Okay, bene. Aiuto.
La premessa che sai è che non ho mai recensito una cosa tua.
L’altra premessa è che mi trovo in uno stato di “voglio fare qualcosa ma qualsiasi cosa non mi va”, di quelle volte che ci sarebbe veramente da spararsi in fronte per quanto poco mi sopporto da sola.
Insomma, non sarebbe il momento migliore per iniziare una recensione, so già che non sarà il massimo. Poi, a recensire una cosa tua, comincio proprio da questa cosa qui… be’, è in arrivo un fallimento abbastanza scontato.
E comunque mi ci metto lo stesso, perché questa cosa qui mi ha acceso tantissimo la curiosità, e so già che dirò un sacco di cose improbabili e farò considerazioni sciocche (spero non fuori luogo), ma almeno mi hai dato qualcosa che ammazzi la mia Noia Mortale e mi faccia tornare nel mondo dei vivi. Grazie, quindi, prima di tutto.
Non raggiungerò nemmeno lontanamente i livelli di analisi che hai tu, che ci azzecchi alla grande e hai sempre ragione su tutta la linea, oltre che una grandissima calma e pazienza. Farò quel che posso…
Le prime figure che hai utilizzato sono state per me le più ostiche, non credo di essermi avvicinata affatto a capirle. L’infanzia che cade e si rompe dalla mensola del tempo è la fase della vita che si è conclusa, l’orologio è il tempo inesorabile, e tu stai cercando di rimettere i pezzi insieme. Mi viene da pensare che la fine dell’infanzia sia quando si assume consapevolezza di sé: ci dev’essere un punto imprecisato nella nostra vita in cui a un certo punto ci accorgiamo della nostra esistenza, dell’immagine che ha o può avere nel mondo, e della responsabilità delle nostre azioni, capaci di modificare questa immagine. Mi viene da pensare che si stia parlando di questo – ed ecco perché sono così maledettamente attratta da questi versi. La fretta con cui cerchi di raccogliere i cocci e di rimetterli insieme, fa proprio pensare al desiderio (quasi disperato) di voler tornare indietro, di dire “no, no, non è così, non sono ancora cresciuta, vedete? È tutto apposto”. Ma l’orologio sa che non si può tornare indietro. Il tappeto è un’altra figura bellissima, per me è la metafora della dimenticanza dei ricordi, che inevitabilmente spariscono dalla nostra memoria – gran parte dell’infanzia fa questa fine.
Ed ecco qui tutte le figure a me misteriose: fiori secchi come una schiera di ragazzi ubriachi, una boccia dei pesci senza pesci ma con una sirena senza voce. Il pianoforte scordato, che non è in funzione da un po’ o che non suona come dovrebbe, fa pensare a una infanzia non molto felice, e queste figure in generale potrebbero simboleggiare persone della tua vita. Be’, più che in generale, mi viene da pensare a persone che erano troppo prese da se stesse e dagli impegni per ignorare il fatto che stavi crescendo… mi sento da doverti delle scuse per fare delle supposizioni che, a parte sbagliate, potrebbero essere anche molto inopportuni. Ma penso che il mistero di queste figure che hai scelto sia proprio nel loro essere legate a esperienze di vita, nel loro potere personale, per cui sono difficili da riconoscere in senso universale.
E la Casa è cambiata, e il fatto che qualcuno “se ne sia accorto” e abbia fatto cambiare la casa, e che non sia stata tu stessa, mi sembra sottolinei molto l’aspetto passivo, l’aver subìto questo cambiamento, che tu non volevi. E nel subire non c’è poi molto di positivo, infatti la descrizione del resto della casa ricalca una serie di sentimenti negativi che si provano da adulti e non da bambini, tipicamente.
Credo che tu abbia voluto sottolineare gli aspetti peggiori dell’esser grandi e consapevoli, o dell’essere costretti a esser grandi. Cioè, questi sono i significati che potrei cogliere perché mi appaiono come messaggi universali. Non so, invece, se ci sia stata da parte tua l’intenzione di voler dire di più di personale: certi elementi sembrano avere un particolare significato, che è tuo e basta.
Il corridoio è diventato “lungo e senza finestre” – e non so perché sia diventato così. So solo che sembra perfetto per un film dell’orrore. Ci vedo paura, irrequietezza a passare da una stanza all’altra, o anche una prigione, una monotonia e una noia. La donna che osservava paesaggi invisibili è la cosa più personale, credo – un altro modo per dirti che non so bene cosa possa rappresentare, allora come scusa mi dico che è una cosa tua, solo e soltanto tua. Il fatto che questa donna ti abbia aiutato a render positivo il tempo della tua infanzia pur sapendo, nella sua “cecità”, cosa ti aspettava, è un qualcosa di estremamente struggente. La cosa triste è che è il tempo di questa donna è finito insieme alla tua infanzia, come se, finché c’era qualcuno da ingannare con la fantasia – una bambina – si poteva ancora avere un’esistenza degna, e invece poi, quando il tempo della fantasia è finito, allora per la donna non c’è stato più motivo d’essere. È semplicemente scomparsa. Insomma, questa donna mi sembra un fantasma molto triste. Ma è tanto complessa, e sono sicurissima che per te rappresenta molto di più di quello che ho pensato – che forse è anche sbagliato.
L’annegato. Come l’ho letto ho avuto da subito la sensazione di averlo già visto, credo di conoscerlo anch’io. Soprattutto quella sensazione di voler tornare sul fondale a fargli compagnia, a cercar riparo, a far finta che niente esista, per annullare, svuotare – o meglio, annullarsi, svuotarsi, e non soffrire... Il mio fondale è sotto a un oceano, con metri e metri di profondità; il tuo stagno, con l’acqua torbida, non è poi tanto diverso.
Il pagliaccio è una cosa estremamente triste e inquietante insieme, è una figura preziosissima e ben riuscita. Tutta la parte sull’incontro con lui è scritta molto bene, e fa sentire impotenti, e viene voglia di scappare. Potrebbe simboleggiare il dover trovare un posto nel mondo che vada bene agli altri e accettarlo, subirlo, essere costretti a essere chi non siamo; potrebbe anche significare l’essere fraintesi continuamente. In ogni caso tu non hai voce in capitolo, è sempre il pagliaccio che pianifica per te, e la sua frenesia allegra è angosciante. “Un po’ mi sono offesa, perché avrei preferito, piuttosto, che mi domandasse chi volevo essere” è una frase piena di significato. E poi il fatto di dover “recitare” delle parti, e non essere mai se stessi… in pochissimi versi hai condensato così tante immagini spettacolari. Sei un genio!
Il fabbro nella veranda è la terza figura che ho apprezzato tantissimo. Si affaccia sul tramonto e incide una lapide, è la condanna della vita e cerca di riassumere la tua essenza in poche parole, quelle definitive. Chi sei tu? Ma noi siamo in crescita, è perfettamente normale non sapere come definirci, e soprattutto non è una cosa da poter fare in poche parole che siano bastevoli. Ci vedo anche l’ansia di doversi realizzare, di combinare qualcosa di buono nella vita, così da poter scrivere una lapide che vada bene, che non sia patetica, qualcosa di cui andare fieri, o quanto meno qualcosa che non faccia ridere il fabbro… ma non so se sto vedendo troppo, e so sto vedendo in quello che hai scritto solo cose che ci voglio vedere io.
So che con questa poesia hai toccato tantissime tematiche tutte importantissime per me, volendo o no, e per questo ti ringrazio. Non è un nonsense, è un plurisense :D
Quella considerazione sul fatto che la Casa, il mondo, non sembra più fatto apposta per te, non sembra più accoglierti, ma è un diventato un estraneo e anche un tuo nemico a tratti, mi sembra un’altra metafora della crescita (ma più che il mondo, con la Casa forse intendi te stessa). Da piccoli ci sentiamo sicuri e protetti, al punto che nemmeno ce ne accorgiamo. Da grandi è diverso, sì.
Ripeto: non so quante sciocchezze ho scritto nel cercare di interpretare e vedere il tuo punto di vista. Sappi però che hai acceso tantissime lampadine nella mia testa.
Spero che la Casa possa trasformarsi in un posto più luminoso e accogliente,
Un bacio <3 |