Comincio occupandomi della foto che hai scelto per accompagnare la tua storia: è una tra le più significative nell’universo, cui appartengo anch’io, di chi è “sherlocked”.
Infatti essa ritrae uno degli atteggiamenti di Sh che più lo caratterizzano, rendendolo inconfondibile, quel suo appoggiare le labbra sulle dita tese, nell’attitudine di riflettere su qualcosa d’importante.
Il titolo, poi, è molto significativo anche perché penso proprio che ciascuno di noi abbia desiderato, qualche volta, di poter scomparire per non affrontare qualche situazione che ci attendeva.
E Sh, l’ostacolo insormontabile che ha scatenato in lui la voglia irrefrenabile di sparire, l’ha incontrato nel ricevimento di nozze di John e Mary.
Ci fai quindi rientrare nell’atmosfera avvilente e quasi grottesca della S3 in generale ma soprattutto di TSOT, in cui abbiamo dovuto assistere alla triste sceneggiata di Holmes che si sforza di partecipare all’evento senza lasciar trapelare nulla del suo reale stato d’animo. Una visione veloce e significativa l’abbiamo avuta solo alla fine dell’episodio in questione, quando lui si allontana dal luogo della festa infilando nervosamente il cappotto e deponendo il sorriso di circostanza da bravo “best man”.
In questo tuo pezzo descrivi il “dopo”, ciò che i Mofftiss non ci hanno fatto vedere e che tu, invece, ricostruisci con credibilità ed efficacia.
Nello scenario triste del rientro a casa di Sh, inserisci due personaggi importanti. Uno è Mycroft, non è concretamente lì, ma, come il fratello, ne percepiamo la costante presenza. Una presenza irritante che occupa spesso i pensieri di Sh che, in quella maledetta sera, è sopraffatto dall’amara evidenza della sua solitudine resa ancora più dolorosa dall’atteggiamento scostante di chi, almeno come familiare, potrebbe e dovrebbe stargli vicino in quei momenti così desolanti.
Sappiamo perfettamente che Mycroft sente, tutto sommato, il vincolo affettivo con il fratello minore e si preoccupa per lui, almeno a suo modo. Però il suo carattere, connotato da un glaciale autocontrollo, e la logica del potere che gli fa compiere scelte drastiche anche nei confronti di se stesso e delle sue più naturali pulsioni emotive, gli fanno assumere un atteggiamento di controllo distaccato e assolutamente lontano da una qualsiasi forma di condivisione ed espressione d’affetto verso suo fratello. Ciò non fa che rendere, per Sh, ancora più doloroso il momento del ritorno nella casa vuota, senza John.
Rendi efficacemente la sua rabbia, il suo dolore, la consapevolezza che davvero un’era si è chiusa ed il suo cuore sta sanguinando irreparabilmente.
L’altro personaggio che fai intervenire accanto, o meglio, intorno a Sh, non è umano ma è come se lo fosse: Londra, l’amata città che lo accoglie sempre e disperde i suoi pensieri più negativi. Infatti tu usi termini positivi per farci sentire quella presenza così viva e rassicurante per lui (“…accoglienza…benvenuto…così bella da spezzarti il cuore. Così grande da non farti sentire solo…”).
Hai scritto con uno stile fluido, scorrevole, rispettoso del dramma che si sta svolgendo sotto i nostri occhi. Non c’è consolazione per Sh, ma tu hai raccontato del suo dolore quasi come gli stessi tenendo una mano sulla spalla per rassicurarlo, anche se per lui la speranza è finita.
Una ff di qualità, in cui ti rivolgi al consulting quasi a volerlo far sentire meno solo. Brava. |