Ti stai cacciando in un ginepraio, cara kamony: hai deciso di far poesia rinunciando alla moltitudine delle parole e alla musicalità della metrica.
Eppure hai in Ungaretti un eccellente modello. E poi, metti sapientemente le mani avanti sia nel titolo (perché "ermetici", però?) che nel tuo lungo prologo, o disclaimer, o sproloquio, che dir si voglia.
Personalmente adoro il genere, perché richiede notevole impegno e capacità di sintesi, e perché si adatta molto bene all'essenza stessa dell'ispirazione: un fugace momento di realtà aumentata, un frammentario avvicinarsi di orizzonti lontani. Il lettore è obbligato a soffermarsi e a completare con la fantasia la stringatezza delle parole.
E, sempre personalmente, trovo che l'"esercizio di sintesi" sia stato svolto magnificamente in questo caso.
Qui oltretutto hai scelto un soggetto particolarmente trito e ritrito, dunque difficile!
Eppure mi è piaciuta quell'immagine di una luna tutt'altro che distaccata, anzi un po' guardona, un po' complice e stimolante - ma sempre discreta -, che sovrasta i due amanti un po' esibizionisti, visto che hanno il tempo di accorgersi di quella desiderata presenza.
P.S. È praticamente impossibile riprodurre lo schema metrico 5-7-5 di un haiku, perché la metrica giapponese si basa sulla "mora", non sulla sillaba come la metrica italiana. Dunque non sei la sola a non riuscirci! E nessuno, qui, è poeta. Probabilmente, i poeti sono una razza estinta :) |