Scostante, come prima e immediata impressione, questa poesia.
Sarà per la lunghezza, o forse per la lunghezza dei versi, o anche un po' - chissà - per il titolo…
Scostante come una bambola nuda, senza il vestitino della poesia.
Probabilmente sarebbe bellissima come prosa.
Eppure… ricordo che scrissi "eppure" anche l'ultima volta che commentai, qualche mese fa.
Eppure suscita una grande empatia.
Per la sensibilità che viene infilata dentro e che trasborda durante la lettura… Un mare nero che promette tempesta, ribollente di rabbia repressa, su cui galleggiano carcasse di pentole a pressione, piani cottura e lavastoviglie.
Risatine con la voglia malcelata di urlare.
Mi ha sorpreso l'immagine delle bolle. Ho sempre visto nelle bolle la leggiadria e la fragilità delle farfalle, mentre qui vedo qualcosa di pesante, un nemico da combattere a forza di aghi che non si lasciano trovare. Bolle fagocitanti e in continua, preoccupante espansione.
È sempre un atto che fa paura quello di guardarsi dentro, a volte impossibile a causa del vetro appannato della doccia. Un atto probabilmente migliore di qualsiasi terapia imposta dal di fuori.
Questa poesia rappresenta un tentativo, disperato ma pacato, di rispondere alla domanda iniziale e alla domanda imprecisata della vita.
Una vita sempre in salita, fatta di occhiali appannati, terapie e assenza di calore ("sono cresciuta da sola").
Anch'io, forse, "mi sono lasciato troppo andare".
Alla prossima. |