Recensioni per
Sacrogral ha una penna in mano I
di sacrogral

Questa storia ha ottenuto 11 recensioni.
Positive : 11
Neutre o critiche: 0


Devi essere loggato per recensire.
Registrati o fai il login.
Recensore Master
24/11/22, ore 15:07

Allora Cavaliere, io ho promesso e ripromesso a me stessa che alla fine ce l'avrei fatta a passare per dire la mia e forse forse ci sono riuscita. Non nascondo che i giorni passati ho fatto volentieri un ripasso (e in un caso una vera e propria lettura, mi era sfuggito lo scritto) dei riferimenti lasciati qui da te.
Confesso di trovare questa tua nuova avventura davvero davvero splendida; ci sono tanti, tantissimi, spunti di riflessione e c'è la Storia (quella vera e si percepisce tutto l'amore nel raccontarla) e ci sono sprazzi di Caravaggio, una certa vena di elegantissima filosofia. Non mancano neanche una finissima ironia né una certa dose di fatalismo (a mio modo di vedere e naturalmente mi riferisco ad alcuni nello specifico). Credo che finora il mio personaggio preferito sia Monsieur Sanson, ho sempre avuto un debole per i personaggi che - talvolta loro malgrado - si ritrovano collocati esattamente al centro. Infine, te lo dico, mi ha folgorata quella descrizione della Morte con quelle labbra che io immagino di un rosso cremisi.
Umilmente spero di leggere il secondo capitolo e, profondamente ammirata quanto in soggezione, mi affaccio con timore verso la porta della "Disperazione". Ti rinnovo quanto detto in precedenza: scrivi e scrivi sempre, non farlo sarebbe più che un peccato.
Un saluto dalla madamigella evanescente,
A.
(Recensione modificata il 24/11/2022 - 03:12 pm)

Recensore Master
24/11/22, ore 12:55

Caro Sacrogral,
Mi chiedevo... Da che o da chi sarà mai partita la diceria, fattasi credenza (ovviamente non nell' accezione "mobilia per tinelli, sale o cucine"), che, in uno scritto, esistano capitoli trascurabili? Forse gli amatori del genere riassunto (fatto con i piedi) oppure la Massoneria dell' Antologia... Loschi figuri, forse ancora più pericolosi di quelli apparsi su queste tue righe. Righe molto accurate, che palesano chiaramente l' impegno da te profuso nello stenderle. Davvero un bell' intreccio, complimenti! Una trama che ha, almeno per ora, pochissimo in comune con quanto già letto altrove. I nostri cari personaggi si trovano immersi, a viva forza e per altrui volere, in pratica, in un' altra movimentata avventura. Certo... (e come evitare che così fosse avendo a che fare con "voi" due?) "egli" (nessuno usa più questo pronome, eppure è così nobile, infinitamente più elegante di un dozzinale "lui", che nemmeno pronome è) non poteva che rubare, prepotentemente e ancora una volta, la scena. Adesso se ne esula tranquillamente dalla Bastiglia, a suo ghiribizzo. E' dotato perfino di un tirapiedi, che però mi è sembrato fin troppo impresario di se stesso. Un altro, per così dire, libero professionista nel mestiere del portar guai al prossimo. C'è perfino un libretto nero, che mi richiama alla mente il tipico modo di fare di un certo medico orwelliano... Anche questo scritto non difetta di presenza medica, con questo strepitoso Lasonne, che, veramente, trovo spassosissimo. Magari del tutto involontarie, da parte sua, ma certamente azzeccatissima gag ognuna delle sue affermazioni proferite.
Sono, invece, molto dispiaciuta per fra Etienne, che, evidentemente, porta stretto nel cuore un dolentissimo segreto. Dissento, ben due volte, con Foret! Il suo sogno è bellissimo e intrinsecamente giusto, quindi non se ne dovrebbe vergognare. Poi... non posso certo condividere la sua spiccata predilezione per "l' uomo dagli occhi magnetici", ovvero il "ben poco divin marchese".
Insomma i due gaglioffi, molto più gaglioffeschi della comune fauna di questa locanda, erano alla ricerca di nobili anime. Senza volerlo hanno finito con l' inciampare in un vero giacimento di bontà, di cui Foret rappresenta soltanto la gemma più pura. Violentare la Storia non è certo una altrettanto nobile impresa, anche perché sicuramente gli scopi di De Sade sono principalmente aneliti di vendetta, indubbiamente motivata, ma comunque sentimento oscuro. Violentare è poi un verbo, sempre e comunque, legato al dolore... Del resto tutti i personaggi si trovano immersi in un' epoca assai dolorosa, che presto, addirittura, si incattivirà ulteriormente. Un po' sembra di intuire i progetti di quei due, ma, appunto, soltanto un po'... Non resta che attendere tuoi graditi e ulteriori ragguagli.
Difficile suggerire un titolo alternativo ad una storia ancora in gran parte ignorata.
Un affezionato saluto
Ehm... mi ero persa una riga...
Devo fare una rettifica: dissento una volta con Foret e un' altra con Joss...
I motivi restano gli stessi, perché l' amore dovrebbe essere un diritto per tutti sotto questo cielo. Sicuramente così veramente arriverebbero le reali: libertà, uguaglianza e fraternità. Invece noi, misere creature superficiali, continuiamo a confonderci tra forme e pareri, più che idee vere e proprie.
(Recensione modificata il 24/11/2022 - 03:29 pm)

Recensore Veterano
23/11/22, ore 15:07

Messer Gral,
Prima di quanto mi aspettassi - meraviglia! - mi hai concesso una nuova capatina alla Disperazione, alla presenza di un avventore d’eccezione: nientepopodimeno che il Divin Marchese, con i suoi occhi  più neri e più fondi della notte.
E stavolta nella locanda  ci sono proprio tutti i personaggi usciti dalla tua penna/tastiera: l’oste Joss, il poeta Gobemuche, il dolcissimo Foret, Fra Etienne ed il Boia Sason, sempre accompagnato da Madama Morte dalle labbra vermiglie. Una ricomparsa in scena dell’intero cast, compreso le Marquis e il suo fido valletto, in pieno stile “The Hateful Eight”, di tarantiniana memoria. 
Che altro aggiungere a quello che già è stato detto!? Io mi sento come il pulcino Foret (o come Madeleine?) che vede del buono nell’animo di Donatien, tanto da far vacillare quest’ultimo, anche solo per un momento. 
E ti devo anche confessare che i capitoli dove si “chiacchiera a vuoto” sono i miei preferiti, perché a me piace origliare nel mio angolo appartato proprio sotto il Trionfo.
Perciò mille calici di Maudit e a presto!
I miei ossequi e grazie,
G. o M.
(Recensione modificata il 23/11/2022 - 03:16 pm)

Recensore Veterano
22/11/22, ore 16:30

E poi si spensero ad un tratto tutti i fuochi di questa Disperazione e dentro ne lucevan altri, accecanti lumicini sulle cassandre della vita, vere perciò odiate, accesi come il poeta cantore null’altro che di cose d'Amore.
Piccole lucifere rimaste impigliate oltre la cornice a toccare gli estremi del contrario ma non contraddittorio, che il fango non è necessariamente melma e, ciascuna a suo modo, è bianco piede dell’anima di sé, feconda partoriente di spiriti, degli occhi limpidi e trepidanti d’innocenza e di quelli di scaglie, taglienti e neri.
Iridi nello stesso spettacolo di mondo, luce della stessa realtà, tracce, tutti, di lumaca o smeriglio di vetro calpestato.
Sempre felicissima di leggerti, ti regalo una poesia che sicuramente conosci già. 
Poesia che ho ribattezzato “del non giudicare”.

“Piccolo testamento” — Eugenio Montale —

Questo che a notte balugina
nella calotta del mio pensiero,
traccia madreperlacea di lumaca
o smeriglio di vetro calpestato,
non è lume di chiesa o d'officina
che alimenti
chierico rosso, o nero.
Solo quest'iride posso
lasciarti a testimonianza
d'una fede che fu combattuta,
d'una speranza che bruciò più lenta
di un duro ceppo nel focolare.
Conservane la cipria nello specchietto
quando spenta ogni lampada
la sardana si farà infernale
e un ombroso Lucifero scenderà su una prora
del Tamigi, dell'Hudson, della Senna
scuotendo l'ali di bitume semi-
mozze dalla fatica, a dirti: è l'ora.
Non è un'eredità, un portafortuna
che può reggere all'urto dei monsoni
sul fil di ragno della memoria,
ma una storia non dura che nella cenere
e persistenza è solo l'estinzione.
Giusto era il segno: chi l'ha ravvisato
non può fallire nel ritrovarti.
Ognuno riconosce i suoi: l'orgoglio
non era fuga, l'umiltà non era
vile, il tenue bagliore strofinato
laggiù non era quello di un fiammifero.
 

Recensore Veterano
21/11/22, ore 21:00

Cavaliere,
prendo atto che questo per te è “chiacchierare a vuoto”, ma io ti dico, dopo aver letto il tuo capitolo, non sento affatto il vuoto. Piuttosto sento la piena forza dei tuoi personaggi che forse definire “personaggi” non è neppure giusto.

Persone, a me paiono, cavaliere.

E mi piacerebbe sceglierne una, una che mi ha colpito di più, ma mi sembra di far torto alle altre.

Così, ma solo per non appesantirti con una recensione troppo lunga, scelgo a caso Joss che sogna un matrimonio, un matrimonio semplice e vero come semplice e vero è lui, e ha il terrore che il suo sogno lo faccia apparire ridicolo. E il poeta, che “si sentì scavato dalla testa ai piedi e viceversa, come se quello sguardo fosse fatto di mani che andavano a toccargli gli organi interni, e glieli stringessero” e che “lasciava trascorrere il brivido che lo aveva attraversato con una certa prepotenza e quasi abuso”, e che all’improvviso non sembra più quello che poco prima declamava versi d’amore. E Sanson, di spalle, a un passo dalla porta, con la morte che gli sussurra all’orecchio e l’unico che se ne accorge è il piccolo, caro Foret.

Invece sai di chi non dico niente? Di quel tizio “normanno, nato sibilando anziché piangendo, ossessionato dal dolore perché incapace di provarne”. Ecco, di costui nemmeno scrivo il nome, cavaliere, perché a me fa un po’ paura.

E ora che premerò invio, lo so già, mi dispiacerà non averti scritto degli altri.

Grazie alla tua penna, cavaliere, alla tua fantasia e alle tue parole capaci di creare mondi,
Settembre

Recensore Master
21/11/22, ore 19:51

E dunque, continuano le avventure - narrate, raccontate, dialogate, rivissute per verba, per speculum et in aenigmate - degli avventori e frequentatori della "Disperazione". E chi dice che qui non succede nulla, fosse anche l'autore, mente. Del resto, non lo diceva Ditti Cretese che i Cretesi sono tutti menzogneri e bugiardi? E quindi crediamogli, perché lui, essendo cretese, parla con cognizione di causa.
Bella questa taverna, un poco Bar Pilade -1.0, un poco Cour des miracles, un po' Osteria della Luna Piena. E belli gli agrapha dogmata della casa, soprattutto il terzo punto (poesia!) e il quarto. Peccato non esserci mai passati, nelle soste -bevuta fatte con la banda: però, oggettivamente, Parigi è un pochetto fuori mano.
Mi piace molto la storia di frate Etienne: un po' alla Fra Cristoforo. Mi piace tanto la solitudine disperata di Sanson, che poi, forse, a conti fatti, tanto solo non è, assediato dalle ultime memorie e dalle ultime parole dei tanti condannati che ha accompagnato col suo garbo inimitabile fra le braccia della Signora Vestita di Nulla. Mi hai fatto venire in mente un aneddoto a proposito di non so quale boia: siccome nessuno voleva avere a che fare con lui, nemmeno vendergli il pane, per regio decreto si ordinò ai commercianti di non tenerlo lontano dalle botteghe, proponendo loro una alternativa secca: o avere il boia come cliente, o diventare clienti del boia. Tertium non dabatur.
Tocco di classe: le mani di Sanson. Hai mai fatto caso al fatto che si solito sono gli uomini con mani grandi come badili ad avere il tocco più delicato e gentile? Mentre fragili fanciulle dalle mani diafane a volte sono capaci di spezzare una cetra metallica con i loro ditini (visto di persona) o di forzare i barattoli più solidamente chiusi (come Michelle Pfeiffer in "Paura d'amare").
Ari-tocco di classe: la lirica di Ronsard. Nel capitolo II, Louise Labé, vero?
Quanto al "Valletto di De Sade": non ti sei perso poi molto. Hai guadagnato tempo, se mai. Il tuo Marchese mi ricorda sempre più il Daniel Auteuil con l’occhio vitreo di Daniel Auteuil nel film di Jacquot: mi piace. Me lo immagino più malinconico che esplosivo, come il Brotteaux di A. France.
Bravo, anzi, bravò, comme l'on crie au-delà des Alpes!
E, ovviamente, aspettiamo il seguito.
Subito?
PRIMA ANCORA!
(Recensione modificata il 23/11/2022 - 09:34 pm)

Recensore Master
21/11/22, ore 18:49

Caro Cavaliere, voi dite che in questo passaggio non accada nulla di rilevante, se non qualche chiacchiera per entrare nel mood di ciò che volete raccontare. Forse avrei da dissentire perché, con questo nuovo capitolo, avete fatto un affresco ben rappresentante la vita dei personaggi di cui la vostra magica penna sta tratteggiando un determinato percorso. Alla Disperazione tutti possono entrare, tutti hanno diritto a ricevere una giusta accoglienza, tutti possono avere la libertà di esprimersi, perché alla Disperazione si è democraticamente di casa.
La Disperazione è quel luogo che avete costruito ad arte per permettere a chiunque di poter avvertire fin nel profondo cosa accada negli animi degli uomini, che non sono uomini qualunque, anche se al di fuori di quelle mura, che ognuno considera casa, il mondo li guarderebbe, e li guarda, con altri occhi. Alla Disperazione c’è la vita vera che è andata a bussare alle porte di ognuno di loro. In ciascuno dei volti che si incrociano alla Disperazione si possono vedere i solchi che la vita, fatta di luci e ombre, ha impresso con mano più o meno pesante. Alla Disperazione si ascoltano storie di gente comune e non, e si osserva la varia umanità che passa con il suo bagaglio di dolore e che pare alleggerirsi giusto per il tempo durante il quale si intrattengono in quel luogo. Ed ecco che, dalla mia posizione appartata, anche io ho osservato come ognuno si muoveva, cosa diceva, come si comportava. Alla Disperazione ognuno è degno del massimo rispetto, anche se le battute talvolta sono grevi e non sempre si sa quale piega potrebbero prendere. E si può addirittura rimanere sconcertati da certi incontri quando l’avventore di turno è niente meno che il Divin Marchese insieme al suo valletto. Solo il piccolo Foret non fa caso a chi sia il misterioso uomo che ha nascosto il volto e che lo ha spaventato con i suoi racconti, a cui lui, nella sua ingenuità e per la sua anima scevra da qualsiasi sovrastruttura, poiché lui brilla di una Luce tutta sua, non ha creduto, pensando che in fondo tutto quello che aveva appena sentito pronunciare di sicuro non sarebbe stato messo in scena, addivenendo alla conclusione che quel distinto signore fosse persino una brava persona.
Ma quelle due anime nere proprio alla Disperazione hanno voluto recarsi per reclutare gente che potesse dare una svolta alla Storia. La Storia che troppo spesso dimentica gli uomini comuni che, per fare la storia appunto, mettono a repentaglio la loro vita. Il valletto, oscuro quasi quanto il suo padrone con il quale si accompagna, ha quel taccuino nero da cui attinge per definire meglio la persona con cui interloquisce, che sia Joss l’oste, o Gobemouche il poeta degli stracci, o Fra Etienne che difende a spada tratta chiunque, o il dottor Lassonne che cura senza profitto i diseredati, o persino il boia di Parigi, Monsieur Sanson, l’uomo che non parla mai, ma che ha un dialogo continuo e muto con la Signora di Nero vestito, compagna dal quale mai si distacca.
Ora che la vostra penna ha delineato i protagonisti, appositamente scelti dalla scaltrezza del marchese, si attende che il progetto prenda forma, e davvero non so cosa aspettarmi dalla vostra fervida fantasia.
Mi siedo e attendo, certa di imbarcarmi in un viaggio interessante dai molteplici risvolti.
Un caro saluto e un inchino, come si conviene con un cavaliere.

Recensore Junior
20/11/22, ore 22:00

La paura e il dolore. Nasciamo e moriamo provandoli e passiamo la nostra intera esistenza ad illuderci di poterli domare.
L’umanità ha impiegato intelletto, capacità e ogni sforzo possibile per debellarli, ma non c’è mai riuscita. Perché sono il meccanismo naturale ed innato che ha permesso agli esseri viventi di sopravvivere ai pericoli.

E poi ti ritrovi una sera come tante, in una bettola di Parigi uguale a mille altre e a nessuna, con un uomo che ha fatto della paura il suo biglietto da visita e del dolore il suo piacere, accompagnato dal suo valletto che non può provarne. Strano connubio davvero.
Strano come alcuni avventori fissi della Disperazione. Per non parlare del suo proprietario e del suo garzone.
Questo è quello che sicuramente penserebbe un visitatore distratto e capitato lì per caso.
Ma non è capitato lì per caso il divin marchese. È lì perché in quel taccuino nero ha raccolto le vite piene di luci ed ombre di un oste, di un dottore, di un boia, di un frate e di un poeta di stracci che hanno scelto di spendere le loro intere esistenze a cercare di mitigare il dolore e la paura nella vita della povera gente. Ognuno a modo suo, perché il dolore e la paura sono necessari ma se prendono il dominio diventano gabbia per il corpo e coercizione per lo spirito. E con ogni mezzo possibile, perché se le regole sono fatte da una casta privilegiata e corrotta si ha il sacrosanto dovere di infrangerle.
È lì per affidare a quella banda di disperati un compito che farà la Storia. Perché è l’unico posto in cui si trova un pulcino con la Luce. Un pulcino che non ha tremato davanti alle parole di colui che l’ha fatta fare sotto alla Bestia di Parigi. Un pulcino che non ha abbassato lo sguardo di fronte ai due pozzi neri che hanno fatto indietreggiare smarriti due uomini fatti e abituati alle risse. Perché gli occhi del pulcino, trasparenti come la sua anima, sanno guardare oltre. Oltre il velo che nasconde la nera signora. Oltre la paura e il pregiudizio che inquinano la ragione.


Può essere facile costruire una trama, molto meno dare spessore ai personaggi che la animano. Per cui, caro il mio cavaliere, non si può passare oltre. Ma leggere e rileggere. E farlo con gli occhi del piccolo Foret.

Recensore Veterano
20/11/22, ore 14:18

Illustrissimo Cavaliere dell’Ordine dei Poveri compagni d'armi di Cristo e del tempio di Salomone,
che forse condividi con Monsieur Sanson antichi riti … ma se anche fosse così, non potresti rivelarlo.
Lo sai che Donatien-Alphonse Francois marchese de Sade (per gli amici Donatien?) mi inquieta assai più della Morte “con la bocca bella e rossa” che accompagna Sanson?
La morte è una creatura divina, a suo modo solenne e misurata, “educata” come la definisce Foret.
Il Marchese sfoggia uno sguardo “vetrificato”, “due pozzi neri”, che mi ricordano (mi si torcono davvero le budella, e mi si perdoni se l'espressione non è fine) gli occhi di una creatura di Hieronymus Bosch (l’Inferno ), o la figura incappucciata che sporge  in fondo alla sua “Morte di un avaro”.
Ma forse mi sbaglio e si tratta solo di un bel paio di occhiali e voglio fidarmi di Foret, che dice che Donatien è una “brava persona”.
Donatien  sta dunque per sobillare una rivolta, per bombardare la Bastille? E sta cercando seguaci alla Disperazione dove quasi tutti, non solo Gobemouche non danno ordini,  ma neanche ne ricevono?
 
Che l’Onnipotente  benedica la spada e la tua penna.

Non nobis Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam

Recensore Veterano
19/11/22, ore 22:41

Allora, La Disperazione non è una taverna come le altre.
La Disperazione non è solo un luogo dove si passa il tempo, dove si dimentica la vita nel fondo di un bicchiere.
A La Disperazione anche il più dannato troverà l’ultimo momento di pace, dove il suo ricordo resterà inciso nella memoria di chi berrà nel suo nome.
Non verrà condannato all’oblio chi perderà la vita tra le mani del boia, il suo nome resterà inciso su un semplice boccale, tra le mani di uomini semplici, in memoria di una vita.
Perché ogni vita è importante a La Disperazione.
Vi son uomini giusti a La Disperazione, celati dietro volti segnati dalla vita, ogni volto ha una storia da raccontare a La Disperazione.
Perché la vita, quella vera, la conoscono bene coloro che frequentano La Disperazione.
Perché la giustizia, quella vera, si cela dietro i volti di uomini qualunque che nessuno ricorderà mai.
Si cela dietro il volto di umile frate che aveva conosciuto il sopruso e tentato di porvi rimedio.
Si cela dietro il volto di un nobile che curava un Re, ma riconosceva la vera nobiltà nel povero.
Si cela dietro il volto di un poeta che aveva molte colpe a offuscar la sua coscienza. Dietro il volto di un oste, gigante buono, con un sogno semplice e immenso nel cuore.
Si cela dietro il volto di un bambino che sapeva guardare negli occhi di ogni uomo. Dietro il volto di un boia che aveva una sola compagnia sempre al suo fianco.
Tutti con il loro carico di rimorsi, di colpe, di sogni a La Disperazione.
Tutti accumunati da un unico sentimento di giustizia.
È un luogo diverso dagli altri La Disperazione, dove si vive ogni giorno l’uguaglianza.
Quella vera, perché son tutti uguali gli uomini a La Disperazione, perché son gli uomini che rendono vere e vive le parole.
Lo scoprì una sera come tante colui il cui nome era maledetto.
Perché sapeva che son gli uomini umili, gli uomini giusti che cambiano la Storia.
Sapeva che la giustizia la si trova dietro volti ignoti e ignorati.
E lo sapeva il pulcino che dietro un volto dal nome maledetto si celava un uomo giusto.
Parigi era un incanto pronta ad accogliere un nuovo mondo.
E li, in una taverna che non era come le altre, tutto ebbe inizio.
A lume di candela, la penna creò l’incanto.

Recensore Junior
19/11/22, ore 18:27

Gral carissimo,
e invece non può mancare il mio commento al testo che, nonostante le parole bugiarde della premessa — e vatti a fidare dello Scrittore! — cancella l’ellissi totale, e tropo soprattutto della poesia, rimediando alla speculazione sul mai nominato, su qualcosa che non era stato ancora raccontato alla Disperazione. Testo che delinea, quindi, i contorni del logos nascosto dall’incipit in media res del Volo e che ora aggiunge corpo alla vecchia trama. 
Perdonami ma non mi pare poca roba e, nella contentezza di aver ritrovato, più o meno in carrellata ma sempre ai loro posti, l’ossimoro vivente dal mutismo loquace, lo slip of the tongue e asyndeton disgiuntivo — slegato e sempre in anticipo e in ritardo sugli altri —  e con loro anche tutti gli scarti del linguaggio comune personificati in parentesi di icasticità, ho apprezzato molto questo De Sade, antipòfora che previene le obiezioni dell’interlocutore e al quale perfino la Morte viene in soccorso.
Personaggio dall’indubbio carisma, che esercita con consapevolezza, e che, all’interno dell’enunciato, rende possibili, nonché sostenibili, messaggi molteplici e contrari.  Ambivalente e sempre convincente, è elemento che arricchisce sempre il discorso narrativo.
Ti aspetto, sempre  solo tua di fuoco e fiamma, 

F.