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Autore: Dony_chan    25/03/2012    5 recensioni
Una one-shot saltata in testa d’improvviso che si trasforma in una fan fiction a più capitoli. Mi sorprendo, alle volte! Questa storia si concentra sui protagonisti di Detective Conan, in un mondo dove l’Organizzazione non è mai esistita, dove l’APTX non ha fatto nessun danno, dove le vite dei personaggi scorrono tranquille e indisturbate, e dove... bè, sta a voi scoprirlo!
Enjoy!
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Hi, nice to meet you!
7.

 
 
Heiji ripose con poca cura il fascicolo dell’ultimo caso che aveva risolto nel cassetto della scrivania, chiudendolo poi con un sonoro colpo.
Era di pessimo umore, quella sera.
Il detective Kogoro Mouri abbassò il giornale che stava leggendo e rimase immobile a fissarlo, alzando un sopracciglio.
“Che c’è?!” sbottò Heiji, lasciandosi cadere sulla sedia della scrivania. Prima che le parole di Kogoro arrivassero alle sue orecchie, lanciò un’occhiata all’orologio da polso e constatò che di lì a mezzora sarebbe finito il suo turno. E sarebbe tornato di nuovo a casa. Da solo.
Che strazio.
“Mi sembri nervosetto, oggi. Non hai fatto che sbuffare e lamentarti” constatò il detective, tranquillo. Prese la lattina di birra che stava sul tavolino davanti a sé e ne bevve un lungo sorso stando attento a non spandere tutto sulla camicia pulita. “Dovresti essere contento: hai risolto un caso complicato!” disse a denti stretti Kogoro, quando ebbe riappoggiato la lattina al suo posto.
Heiji alzò le spalle, facendo voltare la sedia in modo da non doverlo guardare in faccia.
Kogoro aveva ragione: doveva essere felice. L’ispettore della polizia Juzo Megure, vecchio amico del detective Mouri, gli aveva affidato un caso parecchio complicato, chiedendo espressamente il suo aiuto non riuscendo ad individuare il colpevole di un duplice omicidio a porte chiuse. Il difficile stava proprio nel capire come potesse cadere la tesi dell’omicidio-suicidio proposta dagli agenti, e rintracciare il colpevole nella cerchia dei parenti dei due fratelli assassinati.
Heiji ci era riuscito. Aveva smascherato la moglie del fratello più giovane in meno di ventiquattro ore, ed aveva ricevuto elogi dagli agenti e dall’ispettore in persona.
Ma c’era qualcosa che turbava l’animo di Heiji, e nessun complimento o soddisfazione in campo professionale l’avrebbe messo tranquillo. Le questioni di cuore erano molto più complesse.
Il giorno precedente aveva rivisto Kazuha, ed era riuscito a prendere qualcosa assieme a lei. Sonoko li aveva lasciati deliberatamente soli, lo aveva intuito, ma non era andata esattamente come avrebbe voluto. Aveva passato le più belle ore della sua vita assieme alla ragazza di cui era follemente innamorato, ma senza concludere nulla.
Heiji sbuffò sonoramente, mollando un pugno non molto delicato al bracciolo della sedia, infuriato con se stesso. Perché accidenti non si svegliava? Perché accidenti non le aveva chiesto di uscire ancora una volta?
Si vedeva debole, e la cosa lo irritava. Non riusciva a soffrirlo. Era stanco. Le cose dovevano cambiare, una volta per tutte.
Heiji si alzò di scatto, facendo quasi rovesciare all’indietro la sedia. Si voltò verso Kogoro, che lo stava ignorando, e guardò l’orologio.
“Oggi finisco dieci minuti prima. Recupererò domani” disse telegrafico, mettendosi a correre fuori dall’agenzia prima ancora che il suo capo lo potesse fermare.
Scese le scale di corsa sentendo alle sue spalle i rimproveri del detective, ma puntò ugualmente verso il centro di Beika, per arrivare alla stazione il prima possibile. Se lo sentiva, mentre l’aria della sera sferzava il suo viso. Quella, era la volta buona.
 
 
Sonoko spinse giù dalla scrivania la pila di libri che si era ripromessa di iniziare a studiare in vista dell’esame. Aveva la testa piena di nozioni inutili, e sentiva che i suoi occhi, da un momento all’altro, sarebbero potuti sanguinare.
Studiare non faceva per lei, e quel pomeriggio passato nella sua camera a tu per tu con i volumi dell’università glielo aveva ribadito.
Si massaggiò stancamente le tempie, allungando il piede verso la ventola che fingeva di refrigerare la sua camera, per cercare di sistemarla più vicino a sé. Amava l’estate, ma la odiava allo stesso tempo. Perché si doveva sudare? Era una cosa inutile a parer suo, ed anche uno spreco di energie.
Qualcuno bussò delicatamente alla porta della sua camera e, prima che lei potesse invitare ad entrare colui che aspettava fuori, l’uscio si aprì cigolando.
“Sonoko, allora io vado”.
La giovane ereditiera si voltò verso la voce melodiosa della sorella maggiore, che stava immobile nel corridoi, evitando di entrare per paura di disturbare lo studio di Sonoko.
“Di già?” domandò lamentosamente la più giovane delle Suzuki, girando la sedia nella direzione della sorella.
“Il treno per Yokohama parte tra un’ora, meglio arrivare per tempo” le disse con un sorriso, che a Sonoko risultò un po’ troppo compassionevole. Sua sorella la stava sicuramente studiando, aveva avuto la stessa impressione quella mattina, quando si era presentata a casa dei loro genitori. La osservava, e la cosa puzzava a Sonoko.
La giovane ereditiera assottigliò lo sguardo, alzando un sopracciglio indagatore. “Quindi tu sei venuta solo per un saluto”.
La maggiore delle Suzuki annuì abbozzando un sorriso, per nulla convincente. Si mosse nervosamente sul posto, spostando il peso del corpo da un piede all’altro, deglutendo a fatica.
“Che c’è? Non posso venire a salutarvi, una volta tanto?” domandò la ragazza, la voce stranamente acuta.
Sonoko storse le labbra. “Ayako. Per favore” disse con un sospiro, per poi lasciarsi andare ad un mezzo grido strozzato. “È stata la mamma a chiamarti?!”.
La ragazza sobbalzò, presa in contropiede. La sua reazione chiarì i sospetti di Sonoko, che si alzò stancamente dalla sedia e si infilò le infradito che aveva abbandonato sulla moquette della sua camera.
“Dice che sei deperita. Mangi?” cominciò a chiedere la sorella, quasi in una supplica. “Mi ha detto che da qualche giorno non torni più al tuo appartamento di Tokyo. Che sei tornata qui a casa. È successo qualcosa?”.
Sonoko, irritata, acchiappò dall’armadio la prima borsa che le capitò sottomano e ci infilò a forza un pigiama e qualche indumento intimo. Chiuse con tonfo sonoro l’anta dell’armadio e fissò con astio la sorella.
“Non c’è niente che non vada. Siete voi che mi stressate. Io, fra meno di due settimane, ho un esame da dare! Se mi state addosso, come posso prepararmi?!” sbottò irata, sorpassando di corsa la sorella, convinta che il suo tono l’avesse pietrificata sul posto.
Ma Ayako la sorprese, seguendola giù per le scale, riuscendo ad afferrare il polso della ragazza, trattenendola contro la sua volontà.
“Sonoko... cosa è successo?” chiese con un filo di voce, gli occhi ancora troppo sospettosi.
La minore scosse il braccio, liberandosi dalla presa della sorella. Arretrò di qualche passo, sentendosi schifata dallo sguardo pietoso che Ayako le stava rivolgendo. Perché ci si metteva anche lei? Perché tutti volevano, improvvisamente, interessarsi della sua vita?
“Nulla. Non è successo nulla” disse tagliente. Camminò a grandi passi fino all’ingresso. Spalancò la porta, ma prima di uscire nella calura serale si voltò verso l’atrio e prese un grosso respiro. “Se non mi volevate tra i piedi, bastava dirlo!” urlò, sperando di farsi sentire dai genitori.
Ayako la raggiunse nell’ingresso, ma stavolta non tentò di fermarla. “Dove vai?”.
Sonoko gonfiò le guancie. “Ovunque tranne che qui! Ci vediamo, fai buon viaggio” sbottò a mezza voce, facendo dietrofront e chiudendosi con un sonoro tonfo la sontuosa porta di casa Suzuki alle spalle.
 
 
Il giovedì sera Shun era solito avere il doppio allenamento con la squadra di pallacanestro maschile del liceo Teitan. La partita del torneo di scuole superiori si stava avvicinando, e il ragazzo era sempre più teso e ansioso di far portare a casa la vittoria ai suoi ragazzi.
Per questo motivo Ran aveva deciso di raggiungere il suo appartamento prima del suo rientro, per preparargli una buona cenetta e un bagno caldo, evitandogli così inutili fatiche in più. E anche per fargli una sorpresa. Era da un po’ che non passavano del tempo solo loro due, e l’occasione le si era presentata a fagiolo. I dubbi che le erano sorti la mattina precedente erano come svaniti, ed ora si sentiva pronta a guardarlo negli occhi veramente.
Lo amava. Lo sentiva. Era la sua metà.
Aveva acquistato tutti gli ingredienti per cucinargli del buon sushi, e si era concessa anche il lusso di comperare una bottiglia di vino da stappare alla fine della cena.
In realtà, non era andata all’appartamento del fidanzato solo per cenare assieme. Ci era andata anche per presentarsi a lui nella sua nuova timida veste.
L’appuntamento con Shinichi del giorno prima l’aveva smossa, aveva liberato quella parte di lei che si era premurata di nascondere, e che ora stava riuscendo a vedere la luce del sole poco alla volta. Ma era comunque un inizio, e lo voleva condividere assieme al ragazzo che aveva scelto.
Ran canticchiò felice, cominciando ad apparecchiare la tavola come se si trattasse di un occasione speciale: distese accuratamente una tovaglia nuova coloro panna, pose al centro del tavolo rotondo un piccolo cestino di vimini decorato con foglie e fiori secchi dall’odore delicato, e accese un paio di candele profumate.
La ragazza si guardò attorno soddisfatta, sciogliendo il nodo al grembiule sbrindellato del fidanzato e sistemando la gonna elegante che aveva deciso di indossare. Forse aveva preso un po’ troppo sul serio la serata, ma lei si sentiva finalmente rilassata e felice, e non riusciva a smettere di sorridere un solo istante.
Shun si sarebbe accorto subito del suo cambiamento? Come l’avrebbe presa? Ran scosse la testa, ridacchiando. Era ovvio che sarebbe stato felice per lei. Il vederla serena l’avrebbe contagiato a sua volta.
Lui la amava. Era ciò che le bastava.
“Mi completa” sussurrò ad alta voce Ran, sentendo un brivido corrergli lungo la schiena. Non lo seppe identificare, ma non ebbe il tempo di curarsene.
La serratura della porta d’ingresso scattò, ed i passi strascicati del fidanzato ruppero il silenzio in cui si era momentaneamente calata la ragazza.
Ran controllò l’orologio, constatando che il fidanzato era rientrato con una mezzora di anticipo. Non gli aveva nemmeno preparato un bel bagno, ma poco importava.
Con un enorme sorriso stampato in faccia gli andò incontro nell’ingresso e rimase ferma a contemplarlo solamente un istante, mentre stancamente si toglieva le scarpe nell’ingresso, seduto a terra, di spalle. Aveva il volto contratto, stanco, gli occhi mezzi socchiusi, le labbra tormentate, i capelli sbarazzini. Non le sembrò Shun, in quel momento.
Ran gli si avvicinò di soppiatto e gli gettò le braccia al collo, scoppiando a ridere. Shun sobbalzò spaventato, e, quando riconobbe la ragazza alle spalle le rivolse uno sguardo stanco e leggermente irritato.
“Ran, mi hai fatto morire. Pensavo fosse un ladro!” sbuffò, sciogliendo l’abbraccio della fidanzata. Si alzò in piedi calzando meglio le ciabatte e riprese il borsone che aveva mollato a terra precedentemente. “Non farlo mai più!”.
Ran strinse le labbra, ma non ribatté nulla.
 
Senti chi parla..!
 
pensò accigliata, reprimendo l’impulso di rispondergli a tono. Non era lui quello che era solito spaventarla, piombandole a casa all’improvviso, senza avvisare e senza far capire di essere entrato?
Ran scosse la testa, reimpostando il sorriso. “Ti ho fatto una sorpresa! Vieni!” lo esortò, cominciando a tirarlo per la mano. Si sentiva molto come una bambina, elettrizzata nel mostrare ciò che aveva preparato ai suoi genitori. Shun opponeva una certa resistenza, ma la seguì lo stesso in cucina.
Quando Ran si fece da parte per mostrargli la tavola imbandita, si sentì crollare il mondo addosso quando sul volto del ragazzo apparve una smorfia.
“Che c’è?” gli domandò, sentendo il sorriso sul suo volto vacillare.
Shun si sedette stancamente su una sedia, versandosi da bere in un bicchiere. Non aveva nemmeno notato le candele accese, ed il profumo che rilasciavano attorno.
Vaniglia. Il profumo di Ran.
“Tornando a casa ho ordinato una pizza, dovrebbe arrivare tra poco. Hai cucinato per niente” disse atono.
“La pizza si può sempre riscaldare domani” ribatté la ragazza, sedendosi di fronte a Shun. La sua faccia rabbuiata le fece sorgere l’impulso di prenderlo a calci, ma seppe badare anche a quell’istinto. Sentiva che la sua contentezza stava per essere minata, e non ne aveva minimamente voglia.
“Non mi piace riscaldata” si lagnò Shun, come un bambino piagnucolone.
Ran serrò le labbra, mordendosi la lingua per non mandarlo a quel paese. Si alzò in piedi, recuperando i due piatti pieni di sushi fresco che aveva messo in tavola poco prima. “Bene” disse soltanto, sperando di non risultare particolarmente fredda. “Come è andata la giornata?” si ridusse a chiedere.
Shun sbuffò e si sfregò con vigore gli occhi stanchi. “Uno schifo totale. La squadra ha fatto l’allentamento peggiore che io abbia mai visto. Di questo passo, non vinceremo mai!”.
Ran sigillò alla meglio il pesce nella pellicola trasparente, e lo dispose con cura nel frigo del fidanzato, sbattendo un po’ troppo la porta per richiuderlo.
Si voltò verso Shun, cercando di mantenere la calma. Sapeva che, quando le cose gli andavano male al lavoro, il suo umore precipitava e risultava come un’altra persona. Non ce l’aveva con lei, era solo perché era stanco.
Ma non per questo motivo Ran poteva evitare di rimanerci male.
“Hai ancora tre giorni. Sono sicura che...” stava provando a sostenerlo, quando lui batté un pugno in tavola, facendo tintinnare i bicchieri e le posate. “Tre giorni! Tsè!” la schernì lui, affondando un secondo dopo le labbra nel bicchiere.
Shun si alzò in piedi lentamente, facendo scrocchiare le ossa del collo. Si voltò senza degnare di uno sguardo la ragazza, dirigendosi verso il bagno dell’appartamento.
“Quando esci, chiudi la porta chiave” biascicò, levandosi la maglia sudata, facendola ricadere sul pavimento, rimanendo a petto nudo.
Ran rimase immobile, con i pugni stretti. Si sentì profondamente ferita, ed ignorata. Avrebbe tanto voluto urlargli contro qualcosa, qualsiasi cosa, ma si trattenne.
Rimase con gli occhi fissi sulla schiena muscolosa del fidanzato, mentre questo si dirigeva verso la porta del bagno. Le aveva detto di chiudere la porta appena se ne sarebbe andata. Non la voleva accanto a lui, quella sera.
Ran lo seguì fino al bagno, appoggiandosi allo stipite, osservandolo con sguardo spento aprire il rubinetto della vasca. L’acqua si mise a scorrere, diffondendo nell’aria un senso di refrigerio, che tuttavia non riuscì a toccare Ran.
Shun si tolse lentamente anche i pantaloni, rimanendo in boxer sotto gli occhi della fidanzata. Ran fece scorrere lo sguardo sul corpo perfetto del ragazzo, reprimendo una lacrima.
Quel corpo le apparteneva, era suo, e non lo avrebbe scambiato con nessun altro. Ma, in quel momento, lo sentì estraneo, distante.
Shun avrebbe potuto invitarla a fare il bagno con lui. Gliel’avrebbe chiesto, ma non quella sera.
Quella sera, entrambi erano due persone diverse.
“Vado, allora” mormorò Ran, alzando lo sguardo sul ragazzo. Shun teneva accuratamente gli occhi bassi, evitando di incrociarli con quelli della fidanzata, quasi avesse paura di essere accecato.
“Okay” rispose soltanto, dandole le spalle.
Ran si avvicinò a lui, disobbedendo al volere di entrambi, e poggiò le mani fredde sulla sua schiena sudata. Appoggiò la fronte sulla sua nuca, chiudendo gli occhi e svuotando la mente. I nervi del ragazzo sobbalzarono al contatto.
“Vuoi che me ne vada?” chiese Ran, in un sussurro. Shun rimase in silenzio, continuando ad ignorarla.
Ran aprì gli occhi, mordendosi le labbra. Fece scorrere le dita affusolate lungo le sue braccia,  sfiorando avidamente la pelle del ragazzo, sentendola fremere al contatto. Avrebbe voluto farlo girare, guardarlo negli occhi e farsi conoscere.
Ma le aveva detto di andare.
La vera Ran avrebbe pestato i piedi e si sarebbe fatta guardare negli occhi, cominciando a sputargli contro la sua frustrazione.
Ma non lo fece. Interruppe il contatto con il fidanzato, arretrò e, reprimendo la rabbia, uscì dal piccolo bagno. La vera Ran non aveva avuto la meglio. Con Shun, forse, non l’avrebbe mai avuta.
La ragazza si trascinò fino alla cucina, afferrò la borsa che aveva abbandonato sul divanetto e sbatté la porta d’ingresso con una tale forza che per poco non le rimase in mano la maniglia stessa.
Scese le scale fino ad arrivare al piano terra, bruciante di rabbia. Era livida di rabbia per come l’aveva trattata. Non si era minimamente reso conto dell’impegno che ci aveva messo per preparare quella cena per loro due. Aveva liquidato tutto con un paio di smorfie. Aveva rifiutato di guardarla negli occhi.
Ran camminò a piedi fino alla stazione degli autobus per sbollire la rabbia, e quando vi arrivò, fece marcia indietro e si diresse nuovamente verso il centro di Beika, stavolta per raggiungere il suo appartamento a piedi. Spense il cellulare, in modo da essere irraggiungibile per chiunque. Voleva stare da sola, con se stessa.
Ma, quando una voce la chiamò, irrompendo con violenza nella confusione della sua mente, tutte le sue certezze caddero.
La ragazza si fermò al centro dell’attraversamento pedonale, con gli occhi bassi. Si voltò lentamente, scorgendo sul marciapiede un paio di scarpe sportive che aveva imparato a conoscere negli ultimi giorni.
I suoi occhi si alzarono contro la sua volontà, ed incrociò per l’ennesima volta lo sguardo magnetico di quel ragazzo che tanto l’aveva aiutata a cambiare, senza forse esserne consapevole.
Shinichi.
 
 
Kazuha allungò del tè freddo sul tavolo della cucina, facendo tintinnare i cubetti di ghiaccio all’interno della tazza, alzandosi un secondo dopo dalla sua postazione e per dirigersi verso il frigorifero. Lo esaminò da cima a fondo, storcendo le labbra quando si accorse che era quasi vuoto.
“Non ho molto, devo ancora fare la spesa. Ti va una bella insalatina?” domandò dondolandosi con la porta del frigo.
Dalle sue spalle provenne un sospiro stanco ed irritato allo stesso tempo. “Per me è indifferente” borbottò la voce di Sonoko, mentre afferrava la tazza di tè e se la portava alle labbra.
Kazuha sospirò mentalmente, estraendo dal frigorifero gli ingredienti necessari per la cena. Dispose le verdure e il tagliere sulla tavola, afferrò il coltello e cominciò a sminuzzare silenziosamente, sotto lo sguardo attento della sua amica.
Sonoko allungò una mano, tentando di afferrare una strisciolina di carota tagliata alla julienne scappata dal tagliere, ma Kazuha la intercettò e le schiaffò dolcemente la mano.
Sonoko la guardò rabbuiata, ma l’amica non vi badò. “Il divano è piccolo, spero che non ti lamenterai troppo”.
La giovane ereditiera sbuffò sonoramente, sbattendo una mano sulla tavola. “Se vuoi che me ne vada, puoi anche dirmelo direttamente”.
La padrona di casa si lasciò andare ad un sospiro impercettibile, mettendo da una parte le carote e recuperando un pomodoro maturo. “Non l’ho detto...” tentò di correggerla Kazuha.
“Ma l’hai pensato!”
“Non è vero”
“Io dico di sì...” la rimbeccò Sonoko, incrociando le braccia al petto.
Kazuha sbatté il coltello contro il tagliere, facendo sobbalzare l’amica. “Senti, Sonoko!” esclamò, leggermente innervosita. “Sai come la penso: secondo me hai fatto male ad andartene di casa. Tua sorella si è solo preoccupata, non vedo il motivo di farla tanto lunga. E poi le do ragione, in questo ultimo periodo sei un tantino cambiata. Da quando ti sei lasciata con...”
“Non è assolutamente vero!” sbraitò Sonoko, interrompendo l’amica prima che potesse pronunciare il nome del suo ex ragazzo. Odiava sentir pronunciare quel nome. Le faceva schifo.
Kazuha la fissò tagliente, ma non ribatté. Recuperò il coltello e riprese a tagliuzzare le verdure, sciogliendo via la rabbia che l’aveva pervasa a tradimento.
“Ascoltami, per favore” le disse quando recuperò la sua solita calma. “I tuoi sono solo preoccupati. Non devi farne un dramma...”
“Vuoi che me ne vada?!” la interruppe Sonoko, mettendo su il broncio.
Kazuha alzò gli occhi al cielo, trattenendo una risatina. “Ma no, sciocca! Solo che devi fare pace con loro, e parlarci. Capiranno... e poi” la minacciò, puntandole il coltello contro. “Non ti attaccare ad ogni singola frase che dico, cercandone i significati nascosti!”.
Sonoko scrollò le spalle, non molto convinta, e si lasciò scivolare sulla sedia, accavallando le gambe in maniera poco femminile. Si grattò la testa spettinata e poi incrociò le braccia al petto, fissando lo sguardo sul soffitto bianco.
“Comunque, perché non sei andata al tuo vecchio appartamento?” domandò curiosamente Kazuha, posando il coltello e cominciando a sistemare le verdure tagliate in due piccole ciotole.
Sonoko si mosse inquieta, prendendo tempo. “Ecco...” iniziò, ma venne interrotta dal citofono, che prese a squillare per tutto l’appartamento con insistenza.
“Ma chi diavolo è?” domandò Kazuha, pulendosi le mani alla belle meglio su di un vecchio strofinaccio. Si avvicinò al citofono ed alzò la cornetta. “Chi è?” domandò.
“Ciao, emh, Kazuha... sono… Heiji!” disse nervosamente la voce metallica del ragazzo.
Kazuha aggrottò le sopracciglia curiosamente, cominciando inconsciamente a sistemarsi meglio la maglietta e gli shorts che indossava, cercando di tirarli più giù possibile, per allungarli.
“Ah, ciao!” disse dubbiosamente, non sapendo cosa fare. Per fortuna, ci pensò Heiji a chiarire la situazione, chiedendole gentilmente se potesse raggiungerla di sotto.
Kazuha chiuse il citofono, voltandosi verso lo sguardo di Sonoko, rimasta in silenzio fino a quel momento, avida di sapere.
“Scendo un secondo. C’è Heiji” le disse distrattamente, infilandosi un paio di sandali. Non aspettò nemmeno una risposta da parte dell’amica, prese le chiavi di casa e uscì svelta dalla porta, scendendo i due piani di scale che la separavano dall’entrata mentre si sistemava la coda di cavallo.
Individuò il ragazzo accanto al portone d’ingresso, con le mani affondate in un paio di pantaloni eleganti. Indossava ancora la sua ‘uniforme’ di lavoro, e Kazuha si sentì immediatamente trasandata rispetto al ragazzo. Cercò di sistemarsi i capelli fino a quando lui non la salutò con un sorriso timido, per poi far ricadere le mani lungo i fianchi, sorridendogli a sua volta.
“Scusami per il disturbo. Avrei dovuto avvisare” cominciò Heiji, la voce leggermente più acuta del solito.
Kazuha scosse la testa, cercando di metterlo a suo agio. “Non ti preoccupare, non stavo facendo nulla di importante” disse, appoggiandosi al portone d’ingresso. “Dimmi pure”.
Heiji si morse un labbro, deglutendo a fatica. Sembrava sul punto di fare una rivelazione importante, e Kazuha si sporse senza accorgersene, spalancando gli occhi e facendosi attenta.
Si sentì stranamente impaziente, come se avvertisse che ciò che voleva dirle Heiji la riguardasse in qualche modo.
“Ecco... devo dirti una cosa” disse Heiji, prendendo la faccenda alla larga.
Kazuha annuì in silenzio, trattenendosi dal sollecitarlo. Sembrava che il ragazzo volesse parlare, ma che allo stesso tempo ne fosse un po’ intimidito, e non voleva mettergli alcuna fretta, nonostante fosse lei stessa molto impaziente.
“Vedi... è da un po’ di tempo che volevo... dirti una cosa” si ripeté Heiji, iniziando a grattarsi nervosamente una guancia.
Kazuha annuì ancora, facendo un passo verso di lui. Il traffico intenso di fine giornata che li avvolgeva la disturbava, e non riusciva a sentire i farfugliamenti del ragazzo.
“Oh!” lo interruppe la ragazza, battendo le mani. “Hai ragione: ti devo i soldi del gelato di ieri!”.
Heiji perse quasi l’equilibrio, fissando la ragazza con occhi spaesati per alcuni istanti. Si ricompose schiarendosi la voce e sistemandosi il colletto della camicia chiara. “No, emh... io...”.
“Vado di sopra a prenderli, ci metto un secondo” disse svelta la ragazza, cominciando a voltargli le spalle.
Kazuha si sentì afferrare per il polso, e si bloccò all’istante. Voltò lentamente lo sguardo verso Heiji, che stava con il capo chino, gli occhi fissi sul cemento.
“Non mi devi niente” le sussurrò, e Kazuha riuscì a sentire le sue parole nonostante i clacson e il rumore proveniente dalla strada.
Heiji mollò la presa e si portò la mano in tasca, mentre Kazuha, deglutendo a fatica, si voltava di nuovo verso il ragazzo, sentendo stranamente la testa vorticare, e le orecchie fischiare. Perché, perché si sentiva così? Perché il momento le sembrava stranamente teso?
“Ascoltami, per favore...” mormorò Heiji, alzando il capo. Inclinò la testa di lato, sempre senza fissarla negli occhi. “Non ce la faccio più...” le sembrò di aver sentito.
Fece un passo verso di lui, le mani strette a pugno all’altezza del cuore. “Cosa?” chiese, certa di aver frainteso.
Cosa voleva? Cosa voleva dirle?
“Attenzioneee!” urlò qualcuno alle spalle della ragazza, che, istintivamente, si accucciò, con le mani sulla testa.
Una borsa a tracolla fucsia colpì Heiji sulla faccia, facendogli perdere l’equilibrio, mandandolo lungo disteso sul pavimento. Kazuha rimase sbigottita davanti alla scena, le palpebre che si aprivano e si chiudevano spaesate, le mani ancora strette sulla testa.
Riconobbe la tracolla: era la sua!
“Avevo avvertito, io” borbottò una voce alle spalle di Kazuha. La ragazza realizzò la situazione e si alzò subito di scatto, spostando la borsa dal viso di Heiji, accucciandosi al suo fianco preoccupata.
“Va... va tutto bene?” gli domandò. “Ti sei fatto... male?”.
Heiji, gli occhi strabuzzati, scrollò il capo in segno di negazione, cominciando a diventare sempre più rosso. Digrignò i denti, scattando a sedere un istante dopo, le mani strette a pugno e lo sguardo omicida.
“Hey, tu!” gridò verso il portone d’ingresso. “Ma che diavolo ti è preso?!”.
Kazuha raccolse il borsone, implorando i Kami di non scoppiare a ridere per l’assurdità della situazione, e si voltò a sua volta verso l’ingresso del suo condominio, ritrovando sulla soglia Sonoko, le braccia incrociate stancamente e un sopracciglio inarcato.
“Tskè!” sbuffò la giovane ereditiera, sistemandosi meglio sulla spalla la sua borsa. “Sei sempre in mezzo” disse rivolta ad Heiji, e ricevendo in risposta un altro sguardo di fuoco.
“Sonoko... ma ti sembra il modo?” la rimproverò Kazuha, alzando la tracolla all’altezza del viso, indicandola con un cenno del capo. “E questa?”.
Sonoko sventolò una mano, noncurante. “Si parte. Si cambia aria. Si parte!” disse leggera, sorridendo malignamente un secondo dopo.
“Eh?” fecero all’unisono i due ragazzi di Osaka.
Kazuha si sentì stranita. Non riusciva a capire le intenzioni dell’amica, e tantomeno comprendeva come riuscisse a cambiare stato d’animo nel giro di pochi minuti. Ma quella, ora che ci rifletteva meglio, era una peculiarità di Sonoko.
La giovane ereditiera puntò l’indice contro Kazuha, cominciando a ridacchiare. “Hai capito benissimo: partiamo!”. Poi spostò il dito verso Heiji e il suo sorriso aumentò ancora di più. “E tu, Hattori, verrai con noi!”.
“Ma che stai farneticando?!” le sbottò contro Heiji, ancora innervosito.
Sonoko scoppiò in una risata acuta e si portò la mano davanti alla bocca come una diva. Fece scorrere una mano tra i suoi capelli ingarbugliati e fece una giravolta su se stessa, alzando un braccio verso l’alto, in direzione del sole che stava quasi scomparendo dietro una fila di enormi grattacieli. “Sono serissima! Forza, Hattori, scattare!” gridò continuando a fissare il cielo. “Abbiamo tutti bisogno di una vacanza!”.
Kazuha, sempre più convinta della pazzia di Sonoko, aprì la tracolla e notò che all’interno l’amica aveva sistemato alla rinfusa dei vestiti di ricambio, assieme ad un piccolo beauty ed a un paio di costumi da bagno.
“Bikini?” constatò ad alta voce, estraendone uno blu notte.
Sonoko le lanciò un’occhiata in tralice, ammiccando. “Esattamente! Adesso andiamo da Hattori a prendere la macchina, e ce ne andiamo al mare per tutto il week-end!” esclamò la ragazza, prendendo a camminare verso la direzione sbagliata dell’appartamento del ragazzo di Osaka.
Kazuha ed Heiji si scambiarono un’occhiata perplessa, e poi entrambi scoppiarono a ridere, lasciandosi andare.
 
 
Shinichi smosse un paio di sassolini con il piede, mentre allungava furtivamente lo sguardo alla sua sinistra, dove sulle scale per raggiungere l’agenzia di investigazioni di Kogoro Mouri, stava seduta Ran, lo sguardo fisso nel vuoto, gli occhi spenti.
Il giorno prima, li aveva visti brillare, animati da una nuova e agognata luce. Ed ora... erano tornati esattamente come li aveva visti quella volta al bar, quando si erano appena conosciuti.
L’animo di Shinichi bruciò di rabbia, riconoscendo come colpevole di tutto ciò il ragazzo che affermava di amare Ran, Shun. Lo sguardo della ragazza era vitreo, fisso sul nulla, la sua vera indole rimasta sopita fino ad allora sembrava voler tornare a dormire per sempre.
 “Mi ha fatto male. Ma non sono riuscita a dirglielo” mormorò Ran, appoggiando la fronte contro le braccia strette sulle ginocchia. Sfregò il viso pallido, arrossandolo, e spostò lo sguardo in quello di Shinichi.
Il ragazzo notò un guizzo in quegli occhi chiari, e si sentì leggermente più tranquillo quando intravide di nuovo la luce che la rendeva viva e ancora più bella. La vera Ran non era stata messa di nuovo nella parte più recondita della ragazza, era ancora lì dentro, che aspettava solo di tornare, e si sentì decisamente più sollevato quando lo ebbe appurato.
“Non ci riuscirò mai. Metto prima di tutto il suo volere” continuò la ragazza, la voce flebile. “E sono sempre più convinta che non sia sbagliato, o almeno non del tutto. L’amore è fatto anche di compromessi”.
Shinichi, a quelle parole, storse le labbra. Lui, non si era mai innamorato veramente. Ma di una cosa era convinto: l’amore è il sentimento della pienezza. E se Ran si sentiva menomata di una parte di sé, se sentiva di dover scendere a compromessi, annullando una parte integrante del suo io, allora quello, per Shinichi, non doveva essere vero amore.
Era convinto che Ran non avrebbe mai dovuto amputare una parte di sé, rinnegarla e rinchiudere la sua genuinità in favore di un rapporto come quello che si era costruita con Shun. Un rapporto a metà. Malsano.
“Lo sai, che è sbagliato. Altrimenti, non staresti così, ora” disse Shinichi, lo sguardo fermo sulla ragazza e la voce sicura. “Dimmi la verità. Rispondi sinceramente: stai più male per come ti ha trattata o per il fatto che non sei riuscita ad importi? Per il fatto che non hai ribattuto alla sua volontà?”.
Ran sobbalzò alla domanda, e alzò il capo verso il ragazzo. Lo guardò spaventata e stupita allo stesso tempo. Sembrava divisa a metà, mentre il suo cervello elaborava la richiesta e annaspava in cerca della risposta da dare.
“Non ci devi pensare tanto” le disse dolcemente il ragazzo, abbozzando un sorriso.
Ran si sciolse a sua volta, mentre i suoi occhi diventavano umidi. “Io... credo per la seconda ipotesi” disse, quasi vergognandosene.
Shinichi annuì, aumentando il sorriso. Le spinse leggermente la testa con l’indice e la guardò ammiccando, sentendo il suo cuore ruggire di felicità nell’ammirare quello sguardo innocente e scombussolato rivolto solo per lui.
Ran era bella anche quando non sorrideva. Era bella anche quando sembrava spaesata, anche quando aveva gli occhi arrossati. Era bella sempre.
“Va un po’ meglio?” le domandò in un sussurro, avvicinando il suo viso a quello della ragazza.
Ran annuì lentamente spostando lo sguardo sulle labbra del ragazzo, sempre più vicine alle sue. Shinichi avvertì il respiro lento e caldo della ragazza sulle proprie guancie, e sorrise interiormente.
Era bello stare così vicini a Ran. Indipendentemente dalla voglia di baciarla, indipendentemente dalla voglia di far sue quelle labbra. Starle vicino era la cosa che più desiderava, e quel lontano quanto vicino contatto valeva più di mille baci.
Un lieve venticello caldo mosse i capelli sciolti di Ran, che giocarono sul collo di Shinichi, permettendogli di percepire il suo profumo.
Il ragazzo chiuse gli occhi, beandosi il momento. “Vaniglia” mormorò, sorridendo alla ragazza.
Ran sobbalzò, gli occhi spalancati dalla sorpresa. Sentì il corpo di Shinichi tremendamente vicino al suo, ma non si spostò.
Il ragazzo inspirò, prendendo tempo. Non aveva alcuna fretta, tutto attorno a lui si era come ibernato. Esistevano solo loro due, seduti su quelle scale, a fissarsi negli occhi. Confusi. Incerti. Desiderosi.
Un clacson risuonò insistentemente sulla strada, facendo sobbalzare i due ragazzi. Spostarono lo sguardo verso la fonte del rumore, leggermente irritati per la brusca interruzione.
Shinichi sgranò gli occhi, quando notò che dalla macchina accostata di fronte a loro sbucavano le teste di Heiji, Kazuha e Sonoko.
L’ultima si stava sporgendo dal finestrino, sorridente. “Hey!” li chiamò allegramente, premendo nuovamente un secondo dopo il clacson della macchina di Heiji. “Forza, correte a prepararvi!”.
Ran inclinò la testa di lato, perplessa. Shinichi la osservò alzarsi lentamente e dirigersi verso gli amici, come se nulla fosse successo fino a qualche istante prima. Si alzò a sua volta, raggiungendola, mentre Sonoko scendeva con foga dal sedile del passeggero, allegra e sorridente.
“Che sta succedendo?” domandò il ragazzo, sporgendosi all’interno della macchina, rivolgendo uno sguardo seccato all’amico.
Heiji tamburellò le dita sul volante, lo sguardo irritato incollato al parabrezza. “Chiedilo a quella matta” borbottò cupamente.
La testa di Kazuha sbucò accanto al poggiatesta di Heiji, a sua volta sorridente. “Si va al mare” rispose, facendo strabuzzare gli occhi di Shinichi.
Heiji sbuffò piano, come se la cosa non gli andasse molto a genio. Alle loro spalle si sentì chiaramente la voce di Ran, che stava tentando in tutti i modi di far ragionare la sua migliore amica.
“Non mi interessa” rispondeva la giovane ereditiera, scrollando il capo come una bambina divertita. “Fila di sopra e prepara una borsa in meno di cinque minuti. Si parte tra poco!”.
“Ma... lunedì c’è la partita di Shun” si intestardì Ran, senza però evitare di far uscire la sua voce leggermente rabbuiata nel nominare il nome del fidanzato.
“Che palle!” esclamò di cuore Sonoko, sospirando. Rimase con le mani sui fianchi a scrutare la sua amica, venendo accostata da Shinichi, che spostava lo sguardo dall’una all’altra. “Saremo di ritorno per lunedì, va bene? Ora fila!”.
“Ma...”
“Che c’è ancora? Guarda che te la faccio io la valigia, Ran!” sbottò Sonoko.
La ragazza gonfiò le guancie, risentita, e le voltò le spalle, dirigendosi a grandi passi su per le scale. Si voltò solamente a metà strada, incenerendo Sonoko con lo sguardo.
“Sono quasi le otto di sera. Dove credi di andare?” le chiese.
Sonoko si lasciò andare ad una risatina leggera. “Mi pareva di avertelo già detto. Partiamo per il mare. Tutti e cinque!”.

 
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Salve salve salveee! ^-^
Eccoci qua, con il settimo capitolo postato...! Ok, credo che qualcuno possa odiare Sonoko per tutte le interruzioni che ha fatto in questo capitolo, ma alla fine qualcosa di buono ha fatto anche lei, con la sua proposta, no? Tre giorni da passare al mare insieme ... non vedo l’ora di scrivere quei capitoli! :)
La settimana che verrà – fortunatamente – sarà priva di rotture scolastiche, quindi prevedo di riuscire a dedicarmi alla scrittura dell’ottavo capitolo con un po’ più di calma e pace :)
Comunque, aspetto le vostre recensioni in merito a questo chap :)
 
Passo ai ringraziamenti!
Grazie mille di cuore a chi ha recensito lo scorso capitolo, ovvero: 88roxina94, Shine_, Yume98 e _Flami_! <3
Grazie anche a Shike che ha messo la fan fiction tra le seguite, e a Martins che l’ha inserita nelle preferite! :D
Grazie anche a chi legge soltanto!!
Ci vediamo prestoooo!          - ma perché oggi sono molto Shinigami di Soul Eater??? XD -
 
Dony 
  
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