Mi sento in dovere di chiederti scusa per l'assurdo ritardo con cui commento questa storia. L'ho letta tempo fa e ho rimandato il commento a più tardi. L'ho poi riletta e ho rimandato di nuovo. Ora mi rendo conto che è il caso di commentare, prima che tu ti senta abbandonata anche da me, oltre che da te stessa, durante questi tuoi giorni dell'abbanono.
Ottimo titolo e ottimo finale. Molto interessante anche la tematica: la solitudine come una piccola bambina, non ancora nata, pardon, che bisogna accudire, di cui bisogna godere perchè, altrimenti, subentra l'indifferenza vera e propria, l'abbandono, come lo chiami tu. Ed è un peccato non riuscire a vedere i lati positivi della solitudine; di solito si è troppo impegnati a rimpiangere quello che si è perso e non si fa attenzione a quello che si potrebbe ancora perdere: se stessi.
Questo è il bello della tua poesia. Non vai avanti all'infinito a spiegare come sono questi giorni dell'abbandono, ad esplicitare emozioni e tristezza, perchè, quando arrivano, questi famosi giorni, non hanno un senso e non ti danno la possibilità di parlare. I giorni dell'abbandono ti lasciano abbandonata dalle parole stesse (frase formulata malissimo, scusami, ma ho un mal di testa tremendo). Questo è ciò che mi piace di più: lasciare in sospeso la storia. Preparare il lettore, descrivere le emozioni precedenti, ma non esaurire l'attesa.
Brava, anche se in alcuni punti alcune espressioni mi hanno lasciata un po' perplessa e non mi hanno colpito molto positivamente (lo cullo tra le mie piccole mani, sporche di smalto). In altri punti, invece, ho riletto la tua bravura (ma è il cuore che implode di un dolore sottopelle). Devi concentrarti su queste espressioni paricolarmente forti e svilupparle ulteriormente.
Continua a scrivere, non lasciar passare così tanto tempo tra una storia e l'altra. Non smettere mai. |
