Your
heart is my home
Il giorno
antecedente la
vigilia di Natale era, semplicemente, il più confusionario
esistente a New
York. Solo il Black Friday gli teneva testa a livello di caos per le
strade e
per i negozi.
Per quanto a
Sebastian
Smythe piacessero la gente e la confusione, infilarsi tra la folla a
Bloomingdale’s e crearsi una breccia per poter prendere un
semplice paio di
guanti neri in cashmire per la madre come regalo di Natale non era
esattamente
la prospettiva migliore a cui potesse aspirare.
Probabilmente,
se non
avesse fatto attenzione, sarebbe rimasto ucciso schiacciato dalla calca
e
nessuno se ne sarebbe curato, vista la fiumana di persone che riempiva
il
grande magazzino e non poteva manco permettersi di morire visto che il
dì
seguente lo avrebbero poi atteso venti ore di volo intercontinentale
per
tornare a Parigi giusto in tempo per festeggiare il Venticinque con la
famiglia. Nemmeno quella previsione sembrava allettarlo poi
così tanto, combinata
al jet lag e allo scombinamento tipico di quei viaggi così
lunghi che odiava
seriamente con tutto se stesso.
Faticò
un po’
nell’insinuarsi tra le persone che riempivano il reparto
accessori e, dopo aver
scansato uomini e donne di ogni età e nazionalità
indaffarati nello shopping,
riuscì finalmente ad avvicinarsi al tanto agognato paio di
guanti, che vedeva
pendere da una piccola e graziosa luccicante struttura dorata
appoggiata sul
bancone di marmo screziato dei commessi.
Fece appena in
tempo ad
afferrare un guanto color nero e a tirarlo fuori, prima di sentirsi
leggermente
strattonare dalla parte opposta alla propria, come se qualcuno avesse
stretto
con le mani l’altro ancora penzolante nell’aria.
Si
voltò per capire cosa
stesse succedendo- non avrebbe mollato quel paio di morbidi e caldi
proteggimani per tutto l’oro del mondo, sarebbe stato
disposto anche a
combattere nel bel mezzo del reparto pur di proteggere il proprio dono,
non
aveva proprio altre idee per la madre- e vide un paio di occhi
caramello fissarlo.
Quel colore gli
era
familiare, anche se non li aveva più osservati da tempo.
Troppo tempo.
Riuscì
a malapena a
muovere le labbra per articolare un semplice suono e una sola parola
uscì dalla
bocca perfetta di Sebastian.
“Blaine.”
Non si sarebbe
mai
aspettato di rincontrarlo lì, non a quel modo
così improvviso che gli sembrò
quasi che un fulmine lo avesse appena trapassato da parte a parte.
“Ciao,
Sebastian.”
*o*o*o*
“Allora,
un caffè nero. Amaro,
mi raccomando. E un caffè macchiato corretto con
Courvoisier,” disse con
gentilezza Blaine alla cameriera del Serendipity3, la quale si
appuntò l’ordine
con rapidità sorprendente e, con velocità
altrettanto stupefacente, tornò nel
giro di tre minuti di orologio con due tazze di cartone colme dei due
liquidi
scuri e bollenti. Il locale era a pochissima distanza da
Bloomingdale’s e,
stranamente, non c’era tutta la ressa opprimente del centro
commerciale.
La cosa
rilassò un po’
Sebastian, anche se incrociare lo sguardo dorato di Blaine gli impediva
di
respirare o di pensare o di fare qualsiasi altra cosa che non fosse
fissarlo.
Doveva convincersi che non era una visione o un sogno.
Blaine Anderson
era lì,
davanti a lui, bello come sempre, forse ancora più di prima.
E, nonostante
fossero passati tanti anni dal loro primissimo incontro in Ohio, si
ricordava
ancora cosa si erano presi da bere al Lima Bean durante la loro prima
chiacchierata.
Per destarsi
dallo stato
catatonico in cui era caduto e compiere azioni che lo rassicurassero in
qualche
modo, Sebastian prese in mano il proprio cartone, si sfilò i
propri guanti in
pelle marrone per godersi ancora meglio quel contatto caldo e
avvicinò alla
bocca il caffé per sorseggiarlo.
Vide
distintamente gli
occhi di Blaine lampeggiare per una frazione di secondo,
l’oro fuso in essi indurirsi
e poi ammorbidirsi.
“Non
ci posso credere,
indossi ancora il mio anello,” sussurrò con la
voce spezzata ed impressionata.
Evidentemente, non si aspettava che Sebastian potesse conservare ancora
quell’oggetto o, addirittura, indossarlo quotidianamente.
Sebastian si
voltò verso
la propria mano sinistra e osservò sul proprio anulare il
luccicare fiero di
quel piccolo ammasso di platino che Blaine gli aveva regalato per i
loro primi
tre anni assieme.
Appoggiò
il recipiente col
caffè, si sfiorò l’anello con
l’indice destro e sospirò, invaso dai ricordi.
“Non
l’ho mai tolto. Non
ci sono riuscito,” affermò Sebastian, guardandolo
poi fisso in viso. Aveva
provato a sfilarselo e a non averlo addosso visto che era stato lui
stesso a porre
fine alla loro storia, ma gli sembrava l’ennesimo tradimento
a ciò che loro due
erano stati per davvero tanto tempo. Nonostante tutto ciò
che aveva fatto, non
poteva estirpare dal cuore quello che lui e Blaine avevano condiviso e
non
poteva levarsi quell’anello, l’unico simbolo
tangibile che possedeva della loro
storia.
“Ti
ricordi cosa mi
facesti scrivere dentro prima di darmelo?” gli
domandò, la voce morbida come
velluto disteso sull’erba.
“Ton coeur est ma maison,”
rispose Blaine rapido e con pronuncia
perfetta, squadrandolo negli smeraldi incastonati nel volto per poi,
altrettanto rapidamente, abbassare lo sguardo.
“Non
riesco ancora a
capacitarmi del fatto che tu abbia potuto lasciarmi un anno e mezzo
fa,”
aggiunse triste. In ogni parola si percepiva il suo cuore ancora
spezzato, le
cicatrici non ancora rimarginate che gli bruciavano dentro, da qualche
parte,
nel petto.
Sebastian fece
fuoriuscire
un sottile sbuffo d’aria dai polmoni prima di rispondergli.
“Ricordi
quanto litigavamo
nell’ultimo periodo? Tu volevi andare a vivere assieme , io
no. E discutevamo
sempre su questo argomento…”
“Certo
che me lo ricordo
benissimo Sebastian, ma credi che abbandonarmi mi abbia fatto stare
meglio?”
“Credevo…
credevo che
senza tutta quella tensione tra di noi tu saresti stato meglio,
sì. Non
andavamo più d’accordo, volevamo cose diverse
all’epoca e la cosa ti stava
distruggendo e…” Sebastian non fu nemmeno in grado
di completare il proprio
concetto. Aveva lasciato Blaine graniticamente convinto che in quel
modo sarebbe
stato meglio, che l’altro sarebbe tornato a essere felice
prima o poi, un
giorno non molto distante, che la sua vita sarebbe ritornata serena,
senza
tutta quella preoccupazione continua dovuta alla loro
diversità di vedute.
Invece, avendolo
davanti
dopo quelli che gli erano sembrati lunghi millenni, così
vicino che sarebbe
bastato solo sporsi leggermente sul tavolino per toccarlo, si rese
improvvisamente e completamente conto che aveva commesso un enorme
errore.
Sebastian non
era stato
più se stesso da quando si erano separati. Aveva avuto delle
storie, sì, ma non
aveva mai costruito niente di serio. Ogni volta, ogni singolo ragazzo
che
incontrava doveva scontrarsi col modello irraggiungibile che era Blaine
nella
sua mente. E la cosa si concludeva sempre con una sconfitta e con
quella
sensazione di solitudine con cui aveva imparato a convivere da mesi e
mesi
oramai.
Nemmeno per
Blaine la
situazione era stata poi tanto differente, lo vedeva coi propri occhi
cosa gli
aveva fatto abbandonandolo, supponendo di fare l’azione
giusta per lui.
Ogni cosa era
andata in
pezzi nelle loro vite.
“E’
stata tutta colpa mia.
Ho insistito così tanto sulla storia della convivenza che
alla fine sei
scappato via da me…”
“No,
Blaine, non è così. Quella
maledetta convivenza ci stava già allontanando ancor prima
di essere iniziata e
non potevo sopportare di vedere te stare male perché non
volevo ancora vivere
assieme. Stava andando tutto a rotoli ormai tra noi per quella
situazione e non
ce la facevo a vederci in quello stato. Sono stato io a lasciarti e
sono stato
io quello che è fuggito via dai nostri problemi pensando di
risolverli a quel
modo, non tu,” confessò Sebastian al ragazzo che
aveva davanti a sé, impietrito
da quelle dichiarazioni tardive.
Forse sarebbe
riuscito a
mettere le cose a posto tra loro e a spiegargli tutto ciò
che lo aveva portato
a quella decisione tremenda e sofferta ora che il destino li aveva
fatti
scontrare l’uno nell’altro due giorni prima di
Natale?
Blaine scosse la
testa,
come se volesse ancora un’altra volta prendersi la
responsabilità della loro
rottura, come se non accettasse che Sebastian lo proteggesse dagli
sbagli che
aveva inevitabilmente commesso assieme a lui. Poi, tutto d’un
tratto, un
sorriso gli illuminò i lineamenti che, fino a
quell’istante, erano stati
contratti dalla tensione causata dall’amarezza della loro
separazione.
“Mi
chiedo perché indossi
ancora il mio anello,” gli domandò. Con
sincerità assoluta, quasi con… speranza.
Sebastian
fissò il proprio
anulare per qualche secondo, un tempo che gli parve eterno e breve allo
stesso
tempo.
“Tu
sei stata la persona
più importante della mia vita. Hai incontrato un ragazzo
diciassettenne alla
Dalton appena arrivato dalla Francia una mattina di novembre tanto
tempo fa e gli hai
insegnato cosa volesse dire amare, gli hai svelato un intero mondo di
sentimenti e lo hai fatto per anni interi, con dedizione e passione.
Ecco
perché ho ancora il tuo anello addosso. Pensi che potrei mai
cancellare tutto
questo? ” gli chiese Sebastian, con tutta l’anima.
Perché,
per quanto ci
avesse provato ad andare avanti, non era riuscito a cancellare niente
di loro
due dalla sua testa, niente di ciò che erano stati, nessun
piccolo o grande
ricordo che li aveva uniti e poi separati.
“Non
lo so, in questo anno
e mezzo mi pare che tu ci sia riuscito alquanto bene”,
borbottò Blaine, il sole
delle sue iridi eclissato nuovamente dalle ombre della sofferenza
passata.
Tutto il dolore,
le
lacrime, le chiamate chiuse in faccia, i Ti
odio lanciati sotto forma di pugni al muro, gli sms scritti e
mai mandati
pieni di Mi manchi, ti amo, riaggiustiamo
tutto, conti solo tu per me emersero nuovamente
dall’ cassetto nel cervello
di Blaine dove lui aveva rinchiuso tutte quelle cose e le aveva
sigillate nel
tentativo di andare avanti con la propria vita.
“Io
non ti ho dimenticato,
mai. E nemmeno tu, perché hai al collo il ciondolo con i
cinque franchi di mio
nonno che ti ho regalato la prima volta che ti ho detto che ti
amavo,” e il
pensiero di Sebastian andò a quella sera
dell’ultimo anno di liceo in cui
glielo aveva confessato nella sala prove deserta del Glee Club e allo
sguardo
sorpreso di Blaine quando gli aveva detto quelle due parole, prima che
gli si
gettasse addosso e lo baciasse; e ad ancora prima, a quando si era
volontariamente trapiantato
al McKinley perché suo padre si era giocato tutti i loro
risparmi in Borsa e
non potevano più permettersi la retta della Dalton; a come
loro due si fossero
legati con una naturalezza invidiabile fin dal primo giorno del
trasferimento, nonostante
duellassero continuamente per gli assoli; a quanto era stato
dannatamente
semplice cadere ai piedi di quel ragazzo che, invece, avrebbe dovuto
fare
l’esatto contrario.
La mano di
Blaine andò
automaticamente a toccarsi la sottile collana di argento che spuntava
appena
visibile dallo scollo a V del pesante maglione di lana che indossava e
gli
sembrò quasi che gli avessero sparato un colpo di pistola a
bruciapelo nel torace.
“Pende
sempre a sinistra
quando lo indossi, vero? Va dove batte il tuo cuore… ecco
perché mi facesti
incidere quella frase nell’anello. Il tuo cuore è la mia
casa,” gli rammentò
Sebastian.
Blaine rimase
senza
parole. Dovette ricordare al proprio cervello cosa volesse dire
compiere
un’azione relativamente facile come respirare e
fissò poi Sebastian dritto
negli occhi, come se avesse avuto un’epifania in
quell’esatto istante.
“Quando
parti per la
Francia?” gli domandò.
“Domani
mattina,” replicò
Sebastian, con un fil di voce. Non voleva leggere altro in quella
questione,
non voleva dare altri significati a quella luce che brillava nelle lune
dorate
di Blaine, perché quella era la luce che gli aveva visto
sempre addosso quando
lo osservava, innamorato come il primo giorno in cui gli aveva regalato
il
ciondolo con la moneta.
Aveva appena
recuperato
quella luce, l’aveva fatta riemergere nonostante avesse
tentato di annegarla
mesi e mesi prima; e non poteva farsela sfuggire un altro secondo in
più.
“Vieni
con me,” gli disse di getto,
quasi implorando Blaine con gli occhi e quella frase di tre semplici
parole.
Non avevano mai smesso di amarsi per tutto quell’infinità di tempo; gli sembrava un vero e proprio miracolo, un regalo natalizio in anticipo.
Era giunto
finalmente il momento per
Sebastian di riaggiustare ciò che aveva infranto.
Il cuore di
Blaine, le
loro promesse, le loro esistenze.
E un Natale in
Europa
sembrava un punto di inizio, una partenza solida,
un’occasione irrinunciabile,
una seconda chance.
Blaine sorrise
di nuovo.
Il movimento
delle proprie
labbra increspate all’insù contagiò
anche gli occhi d’oro e il resto del viso raggiante
e completamente rilassato.
“Dove altro potrei andare? Il tuo cuore è la mia casa.”
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1) Se non cogliete il riferimento iniziale della scena del guanto da Bloomingdale's, filate a vedervi Serendipity!
2) Se non sapete i cinque franchi cosa rappresentano, filate a leggervi Bellissimo di IrishMarti, perchè è una delle storie Seblaine più belle mai scritte <3.
3) E' una cosa veramente orribile questa storia, scritta per il settimo e ultimo giorno della Seblaine Week, e sono stata obbligata a pubblicarla sempre dalla suddetta Marti. Quindi, incolpate lei per questa... cosa bleah.
4) Sono depressa per la fine della Seblaine Week ç_ç e amo questo fandom meraviglioso con tutto il mio cuore. Per cui, questa robetta è per loro, per le fantastiche ragazze che hanno scritto con amore e passione per un'intera settimana su Blaine e Sebastian, per chi, come Fede, ha giffato su di loro splendidamente su Tumblr e per chi ci ha disegnato su o ci ha graficato *e qui rientro io lol*. Siete il mio orgoglio <3