Recensioni per
Siberia [Camus - Hyoga 100 Drabble Themes]
di Deliquium

Questa storia ha ottenuto 373 recensioni.
Positive : 373
Neutre o critiche: 0


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Recensore Master
04/11/20, ore 22:04
Cap. 54:

"Non ti importa della fanciulla che raccontano morente ai piedi della Prima Casa. Non ti importa dell'uomo che siede sul trono di Grecia."
Oh, sì, anche io ho sempre pensato che la "vera" battaglia a Camus non interessasse affatto: prova ne è la sua noncuranza di fronte a Shun e Seiya nel momento in cui lo oltrepassano sulla soglia dell'Undicesima Casa e, soprattutto, ciò che lui stesso dice in merito ad Arles. 
L'unica cosa che sembra premergli è regolare i conti con quello che, sino a poco tempo prima, era il suo discepolo – da lui cresciuto, da lui addestrato. 
Come se, in una scala di valori, il suo status fosse ben più importante della salvezza di Atena. 

Recensore Master
04/11/20, ore 21:53
Cap. 53:

A mio modesto parere, credo davvero che la decisione di Camus sia stata dettata da premura nei riguardi dell'allievo, piuttosto che da sentimenti ostili. 
Usare la Freezing Coffin su Hyoga è stata una forma di pietas, un modo per salvaguardarlo da scontri che, in quel momento, non sarebbe stato in grado né di sostenere né tantomeno di vincere. 
Peccato che tale nobile gesto se lo rimangi del tutto appena quattro ore più tardi XD 

Recensore Master
04/11/20, ore 21:35
Cap. 52:

Torno su questa raccolta con un colpevole ritardo di quattro anni, riprendendo da dove avevo lasciato. Mi ero scordata di come tu sappia far male con così poche frasi: le tue parole sono affilate come coltelli. 
Per uno come Camus, che ha fatto del ghiaccio il fulcro della propria esistenza, la morte non può odorare di terra. 
La terra è calda, è mobile, è viva; trasmette un senso di consolazione che rende accettabile persino lo spegnersi. 
Al contrario, dal ghiaccio non nasce nulla, e infatti di nulla odora. Come un "futuro fatto a pezzi", che mai sarà. Come una morte che, in fondo, non ha alcun senso – quale quella di Aquarius. 
Probabilmente ho frainteso il senso della drabble, ma l'ho trovata davvero intensa!

Recensore Master
12/04/18, ore 14:57
Cap. 67:

Qualcosa che sta alla fine delle gocce di pioggia, è una frase stupenda. Un'immagine bellissima che racchiude l'ineffabile, quello che solo Hyoga vede e sente e che va oltre quello che la voce narrante ci racconta: Hyoga è un pesce fuor d'acqua, perché non è russo, non è giapponese, non è graco. È tutto questo assieme, e qualcosa di più, che non ci riguarda.
Complimenti al tassista: dire "tu non sei di queste parti" a qualcuno di biondo biondissimo com'è Hyoga (alla facciaccia delle leggi di Mendell) gli fa vincere di diritto il Premio Aquila 1987. Per direttissima.

Recensore Master
12/04/18, ore 14:42

Questo dialogo, nato pour parler, mi ricorda con precisione chirurgica quelli che avvengono in casa mia (e che credo avvengano anche nelle case degli altri), quando qualcuno (INSERT NAME) si lancia in tirate filosofiche mentre qualcun'altro (INSERT NAME) è in ben altre faccende affaccendato, quelle che non ti fanno sudare le proverbiali sette camicie, è vero, ma che presuppongono una certa concentrazione che non lascia spazio allo scmabio parlato. Anzi, la voce gracchiante è come una stilettata che insiste, continua e persiste. Hai ragione, è meglio non sapere dove avvenga questa conversazione, ché potrebbe essere casa di ciascuno di noi, e allora occorrerebbe chedersi chi sia il Milo della situazione e chi, invece, il Camus (e la risposta è: ambedue, a parti alterne).
(Recensione modificata il 12/04/2018 - 03:06 pm)

Recensore Master
12/04/18, ore 14:39
Cap. 65:

Porastella
Perdonami la svisata tipicamente capitolina, ma qui, Hyoga, sballottato tra le lacrime che nasconde sul cuscino e la voglia di aprirli, quei pugni, e scaricarli contro qualcosa o qualcuno: la bambina vestita di pizzi, il padre troppo lontano, il destino che gli ha fregato sua madre senza battere ciglio; insomma, questo Hyoga alimenta in me un senso materno che mi fa paura. Tanta. Troppa. Sentitene responsabile.

Recensore Master
12/04/18, ore 14:36
Cap. 64:

Io, veramente, avrei voluto una donna!
Certo, Milo, certo; ma l'estate è il lampo che non ti aspetti che ti sorprende all'improvviso, ti scompiglia i capelli e ti strappa il capello quasi divertendosi a buttartelo in acqua. L'estate lo fa, colla sua vampa, col suo splendore ferino, colla sua calda arroganza. E Camus ne risulta per contrasto, per l'accostamento degli opposti: lui, in quella vampa ateniese, dovrebbe stramazzare. invece, no. Invece, la vampa, il sole, l'ouzo e l'odore del caffè che gli ricorderà - volente o nolente - la pelle di Milo spingono il nostro Aurélien ad essere ancora più di ghiaccio, ancora più reticente, come a conservare quel briciolo di decenza che le sue labbra, invece, sono più che pronte ad abbandonare.

Recensore Master
12/04/18, ore 14:31

In una primavera che stenta a decollare - per la fatispecie: sono anch'io qui, con un maglione addosso, e questa è l'Italia, Natassia mia! - trovo in questa drabble lo stesso incedere luminoso che ha la primavera per De André: la luce, i capelli color del grano, il caldo non ancora deciso dell'estate che accarezza le membra e i cuori con il suo tepore. Ci mostri una giornata all'aria aperta, un primo picnic, così simile a quelli che spuntano sui prati del nostro Aprile. C'è gioia, sino al momento in cui gli occhi di Hyoga si posano sulla coperta cucita da nonna Irina; e quel dolore che prova Hyoga nel ricordare quella giornata tutto sommato banale, la rende ancora più preziosa. Se Hyoga è il personaggio del rimpianto, quello che conserva dentro di sé il ricordo della sua gloriosa infanzia (perché è l'unico che ne ha vissuta una, mi viene da dire), il tuo Hyoga ha un modo tutto suo di farsi del male, quasi come se, ricordando quei momenti di felicità, lui riuscesse a sentirsi vivo attraverso il dolore.

Recensore Master
12/04/18, ore 14:26
Cap. 62:

Mi sono accorta di aver saltato alcune istantanee, e ne sono stata felice, ché quando una storia finisce è sempre triste, anche quando ti regala la contezza che tutto è andato al suo posto; è come salutare un amico.
Qui c'è l'inverno, e sembra quasi che tutta la vita di Camus sia una summa dell'inverno stesso, come se i momenti salienti della sua esistenza si siano svolti in inverno. E forse così doveva essere, visto che l'Acquario è il segno Fisso, il perno di questa stagione.
Apprezzo molto quando l'ambiente e il tempo atmosferico diventano strumenti per leggere l'anima dei personaggi.

Recensore Master
12/04/18, ore 14:20
Cap. 101:

Credo non vi fosse altro modo per accomiatarci da questa raccolta. Sì, ci hai raccontato una storia, in cento bozzetti, ma sempre di una storia si tratta. E mi è piaciuto seguirla, conoscerla, impicciarmi qua e là, scoprire i tuoi Hyoga, Camus e Isaak e il loro mondo.
Il mondo è andato avanti, sissignore, com'è nell'ordine naturale delle cose: però le storie, no, le storie sono nate per essere eterne, per fermare l'attimo e dilatarlo e renderlo sempre attuale.
Io aspetto di sentire un'altra tua storia.
Non mi stancherei mai.

Recensore Master
12/04/18, ore 14:15
Cap. 100:

E se c'è un noi, ci sarà anche un loro. Loro, quelli che non sono come noi, quelli a cui non è concesso vivere ancora, generazione dopo generazione; loro, che vivono in vista di un Paradiso della Cuccagna, definizione splendida che profuma di quella indifferente disillusione di chi ha visto la verità, di chi è stato chiamato a fare altro e che deve fare entrare nella zucca dei suoi allievi (o di se stesso, in un delirio in plurale majestatis) che il mondo è diviso in due parti: i buoni e i cattivi, certo, ma anche quelli come noi, e quelli come loro.

Recensore Master
12/04/18, ore 14:11
Cap. 99:

Sembra quasi un inno, un giuramento, come quello che Roland il pistolero recita prima di scaricare la propria pistola dal calcio di sandalo. Ma mentre Roland è fiero di ciò che è e di ciò che fa, nell'inno di Hyoga (l'inno del Santo, potremmo dire), conserva in sé un pizzico di rimpianto per la vita quotidiana, quella che annoia che la vive, fatta di albe spese di corsa per prendere l'autobus, mattinate in classe con un filo di strizza, giorni di quotidianità che sembra banale quando non ti appartiene, e che sembra quasi essere d'oro quando ciò che impari è il nome delle ossa che spezzerai, prima che qualcuno le rompa a te.

Recensore Master
12/04/18, ore 14:05
Cap. 98:

Tu. Un tu quasi accusatorio. Sembra quasi di sentire la maschera di Gemini chiedere a Saga «Who are you?». E mentre Hyoga prende coscienza di sé, e parla in prima persona al lettore, Camus? Parla a se stesso in seconda, come se lui non fosse più qualcuno, ma qualcosa. Un mero accidente aristotelico. Eppure, quel caro estinto, aveva un'infanzia, un passato, ricordi. C'è un gusto molto romantico in questo ubi sunt in salsa parigina, romantico nel senso più genuino del termine.

Recensore Master
12/04/18, ore 13:56
Cap. 97:

I temi liberi sono quelli che danno il vero sapore di tutta la raccolta. Noi abbiamo modo di vedere, nei novantacinque racconti precedenti, il punto di vista dell'autore sulle coppie o sui personaggi messi in campo; tuttavia, quello che davvero fa la differenza è veder l'autore libero di muoversi a briglia sciolta. Due o più persone possono ficcare Hyoga, ad esempio, nella stessa situazione, ma solo tu sceglierai un dato tema libero. E devo dire che cominciamo bene, anzi benissimo: io è un pronome personale che usiamo con fin troppa sportività, ma cosa delinea l'io? Quanti io esistono? Non certo uno, ché le eprsone cambiano, durante il corso della loro esistenza, e spesso un "io" altro non è che la sommatoria di più "io". Dell'infanzia, della giovinezza, dell'adolescenza e dell'età adulta.
Una cosa: quell'Aleksandr è il secondo nome di Hyoga, giusto? Ma non avendo un padre, salta il patronimico, oppure c'è un'altra soluzione? Sarebbe interessante saperlo.

Recensore Master
12/04/18, ore 13:47

Credo siano poche le cose dolorose come la contezza di chi sa come andrà a finire, rispetto al personaggio che ancora ignora quale sarà il suo destino, che lo aspetta davvero dietro l'angolo, lanciato come un treno nella notte.
Perché la vita è davvero così, un attimo ci sei, quello dopo no, e la tragedia (o la salvezza) è che tu non ne sei conscio. Ma io, che so come andrà a finire, ho provato un magone incredibile nel vedere Camus reggere il muro (sia mai la parete dovesse venir giù) e il moccolo a Milo, magari dicendosi proprio "Questa è l'ultima volta!"; e sì, lo sarà, ma non nel senso che intende lui, purtroppo.

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