È un componimento un po' meno canto, stavolta, un po' meno preghiera, un po' più difficile come poesia.
Ciò vale soprattutto per i lettori come me, presuntuosi, perché presumono di poter capire tutto: "la vita che non posso avere", "lasciami andare verso quella / che posso avere".
Ma un messaggio di fondo, e neanche troppo nascosto, mi sembra di percepirlo: il dolore - fisico o spirituale che sia - fa sempre maturare, fa crescere.
Ci vuole tempo. Ci vuole forza e voglia di accettare. Ma la sofferenza dà i suoi frutti.
Sembra qui di trovarsi di fronte a una svolta netta, importante, della tua vita. Un cambio di rotta. Una conversione nel senso letterale del termine.
Non tutti ne sono capaci. Parlo per esperienza personale. È molto più facile "ricalcolare" le proprie giornate in modo da non allontanarle da quelle precedenti. Un po' per pigrizia, un po' per viltà. Ma in questo modo il rischio è quello di andare alla deriva. Di prendere direzioni, passettino dopo passettino, non volute, quasi senza accorgersene.
Un minimo di presunzione, però, mi sembra di coglierlo anche in chi scrive: i "giovani anni" di colui a cui ci si rivolge. Colui che non sa. Colui che forse non capisce. Questo spiega l'incomunicabilità. Così si spiega il consueto finale a effetto che dà vita a tutto il componimento: "troverò il modo / per dirtelo".
Il consueto raggio di luce, invece, lo trovo stavolta nel mezzo: "La speranza fiorisce / sopra le tombe". |