Molto, molto bella.
La tua prosa, come sempre, è impeccabile, e già da quella prima frase ("Un punto rosso in una stanza gialla, fra le luci gialle di una città blu", che, tra parentesi, ho trovato bellissima) riesci a operare quel processo di piena identificazione della malinconia di Auron nel suo essere terribilmente spaesato e fuori posto nella Zanarkand da sogno. Quella è la città di Jecht, che ha amato tante assurdità, prima tra tutte quell'intrico di luci abbaglianti e gente frenetica, che nulla a che spartire con la Spira di Braska, del pellegrinaggio, del passato; non è certo la città di Auron, pragmatico, ligio al dovere, guardiano al 100% che, dopo aver visto tradita ogni sua convinzione, si ritrova anche a vagare per una città piena e assurdamente vuota, dove è solo un vagabondo in un pastrano rosso che nessuno nota, nessuno capisce. L'intervento della faith mi ha fatto ritornare in mente Tidus e i suoi incontri con Bahamuth e ho trovato piacevolmente paradossale che, questa volta, sia Auron - la guida del gruppo, in primis di Tidus - ed essere disperatamente allo sbaraglio, tanto da trovare conforto solo in un sogno ristoratore - il primo da quando è morto - che lo riporta al sicuro sotto il cielo di Macalania e, soprattutto, tra i suoi compagni.
Mi piace vedere Auron sotto questa diversa prospettiva, anche perché confesso di non aver mai pensato troppo ai suoi anni tra il pellegrinaggio di Braska e quello di Yuna; eppure, l'immagine di quel giovane uomo che ha perso ogni cosa, mi è chiara in testa dopo anni dall'ultima giocata.
Tra l'altro, le note dell'autore mi hanno anche illuminato sulle due Zanarkand, su cui le mie idee erano quanto mai confuse. Per la serie: su Final Fantasy non si finisce mai di imparare. |