Di nuovo! Di nuovo il passato che si affaccia sul presente, cara Fenice… E che ti spinge a comporre poesie traboccanti di fascinosa malinconia.
La prima reazione è stata un senso di allontanamento, un infantile fuggi fuggi di fronte a qualcosa che, come l'altra volta, mi ha messo una paura sottile.
La gente non vuole capire tematiche malinconiche. A partire dal titolo, troppo ellittico per essere capito. "Rimpianto che se va…" Che vuol dire? Rimpianto che se va bene lo riesci a vincere, ma siccome "andrà tutto bene" ormai s'è capito essere una pagliacciata, rimpianto che se va male ti avvelena la vita? O forse volevi scrivere "rimpianto che se ne va"? So che con la tua pazienza amorevole me lo spiegherai, e io ti vorrò bene per aver perso tempo con me.
Ma a parte il titolo… Ero già sul malinconico andante perché ieri sentivo la vita svuotarsi, non potevo neanche guardare il cielo nascosto da una cappa plumbea e piovosa. Pesante la compagnia di chi mi stava fisicamente vicino. Era uno di quei periodi che ti senti in panchina mentre gli altri giocano. Uno di quei momenti in cui non vuoi trovare poesie che ricordano la tua solitudine, in cui ti basta poco per distrarti, ma di tutt'altro genere: uno sguardo con un filo di trucco, una mano laccata che danza…
E quelle citazioni… Non concordo sulla seconda, non esistono segreti indicibili, ecc. ecc. Basta imparare ad aprirsi, a confrontarsi, a vuotare il sacco. E infatti l'"anziana signora" si è liberata, come cantano i versi che aprono e rendono - appunto - fascinosa la tua poesia. Ma ha appesantito te.
La terza citazione. È grammaticalmente tradotta male la terza citazione. Non si dice "avrebbe potuto succedere" (come non si dice "ha successo"), ma "sarebbe potuto succedere".
È notte, e riprendo la tua poesia, una spina nel fianco. Ho bisogno anzitutto di capire meglio la genesi, il percorso mentale che ha partorito i tuoi versi. Lo trovo finalmente in una risposta che hai dato: le confidenze di un'anziana signora… È una circostanza che a me riempie di calore e rimane fine a se stessa: qualcuno mi reputa degno di capire, qualcuno si apre, e io mi apro. Il baratro che divide gli esseri umani è colmato. Nasce gioia; gioia reciproca, e tutto finisce lì. Lei si libera del suo passato, io mi riempio del mio presente.
Ma tu sei infinitamente più dolce, comprensiva, altruista. Ti fai carico delle croci altrui. Ascolti, rivivi dentro di te, forse trasformi, sei l'amica che tutti vorrebbero avere. Ed ecco questa poesia sul rimpianto.
"Fiume in piena", bello, gli argini sono travolti. "Interminabili notti insonni", bello, ma rischiano di volare via se ti metti a scrivere come sto facendo adesso.
Passi a descrivere la mancanza di qualcuno con parole ponderate, potenti per l'empatia che generano.
Ma poi arriva l'ultima frase. Una frase che si snocciola su ben 12 versi. Lunga, difficile, quasi ostica da leggere. Riempie di nuovo di malinconia. Si avverte di nuovo l'incapacità di liberarsi del passato. E si riaffacciano in me, come l'altra volta, le domande…
"Vecchi peccati": non era meglio lasciarli liberi di sfogarsi nel rimorso? Del rimorso è relativamente facile liberarsi. Ci si confessa, ci (si) chiede scusa, si cambia.
Il rimpianto è un disagio più sottile. Qui si infila "l'età della ragione", si cerca di neutralizzare quel senso di colpa che è diventato un vivere politicamente scorretto. Si cerca di vivere ormai in una sorta di "alessitimia" (a-lexis-thymos, incapacità di dare parole alle emozioni) e ci facciamo del male. Perché non riusciamo più a liberarci di quegli errori di gioventù. Li abbiamo soltanto mascherati di "consapevolezza", di buon senso, e prima o poi - temo - riaffioreranno. Nonostante l'esorcismo degli ultimi 12 versi.
La notte lascia il posto alle prime luci… La dolce tisanina che mi avevi offerto nel tuo accogliente salottino, per assistermi nella mia acidità, si è raffreddata…
Ma sempre rimane caldo il mio abbraccio e la felicità di confrontarmi con te. Chissà se un giorno riusciremo mai a toglierci la maschera, da Bilbo io, da Fenice tu.
Alla prossima. |