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Autore: ShunLi    24/03/2012    1 recensioni
"Francesco era un soldato, uno scagnozzo di Cesare, un uomo. Un uomo con un passato che pensava di aver dimenticato, e invece con la presenza di Ezio Auditore, si faceva di nuovo strada nella sua vita." Fanfic/esperimento su come un pg non affatto considerabile in AC:B, possa diventare all'improvviso un soggetto particolarmente interessante ouo Buona lettura!
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ezio Auditore, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Qualsiasi cappuccio che fosse bianco, nel raggio di chilometri nelle lunghe e luminose piazze di Roma, era di sicuro un assassino. Quindi, noi guardie di Cesare Borgia, accerchiavamo quello che doveva essere per forza il nostro obiettivo e poi, la donna spaventata che indossava quel candido colore, scappava via terrorizzata chiamandoci inetti e incompetenti. L’ennesimo fallimento, l’ennesima sconfitta. Gli Assassini ce la facevano sotto il naso e noi poveri cani a stargli dietro, ma mi sembrava che invece di braccarli e ucciderli, giravamo in tondo cercando di prendere le nostre code, come animali impazziti. Mi sembrava inoltre di lavorare da una vita nell’esercito dell’ispanico Borgia, che risiedeva ormai nella mia città, comandandola e riverendola, trattandola come se fosse una donna alla quale le si doveva offrire un sacrificio. Roma non era così. Roma è allegra, accecata dalla lussuria e dalla bella vita. E’ calda e misteriosa, sa donarti il cuore e sa pugnalarti a dovere, se la tradisci. Io non sapevo se la stavo tradendo, servendo Cesare Borgia. Ma l’ispanico pagava bene e mi dispiaceva per la mia adorata Roma, ma preferisco vestire in divisa e portare un arma, piuttosto che vivere di stenti e vendere il mio corpo per sopravvivere. Già, vendere il mio corpo… All’inizio non fu piacevole. Proprio per niente. Il culo bruciava sempre più, anche quando lo davo più di tre volte al giorno. Il mio nome era così tanto sussurrato tra i deviati, che arrivai a servire i signorotti alla Rosa in Fiore. Nessun uomo era ammesso dentro quelle mura, a meno che non sapevi portare con grazia un corpetto e avevi un igiene personale impeccabile. Io avevo quei requisiti e anche se non indossavo più il corpetto, li avevo ancora. Per questo mi piaceva portare la maglia della divisa più stretta della mia misura attuale e scherzare con i miei compagni di plotone sul sedere delle cortigiane a passeggio. In questo modo nessuno poteva notare quanto io fossi differente da loro. Di quanto avessi vissuto più io di Roma e di tutte le sue bellezze rispetto a questi giovani baldi ancora senza barba. Di come conoscevo il nome di ogni cortigiana che mi passava davanti agli occhi.

E ultimamente le loro chiacchere si facevano sempre più chiare alle mie orecchie.
Ezio Auditore, colui che teneva unita la Fratellanza degli Assassini, era solito frequentare le giovani e prosperose cortigiane che affollavano la piazza durante la calura estiva. Sotto quei vessilli che con tanto ardore portava, pulsava qualcosa che le ragazze non avevano mai visto, nè “sentito dentro” con tanto vigore. La curiosità cresceva, in rare occasioni avevo davvero goduto di quelle poche unioni che avevo avuto con bellissimi uomini di Roma e non, ma non riuscivo a spiegarmi il perchè le cortigiane, che di solito sputavano veleno e sentenze anche per il solo minimo errore da parte di un uomo, fossero tutte indiscriminatamente d’accordo su ogni dettaglio. Nessuna contraddiceva. Nessuna faceva occhiatacce. Nessuna aveva mai detto “ho dovuto fingere con quell'adone vestito di bianco.” Niente. A quel punto la mia curiosità era arrivata al limite. Il mio vecchio lavoro stava riportando a galla vecchi trucchi che mi avevano fatto andare avanti in questa Roma tortuosa di viuzze poco rassicuranti. La notte successiva riuscì a parlare con una mia vecchia conoscenza e la invitai ad entrare alla Volpe addormentata.
Rosa si sedette con grazia sullo sgabello al bancone. Ordinai due birre e lei cominciò a raccontare, senza altri fronzoli. Lei sapeva su cosa volevo essere informato. Il suo charme e la sua acutezza erano spaventose, ma al Rosa in Fiore erano utili.
“Era da tanto che non ti vedevo, mio caro Francesco.”
“Ho avuto il mio daffare.”
Rosa bevve un sorso dal suo bicchiere. Si leccò con fare lascivo le labbra. “Tesoro, l’unica cosa con cui dovresti avere gran daffare è torturare e sedurre Cesare Borgia. E’ talmente duro e arrogante che avrebbe bisogno di un altro uomo per dominarlo. Tu saresti di sicuro quello che lo potrebbe legare a letto.”
Per poco la birra non mi andò di traverso.
“Rosa, ti prego…”
“Ti prego proprio un bel niente, è l’uomo più bello che io abbia mai visto.”
“Più bello di Auditore?”
Prima di rispondere, Rosa scrutò tra i tavoli del locale. Bevve un lungo sorso e poi finalmente disse quello che volevo sentire.
“Auditore è molto più bello. E anche molto più duraturo. In pratica… Potrebbe continuare per ore. E’ un amante eccezionale.” La voce di Rosa si assottigliò, diventando un suono solo di pura lussuria. Ripensando all’Auditore si era morsa il labbro, era arrossita. Giocava nervosamente con l’arricciatura del suo splendido vestito oro e blu. Aveva sospirato in modo indecente, tanto che il barista si era fermato a guardarla e La Volpe, con uno schiaffo sul cozzetto, lo aveva fatto tornare al lavoro. Il vecchio Volpone ci passò vicino, sorridendo come di consueto. Di solito La Volpe non badava a chi frequentasse il locale, ma io, che ero comunque un nemico degli Assassini, facevo eccezione. E Rosa era sempre la benvenuta. Era la pupilla di Gilberto.
“Rosa! Mio dolce fiore…”
“Buonasera Gilberto.”
Rosa diede un bacio a fior di labbra a Gilberto e quest’ultimo si limitò a passarle la mano su tutta la schiena, attardandosi sull’osso sacro.
“Sei uno splendore.”
“E i tuoi occhi sono davvero luminosi stasera. Hai per caso visto Machiavelli?”
La Volpe rise. E si allontanò ridendo. Rosa aveva ancora una volta ragione. Come facesse, io davvero non lo avrei mai saputo.

“Torniamo a noi. Auditore. Ti piacerebbe incontrarlo?”
Stavolta sputai la birra su tutto il banco. Il barista mi guardò, spiazzato, montando una rabbia che non avevo mai visto. Mi buttò uno straccio in faccia e puntò il dito sul disastro. “PULISCI!” e cominciai a strofinare.
“Io… Ero solo curioso. Non voglio incontrarlo.”
“Ma certo, altrimenti Cesare potrebbe metterti alla gogna… Non mi prendere per i fondelli.”
Arrossì, ma lei non vide il mio sguardo tormentato. Non riuscivo più a vedere il banco di legno. “Senti Rosa, ho sentito delle voci e volevo conferme. Non ho voglia di tornare alla mia vecchia vita. La curiosità è stata forte e perciò ho chiesto come stanno le cose, tutto qui…” Non sapevo se la mia voce fosse convincente, ma Rosa non disse più nulla. “D’accordo piccolo… Hai ragione nel dire che la tua vecchia vita non ti manca, ma… Se qualche dubbio comincia a raffiorare, vuol dire che non sei riuscito ad abbandonarla del tutto.”
Rosa si alzò, si mise il cappuccio, salutò La Volpe e il resto della combriccola presente lì dentro e se ne andò, lasciandomi come un cretino nella pozza di birra che il banco di legno stava lentamente assorbendo.

Non sono riuscito ad abbandonare la mia vecchia vita, mi ripetei nei giorni seguenti. Guardo i miei compagni che si smazzano, pur di essere tra le grazie di Cesare. Leccare il culo ad un viscido ispanico che ha preso tra le redini il Destino di Roma. Vivere sapendo che quest’uomo in parte non sa cosa sta facendo. Tutto ciò è disgustoso. Mi sentì un moto dentro che mi fece venire il voltastomaco. Realizzai che, come romano, facevo schifo. Non ero degno di questa città, nè di far parte dell’esercito di Cesare.

Qualche ora più tardi, mi sedetti sconfortato all’ombra di un pilastro, nella piazzetta appena fuori dal mio campo. Faceva ancora più caldo del giorno precedente. Forse era il mio stato d’animo che mi faceva accaldare così. O forse erano i cappucci bianchi che vedevo in lontananza. Ma ormai non avrei più seguito un cappuccio bianco per imbrattarlo di sangue. Ma solo per domandare loro in che modo avrei potuto incontrare Ezio Auditore. Il racconto di Rosa mi aveva sconvolto dentro in qualche modo. Poggiai l’arma sulle mie gambe per celarmi il viso con le mani, tentando di cacciare qualsiasi sensazione che non mi facesse stare bene.
“Ma cosa sto facendo?” Mi domandai. Non ero più sicuro di me e della vita che stavo facendo. Se potessi ricominciare da capo, mi dissi, forse sarebbe potuto andare tutto diversamente.

-Se qualche dubbio comincia a raffiorare, vuol dire che non sei riuscito ad abbandonarla del tutto-

Rosa aveva ragione. Maledettamente ragione. Non ero un uomo che cedeva alle lacrime, ma se avessi potuto piangere, a quest'ora anche i miei compagni si sarebbero chiesti se fossi uscito di senno.
“Devo trovare un modo per ricominciare.”
“Che ne diresti di un bacio per iniziare?”

La voce alle mie spalle aveva un timbro rauco, profondo. Si portava dietro una saggezza che Cesare non possedeva. Una verve che fa sciogliere chiunque in brodo di giuggiole.
Ezio Auditore era alle mie spalle, la sua figura imponente ma delicata facave sparire tutto ciò che era intorno a me. La mia lancia rimase in equilibrio sulle mie gambe e non riuscì a muovere un muscolo. Ezio aveva due meravigliosi occhi color oro e un aspetto vigoroso e forte, ma stanco in qualche modo. L’ombra del suo cappuccio mi impediva di guardarlo meglio.
“Come hai fatto ad entrare?”
“Qualsiasi passaggio non ha segreti per me.”
“Do-do… Dovrei gridare Assassino e farti catturare, Cesare ti vuole vivo.”
“Cesare può desiderare ciò che vuole, ma tu, Francesco… Cosa desideri tu?”
Mi lasciò senza fiato. L’Assassino si fece più vicino, pericolosamente più vicino.
“Come sai il mio nome?”
“Rosa mi ha spiegato tutto. E’ davvero una ragazza intelligente.”
I muscoli all'improvviso reagirono e cercai di afferrare la lancia, ma Ezio bloccò con prontezza i polsi. Non potevo resistergli ormai.
“Forse dovresti ringraziarla.”
“Non credo siano affari di un Assassino.”
Ezio rise.
“Allora lascia che almeno per questa volta, mi occupi solo di un affare, e me ne andrò…”
Con le braccia tese all’indietro e la testa piegata di lato, Ezio prese a baciarmi. Fu un tocco leggero, ma carico di chissà quali promesse per il futuro. Ezio mosse le sue labbra con lentezza e sensualità. Sentì l’erezione che pulsava nei pantaloni. Il fiato si fece corto e la maglia era divenuta ad un tratto una fastidiosa morsa. Chiusi gli occhi, aprendo la bocca, chiedendo di più, gemendo quanto bastava. Ma Ezio era già sparito. Riaprì gli occhi per ritrovarmi solo, in balia adesso di un grande vuoto e di un grande calore che mi attanagliava il petto. Vicino a me notai un biglietto. Lo aprì con mani tremanti. Scritto in una grafia elegante, vi era segnato un orario e un luogo d’incontro. Con una nota.

“Ricominciare è stato facile vero?”

Sorrisi.

Mi alzai e abbandonai la lancia e il cappello sulla lastra di pietra. Con quel bacio, avevo compreso cosa dovevo fare, e a quale Fede dovevo credere.

A quale cammino dovevo seguire. Quello di Ezio Auditore e del suo corteo di cappucci bianchi.
  
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