IL PADIGLIONE D’ORO – UNA STORIA GIAPPONESE, DI YONOI.
Ciao Yonoi, ti ringrazio di cuore per aver partecipato alla challenge con uno dei tuoi capolavori (ed è proprio il caso di dirlo, vista la bellezza infinita di questo racconto!)
In questa storia, nonostante l’ambientazione per te inedita (perlomeno in un racconto di questa lunghezza) sono presenti molti degli elementi ricorrenti nelle tue opere: la spiritualità, il confronto tra filosofie di vita diverse, un bambino morto, un cimitero, la malinconia onnipresente che si insinua in ogni virgola della narrazione… e tuttavia nulla è sembrato forzato, e questa ricchezza è stata solo un vantaggio per la storia, che ne è risultata incredibilmente ricca e sfaccettata. Direi quasi che si è trattato di un flusso continuo, in cui una riflessione è venuta dietro l’altra, conducendo il lettore dall’introduzione all’epilogo in un ciclo completo sugellato dal richiamo al quel furin che fin dalla prima scena è coprotagonista dell’intera storia. Proprio a questo proposito devo porti i miei più grandi complimenti per quanto riguarda la cultura giapponese e i termini ad essa collegati, che hai esposto splendidamente lungo il corso della narrazione, anche qui senza nessuna forzatura: non inserisci mai un termine senza spiegarne il significato, ma riesci a farlo in modo scorrevole, senza dare l’impressione dello “spiegone” che tanto infastidisce quando interrompe il racconto, ma utilizzando la figura del protagonista come tramite tra il mondo della storia e il nostro. Io sono molto ignorante per quanto riguarda le culture orientali in generale, e il fatto che sia arrivato alla fine della storia senza dubbi di questo tipo gioca sicuramente a tuo favore.
Con molto piacere ho ritrovato il tuo stile caratteristico, in una veste davvero curata. L’unica parola con cui mi sento di definire le numerose descrizioni presenti è “eteree”: per quanto la situazione di partenza sia reale e molto materiale, considerati il passato e il presente del protagonista, e i luoghi visitati la rispecchino, sembra quasi che l’ambientazione sia quel Giappone “da favola” raccontato in molte opere dai risvolti onirici (sebbene lo conosca poco ho pensato immediatamente a Miyazaki), con cui in un certo senso questa storia condivide anche un’altra tematica, ovvero il racconto di formazione, visto però da una prospettiva totalmente diversa, in quanto il protagonista è già adulto! Ma del resto, come la vita ci insegna, non si smette mai di crescere, anche andando al di là della dimensione terrena.
Ritornando alle descrizioni, sono stato davvero sorpreso da come non ci sia un ambiente che sia riuscito a colpirmi più degli altri, non per mancanza di incisività ma proprio perché anche a diversi giorni dalla lettura mi risultano tutti così vividi, davanti agli occhi… parlo del ristorante, con i suoi muri spogli interrotti solo dall’oasi fuori dallo spazio e dal tempo costituita dal padiglione d’oro, della spiaggia deserta e sferzata dal vento e dalle onde in cui il protagonista si rifugia per disegnare, del sentiero che congiunge il villaggio dei furin con il cimitero e poi con la foresta. Ripeto, luoghi incredibili, che un secondo sembrano reali e subito dopo istanti sospesi nel tempo. Anche le descrizioni dei personaggi sono sempre sul pezzo, in particolar modo quella di Hirano Ryumei, con quei particolari ricorrenti che lo collegano a Fumi e a una dimensione soprannaturale… eppure, il finale mi ha comunque lasciato a bocca aperta, per davvero (se non avessi indossato la mascherina non so cosa avrebbero pensato di me le altre persone in quella famosa sala d’aspetto XD). Seriamente, io i finali di questo tipo solitamente li predico alla prima riga, ma complice anche il fatto che non mi sia accorto della pubblicazione nella sezione “soprannaturale” del sito la storia mi ha preso talmente tanto che non mi è nemmeno passata in testa l’idea di fare ipotesi, era la forza stessa del testo a portarmi avanti. Questa è una caratteristica dei grandi autori e delle grandi storie, anche se il racconto fosse stato un intero romanzo di 400 pagine non sarei riuscito a staccare gli occhi dalla pagina nemmeno per un secondo fino alla fine.
Proprio per questi motivi, tralasciando il finale, non mi sento di parlare di una vera trama (che pure è presente e perfettamente congegnata, ricca di intrecci e sottotrame interessantissime), ma di una sequenza completamente naturale di azioni e conseguenze, in cui a volte la figura del protagonista assume un ruolo fondamentale, mentre altre quasi scompare nello sfondo (e ho adorato questa cosa). Di lui, infatti, noi lettori non sappiamo nemmeno il nome, eppure mi è sembrato di conoscerlo in ogni minimo dettaglio: ci hai raccontato il suo passato con Fumi e la sua vita presente presso il posto di lavoro, la sua nostalgia (così occidentale in confronto a quella giapponese) e le sue flebili speranze per il futuro. Ho anche notato una cosa: tutti gli elementi “di contorno”, per esempio i rapporti umani che ha con gli altri personaggi, la passione per il disegno ecc., sono inseriti abbastanza presto rispetto alla lunghezza del racconto, ma riescono poi ad emergere lungo la narrazione uno per volta, come tessere che una alla volta vengono in sovrimpressione, raccontano la loro storia, e poi lasciano il posto alla successiva. L’unica vera costante del racconto è il già citato rapporto con Hirano Ryumei, che come un filo rosso porta il protagonista a raggiungere i suoi traguardi: la pubblicazione del fumetto, il superamento delle sue paure e diffidenze verso ciò che lo circonda una volta rimasto solo in un Paese straniero e infine l’elaborazione del lutto dell’amata Fumi, che prima delle vicende narrate era evidente si limitasse a qualcosa di superficiale, e non a una ritrovata serenità interiore, così come richiesto dal pacchetto da te scelto. Il rapporto tra i due personaggi è costruito in modo molto interessante: non c’è un’originalità assoluta per quanto riguarda le situazioni in cui avviene la loro interazione, ma forse è proprio questo che permette l’intrecciarsi del personaggio di Hirano con il mondo circostante, spingendo il protagonista senza nome a confrontarsi con entrambe le “entità” al momento stesso.
Ci sarebbero mille altre cose da dire, perché ogni dettaglio merita di essere approfondito e sviscerato nei significati più profondi, ma c’è un’ultima cosa di cui vorrei davvero parlare, e si tratta del bellissimo ultimo capitolo, in cui sono raccontate la leggenda di Jizo e la ricostruzione artigianale della statuetta secondo la tecnica del kintsugi (questa sì, la conoscevo!): tramite la narrazione di questi particolari non solo hai mostrato una cultura nel miglior modo possibile, ma hai anche tracciato eleganti parallelismi tra questa sottotrama e quella principale, se non con la vita umana in generale. Questa storia è davvero in grado di scavare dentro al lettore, parlo almeno per me, e di far riflettere su tutti i temi che hai trattato, dall’abbandono delle tradizioni in favore di una modernità estraniante alla fuga temporis che, inevitabilmente, ci colpisce tutti. Devo inserirla tra le preferite, e ripeto, è una delle storie migliori che abbia mai letto. Sei davvero eccezionale. Complimenti e a presto, grazie di cuore per aver scelto di propormi questo capolavoro!
mystery_koopa |