A
chi non teme il dubbio
a
chi si chiede i perché
senza
stancarsi a costo
di
soffrire e di morire
A
chi si pone il dilemma
di
dare la vita o negarla
Questa
breve fanfiction
è
dedicata da un’angelo
della
speranza a tutti coloro
che
non perdono mai la fede
a
costo di patire.
L’ANGELO
DI AVRIGUE
“ L’albero
a cui tendevi
La
pargoletta mano,
Il verde
melograno
Dà bei
vermigli fior,
Nel muto
orto solingo
Rinverdi
tutto or ora
E giugno lo
ristora
Di luce e
di calor.
Tu fior de
la mia pianta
Percossa e
inaridita,
Tu
de l’inutil la vita
Estremo
unico fior,
Se ne la
terra fredda,
Sei ne la
terra negra;
Né il sol
più ti rallegra
Né ti
risveglia amor.”
(G.
Carducci, Pianto antico)
Una luce
radente spianava il mare e lo sollevava nelle insenature; anche al largo esso si
alzava sino a cozzare contro il cielo.Un altro mare, d’ombra, scendeva dalle
catene rocciose.
Scese verso il
mare , per i greppi arcuati e brulli, dominati dalla Pila del Corvo, una grande
pietra concava che raccoglieva pioggia e rugiade.
Cominciò a
percorrere la strada sassosa. La neve aveva svecchiato il cielo e nell’inverno
tornato mite le “vedove celesti” oscillavano al sole su pietre e chiazze di
brina. Si chinò per coglierle.Con una mano si tenne i capelli.C’era un vento
leggero che splendeva sul mare.
Raggiunse la
rocca. A fatica lo sguardo si distraeva dal mare per posarsi su quella piccola
lastra di marmo. Gli alberi, se il suo sguardo potesse fermarvisi ,sarebbero di
nuovo un austero approdo in confronto a quel mare alto e muto come un cielo. Una
zona rugosa e chiara ha morsicati confini che si sciolgono e si ripristinano in
un richiamo interminabile. Il mare ossessiona chi lo guarda troppo a lungo,
proprio per il suo sciogliersi nell’eterno e nel nulla.
Abbassò
ancora una volta lo sguardo e lasciò il mare al suo abisso. In vano le
intemperie si erano accanite su quelle parole, perché esse ancora troppo nitide
bruciavano su quella lapide …
- Avevo visto
una povera capinera chiusa in gabbia: era timida,triste,malaticcia;ci guardava
con occhio spaventato; si rifuggiava in un angolo della sua gabbia, e allorchè
udiva il canto allegro degli altri uccelletti che cinguettavano sul verde del
prato o nell’azzurro del cielo, li seguiva con uno sguardo che avrebbe potuto
dirsi pieno di lagrime.Ma non osava ribellarsi , non osava tentare di rompere il
fil di ferro che la teneva carcerata, la povera prigioniera. Eppure i suoi
custodi, le volevano bene, cari bimbi che si trastullavano col suo dolore e le
pagavano la sua malinconia con miche di pane e con parole gentili.La povera
capinera cercava di rassegnarsi, la meschinella; non era cattiva; non voleva
rimprovelarli neanche con il suo dolore, poiché tentava di beccare tristamente
quel miglio e quelle miche di pane ; ma non poteva inghiottirle: dopo due giorni
chinò la testa sotto l’ala e l’indomani fu trovata morta nella sua
prigione.-
Un falco
girava nel cielo, si spingeva fin sul mare.L’uliveto soprano stava aggrappato
a un pendio ripidissimo, come come una grande farfalla dalle ali polverose.Più
in basso altri uliveti e altri
massi scendevano già nell’ombra del crepuscolo, mostrando una bellezza senza
pulviscolo, triste e quasi funebre. Al di là del ritano, sulla sponda di un
terrazzo, due girasoli piegavano la testa nelle grandi foglie già secche. Il
bosco di ulivi era inchiodato da un vento inquieto.Più lontano la collina di
Avrigue era avvolta da una luce minore. Quel mondo che raccoglieva i suoi
affetti se ne andava.Non tutto,gran parte.Restavano dei solchi, delle trame a
suggerire la sua scomparsa.Rami d’ulivo, tetti e profili di colli evocavano
nella sera la presenza della terra. Si, essa non era diversa dal mare, ridotta a
incisioni quasi argentee.
Nel locale il
solito gruppo di giovani stranieri radunati intorno alla stufa.Uomini e
donne,vestiti di palandrane e frangiati giubotti, parlavano poco e sottovoce.
Remus si
rivolse nuovamente al cameriere che da dietro il bancone attraverso la finestra
esplorava la sommità della rupe.
- E tu
paragoni una fanciulla ancora bambina ad una capinera?-
Remus seguì
le parole e lo sguardo del locandiere. La sommità della rupe era irta di pietre
e infestata da erbacce. Un rosmarino oscillava su un masso al centro del
pianoro, un masso che inspiegabilmente i contadini chiamavano Palla del diavolo.
Li accanto in un alone di morte e scossa dal vento ,una giovane donna soffocava
in mano un mazzo di “vedove celesti” .
- E’ stata
esclusa dalla vita, ha subito una dolorosa esperienza “umana”-
L’uomo posò
il boccale e lo strofinaccio tornando a guardare il non più giovane mago nei
suoi occhi scuri.
- Che legame
aveva con quella donna?- chiese ad un certo punto ammiccando alla rocca
- Di speranza
e silenzio.- rispose in un sussurro Remus tornando a contemplere la rupe
illuminata solo dal dolore in quella notte senza stelle.
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“Silvia,
rimembri ancora
Quel tempo
della tua vita mortale,
Quando
beltà splendea
Negli occhi
tuoi ridenti e fuggitivi,
[…]
Sedevi,
assai contenta
Di quel
vago avvenir che in mente avevi.
Era il
maggio odoroso:e tu solevi
Così
menare il giorno.
[…]
Porgea gli
orecchi al suon della tua voce”
(G.
Leopardi, A Silvia)
L’inchiostro
bagnava quei fogli immacolati come le lascrime rigavano il pallido volto
dell’uomo.
Le parole si
inseguivano e velavano la sua mente in quell’addio che profumava di pergamena.
Stannotte ho saputo che non c’eri più: una goccia di vita scappata dal nulla. Me ne stavo con gli occhi spalancati nel buio e d’un tratto, in quel buio, s’è acceso un lampo di certezza: non c’eri più. Te n’eri andata.E’ stato come sentirsi colpire da un coltello in pieno petto. Mi si è fermato il cuore. E quando ha ripreso a battere con tonfi sordi, cannonate di sbalordimento, mi sono accorto di precipitare in un pozzo dove tutto era incerto e terrorizzante. Ora eccomi qui , chiuso a chiave dentro una paura che mi bagna il volto, i capelli, i pensieri. E in essa mi perdo. Tu non ci sei più.
La neve
scendeva lenta per il cielo cinereo. I suoni di vita non salivano più dalla
città. Dalla torre le ore suonano lamentose per l’aria. E le anime indomabili
affollano la mente annebbiando i sensi.
Nell’ombra
l’umo guardava il cielo rivolgendovi una silenziosa preghiera.
-
Prega per noi angelo di Avrigue …-
CINQUE ANNI
PRIMA
“La
nebbia a gl’irti colli
Piovviginando
sale
E sotto il
maestrale
Urla e
biancheggia il mar “
(G.Carducci, San Martino)
Il sole
batteva di sbieco sulla chiesa e sul crinale. Il canto bruno, l’aspro fruscio
che precede il mistral, s’andava estendendo.Nei pressi dell’Annunciata la
brezza si fece più tesa. E in quell’aria trovarono il pastore su un greppo
sopra il sentiero. Stava in piedi con una mano aggrappata al bastone appeso alla
spalla, dormiglioso e tranquillaccio come certi mari. Era la sua ora di riposo
ma quando lo salutarono egli scese con un solo passo falcato sul sentiero a
stringere le mani.
- Vi monda
Hagrid ?- disse con un forte accento provenzale tipico di quella zona delle
alpi.
- Si, siamo
venuti per il rifugio che le è stato promesso- disse con fare solenne Moody
indicando la giovane ragazza che placidamente dormiva fra le braccia di Remus.
- Dove sone
altri ? – chiese accigliato il pastore mentre il cane al tintinnio del gregge
cominciava ad abbaiare.
- Non sono
sopravvissuti al viaggio e noi necessitiamo di riparo. – rispose una voce
decisa alle spalle di Remus. – Ci hanno attaccato
durante lo sbarco in Normandia, credono morti anche noi, è per questo
che siamo riusciti a giungere fin qui.-
Il pastore
sembro riflettere, poi si avvicinò ad Hermione e le indicò con il bastone i
roseti dell’Annunciata che fremevano sotto il vento. Anche Moody si volse a
guardare mentre il pastore riprendeva a salire verso i monti. Le tre figure
cominciarono a percorrere lo stretto sentiero. I mantelli ingombravano i tre
maghi e Remus cominciava a sentire il peso del corpo esanime della fanciulla.Ci
volle un’ora per arrivare al passo dell’Annunciata. Lassù il vento scuoteva
ulivi e pini. A occidente le terrazze finivano ne vallone sotto le rocce
biancastre del confine. Il vallone era tortuoso, tra picchi dove il cielo
lameggiava. Il sole illuminava una devastazione: le morte case dell “Comba”,
abbandonato borgo di Avrigue, e ulivi scheletriti. Quello era il loro rifugio.
- Esiste
sensazione più squisita di quella risvegliata dall’odore delle foglie
autunnali che bruciano?-
- Non saprei,
Carys- rispose Remus vacuo guardando la giovane ragazza correre per il sentiero
tortuoso.
- Per me,
niente evoca memorie più dolci dei giorni che se ne vanno-
- Come può
renderti felice un’addio?- chiese il mago prendendo la rosa canina che la
giovane gli stava porgendo
- La mia vita
è fatta di addii. Ho dovuto dire addio alla mia famiglia, ai miei amici,
all’Inghilterra, alle persone che della mia salvezza avevano fatto una ragione
di vita. Un giorno dovrò dire addio anche a te , a Hermione, a Moody e ad …
Avrigue. -
- Non ti
raggiungeranno- ma lei come se non avesse udito quelle parole proseguì
- E’ felice
la convinzione che il tempo metta un sigillo di pace a tutto ciò che se ne
va…-
Remus
in quell’istante vide l’ombra fatale avvolgere la ragazza. Le colombe
quella sera avrebbero spiccato l’ultimo volo.
La brezza di
mezzogiorno illuminava gli ulivi nuvolosi. In lontananza appriva il serro
roccioso nella marea di costoni.
Arrivati a
quel punto della passeggiata Remus si apettava sempre che Carys lo trascinasse
in un’estenuante corsa fino a casa, ma ciò non accadeva più da circa due
anni.
Vive però
erano ancora le ultime parole di Carys quelle che aveva pronunciato con la morte
negli occhi mentre veniva uccisa da una maledizione senza perdono scagliata
dall’Oscuro Signore.
Le immagini si
accavallavano nella mente di Remus. Il corpo straziato di Moody, il pianto
disperato di Hermione che implorava pietà e quella voce, un tempo limpida e
ridente che soffocata dal dolore diceva :
Il cammino interiore è simile al lavoro che una volta facevano gli uomini per accendere il fuoco. Si batte e si ribatte una pietra contro l’altra, senza stancarsi, finchè scocca la scintilla.Per nascere il fuoco ha bisogno di legno ma per divampare deva aspettare il vento. Cercate dunque sempre il fuoco nella vostra vita, attendete il vento, perché senza fuoco e senza vento i nostri giorni non sono molto diversi da una mediocre prigionia
Poi un lampo
verde aveva portato il silenzio e il corpo inerme di Carys si era accasciato al
suolo.
Uccisa
dall’amore che portava come nome, dall’amore proibito da cui era nata.
Legata per la vita alla vita. Destinata ad una vita fatta di addi fino
all’estremo saluto. Con lei se ne andava l’ultima speranza di trovare
l’arma in grado di fermare Voldemort, con lei se ne andava la fede e la
speranza. Ma a che prezzo aveva
dato luce al popolo dei maghi ?Aveva vissuto imprigionata, divenedo angelo di
una terra che non le apparteneva. Tormentata da una vita di sogni e visioni di
quell’arma invincibile : la seconda profezia. Ma vent’anni della sua vita
non erano bastati, vent’anni di sofferenza non erano serviti. E nella certezza
di averla uccisa loro stessi, Hermione e Remus erano rimasti ad Avrigue, ultimo
suo rifugio. E ora riposava su quella rocca, ricordata solo con quelle parole:
Carys
Mary Riddle
1988
– 2009
Morta
d’amore.
Eternamente
ricordata come “Angelo di Avrigue”.
Trovi pace nei
nostri ricordi.
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In quel lembo
di Ponente vicino alla Francia Hermione rivolgeva il suo sguardo verso il nord.
L’Inghilterra sembrava distante anni luce, eppure c’era solo un lenzuolo di
terra a separarla da essa. Li il mondo dei maghi andava in pezzi. Ora che
Voldemort non temeva più nulla l’anarchia avrebbe preso il sopravvento. Molto
probabilmente Hogwarts era già un lontano ricordo e le lettere che fino a
qualche anno prima Draco si ostinava a spedire a Carys avevano subito la stessa
sorte.
Una lacrima
rigò il volto, ormai indurito dal dolore, della ragazza. Orami aveva perso
tutto ciò che amava e tutto ciò in cui credeva.
La domenica lasciava a casa Remus nella sua disperazione e si spingeva in paese, per la Messa grande.Quando la solitudine le stringeva il cuore, saliva sulla rocca a parlare con Carys. Il resto del suo tempo lo consumava in una liturgia di abitudini che riuscivano a difenderla dall’apatia. Ogni tanto nelle giornate di vento, scendeva fino al mare e passava ore a guardarlo, giacchè, disegnato sull’acqua, le pareva di vedere l’inspiegabile spettacolo, lieve, che era sta la sua vita.