Recensioni per
Siberia [Camus - Hyoga 100 Drabble Themes]
di Deliquium
"Non ti importa della fanciulla che raccontano morente ai piedi della Prima Casa. Non ti importa dell'uomo che siede sul trono di Grecia." |
A mio modesto parere, credo davvero che la decisione di Camus sia stata dettata da premura nei riguardi dell'allievo, piuttosto che da sentimenti ostili. |
Torno su questa raccolta con un colpevole ritardo di quattro anni, riprendendo da dove avevo lasciato. Mi ero scordata di come tu sappia far male con così poche frasi: le tue parole sono affilate come coltelli. |
Qualcosa che sta alla fine delle gocce di pioggia, è una frase stupenda. Un'immagine bellissima che racchiude l'ineffabile, quello che solo Hyoga vede e sente e che va oltre quello che la voce narrante ci racconta: Hyoga è un pesce fuor d'acqua, perché non è russo, non è giapponese, non è graco. È tutto questo assieme, e qualcosa di più, che non ci riguarda. |
Questo dialogo, nato pour parler, mi ricorda con precisione chirurgica quelli che avvengono in casa mia (e che credo avvengano anche nelle case degli altri), quando qualcuno (INSERT NAME) si lancia in tirate filosofiche mentre qualcun'altro (INSERT NAME) è in ben altre faccende affaccendato, quelle che non ti fanno sudare le proverbiali sette camicie, è vero, ma che presuppongono una certa concentrazione che non lascia spazio allo scmabio parlato. Anzi, la voce gracchiante è come una stilettata che insiste, continua e persiste. Hai ragione, è meglio non sapere dove avvenga questa conversazione, ché potrebbe essere casa di ciascuno di noi, e allora occorrerebbe chedersi chi sia il Milo della situazione e chi, invece, il Camus (e la risposta è: ambedue, a parti alterne). |
Porastella |
Io, veramente, avrei voluto una donna! |
In una primavera che stenta a decollare - per la fatispecie: sono anch'io qui, con un maglione addosso, e questa è l'Italia, Natassia mia! - trovo in questa drabble lo stesso incedere luminoso che ha la primavera per De André: la luce, i capelli color del grano, il caldo non ancora deciso dell'estate che accarezza le membra e i cuori con il suo tepore. Ci mostri una giornata all'aria aperta, un primo picnic, così simile a quelli che spuntano sui prati del nostro Aprile. C'è gioia, sino al momento in cui gli occhi di Hyoga si posano sulla coperta cucita da nonna Irina; e quel dolore che prova Hyoga nel ricordare quella giornata tutto sommato banale, la rende ancora più preziosa. Se Hyoga è il personaggio del rimpianto, quello che conserva dentro di sé il ricordo della sua gloriosa infanzia (perché è l'unico che ne ha vissuta una, mi viene da dire), il tuo Hyoga ha un modo tutto suo di farsi del male, quasi come se, ricordando quei momenti di felicità, lui riuscesse a sentirsi vivo attraverso il dolore. |
Mi sono accorta di aver saltato alcune istantanee, e ne sono stata felice, ché quando una storia finisce è sempre triste, anche quando ti regala la contezza che tutto è andato al suo posto; è come salutare un amico. |
Credo non vi fosse altro modo per accomiatarci da questa raccolta. Sì, ci hai raccontato una storia, in cento bozzetti, ma sempre di una storia si tratta. E mi è piaciuto seguirla, conoscerla, impicciarmi qua e là, scoprire i tuoi Hyoga, Camus e Isaak e il loro mondo. |
E se c'è un noi, ci sarà anche un loro. Loro, quelli che non sono come noi, quelli a cui non è concesso vivere ancora, generazione dopo generazione; loro, che vivono in vista di un Paradiso della Cuccagna, definizione splendida che profuma di quella indifferente disillusione di chi ha visto la verità, di chi è stato chiamato a fare altro e che deve fare entrare nella zucca dei suoi allievi (o di se stesso, in un delirio in plurale majestatis) che il mondo è diviso in due parti: i buoni e i cattivi, certo, ma anche quelli come noi, e quelli come loro. |
Sembra quasi un inno, un giuramento, come quello che Roland il pistolero recita prima di scaricare la propria pistola dal calcio di sandalo. Ma mentre Roland è fiero di ciò che è e di ciò che fa, nell'inno di Hyoga (l'inno del Santo, potremmo dire), conserva in sé un pizzico di rimpianto per la vita quotidiana, quella che annoia che la vive, fatta di albe spese di corsa per prendere l'autobus, mattinate in classe con un filo di strizza, giorni di quotidianità che sembra banale quando non ti appartiene, e che sembra quasi essere d'oro quando ciò che impari è il nome delle ossa che spezzerai, prima che qualcuno le rompa a te. |
Tu. Un tu quasi accusatorio. Sembra quasi di sentire la maschera di Gemini chiedere a Saga «Who are you?». E mentre Hyoga prende coscienza di sé, e parla in prima persona al lettore, Camus? Parla a se stesso in seconda, come se lui non fosse più qualcuno, ma qualcosa. Un mero accidente aristotelico. Eppure, quel caro estinto, aveva un'infanzia, un passato, ricordi. C'è un gusto molto romantico in questo ubi sunt in salsa parigina, romantico nel senso più genuino del termine. |
I temi liberi sono quelli che danno il vero sapore di tutta la raccolta. Noi abbiamo modo di vedere, nei novantacinque racconti precedenti, il punto di vista dell'autore sulle coppie o sui personaggi messi in campo; tuttavia, quello che davvero fa la differenza è veder l'autore libero di muoversi a briglia sciolta. Due o più persone possono ficcare Hyoga, ad esempio, nella stessa situazione, ma solo tu sceglierai un dato tema libero. E devo dire che cominciamo bene, anzi benissimo: io è un pronome personale che usiamo con fin troppa sportività, ma cosa delinea l'io? Quanti io esistono? Non certo uno, ché le eprsone cambiano, durante il corso della loro esistenza, e spesso un "io" altro non è che la sommatoria di più "io". Dell'infanzia, della giovinezza, dell'adolescenza e dell'età adulta. |
Credo siano poche le cose dolorose come la contezza di chi sa come andrà a finire, rispetto al personaggio che ancora ignora quale sarà il suo destino, che lo aspetta davvero dietro l'angolo, lanciato come un treno nella notte. |