, nelle ossa. 

Non credo di poter aggiungere altro, seppur sicuramente ho dimenticato di scrivere qualcosa. 
Ma il fiato manca, dopo questa lettura. 
Un bacio, 
Asu

Recensore Master
18/08/18, ore 16:17

(Segnalazione indirizzata all'amministrazione per l'inserimento della storia tra le scelte)
Segnalo questa storia perché merita.
Merita, perché non solo è scritta in un ottimo italiano, senza cadute di stile o di registro che rovinerebbero qualsiasi buon testo; e non merita perché, come spesso accade per la fanfiction, l’autore – l’autrice, in questo caso – infila il piedino in uno dei vaghi punti morti che la storia originale si lascia alle spalle – anche se, parlando di Saint Seiya, si hanno voragini grosse quanto quelle che affliggono le strade di Roma – quanto perché l’autrice rende tridimensionali i personaggi che manda in scena. Li spoglia delle maschere, delle loro funzioni, e fa emergere Milo e Camus per quello che sono – per quello che l’autore ci ha sempre detto essere: due amici.
Due amici che si ritrovano con una bella gatta da pelare: la loro amicizia. Vale la pensa salvarla? Vale la pena mettersi lì, con la santa pazienza e rincollare i cocci? Vale la pena di fermarsi anche solo a pensare di fare tutto ciò?
La risposta avviene per gradi. Nasce, potremmo dire, come se la chiacchierata in riva al mare fosse una gestazione vera e propria. Come se entrambi facessero da levatrice a quello che si annida – e si nasconde – nei pensieri dell’altro.
È la storia di un’amicizia che rinasce, che archivia il passato e si confronta con nuovi presupposti.
È un posto in prima fila, è un palco riservato attraverso il quale l’autrice ci mostra i pensieri dei personaggi nell’atto stesso in cui si formano nella loro mente. È un flusso e un riflusso costante, è un rispecchiarsi nella natura circostante che si fa scenografia e attante allo stesso tempo. È un battere e levare dell’onda sulla battigia. È una chiacchierata nel cuore della notte, tirando fino all’alba, sviscerando detti e non detti a cuore aperto. Piano piano. Sigillando le ferite con una colata d’oro zecchino.
Consigliata a tutti gli amanti di Saint Seiya, della bella scrittura, a chi cerca una storia fatta e finita, degna di questo nome; ma anche a chi si affaccia per la prima volta in questa sezione. Vi sembrerà che i personaggi originali siano farina del sacco dell’autrice e che quelli da lei ideati siano così ben intessuti nella materia della novella in questione da poter essere, tranquillamente, personaggi appartenenti alla storia originale.
In un fandom in cui le belle storie sono perle rare, è doveroso che questo racconto entri nel novero delle storie scelte.
Anche se è lungo.
Proprio perché è lungo.
Roma non è stata costruita in un giorno, e questa storia vi farà compagnia come un’amica di vecchia data. Provatela. Datele una chance. E poi mi saprete dire.

Recensore Master
18/08/18, ore 15:57

Aspettavo da tempo che qualcuno mettesse una pezza al comportamento dissennato tenuto da Camus in <i>Soul of Gold</i>. Aspettavo che qualcuno mi spiegasse perché costui (Camus) rinsavisse non davanti ad un Milo congelato prima e arrostito poi, ma davanti a Shura. Insomma, “amico di qua, fratocugino di là” e poi?
Ma mai disperare, come diceva quel tale, ché spesso la vita ti fornisce delle spiegazioni – o ti allunga una zolletta di zucchero – quando meno te lo aspetti. Che è anche il momento in cui tu ne hai più bisogno. E sì, avevo bisogno di leggere qualcosa di tuo, sulla faccenda, ché una cosa del genere no, non può passare inosservata. Sotto silenzio. Il silenzio è d’oro, ma certe volte è più eloquente di qualsiasi orazione si potrebbe mai assemblare (con buona pace di Cicerone, s’intende).
Quindi, grazie.
Grazie per aver scritto questa storia (ché sì, sarà pure lunga, non lo metto in dubbio; ma da quando in qua la lunghezza è un problema?, chiese la studentessa alle prese colla versione di un testo di Erodoto).
Grazie per averci provato.
Grazie per aver messo in scena questi due adorabili cretini (detto con tutto l’amore del mondo, s’intende!), di averli spogliati delle corazze, sia in senso metaforico che in quello letterale, e di aver fatto emergere gli uomini che si nascondo al di sotto. Con le loro ferite, con le loro paure, con i loro rimpianti e i loro ricordi.
Grazie per aver costruito un passato per ciascuno di loro. Grazie per averci mostrato che le persone come i personaggi (quelli scritti bene, s’intende!), non spuntano dal terreno, come una pianta infestante, che ieri non c’era ed oggi ha invaso il tuo giardino, ma che hanno radici, un passato, dei ricordi.
Grazie per averci mostrato il povero Milo farsi carico delle incombenze relative alla dipartita di un caro amico: il portare la ferale notizia, il seguire il corteo funebre della madre del tuo amico, il vegliare, a modo tuo, sulla famiglia e sull’allievo che il caro estinto ha lasciato alle sue spalle. Diventare parte, di quelle vite, come a compensazione, come a voler ripagare colla propria, di vita, quell’assenza che, in fondo in fondo, credi sia colpa tua. Anche se ti assolvi – in parte – dicendoti che non avresti potuto prevedere una simile reazione, da parte sua, una simile testardaggine. Anche se ti dici che ti è scappato di mano, nemmeno fosse il filo di un palloncino (sempre rosso) o quello di un aquilone dispettoso che è andato a farsi un giretto nell’azzurra immensità del cielo.
Grazie per averci fatto conoscere un Camus, il tuo Camus, dal nome impronunciabile, cocciuto come solo un bretone sa essere, freddo non tanto per carattere, quanto per imposizione: schivo, riservato. Una persona – due persone – che risolvono la situazione smettendo di ignorare l’elefante in salotto e guardandosi in faccia (pur se nella complice connivenza della penombra) e rimettono assieme i cocci di una vita davanti al mare di notte, alla pioggia che incombe, ad un braciere e a delle bottiglie di sidro.
La parte migliore è stata, senza dubbio, quella in cui hai eviscerato i nostri due baldi ragazzotti come se fossero delle trote da fare al forno. Non ci sei andata giù leggera, ma hai fatto quello che dovevi fare. Noi lettori volevamo vedere oltre le corazze metaforiche e letterali che ciascuno di noi si porta addosso, oltre le ferite, le incomprensioni, i silenzi. Ché sì, Louan ha fottuto Milo. Totalmente. Completamente. <i>One more time</i>, mi verrebbe da dire – da canticchiare – contando anche l’incidente alla Settima Casa, quando il gioco è scappato di mano a tutti e due (la scalata del Santuario durante il risveglio di Ade non la conto, ché lì, almeno alla fine, il nostro Milo ha avuto contezza di cosa diamine stesse accadendo e ha potuto rimettere il tutto in prospettiva. Pure se ha stretto le sue dita attorno al collo di Camus.).
Ma, mi permetto di aggiungere, il problema non sta tanto nell’averlo gonfiato come una zampogna e nell’aver voltato le spalle ad Athena (rigorosamente in quest’ordine, tanto Anissa ne è consapevole e non s’arrabbierà con loro tramutandoli in due ragnacci pelosi), quanto nell’aver dato per scontato, da parte di Louan, che Milo avrebbe capito.
Ed è una reazione umanissima, intendiamoci: quante volte pecchiamo allo stesso modo, con le persone che ci stanno vicino, come se loro fossero nella nostra testa e partecipassero dei nostri stessi pensieri?
Innumerevoli.
Tutti i santi giorni.
Ma se il silenzio è d’oro, alle volte la parola è più importante. Alle volte, occorre chiarire, per evitare qualsivoglia malinteso. Ma per chiarire – per prendere il toro per le corna – devi avere il coraggio di guardare in faccia l’altro. E il coraggio, come diceva un certo personaggio, uno non se lo può dare. O ce l’hai, e guardi nelle palle degli occhi chi hai di fronte – compreso colui al quale hai accoppato l’adorato fratello maggiore – oppure glissi. Ti nascondi. Svicoli. Come fanno capesante, granchi e aragoste, scivolando sotto alla prima roccia disponibile. Fino a quando, da sotto a quella roccia, non ti viene a stanare un altro esperto. Uno scorpione. Che avrà sì il carapace croccante – e le chele di un’aragosta quanto vuoi che ci mettano ad avere ragione di una corazza chitinosa? – ma <i>in cauda venenum</i>. Letteralmente. E anche se non lo strozza, Milo riesce comunque a cantargliene quattro, al suo amico (e sono sincera, c’è stato un momento in cui avrei assestato a Louan una serie di schiaffoni ben piazzati), tanto, che ha da perdere?
Meglio un finale col botto, che una lenta agonia.
Meglio le grida, dell’indifferenza.
Alle grida, alle parole, ai fatti, puoi rispondere; ma come rispondi all’indifferenza? Come ti difendi, se non spaccandola tu per primo?
E mi è davvero piaciuto vedere come questi guerrieri, alla fine, giochino a dadi colle proprie esistenze: un costante rilancio, un costante affidarsi ad un bluff – per convincere Surtur, per giocare alla pari con Andreas/Loki, ma anche per fregare Ade colla sua stessa medicina – un puntare sul piatto tutto ciò che hanno in mano affidandosi al coraggio – o all’incoscienza – che ti fa giocare anche quando non si possiede neppure una coppia vestita, ma, al massimo, un paio di sette. Quando gira bene.
E non è per scommessa che Milo lo ha raggiunto nella sua tana?
Mi piace la coerenza interna; che non è solo chiamare le cose col loro nome e ricordarsi che Tizio è mancino o adora il gelato alla fragola. La coerenza interna è quel filo rosso che scorre per tutta la storia, il racconto, la novella, e si riaffaccia, sempre uguale a se stessa. Qui ne possiamo contare diverse: la metafora della vita come una partita di poker; il superare un lutto (e sì, Anatolji ha tutta la mia stima quando afferma che non esiste un modo giusto ed uno sbagliato per affrontare un lutto, ma solo quello che tu riesci a trovare, quello che ti si adatta sulle spalle come un vestito su misura); il tradimento/incomprensione (che Camus non è la prima volta che delude Milo, e Milo non è la prima volta che ripone un’eccessiva fiducia nel bretolone taciturno); l’essere come due pettini, due conchiglie di San Giacomo, che non si aprono colla forza, ma col calore della padella sul fuoco (o di un provvidenziale vecchio braciere piazzato davanti alle sedie a sdraio); la voglia, nonostante tutto, di riprovarci, di ricucire quello che ci è rimasto tra le mani. O, quantomeno, di fare un tentativo. Per tutto quello che sono stati. Per quello che potrebbero essere. Perché sì, dici bene, alla fine della novella: il passato è passato e non si può pretendere che ritorni tutto com’era prima (ché se questo com’era prima fosse andato bene, non si sarebbe arrivati a questo punto, no?); ma si può costruire qualcosa di nuovo, una volta sgombrate le nuvole e le incomprensioni e i non detti.
Insomma, hanno attraversato l’ora più buia, che è sempre quella che precede l’alba, ed è stato bello vedere come anche la natura – la scenografia – partecipasse di questa chiacchierata, con quel freddo che solo la rena umida sa regalarti – che ti entra nelle ossa per benino, pure se tu te ne stai nel caldo afoso di Roma, e non su di una spiaggia bretone – e quell’invadenza che solo la salsedine possiede – e che ti entra dritto per dritto nel naso, nei polmoni, ovunque, regalandoti qualche lacrimuccia di nostalgia, quella che provi quando incontri un vecchio amico. E la dolcezza quasi stucchevole del sidro che t’invade la bocca e lo stomaco e.
È stato bello.
È stato bello vedere questa scena, questo chiarimento, ché no, non potevano bastare le due parole in croce che si sono scambiati Milo e Camus prima di finire a fare a cazzotti col cattivone di turno.
Non bastavano a me.
Non bastavano a te.
È stato bello trovare un senso a tutta la faccenda; è stato bello entrare nelle teste dei personaggi in punta di piedi, con la tua penna che ci ha dato l’impressione di assistere alla nascita stessa di quei pensieri – e in questo, tu sei maestra indiscussa; è stato bello – e qui parla la vanità della lettrice – vedere tornare nella tua storia alcuni punti di vista che sono anche miei, da quel <i>Lo so io. E lo sai anche tu.</i> al sacchetto di frattaglie da gettare ai corvi.
È stato bello perché mi ha dimostrato – ancora una volta, anche se non ce n’era bisogno – una comunanza di visioni e di sensibilità che fa davvero piacere condividere con qualcuno come te.
Un’ottima storia.
E, anche se ti diranno che è lunga, chissenefrega. Quando qualcuno vuole leggerti, il tempo – ed il modo – lo trova. Cascasse il mondo. Se poi piove anche qui che Dio la manda giù… Peccato, solo, non avere l’odore del mare ad invaderti le narici colla sua grazia ferina.
Alla prossima!!
 
P.S. Pur se non l’ho menzionato durante la recensione, questa storia mi lascia con una vaga inquietudine, colla paura mista alla voglia di capire fino in fondo a cosa alludesse Camus quando parlava del corpo di Aiolos. Ché sì, l’ho capito: come può essere quello, il corpo di qualcuno che è morto passato a fil di spada, se non ha neppure un graffio che sia uno?
Temo di avere la risposta.
E temo che farà scopa con quella che, prima o poi, darai tu. E non so se esserne contenta o spaventata. Non tanto dalla comunanza della risposta (non potrebbe farmi che piacere), quanto dalla risposta in sé e per sé…
Com’era, la faccenda di Pandora e del vaso, e del gatto e della curiosità?