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Autore: margheritanikolaevna    25/03/2012    6 recensioni
Non so se questa fanfiction (scritta per il "Telefilm's contest: fate la vostra scelta", indetto da S_Lily_S, sui prompt "Ufficio, manager, calendario) possa definirsi una AU, una AR oppure una What if?, nel senso di un prequel fantasioso rispetto alla serie televisiva; magari potreste darmi voi un'indicazione...Diciamo che qui Peter lavora per l'"F.B.I." ma non è un poliziotto (anche se...), Neal non fa il truffatore (ma alla fine...), Elizabeth non sta con Peter (però...). Alcune cose sono identiche alla serie tv, altre completamente diverse. Buona lettura!
Prima classificata al "Telefilm's contest: fate la vostra scelta", indetto da S_Lily_S sul forum di efp .
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questi personaggi non appartengono a me, sfortunatamente, ma a chi li ha creati e ne detiene tutti i diritti; questa fic non è stata scritta per scopo di lucro, ma unicamente per diletto.
Grazie a Nike87, mia fonte di informazioni su WC, nonché a tutti quelli che mi dedicheranno un po’ del loro tempo, leggendo o (meglio) lasciandomi un segno del loro passaggio.
 
“La rivincita di Monsù Travet”
 
 
La giornata era cominciata decisamente male per Peter Burke.
Tanto per iniziare, infatti, la dannata sveglia non aveva suonato e lui era emerso di soprassalto dal mondo dei sogni, rendendosi conto all’istante che avrebbe dovuto essere in ufficio già da almeno mezz’ora.
Poi, scendendo le scale di casa precipitosamente, per poco non si era rotto l’osso del collo inciampando nel guinzaglio di Satchmo che, quasi con consapevole cattiveria, gli si era attorcigliato intorno alla caviglia.
Come se non bastasse, si era accorto solo dopo averle indossate che quel pulcioso bastardo del suo cane aveva passato la notte amoreggiando con una delle sue scarpe, mordicchiandola e sbavandola fino a ridurla in condizioni pietose.
“Fantastico!” bofonchiò Peter. Ora sarebbe anche stato costretto a passare di nuovo da casa a cambiarsi prima della serata! Istintivamente alzò gli occhi sul calendario appeso al muro di fronte e, per una volta ancora, fissò la data cerchiata con uno scarabocchio a forma di cuore, tracciato col pennarello rosso: oggi, il 18 gennaio, il compleanno di Elizabeth.
Quella sera lei aveva organizzato un party per gli amici più cari e, con suo immenso stupore, aveva invitato anche lui; incredulo e pazzamente felice, Peter aveva contato i giorni che lo separavano da quell’evento e adesso che, finalmente, era arrivato il giorno fatidico si sentiva in preda a un’ansia micidiale.
Elizabeth…
“Inutile girarci intorno” pensò l’uomo, infilandosi la giacca “Ammettilo! Hai perso la testa per quella ragazza fin dal primo momento in cui l’hai vista!”.
Ah, i suoi intelligenti occhi azzurri, il suo sorriso aperto, il modo grazioso di scuotere i capelli, inclinando appena la testa, mentre ascoltava…
Adorava tutto di lei.
Tutto tranne una cosa, per la verità: il fatto che fosse la segretaria personale del suo capo.
Ecco, lui invece lo detestava con tutte le sue forze: Neal Caffrey, il top manager più giovane della storia della “Frank Birkin Inc.”, un viziato damerino con una incresciosa quantità di master al suo attivo, presi (naturalmente col massimo dei voti) nelle più prestigiose università private del paese.
Non soltanto bello come una divinità greca, ma anche brillante, affascinante e dannatamente in gamba sul lavoro;  mister Frank Birkin in persona l’aveva scelto tra mille candidati, lo adorava e ne aveva fatto il suo braccio destro, nonché suo futuro delfino. 
Già, proprio come lui che, invece, figlio di un modesto muratore, aveva dovuto sudare sette camicie per laurearsi come contabile, grazie a una borsa di studio ottenuta giocando a basket!
Peter fece una smorfia di disgusto: se lo immaginava fare il solito ingresso trionfale in ufficio, attorniato da una decina di impiegate adoranti, con la sua inconfondibile andatura dinoccolata, fasciato in un abito dal taglio impeccabile (che costava più o meno l’equivalente di tre mesi del suo stipendio) e con al collo un affarino di seta colorata che addosso a chiunque altro sarebbe sembrato un filo interdentale e che, invece, a lui conferiva un’aria deliziosamente retrò.
E poi quell’insopportabile cappello…che, come diceva lui stesso, “faceva tanto Dean Martin”; odiava  il suo modo di giocherellarci, facendolo volteggiare appena prima d’indossarlo, gesto che mandava ogni volta in visibilio le colleghe mentre a lui faceva venire l’ulcera per l’irritazione!
E adesso avrebbe anche dovuto sorbirsi la sua ramanzina perché era in mostruoso ritardo: a dire il vero, già Neal Caffrey non perdeva occasione per tartassarlo e metterlo in difficoltà con i superiori, sembrava quasi che lo facesse apposta!
Peter si accasciò sconfortato sul divano, così avvilito che Satchmo gli trotterellò accanto e gli appoggiò il muso umido sul ginocchio, fissando su di lui i suoi occhioni pieni d’amore. Era come se quegli occhi dicessero: “Coraggio, padrone mio, ci saranno per te giorni migliori di questo. Abbi fiducia, tutto andrà bene!”.
L’uomo passò la mano sulla folta pelliccia del cane, scompigliandogli affettuosamente il ciuffo di peli ispidi che aveva sulla cima della testa. Poi, gli assestò un’energica pacca sul collo, afferrò la valigetta e finalmente uscì di casa.
 
***
 
La giornata di Peter Burke era iniziata male e, da allora, non aveva fatto che peggiorare.
Prima la metropolitana, che si era bloccata per mezz’ora sotto una galleria aggravando il suo, già terrificante, ritardo.
Poi una pila di nuove pratiche finanziarie da seguire che il suo capufficio si era premurato di scegliere appositamente per lui tra quelle più complicate, rognose e difficili da sbrogliare: tutto lavoro che, insomma, lo avrebbe massacrato di fatica senza consentirgli di mettere minimamente in luce le qualità che possedeva.
Dire che nutriva qualche dubbio su chi avesse impartito quella direttiva nei suoi confronti sarebbe stato una pietosa menzogna: ne era certo, era tutta colpa di Neal Caffrey!
Seduto dietro alla sua scrivania, sfogliava senza troppo entusiasmo uno dei fascicoli, mentre l’occhio, un minuto si e l’altro no, ricadeva sul piccolo calendario da tavolo appoggiato accanto al computer. Anche lì era evidenziato il 18 gennaio - non con un cuore, per carità…sarebbe morto d’imbarazzo se Elizabeth avesse scoperto che aveva fatto una cosa del genere  - ma con un ben più pudico tratto di evidenziatore giallo.
All’improvviso, Peter s’illuse che la sua giornata finalmente accennasse a migliorare: infatti, davanti ai suoi occhi si materializzò l’oggetto dei suoi desideri, incantevole in un vestitino blu cobalto che le metteva in risalto la sfumatura degli occhi celesti.
Dille qualcosa, avanti… dille qualcosa sul vestito, imbranato!” pensò, ma era quasi paralizzato per la sorpresa e riuscì solo a scattare in piedi, facendo precipitare al suolo la cartellina che aveva tra le mani e tutto il suo incolpevole contenuto, e a rivolgerle uno sguardo interrogativo.
“Ciao Peter!” disse lei, con un sorriso radioso.
“B-buongiorno Elizabeth e auguri” biascicò lui, annaspando in cerca d’ossigeno.
“Allora, ci vediamo stasera?” fece lei, dolcemente.
Prima di riuscire a rispondere, l’impiegato sentì la voce di Neal Caffrey che, dal livello superiore dell’ufficio, dove erano ubicate le stanze dei pezzi grossi, lo chiamava. Con un gesto imperioso e, insieme, quasi impertinente dell’indice e del medio, il manager gli fece cenno di salire su da lui.
Il fatto che Elizabeth lo avesse accompagnato lo rallegrò e gli sembrò un buon segno, ma la sua disposizione d’animo mutò all’improvviso quando Neal sfoderò con lei un ennesimo numero del suo vasto repertorio di incallito seduttore: con intenzione la squadrò da capo a piedi, regalandole subito dopo uno dei suoi sorrisi meglio riusciti.
“Oh, Elizabeth…” disse, galante “Sei deliziosa, oggi, il colore del vestito fa risaltare in maniera incredibile la sfumatura dei tuoi occhi!”.
Lei sorrise compiaciuta e il cuore di Peter perse distintamente un battito.
“Per favore, cara, portami del caffè: mi raccomando, il solito espresso tostato all’italiana!” aggiunse il giovane.
La ragazza annuì, salutò con un cenno della testa e uscì dall’ufficio.
Neal Caffrey l’aveva rifatto: Elizabeth era sicuramente carina e simpatica, ma non poteva proprio dirsi il suo tipo ideale di donna… troppo seria, troppo intelligente per i suoi standard femminili. Eppure, non aveva resistito a flirtare con lei unicamente perché davanti a loro c’era Peter Burke e lui sapeva alla perfezione quanto il suo impiegato fosse cotto di lei.
Non poteva farci niente, da quando era arrivato lì quel Burke l’aveva ossessionato: anche se non faceva nulla per contrariarlo e, anzi, era senza dubbio tra i dipendenti migliori, era come se in sua presenza Neal si sentisse sempre in difficoltà.
Tra tutti, era l’unico il cui sguardo non riusciva a sostenere, l’unico che riusciva a farlo sentire a disagio, a minare la sua sicurezza. Aveva come l’impressione che i suoi occhi scuri lo seguissero ovunque andasse e da quello sguardo tentava disperatamente di scappare.
Per mettere a tacere questo sentimento lo tormentava, lo metteva alla prova, sfidando la sua abilità e la sua dedizione con incarichi sempre più difficili: era come un inseguimento, una lotta costante tra loro due nella quale, però, Neal aveva sempre e comunque una posizione di vantaggio.
Conduceva lui il gioco, era sempre lui quello davanti e provava un sottile godimento nel frustrare le ambizioni del suo impiegato più intelligente.
“Bene, signor Burns” a volte Neal faceva mostra di non ricordare nemmeno come esattamente si chiamasse, ben sapendo che così lo mandava in bestia “Come mai è arrivato così in ritardo? Ha forse fatto le ore piccole ieri sera?”.
Poi sorrise, beffardo.
“No, non credo che la ragione sia questa, giusto?” aggiunse, socchiudendo appena gli occhi “Comunque,  lei sa che non possiamo tollerare comportamenti del genere …”
Peter non cedette alla provocazione; rimase in silenzio, i pugni serrati, masticando fiele.
Neal prese dalla scrivania una pila alta un metro di fascicoletti con la costa gialla e la porse all’altro che, suo malgrado, fu costretto a riceverla.
“Sono le mie note spese degli ultimi otto mesi” disse Neal con un sorriso tagliente come una lama “Ho bisogno che lei le riordini e le contabilizzi in bilancio”.
“M-ma” ansimò Peter, già capendo dove quel bastardo volesse andare a parare “è un lavoro immane e … che necessità c’è di farlo oggi, se l’approvazione dei bilanci è tra oltre un mese?”.
“No, non stasera, no!” pensò, in preda al terrore “stasera c’è la festa di Elizabeth!”.
“Entro domattina” tagliò corto Neal, gelido.
“Molto probabilmente dovrà trattenersi tutta la notte in ufficio, ma, del resto, ha già dormito abbastanza stamane…”.
 
***
 
Le dieci. Erano andati già tutti via:  in ufficio era rimasto solo Peter, seduto alla sua postazione, semisepolto tra bollette e scontrini.
Lo sguardo pieno di delusione che Elizabeth gli aveva rivolto prima di salutarlo, quando lui le aveva dovuto dire che non ce l’avrebbe fatta a partecipare alla sua festa, gli aveva spezzato il cuore, insieme facendogli capire che sarebbe stata veramente contenta di trascorrere qualche ora insieme a lui al di fuori dell’ufficio.
Ma dopo quella sera sarebbe stato lo stesso? Oppure il fatto che lui avesse accettato quel sopruso senza reagire lo aveva squalificato per sempre ai suoi occhi? No, Elizabeth era troppo intelligente per dare peso a queste cose. O, almeno, lui sperava ardentemente che fosse così.
La verità era che Neal Caffrey stava facendo di tutto per convincere ogni impiegato della ditta, oltre che il diretto interessato ovviamente, che Peter Burke era un perfetto incapace.
Ma, dannazione, lui non lo era!
No che non lo era, e gliel’avrebbe dimostrato a quel bellimbusto!
“Già, ma come?” pensò, guardando sconfortato le cifre che aveva davanti; ne aveva analizzate talmente tante quel giorno che gli facevano male gli occhi. Poi, all’improvviso, qualcosa, nei documenti sparsi disordinatamente sul tavolo di fronte a lui, attirò la sua attenzione.  
 
***
 
Peter Burke guardò di nuovo il calendario sulla sua scrivania e sorrise.
14 febbraio. San Valentino.
Nonostante fosse la “festa degli innamorati” , il suo capo Neal Caffrey aveva deciso di organizzare un grandioso party aziendale nel suo attico di Park Avenue: tutti i dipendenti erano stati invitati e lui già pregustava la possibilità di trascorrere una serata in compagnia di Elizabeth. Certo, non sarebbe stato come uscire da soli a cena, ma invitarla fuori era una cosa che superava le sue forze e, del resto, non c’erano state altre occasioni, dopo il disastro del giorno del suo compleanno.
Ciò che era accaduto un mese prima ancora gli bruciava, il solo pensiero lo mandava in bestia e, come se non bastasse, l’atteggiamento di Neal da quel momento era addirittura peggiorato: non perdeva occasione per provocarlo e metterlo in difficoltà, soprattutto davanti a Elizabeth.
Mancavano poche ore alla serata, quando all’improvviso la voce irosa di Neal Caffrey rimbombò per tutto l’ufficio;  evidentemente infuriato, il giovane manager scese le scale, attraversò quasi correndo la stanza e si fermò giusto davanti alla scrivania di Peter.
Era così agitato che ovviamente tutti -  dipendenti, segretarie, fattorini, tutti coloro che lavoravano lì, dal primo all’ultimo - accorsero per curiosare, scommettendo mentalmente su chi sarebbe stato la sfortunato oggetto di una rabbia così accesa. Persino mister Francis Birkin in persona si scomodò a mettere piede fuori dal suo lussuoso ufficio e si accostò, attorniato da un nugolo di consiglieri d’amministrazione in doppiopetto gessato.
Neal Caffrey si guardò attorno, compiaciuto che la sua scena madre avesse un così nutrito pubblico: quello sarebbe stato il colpo di grazia alle ambizioni di carriera del contabile Peter Burke alle dipendenze della “Francis Birkin Inc.”. Nonché, grazie a lui, presso ogni altra ditta della città e forse dell’intero Stato. 
Poi, sbatté con violenza la cartellina gialla che stringeva sulla scrivania di Peter, divaricò leggermente le gambe e mise le mani sui fianchi con aria di sfida, come un torero che stia per affrontare un toro, pronto a trafiggerlo con appuntite banderillas.
“Allora, che cosa significano questi conti, Burns?” tuonò, storpiano volutamente quel nome che gli era in realtà familiare quanto il proprio e, anzi, forse persino di più.
 “Burke. Peter Burke” chiarì l’altro, con voce calma ma ferma, alzandosi in piedi e sistemandosi giusto di fronte all’altro.
Occhi negli occhi, finalmente.    
La resa dei conti era arrivata.
“Lei è in grossi guai!” gridò il giovane manager, dopo essersi guardato ancora una volta intorno.
“Ha sbagliato a inserire i dati delle mie note nel bilancio della società! Un errore imperdonabile, tutta la nostra contabilità è da rifare!”.
“Non è vero, io non ho commesso alcun errore!” replicò Peter, la voce tremante per la rabbia; si trattava di una menzogna e lui lo sapeva, ma nonostante ciò, dopo una scenata così plateale, la sua reputazione professionale sarebbe stata comunque compromessa.
Così, alla fine, quel bastardo ce l’aveva fatta: non è vero che i buoni vincono sempre…
Istintivamente, cercò con lo sguardo Elizabeth: tra la folla dei colleghi assiepati lì intorno vide emergere il suo viso rabbuiato, i begli occhi carichi di tristezza.
Neal Caffrey sorrise leggermente e si sistemò il fermacravatta d’oro con aria di trionfo: infilzate le banderillas nella schiena del suo toro personale, era giunto il momento del gran finale…il matar,  il gesto col quale,appena a un metro dal toro, il corpo teso come un arco, il torero fa prima qualche movimento per aggiustare la sua posizione e la direzione della spada. E poi piomba sulla preda.
Quello che Neal Caffrey non immaginava fu che, molto spesso, è il toro ad incornare il torero e non già il contrario.
In quell’istante, infatti, quattro uomini irruppero nella stanza, aprendosi la strada senza tanti complimenti tra i dipendenti che si erano riuniti per godersi lo spettacolo.
Ciò che accadde subito dopo costituì argomento d’innumerevoli aneddoti negli uffici della “Francis Birkin Inc.” per molti anni a seguire e fu raccontato, con infinite varianti, da Peter ed Elizabeth Burke ai loro figli davanti al caminetto ogni Natale che il buon Dio mandò sulla Terra per loro. 
Il più anziano e autorevole dei quattro, che guidava il gruppetto, gridò: “F.B.I.! fermi tutti, nessuno si muova!”. Un brusio di paura e di meraviglia salì dai presenti.
Il federale estrasse il distintivo e, tenendolo ben in alto affinché tutti potessero vederlo, svelto raggiunse il centro della stanza.
Si avvicinò all’inappuntabile manager, che fu subito circondato dagli altri tre, e disse: “Neal Caffrey -  o forse dovrei dire Nick Halden, dato che questo è il tuo vero nome - ti dichiaro in arresto per truffa e furto in danno della “Francis Birkin Inc.!”.
Il truffatore mantenne la sua elegante compostezza e non disse nulla, ben capendo che ormai non aveva più nessuna possibilità di cavarsela: aveva perso.
Mentre l’agente di colore lo afferrava senza riguardo e gli faceva scattare ai polsi le manette e la ragazza bruna gli leggeva i suoi diritti, mister Birkin, sull’orlo di un infarto, si avvicinò al gruppetto.
“M-ma…cosa?” esclamò, fissando sbalordito il suo pupillo.
“Questo qui è un esperto truffatore, signore!” spiegò l’agente anziano, indicando il ragazzo con la testa “Si sposta di continuo attraverso il paese assumendo identità diverse, crea falsi curricula grazie ai quali si fa assumere presso importanti società finanziarie, ne altera i bilanci e sottrae risorse falsificando le sue note spese e gonfiando i rimborsi. Con questo trucchetto le ha rubato almeno 250.000 dollari in un anno…”.
Fece un cenno ai tre, che lo portarono via tra gli sguardi sconvolti e il mormorio di disapprovazione di coloro che, fino a pochi istanti prima, l’avevano invidiato, temuto e ammirato.
Lui uscì tenendo gli occhi fissi davanti a sé; l’unico sguardo diretto lo riservò a Peter Burke. Quello sguardo voleva dire: “Ce l’hai fatta: io ho perso, tu hai vinto…sei stato bravo, mi hai preso. Nessuno c’era riuscito prima di te”.
“Mio Dio…” mormorò Birkin, evidentemente distrutto.
“Lo cercavamo da anni, ma nessuno dei miei agenti era mai riuscito a incastrarlo” aggiunse il federale. Poi si voltò verso Peter e continuò: “Deve ringraziare quest’uomo se finalmente l’abbiamo arrestato! Ha notato alcune incongruenze nei conti di Halden, ha scavato e ci ha chiamati. C’è voluto un po’, ma alla fine la sua intuizione si è rivelata geniale”.  
Si avvicinò a Peter che, in tutta quella confusione, era rimasto lì impalato senza riuscire a dire nulla. Gli strinse la mano con energia e gli porse il suo biglietto da visita.
“So che lei ha già un lavoro” disse “Ma possiede anche un grande talento investigativo e credo che sarebbe un ottimo poliziotto…”.
Peter si schermì con un sorriso imbarazzato.
“Ci pensi!” continuò l’altro “Stiamo costituendo una divisione che si occuperà proprio di crimini non violenti, la chiameremo “White Collar”.
 
***
 
Quella sera Elizabeth, appena uscita dall’ufficio, era ferma sul pianerottolo in attesa dell’ascensore; era così presa a rimuginare sugli sconvolgenti avvenimenti del pomeriggio che non si accorse che Peter si era fermato proprio accanto a lei.
Quando lo vide, tuttavia, lo accolse con un sorriso: era l’eroe del giorno, ma il suo sorriso sarebbe stato lo stesso, anche se le cose per lui fossero andate diversamente.
“Così…” disse ed Elizabeth non faticò a notare una nuova luce scintillare nei suoi occhi profondi “La festa di stasera è saltata, ma è comunque San Valentino…”.
Lei annuì, senza smettere di sorridere.
“Avanti Peter, avanti, maledizione! Ma è proprio così difficile chiedermi di uscire con te?” pensò.
Lui proseguì: “C’è un ristorantino italiano da queste parti dove fanno un ottimo brasato  e… ”
“E…” fece lei.
Stop.
Vuoto totale.
Peter Burke non ci riusciva, era più forte di lui.
Fortunatamente per il destino di entrambi, Elizabeth ne aveva abbastanza di bidoni, di silenzi e di occasioni perdute. 
“E allora perché non ci andiamo?” completò lei la frase.
Lo prese sottobraccio e contemporaneamente premette il pulsante di chiamata dell’ascensore.
“Io adoro il brasato!” cinguettò.
 
FINE
 
 
 
Note: Il titolo è un richiamo alla commedia in dialetto piemontese  “Le miserie 'd Monsù Travet”,scritta da Vittorio Bersezio, che narra le disavventure di un povero impiegato tartassato dai superiori e sfortunato in amore, il quale alla fine riesce però a reagire ai soprusi, ritrovando la sua dignità.
 

  
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