Sarà che, sulla scorta del quasi recente trentesimo anniversario, Sailor Moon aleggiava da un po' in sottofondo ai miei pensieri, quelli che divagano, ogni tanto (o dici che sia perlopiù la nostalgia canaglia, sempre più insistente con l'età che avanza?); e sarà anche che potrei sottoscrivere in tutto la tua nota di chiusura; ma la verità è che sono qui perché il titolo che hai scelto è incantevole nella sua semplicità. Sono una donna terra terra, ed ogni tanto continuo ancora a comprare i libri solo in ragione di titoli e copertine – d'altronde, ho anche abbastanza anni da potermi concedere di non vergognarmene. Ho letto questo tuo racconto con molto gusto, nel corso dello scorso fine settimana; ho sentito e meditato per qualche giorno; ed approfitto di questo giovedì di festa – gli olandesi si mettono in vacanza con qualunque scusa, arrivata la primavera – per mettere nero su bianco qualche pensiero.
Tornando al titolo, tanto per iniziare dall'inizio, però con la consapevolezza del senno di poi di chi si guada indietro; al di là della bellezza estetica in sé e per sé ha anche la pregnanza tematica che rende un bel titolo – un bel giro di fase – un titolo perfettamente calzante, inevitabile. Questa storia, in fondo, è una character analysis (si dice così, in gergo fandomico?) che, pur partendo da Haruka – il vento, Urano – ondeggia tra lei e Michiru – il mare, Nettuno – come il fluttuare delle onde, sospinte dalla brezza, sul bagnasciuga; come dune di sabbia, questa storia stessa è il punto d'incontro, di confine, creato dove l'acqua e il vento di confondono. Hai presente il Parco delle Dune de L'Aia? Ecco, leggendo mi sono sentita trasportata tra un Noordwijk un Wassenaar dello spirito.
L'aspetto più solido e forte di questa tua, o almeno quello che più ha risuonato con la mia sensibilità, è la figura di Michiru: immensa, grandiosa, solenne quasi – e non solo in virtù della luce sfalsata dallo sguardo dell'amore – conquista la scena ancor prima di entrare.
La tua analisi puntuale, a tratti lirica, di Michiru (Michiru era la roccia, lo scoglio contro cui si infrangevano le onde del mare e che il vento può solo accarezzare, ma non scalfire, avvolgere, ma non possedere mai del tutto.), corona un'aspettativa ben tessuta ed eccellentemente gestita – anche il lettore, vuole vederla, Michiru, ne vuole in pezzo, come tutti – ed ancor più si incastona in quello che metti in scena delle parole e delle azioni di Michiru. C'è il fondo imperioso dell'oceano, in questa Michiru, un'analiticità tagliente, dura, indifferente alla pietà, e che non fa sconti a nessuno – certo non a sé stessa; forse solo ad Haruka. Il tuo ritratto di Michiru è potente e riuscitissimo.
In confronto, credo che l'apertura della storia su Haruka quasi arranchi un po'. Non è una critica, intendiamoci; solo un'impressione che ora proverò ad articolare un poco meglio. Credo che l'impostazione descrittiva classica che hai scelto per questa tua prosa, pur bilanciando i momenti didascalici, per far orientare il lettore coi debiti riferimenti all'opera originale, con le descrizioni pregnanti del turbamento di Haruka; credo, dicevo, che questa impostazione non renda pienamente giustizia allo stato di profonda angoscia, agli incubi, ai dilemmi morali, al senso di colpa. Li dici, chiaramente ed elegantemente; ma rimane un certo distacco, come la prosa classica richiede, che non fa atterrare pienamente il peso e la forza del momento e dello stato d'animo del personaggio. Forse un approccio, nei termini di Borges, "espressionista" avrebbe avuto più impatto. Ma, di nuovo, è una considerazione estemporanea in riposta ad una storia che, secondo me, rimane molto bella.
Occhio solo ad un paio di scherzi della tastiera che ha mancato le maiuscole dopo qualche punto fermo – la mia tende a mancare le erre, le ti, ed a moltiplicare gli spazi...
Riporto qualche esempio:
...quale prezzo. ma la dolcezza di ...
...ce la faremo. sono...
Poi, secondo me, qui la tastiera potrebbe essersi mangiata una virgola:
...Michiru, c’era la testolina buffa, Usagi, e...
Mi rendo conto di essermi un poco dilungata e la vita pratica chiama insistentemente. Chiudo solo con una nota su un pensiero che ho trovato bellissimo:
Forse si erano amate per disperazione? Per consolazione?
Forse, forse Haruka ha ragione; e forse a me piacciono personaggi che si amano così, per disperazione e per consolazione. O, forse, tutto l'amore, in fondo, è, almeno un po', per disperazione e per consolazione? Non lo so, ma il pensiero di Haruka mi ha colpita e mi ha scossa.
È stato un piacere leggerti e, prima o poi, ricapiterò su questi lidi!
Sherry |