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Autore: Pinguino a pois    24/03/2012    0 recensioni
Questa fanfiction doveva essere per un contest, ma ho deciso di riprenderla solo a mesi di distanza, modificandola radicalmente. E' la storia di un ragazzo in procinto di cimentarsi con l'Esame di Stato. Buona lettura.
Genere: Comico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La cosa mi sta innervosendo, ed anche parecchio. Sono seduto da tre ore vicino alla scrivania. Credo sia il mio nuovo record personale, peccato non possa gioirne più del dovuto: davanti a me, a ridosso della parete costellata da foto e poster, parallele le une alle altre, si stagliano ben tre pile di libri che aspettano ancora le mie amorevoli cure. Almeno ho quasi finito di scrivere la tesina; anzi, diciamo che sono a metà dell'opera; anzi, diciamo che sostanzialmente ho scelto solo il tema centrale ...

... sono rovinato!

Va bene, manteniamo la calma e ragioniamo: sono agli inizi di Giugno. Ho circa un mese. Ho un fottutissimo mese per far entrare nella mia testa un anno di nozioni di dieci materie diverse.
Merda, perchè ho scelto il liceo, per giunta scientifico? Quando ,a tredici anni, cinguettai l'innocente "mamma voglio fare l'ingegnere", che cazzo mi stava passando per la testa? Forse avevo un’inconscia vena masochista. Probabilmente fu una cosa passeggera, tipo il raffreddore, perché adesso l'idea di fare l'ingegnere mi disgusta: al secondo anno ho scoperto di provare un 'avversione per la matematica tale da farmi salire il sangue al cervello ogni volta che sento nominare le parole "disequazioni" o "integrali".
Non che odi le altre materie. Diciamo che le sopporto di più. Ecco, forse dovrei iniziare da qualcosa che possa invogliare la mia mente estremamente pigra a lavorare.

Guardo i due libri di italiano, un mattone rosso e un altro grigio, che svettano con aria minacciosa dalla cima della colonna centrale. Mi avvilisco e faccio scorrere la visuale verso il basso: per qualche istante mi ritrovo a fissare intensamente il libro di fisica.
"La fisica di Amaldi": puah! Vorrei tanto sapere cosa hanno bevuto l'autore e l'editore prima di scrivere e far pubblicare un simile obbrobrio: l' 80% delle formule riportano lettere che non so nemmeno pronunciare. Credo mi stia venendo una crisi d'ansia. Io non ho mai fatto un cazzo di magnetismo e chissà-cosa-altro; per giunta ho il commissario esterno, non posso nemmeno abbuonarmi quella tonta di Franca Barra, quindi devo fare uno sforzo ... uno sforzo che non compirò oggi.

Ripiego sulla filosofia, probabilmente in un inconscio tentativo di fuga dall'immagine della piccola e cicciottella professoressa che mi passa dolcemente una mano tra i capelli e, ignorando i miei diciotto anni e il mio metro e ottanta, mi fa: « Che nel biondino scansafatiche che abbiamo qui! Quando vogliamo studiare le leggi di Ohm, eh? Eh? » Trattengo un conato di vomito: cosa sono arrivato a fare per una misera sufficienza!

Un secondo conato di vomito arriva quando penso al professore di filosofia, tale Diego Mazzavillani; precisamente arriva quando immagino l'odore d'alcool partire dalla sua bocca per investire la mia faccia alla stregua di un pugno ben assestato. Tranne questo "piccolo" difetto, però, glielo riconosco: ha un più che discreto successo con le donne. Io al contrario lo trovo bizzarro, un incrocio tra l'iconografia di Gesù e uno di quei motociclisti americani che fanno vedere in televisione.
L'idea che possa avere una tresca con Stella Esposito, la professoressa di Arte, o almeno da come racconta la mia compagna di banco, mi diverte alquanto: immagino la donna, non propriamente magra e con il solito vestitino floreale, aggrappata alle spalle dello spilungone con la giacca di pelle nera e i lunghi capelli al vento, in sella alla rinomata motocicletta.

Evidentemente ho riso ad alta voce senza accorgermene, perchè è appena entrato il mio fratello minore e mi guarda come se fossi un indemoniato. Ovviamente in tutto ciò il libro di filosofia è ancora chiuso tra le mie mani. Stramaledetti viaggi mentali!
In ogni modo il piccoletto sembra aver rimosso velocemente la scena penosa, perché, mentre io apro il libro e faccio scorrere svogliatamente le pagine per dare l'impressione di essere impegnato e quindi di non voler essere disturbato, mi pigola:

« Vincenzo, Vincenzo, vieni a vedere i cartoni con me? »

Va bene, come attore sono negato. Ma io devo davvero studiare, merda! Come lo liquido senza farlo scoppiare in lacrime e senza sentirmi in colpa a prescindere dal fatto che possa frignare o meno? Pensa, pensa ...

« Luchè, perchè non lo inizi a guardare da solo? Io ti raggiungo dopo, promesso »

Il moccioso inizialmente fa tremare il labbro inferiore. Sento un sonoro "crack" all'altezza del petto: anche se venti ore su ventiquattro ci prendiamo a morsi e a calci, gli voglio bene; non glielo dico solo perchè ritengo la cosa poco virile, ma in compenso mi sento parecchio scemo per questa concezione beota dell'ostentazione dell'amore fraterno. Giuro a me stesso di ripetere almeno un filosofo e poi di precipitarmi dal marmocchio che alla fine mi sfoggia un bel sorrisone, annuisce e poi saltella verso la cucina, sbattendomi la porta in faccia. Io invece abbasso lo sguardo sul libro ormai aperto, notando che ho sfogliato fino a Feuerbach: « l'uomo è ciò che mangia »,leggo in grassetto.
Inevitabilmente sento un brontolio all'altezza dello stomaco.
L'idea di mangiare un tramezzino al tonno mi diletta alquanto, ma quella - piuttosto stupida, nata dalla classica storpiatura della citazione dell'esimio filosofo tedesco - di diventare a mia volta un tonno e non avere più la facoltà di tornare a studiare mi fa prontamente desistere. Magari assalto il frigo quando vado dallo "sgorbio" a vedere l'ennesimo cartone della Disney che la tv propone ogni domenica mattina. Dopotutto sono un maturando, devo mangiare: oh, l'ha consigliato pure Franca Barra!

Meglio tornare al "dietologo" e alla sua « unità psico-somatica ». Sono sicuro che queste due paroline non le ricorderò mai, figurarsi a pronunciarle correttamente davanti alla commissione d'esame. Mi consola che nemmeno il professor Mazzavillani ha simili capacità, soprattutto se lo metti davanti a una delle mie compagne di classe dal davanzale particolarmente sporgente ... o magari se è brillo. Inoltre a lezione non gli ho mai sentito pronunciare un concetto simile: si preoccupava più della concezione di Dio del fottuto filosofo, giusto per fare il parallelo con l'alienazione religiosa di Marx e definire quest'ultimo « uno schifoso e utopico comunista ».
Sia mai dargli torto, per carità: anche per me un sistema economico basato sull'inesistenza del guadagno personale mi pare una vaccata, come anche l'improbabile uguaglianza tra gli uomini. D'altronde se mia madre ama lamentarsi con la vicina di avere un figlio particolarmente cinico e con uno spirito da crudele fomentatore, dovrà pur esserci un motivo.

Mi viene in mente un episodio, a proposito di Marx. Una volta provai a introdurre un discorso profondo e intelligente su di lui, a cena, dopo essermi smazzato tutto il pomeriggio a comprendere i DMD e DMD' del "Capitale" per l'interrogazione del giorno dopo: come risultato ho avuto un espressione inebetita da parte di mio padre, reduce da una giornata di straordinari, e uno sbuffo scocciato da parte della consorte che invece voleva guardare la sua telenovela; mio fratello era l'unico che sembrava sforzarsi di comprendere cosa dicevo, povero piccolo, e l'ho ricompensato con una barretta di cioccolato della mia scorta segreta.

... ma mi sto perdendo di nuovo, e come se non bastasse mi sento anche un po’ ignorato - se non addirittura triste. Va bene, nella mia famiglia sarò anche il primo che si diploma, ma un minimo di partecipazione non guasterebbe per il mio già pessimo umore che si perpetua dal 15 settembre.

Ho capito: non sono proprio nelle condizioni di studiare. Lasciamo stare Feuerbach e Marx: ora me ne vado in cucina, recupero del gelato - 'sti cazzi se mi rovino l'appetito - e affondo nel divano a guardare la televisione con lo sgorbio.

Dunque mi alzo dalla scrivania e lancio un’ultima occhiata ai libri, mentre mi avvicino alla porta della mia camera. La apro e percorro il corridoio strusciando i piedi sul pavimento, non ho voglia nemmeno di camminare con il caldo che fa. Intanto sento già la televisione recitare delle battute con voce gracchiante e stizzita, facendone poi seguire un’altra altrettanto maschile ma più quieta.
Che cazzo starà guardando? Deve essere qualche cartone davvero vecchio, perchè le due voci mi risultano terribilmente familiari; inoltre avverto mia madre cinguettare tutta eccitata:

« Quanto tempo è passato, saranno almeno dieci anni! Enzino alla tua età era capace di guardarlo anche cinque volte di fila dalla videocassetta! »

Quella donna mi fa salire il sangue al cervello quando mi chiama "Enzino", soprattutto quando utilizza quel tono schifosamente mieloso, quasi stesse parlando ad un minorato mentale. Evidentemente il suo interlocutore è Luca, che lamentandosi quasi strilla:

« Shhhh, mamma! Fammi sentire cosa dice il signore con le zampe da capra! »

"Signore con le zampe da capra"?
Ormai sono sulla soglia della cucina. Mia madre è vicina ai fornelli, intenta ad iniziare i preparativi del pranzo domenicale, ma ha il tempo di voltarsi e guardarmi con una faccia strana, come se si aspettasse qualcosa da me.
Io ricambio con un’occhiata volutamente e teatralmente perplessa, dato che in realtà non me ne frega niente, prima di voltarmi verso il divano e la televisione. Mi ritrovo a guardare un giovanotto impegnato a seguire un super-addestramento, con tanto di canzoncina di sottofondo ...

... HERCULES?!

Evidentemente mia madre aspetta io faccia i salti di gioia o qualche boiata simile, ecco perchè mi sta ancora fissando in quel modo. Peccato che l'idea di guardare quel cartone per la centesima volta, come lei stessa aveva detto nemmeno un minuto prima, mi renda felice quasi quanto ricevere un calcio nelle palle da un giocatore di football americano.
Luca intanto si è messo a cavalcioni sul divano e, appoggiandosi allo schienale, oltre il quale riesce a far sbucare solo la testolina castana, mi sfoggia l'ennesimo sorrisone.

« Vincenzo, Vincenzo, vieniti a sedere! »

Io riesco a rispondergli solo con un ben poco entusiasta:

« Un attimo, scimmia. »

Mio fratello sbuffa e protesta con qualcosa tipo: « Senti chi ha parlato, il gorilla », poi torna a voltarsi verso lo schermo. Invece mia madre, dato che ho amorevolmente calpestato il suo tentativo di mettermi di buon umore - mica sono tanto scemo da non averlo capito! - solleva esasperata lo sguardo verso il soffitto e poi torna a combattere con il pollo.

Io intanto mi sono avvicinato con nonchalance al frigo. Apro il congelatore e poi i vari cassettoni, beandomi del freddo, ma il gaudio finisce presto.
Niente gelato. Sento il mio stomaco protestare di nuovo. Sembra anche che la pelle abbia iniziato a ribellarsi capricciosamente, dato che ho l'orrenda sensazione di iniziare a sudare come un maiale che è stato appena infilato vivo in un forno.
Non voglio fare la fine di quel suino, cazzo!

« Oh, bellezza » azzardo verso la donna che adesso sta affettando un pomodoro. Fisso il coltello, deglutisco e proseguo: « c'è niente di freddo da ingurgitare? »

« Ingu-che? » mi fai lei candidamente.
A volte dimentico che non posso usare vocaboli troppo impegnativi, o che non abbiano un corrispettivo di facile intuizione nel dialetto napoletano, soprattutto se il tuo interlocutore ha a malapena conseguito una terza media che ai suoi tempi era un gran traguardo e che ora vale meno della frequentazione dell'asilo.

« Da mangiare, mamma! Da magnà! » Lo specifico, utilizzando sia l'italiano sia il mio orrendo dialetto. Mio padre mi ride sempre in faccia quando provo ad usarlo, sembro un tamarro che cerca di parlare l'inglese, toppando inevitabilmente anche la pronuncia delle vocali. Più tempo passa più sono convinto che alla mia nascita, in ospedale, mi abbiano infilato nella culla sbagliata. Ti vengono spontanee certe considerazioni quando in una famiglia di mori e castani con la pelle perennemente abbronzata tu sei l'unico con i capelli biondi, gli occhi verdi e la pelle bianca come il latte. Al diavolo la genetica e Mendel con i suoi piselli, questa è una punizione divina in piena regola!

« Ahhhh, mò aggia capit. (*) » sta intanto dicendo mamma, richiamandomi alla realtà. Mi sta ficcando sbrigativamente tra le mani una scatola di plastica congelata e due cucchiai. « Và addò frat-t e fà 'o brav! (**) » mi avvisa poi, o almeno credo: lo deduco dall' occhiata di fuoco che mi lancia.

Quanto la adoro quando, in preda alla fretta, dimentica di usare l'unica lingua comprensibile per me e per lo sgorbio che ridendo sta seguendo chissà quale scena sullo schermo! Dopotutto è colpa sua, genitrice malefica, se non ho mai imparato il dialetto: da piccolo mi rimproverava sempre affinché parlassi solo l'italiano, perchè non voleva diventassi « un ignorantone come gli altri bambini ». Non ho mai capito la logica secondo la quale un bambino che conosce il suo dialetto è destinato all'ignoranza, ma sta di fatto che la stessa sorte è capitata al figlio venuto dopo; e come successe a me, il povero moccioso viene preso in giro a scuola perché non sa mettere in fila due parole in napoletano.

Annuisco fintamente convinto alla donna: ho colto solo la metà di quello che mi ha detto, ovviamente, ma faccio finta di niente. Mi avvicino al divano e mi ci abbandono pesantemente, porgendo il malloppo e uno dei cucchiai al fratellino.
Osservo lo schermo: la canzone è appena finita, sia ringraziato il cielo, e il ragazzino scheletrico è diventato un super-fusto in gonnella. Qualche istante e il mio orecchio destro è martellato da un « Granita alla fragola! » strillato dal marmocchio che ha appena scoperta la vaschetta. Trattengo a stento un’imprecazione, anche perché non voglio che una pantofola della genitrice mi colpisca violentemente la testa: quando vuole quella femmina sa essere più precisa di un cecchino.

A tradimento infilo per primo il cucchiaio nella granita tra le gambe dell'altro, me la porto alla gola e la gusto distrattamente. Non riesco a seguire il film, diamine: Hercules che vola in sella al suo Petaso mi ricorda il mito del carro alato di Platone, e sto cercando disperatamente di fare un ripasso mentale riguardo ciò che blaterava. D’altronde quel disgraziato di Mazzavillani è fissato con Platone e Marx: il primo perché lo adora, quasi fosse Dio sceso in terra a illuminare l’umanità con la sua infinita saggezza; il secondo perché è uno sporco materialista esaltatore della violenza collettiva, più altre dieci formule dispregiative che ora non mi vengono in mente. Chi gli avrà mai fatto di male?

Insomma, è meglio tenere a mente entrambi per l’esame orale. Quindi… cosa diceva Platone?
La dottrina delle idee, la dottrina della reminiscenza, il primato dell’idea del bene… ugh, forse ricordo anche perché lo odiavo. E poi? La Repubblica e la concezione dello Stato ideale… roba che mi fa rivoltare la granita nello stomaco peggio della rivoluzione proletaria prospettata dall’economo tedesco.

« Lo sai che somigli a Hercules? »

Mio fratello fortunatamente interrompe il flusso dei miei pensieri, giacché stavano per sfociare in quella che si sarebbe potuta rivelare la crisi isterica del millennio. Tuttavia, mi ci vuole qualche istante per metabolizzare quello che ha detto il mocciosetto, adesso intento a tenere occupata la bocca con la granita, che tra l’altro si sta sbrodolando addosso.

« Come? » domando stupidamente. Devo avere una faccia da vero pesce lesso, perché Luca inizia a ridermi in faccia. Sento ridacchiare anche mia mamma, dai fornelli, seppur nel modo meno rumoroso possibile.

« Assomigli a Hercules! Sei biondo e alto e muscoloso come lui, però lui si lamenta di meno »
La sua spiegazione infantile mi lascia interdetto: io… Hercules? Non so se ridere o dargli un pugno in testa per fargli ripartire il cervello. Desisto perché è tornato a dedicarsi alla televisione, facendo un bel “bleah” come commento alle moine che l’eroe rivolge alla tipa appena salvata, e anche perché vengo pietrificato dall’immaginarmi con il vestitino ocra del semi-dio.

Che orrore! Note: (*) E' un' espressione dialettale napoletana. Significa: "ora ho capito". Ndr. (**) Altra espressione dialettale: "Vai da tuo fratello e fai il bravo". Ndr.
   
 
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