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Autore: yan_mazu    22/10/2006    7 recensioni
«Era stanco di tutti quei forse. Era stanco della burocrazia, di dover firmare documenti su documenti, di non poter mettere piede fuori di casa senza avere la sua scorta - anche se la sua scorta comprendeva LEI. Stava incominciando a pensare che non esistesse un Roy Mustang al di fuori di quella dannata divisa blu, e non poteva di certo lasciare il paese in mano a un uomo che a malapena si ricordava di esistere in quanto tale.»
Una volta tanto ho scritto e concluso (!!!) una fanfic. E' "ispirata" al capitolo 63 del manga di FMA (intitolato, guardacaso, «A 520 cenz promise»), per l' esattezza alla pagina 4 del capitolo. Può una fanfic ispirarsi a una pagina sola tralasciando tutto il resto? Beh, questa lo fa. Casomai prendetevela con lei >.> Fruibilissima da chiunque conosca un minimo quel bell' uomo di Roy XD
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Roy Mustang
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una volta tanto ho scritto e concluso (!!!) una fanfic. E' "ispirata" al capitolo 63 del manga di FMA (intitolato, guardacaso, «A 520 cenz promise»), per l' esattezza alla pagina 4 del capitolo. Può una fanfic ispirarsi a una pagina sola tralasciando tutto il resto? Beh, questa lo fa. Casomai prendetevela con lei >.> Non contiene spoiler, soltanto un riferimento a un determinato avvenimento che accade nel manga, ma probabilmente chi non lo conosce lo interpreterà soltanto come «cosa strana», non vi vengo certo a dire che * ******** ** *****, nel manga, ******* ****** ** **** * *** ** ***... XD
In ogni caso, una «breve» (sono pur sempre logorroica) riflessione su come potrebbe agire Roy in una determinata situazione. Va bene... smetto di parlare e vi lascio alla fanfic... se mai qualcuno leggerà... ultimamente la gente non legge mai quello che scrivo, non mi ascolta proprio XD

Roy Mustang osservava indeciso l’ uomo che gli stava dando le spalle e che tanto minuziosamente stava cancellando una ad una le lettere dipinte sulla targa posta all’ ingresso del suo ex-ufficio.
Della scritta “Führer Roy Mustang” non rimanevano che una A, una N e una G.
Si chiese se avesse preso la decisione giusta.
«Roy Mustang… è un po’ tardi per tirarsi indietro», pensò. Sospirando, prese lo scatolone che conteneva le sue cose e scese le scale, sperando di passare il più inosservato possibile.

Il vasto salone del palazzo era stato addobbato a festa sin nei minimi particolari: la cerimonia di quella sera doveva essere semplicemente perfetta, non un singolo dettaglio era stato lasciato al caso.
Sarebbe stato un peccato perdersi la festa, e con il passare degli anni, forse, l’ avrebbe rimpianto. Ma in quel momento Roy desiderava solo correre a casa e infilarsi sotto alle coperte per dormire una settimana intera. O anche di più. Quanto bastava a far tacere il chiacchereccio delle persone, i giornalisti, i fotografi e chiunque altro avrebbe voluto avvicinarlo per parlargli della questione. Non se la sentiva proprio di commentare il suo operato, perché non ne era affatto sicuro. Aveva speso i migliori anni della sua giovinezza - quante altre donne avrebbe potuto sedurre se avesse avuto più tempo? - a cercare di raggiungere quel posto tanto agognato, e ora che ci era riuscito… Meglio non pensarci. Lui, quello che poteva fare, l’ aveva fatto. L’ unico insegnamento che aveva voluto dare al suo paese, l’ aveva dato. Ora stava ai suoi abitanti occuparsi di loro stessi.
Ma più si sforzava, più il tarlo del dubbio si annidiava nella sua mente.
E se non fossero ancora stati pronti?
E se avessero preferito continuare a quel modo?
Forse la sua decisione era stata avventata. Forse avrebbe dovuto indire un referendum e ascoltare il parere della gente, forse avrebbe dovuto aspettare del tempo, forse, forse, forse… Era stanco di tutti quei forse. Era stanco della burocrazia, di dover firmare documenti su documenti, di non poter mettere piede fuori di casa senza avere la sua scorta - anche se la sua scorta comprendeva LEI. Stava incominciando a pensare che non esistesse un Roy Mustang al di fuori di quella dannata divisa blu, e non poteva di certo lasciare il paese in mano a un uomo che a malapena si ricordava di esistere in quanto tale. Forse gli abitanti di Amestris l’ avrebbero considerato un codardo, un vigliacco. Non appena il peso delle responsabilità si era fatto pesante e opprimente, lui aveva trovato quella comoda scappatoia per sfuggire al suo dovere.
Un po’ come dire ad un intera nazione «adesso sono fatti tuoi».

Sospirò, e abbassò lo sguardo.
Il contenuto del suo scatolone sembrava volerlo sbeffeggiare.
Era sicuro di aver messo, in cima a tutto il resto, una pila di scartoffie non troppo importanti, ma che era troppo pigro per visionare, in modo da poter decidere se valesse la pena conservarle o meno. E invece, forse a causa del trambusto, in cima ai resti dei suoi possedimenti, troneggiava beffarda la foto di Maes Hughes, sorridente come al solito. La divisa slacciata, un paio di foto tra le mani e l’ indice della mano destra puntato al suo sorriso. Come se volesse dire «guardami, dopotutto, io sono felice».
Roy sollevò il volto, e per la prima volta si mise a osservare, al di là dello sfarzo e degli addobbi del salone, le decine di persone che trotterellavano indaffarate.
Sorridevano.
Forse la risposta a tutti i suoi dubbi stava proprio lì. Quelle persone che in quello stesso momento si stavano dando da fare per il futuro del loro paese - si trattasse di qualche individuo dall’ aspetto importante o della più frivola segretaria - sembravano, dopotutto, felici.
Nonostante tutto, felici.

Roy sospirò ancora una volta. Non riusciva proprio a torvare pace. Anche se in quel momento tutti i presenti si fossero voltati verso di lui, esclamando all’ unisono «ben fatto, Roy Mustang!», lui si sarebbe sentito mancare qualcosa dentro.
La sua ascesa al potere era stato uno sforzo di gruppo, come il movimento coordinato di tutti gli arti di un unico corpo, teso ad adempiere uno scopo comune. E lui, il suo scopo, l’ aveva raggiunto.
Ora che aveva preso quella decisione di testa sua, gli sembrava quasi di aver tradito quello stesso corpo che gli era rimasto fedele fino all’ ultimo.
Oh, certo, gli avevano tutti detto che si trattava senza dubbio di un’ ottima idea, questo era vero. Ma l’ avevano detto a Roy Mustang o al Führer?

Una persona, passando di fretta accanto a lui, lo urtò leggermente. Roy, sovrappensiero, ebbe un sussulto, e lasciò che parte dei documenti che teneva stretti sotto al braccio gli scivolassero e finissero per terra, sul fine pavimento in marmo.
Sbuffando, si chinò a raccoglierli.
«Dovreste stare più attento, Colonnello Mustang.»
«Non sono più Colonnello da un bel pezzo… Havoc.»
Roy aveva riconosciuto l’ uomo che si era chinato accanto a lui alla prima occhiata.
«Uhm… lo so. Ma per noi rimarrete sempre il nostro Colonnello.»
Per un attimo lui non rispose. Non sapeva se sentirsi più commosso per la visione di Havoc, che camminava tranquillamente accanto a lui sulle sue «nuove» gambe, o se per quel gesto d’ affetto di quel «noi», che comprendeva gli uomini più fedeli che Roy avesse mai incontrato.
«Quella di questa sera sarà senza dubbio una grande festa. Non siete ansioso?»
Roy sorrise e battendogli amichevolmente una mano sulla spalla, si scusò in anticipo per la sua assenza.
«Me ne starò ben tranquillo nella mia stanza questa sera, Havoc. E anche la prossima se fosse possibile… e quella dopo ancora.»
«E’ un vero peccato», rispose l’ altro, con fare pensieroso. «LEI rimarrà sicuramente delusa quando lo verrà a sapere. Aveva fatto tanta fatica per organizzare tutto nel suo appartamento… Non sarà troppo contenta di dover spostare tutto il necessario nella sua stanza, Colonnello.»
«Lei…? Chi…? Havoc, quando dicevo “tranquillo” intendevo dire…»
Jean non gli diede il tempo di terminare la frase.
«Roy Mustang, non lasceremo solo l’ uomo che ha realizzato il nostro sogno il giorno in cui questo diventa finalmente realtà. Non mi aveva forse detto che mi avrebbe aspettato una volta arrivato in cima? Spero non voglia ritrattare proprio adesso e lasciarmi qui, a un passo dalla vetta.»
Roy scosse il capo, sconsolato, e accomiatandosi da Havoc con un cenno di saluto, riprese la strada verso la sua macchina.
«Colonnello, dove…?»
«A posare questo dannato scatolone una volta per tutte.» Jean sorrise.

Finalmente Roy intravide la sua macchina, parcheggiata a qualche decina di metri dall’ ingresso del palazzo.
«Fatemi trovare la mia macchina, senza autista, giù all’ ingresso» era stato l’ ultimo ordine che avesse impartito, quella mattina, poco prima di ufficializzare la cosa con un paio di firme su qualche documento.
Naturalmente, però, il posto di guida era occupato.
«Hawkeye…», disse Roy sedendosi accanto alla donna, nel lato del passeggero.
«Come sapevi che non avrei partecipato alla festa di questa sera?», chiese, dopo avere aspettato un po’ nel più completo silenzio.
«Nessuno le ha preparato un abito adatto», rispose lei, con quel tono serio che la contraddistingueva.
Roy avrebbe voluto chiederle molte altre cose. Sembrava che lì dove lui perdeva il filo di se stesso, Riza fosse pronta a indicargli come sbrogliare quella matassa aggrovigliata che ultimamente gli sembrava di essere. Certe volte sembrava conoscerlo così maledettamente bene.
«Lo so, non ha voglia di festeggiare.»
Come quella volta, ad esempio. Era davvero un libro così aperto?
«Ma non c’è nulla per cui privarsi di un buon sorso di vino e della compagnia di qualche amico. Non ha fatto un torto a questa nazione… le ha fatto il più grande favore che un singolo uomo potesse fare».
Forse non era nemmeno un libro, ma un volantino.
Stampato a caratteri cubitali, per di più.
Avrebbe voluto dirle così tante cose in quel momento, che l’ unica parola che riuscì effettivamente a pronunciare fu uno strascicato «grazie».
Con un cenno, fece intuire a Riza di mettere in moto la vettura.
Si sentiva sollevato, ora. I suoi dubbi - i suoi innumerevoli dubbi - riguardo alla correttezza, morale e strategica, della sua azione ancora gli invadevano la mente, con conseguenti visioni catastrofiche e apocalittiche di un’ Amestris che, in un caso, lo tacciava di vigliaccheria e codardia, nell’ altro, ben più grave ai suoi occhi, finiva per rovinare se stessa, persa senza una guida decisa e imposta.
Ma almeno, in entrambi i casi, non sarebbe stato solo. Di questo ne aveva appena avuto la certezza.

Tuttavia un unico, singolo cruccio intaccava quella sicurezza. Come se ancora mancasse qualcuno all’ appello, come se si fosse scordato di qualcosa di importante, in mezzo a tutte quelle cose che l’ avevano distratto in quell’ ultimo periodo.
Stava riflettendo proprio su questo quando Riza accostò l’ auto al bordo della strada, dopo aver percorso all’ incirca un centinaio di metri dal grande cancello d’ ingresso finemente lavorato del palazzo.
Si voltò verso la donna per chiedere spiegazioni, quando sentì bussare al suo finestrino.
«Colonnello, non speravo più di trovarti qui», commentò Edward una volta che Roy ebbe abbassato il vetro. Lui rimase in silenzio, non certo di avere afferrato il senso delle parole di Ed.
«Non fare il finto tonto… Come se non sapessi che avresti cercato di svignartela.»
«Cosa vuoi, Fullmetal?», tagliò corto Roy, quasi indispettito del fatto che anche un soldo di cacio impertinente come Ed avesse previsto le sue mosse con estrema facilità.
«Tieni», aveva detto, cominciando a frugare tra le tasche dei pantaloni. «I tuoi 520 cenz. Non uno di più, non uno di meno.»
«Miei…?»
«Siamo un po’ lenti, eh? Sarà la vecchiaia? Pensavo che almeno ti saresti ricordato della nostra promessa. Ti avrei restituito i tuoi soldi una volta che avresti fatto di Amestris una democrazia.
Beh, la tua parte l’ hai fatta. E non sia mai che Edward Elric non paghi i suoi debiti».

Ora che la macchina si stava allontanando lentamente dal bordo della strada, ora che Roy poteva vedere Ed salutarlo dallo specchietto retrovisore, ora che stringeva nella mano quelle poche monete, quel piccolo cruccio se n’ era finalmente andato.
Improvvisamente, Roy aveva voglia di festeggiare.
«Hawkeye?»
«Sì?»
«Pensavo che sarebbe stupido, arrivati a questo punto, aspettare fino a stasera», le disse, mostrandole la mano aperta con i 520 cenz.
«Perché non andiamo a bere qualcosa solo io e te?»

  
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