Eccomi, eccomi, eccomi!
Col fiatone e mezza morta a causa dell’influenza, ma sfido i germi e mi lancio nel commento di questa tua ennesima, bellissima storia *_*
Innanzitutto lasciami dire che se sei intenzionata a costituire un circolo – stile Alcolisti Anonimi – che accolga tutti quei\quelle poveri\povere disgraziati\e che si stanno dannando l’anima dietro questi due, sappi che sono con te. Almeno in questo modo ci sosteniamo a vicenda.
Scherzi (ma non troppo) a parte, parto col punto che più di tutti gli altri mi preme sottolineare: grazie, GRAZIE, per il discorso riguardo al padre di Albus, perché pone finalmente un argine ad una marea di sciocchezze, prima fra tutte “ma Gellert fa il lavaggio del cervello ad Albus!111!”. Il prossimo che lascia intendere una cosa del genere lo impalmo: nessuno, NESSUNO, nemmeno Grindelwald, infila nelle sinapsi di Silente idee che già non siano in esse ben presenti e radicate, anche se tenute nascoste. Albus – l’Albus appena diciottenne, intendo – si era convinto che lo Statuto di Segretezza fosse una emerita cavolata ben prima dell’arrivo di Gellert a Godric’s Hollow, ogni volta che pensava al padre decrepito ad Azkaban, alla madre che aveva sacrificato la vita (in senso sia metaforico che letterale), per stare dietro ad Ariana, e ad Ariana stessa, immaginando la strega straordinaria che sarebbe potuta diventare e che invece non sarebbe stata mai. Gellert non dice niente, niente ad Albus che quest’ultimo già non sappia e condivida, semplicemente gli fa intravedere un modo per concretizzare e dare un senso alla rabbia che prova sventolandogli davanti l’unica cosa che in quel momento Albus non ha e desidera con tutto sé stesso, la libertà. Solo che il prezzo per una scelta del genere è alto, e Albus si ritroverà a pagarlo tutto, e questo peso indicibile che si porta sulle spalle tu lo hai reso benissimo, è impossibile non empatizzare e soffrire con lui.
Altra questione per la quale mi levo virtualmente il cappello riguarda il senso di colpa di Gellert, perché sì, anch’io sono convinta che ne sia mangiato vivo, esattamente come Albus, solo che quest’ultimo, in qualche modo, riesce a venire a patti con il suo passato – probabilmente aiutato dal lavoro di professore ad Hogwarts – mentre Gellert, che, ricordiamolo, si ritroverà completamente solo dopo la parentesi in Inghilterra (ci vorranno anni prima che metta insieme tutto l’esercito di seguaci con cui poi dichiarerà guerra al mondo magico), ad un certo punto se ne lascerà travolgere, fino a non riuscire più a distinguere il bene dal male.
Di Gellert si tende a vedere solamente la crudeltà – che c’è, è insita in lui e, probabilmente, anche nel ragazzo che è stato (ma aveva sedici anni, santo cielo, e tutto, TUTTO, il diritto di cambiare e migliorare, anche grazie alla vicinanza di uno come Albus, che ha sempre saputo vedere e portare alla luce il meglio delle persone) – e non la sofferenza, che, invece, secondo me, è la parte preponderante del suo personaggio.
La scena alla locanda è bellissima e straziante in egual misura (e, tranquilla, hai gestito al meglio il comportamento di Albus).
Freddo, solitudine e silenzio, questi sono gli unici doni che Albus e Gellert hanno trovato, e l’unico modo per non esserne sopraffatti e ritrovare calore e conforto l’uno tra le braccia dell’altro. E anche Gellert è capace di grandi slanci di tenerezza, perché il suo modo di provare sentimenti è sì estremo – Gellert mi sembra il tipo che ama e odia con tutto il cuore, senza mezze misure – ma indubbiamente autentico e sincero.
Volevi mostrare la loro umanità, ebbene, ci sei riuscita alla grande. Ti faccio come al solito i miei più sinceri complimenti <3
Un bacione e a presto :***
padme |