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Autore: effewrites    25/03/2012    5 recensioni
[Crossover Percy Jackson/Sono il Numero Quattro. Luke/Sei, Luke/Talia]
«Mi prendi in giro, ragazzina? Lo sento che non sei per metà dea. Quindi, per la barba di Zeus, si può sapere chi o cosa diamine sei?» sbraitò Dioniso.
Luke inarcò le sopracciglia e guardò la ragazza senza proferire parola, curioso di sapere se questa volta avrebbe risposto. Lei si poggiò con lentezza allo schienale della sedia, con le braccia incrociate al petto.
«Sono Sei» disse. «E dal momento che vengo da un altro pianeta, potete considerarmi un’aliena»
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Chirone, Luke Castellan, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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SEI.

 

«Molte delle antiche divinità greche, che la gente ritiene figure mitologiche, in realtà erano figli di terresti e di Loric, soprattutto perché allora era molto più frequente che venissimo su questo pianeta. Stavamo aiutando i terrestri a sviluppare le civiltà.
Afrodite, Apollo, Hermes e Zeus erano tutti reali e avevano un genitore loric.»
[Sono il Numero Quattro, p. 242]

 






I.
Luke osservò la ragazza superare i confini del Campo Mezzosangue come se questi non fossero neanche esistiti. Vide la sua moto scivolare su di un fianco mentre la ragazza la scavalcava con un salto.
La giacca che indossava si stracciò con un rumore secco. La ragazza imprecò e la gettò per terra. Sotto di essa indossava una tuta aderente nera e grigia di un materiale che Luke non riconobbe.
Si muoveva con velocità e intelligenza, forse abituata al combattimento.
Le arpie ancora volteggiavano nel cielo al di fuori dei confini e la ragazza ormai era al sicuro, ma aveva un’espressione talmente tesa e concentrata da far intuire che non sapesse che non c’era più bisogno di combattere per rimanere viva, perché solo i semidei potevano entrare nel campo.
Luke superò velocemente alcuni ragazzini armati e ancora confusi per essere stati svegliati nel bel mezzo della notte da un attacco delle arpie, e si diresse verso la sconosciuta.
Aveva intenzione di aiutarla, ma lei non doveva essere dello stesso avviso; lanciò a Luke uno sguardo folle, afferrò la mano che lui le stava porgendo, storcendogli il polso, e con una forza inusuale per una ragazza lo gettò a terra con un calcio in pieno petto.
Il calcio e l’impatto con il terreno duro risucchiarono l’aria dai polmoni di Luke. Le arpie emisero un grido che nell’assurdità del momento a Luke parve di scherno. La ragazza grugnì e si voltò verso i mostri.
Con gli occhi rivolti verso il cielo, alzò le braccia.
Si sentì risuonare un rombo di tuono. Nuvoloni neri spuntarono dal nulla, portando con sé una tempesta di fulmini e tuoni.
Luke sentì il cuore battergli forte nel petto mentre osservava il profilo del viso della ragazza sconosciuta, illuminato dai lampi. Sapeva che solo i figli di Zeus avevano un potere tale da evocare tempeste; e l’unica figlia di Zeus di cui si sapeva era lei.
«Ta… Talia?» mormorò, puntellandosi sui gomiti per rialzarsi.
La ragazza gli rivolse un unico sguardo glaciale, dopodiché gli sferrò un altro calcio e Luke perse conoscenza.
 
II.
Non era Talia. Non poteva essere lei. Avrebbe dovuto capirlo subito. Si sarebbe evitato parecchio dolore per la delusione.
Non le somigliava neanche; era alta, con un fisico allenato, lunghi capelli scuri, occhi marroni, zigomi alti, bocca larga e naso pronunciato. Non era affatto Talia.
«Chi sei?» le chiese Chirone, il centauro direttore delle attività del campo. Era la terza volta che le rivolgeva quella domanda da quando l’avevano portata nella Casa Grande, e ancora lei non aveva risposto. Si limitava a fissare con astio i presenti nella sala — Chirone, Luke e il Signor D, direttore del campo altresì conosciuto come Dioniso, dio del vino. C’erano voluti tre dei ragazzi più grossi della cabina di Ares a placcarla e a portarla di peso nella Casa Grande, e ora quei tre si trovavano tutti in infermeria.
Luke pensò che con una costola incrinata e un livido viola scuro in faccia gli fosse andata davvero di lusso.
«Non sei una semidea» disse il Signor D girandole intorno come un avvoltoio. «Ma solo i semidei possono oltrepassare i confini del campo»
La ragazza inarcò gli angoli delle labbra in una smorfia provocatoria. «Forse invece lo sono»
«Mi prendi in giro, ragazzina? Lo sento che non sei per metà dea. Quindi, per la barba di Zeus, si può sapere chi o cosa diamine sei?» sbraitò Dioniso.
Luke inarcò le sopracciglia e guardò la ragazza senza proferire parola, curioso di sapere se questa volta avrebbe risposto. Lei si poggiò con lentezza allo schienale della sedia, con le braccia incrociate al petto.
«Sono Sei» disse. «E dal momento che vengo da un altro pianeta, potete considerarmi un’aliena»
 
III.
Essendo figlio di un dio, vivendo a contatto con satiri, ninfe e centauri e avendo combattuto contro mostri di ogni genere, Luke avrebbe dovuto essere abituato ad ogni genere di stranezza. Ma che quella ragazza fosse un’aliena era letteralmente un’assurdità.
Eppure il Signor D e Chirone erano rimasti ad ascoltare i vaneggiamenti di Sei con aria confusa e affascinata allo stesso tempo. Erano arrivati persino a pensare che in quella storia potesse esserci un fondo di verità. Come se fosse stato possibile che Zeus, Ermes e compagnia bella avessero avuto sangue alieno nelle vene.
Per Ade, questo avrebbe fatto di Luke il figlio di un alieno oltre che di un dio!
L’unica cosa su cui tutti concordavano era che bisognava vedere chiaro in quella faccenda, ecco perché era stata offerta ospitalità a Sei. La ragazza non era sembrata particolarmente entusiasta, ma aveva accettato lo stesso. Evidentemente aveva bisogno di riprendersi dallo scontro con le arpie, per quanto fingesse di non esserne stata affatto turbata.
«Se mi aspetti qui vado a prenderti un sacco a pelo e qualcosa per il bagno dal magazzino» le disse Luke, fermandosi davanti alla porta della cabina numero 11, quella di Ermes. Era lì che andavano a stare i ragazzi dai genitori sconosciuti, ma dal momento che Ermes era anche il dio dei viandanti — e Sei rientrava nella categoria — era lì che avrebbe alloggiato.
«Non devi essere per forza così gentile. Io non lo sarei con la persona che mi ha quasi pestato a sangue»
Luke aggrottò le sopracciglia, ma ignorò la ragazza. Sei si spostò appena, giusto quel tanto che serviva per avere una migliore visione della guancia martoriata di Luke.
«Anzi, senza il quasi»
«Non credo neanche a una parola di quello che hai detto prima» le rispose Luke tagliente. Gli bruciava di essere stato messo al tappeto da una ragazza.
«Non credi che i vostri dei in realtà discendano dal mio pianeta?» Sei si strinse nelle spalle. «Come vuoi. Non mi cambia la vita. Tu rimani fermo nelle tue convinzioni, io nelle mie»
«Ma per favore. Gli alieni non esistono»
«Io esisto. E tanto per la cronaca, fino a qualche ora fa per me non esistevano neanche i semidei»
Luke esitò per qualche istante. Touché, pensò.
Sei lo guardava con espressione tranquilla. Illuminati dalla luce che proveniva dalla cabina, i suoi occhi color nocciola avevano acquisito sfumature verdastre.
«Che hai da guardare?» lo apostrofò Sei.
Luke accennò un sorriso. «Mi ricordi qualcuno»
«Qualcuno?»
«Una mia amica. Una ragazza che conoscevo tanto tempo fa»
 
IV.
I ragazzi della cabina di Efesto si erano offerti volontari per riparare la moto di Sei, che si era rotta quando la ragazza era arrivata al campo. Dopo aver minacciato di distruggere a suon di pugni ogni cosa che si fosse trovata nel suo raggio d’azione, Sei si era data una calmata quando le avevano assicurato che non ci sarebbe voluto più di due giorni, forse addirittura uno, prima di poter ripartire.
La sua presenza era una novità, ma i ragazzi del campo tendevano ad evitarla. Sei se ne stette da sola a passeggiare per il campo o a cercare di convincere i semidei più temerari ad allenarsi con lei. La maggior parte di loro finiva in infermeria dopo poco.
Luke la osservava spesso, da lontano, quando era certo che lei non potesse vederlo.
La mattina seguente al suo arrivo la vide seduta sotto il pino di Talia, persa nei suoi pensieri, con quell’aria perennemente accigliata.
Se ne andò in silenzio scuotendo la testa, domandandosi perché vederla lì lo turbasse così tanto.
 
V.
Quel pomeriggio Sei assistette alla sessione di allenamento con la spada che Luke teneva per gli altri semidei. Luke si innervosì sapendola lì a controllare ogni sua mossa.
«Voglio provare» disse lei ad un tratto, avvicinandosi al campo.
«Tu? Non pensarci neanche. Non ho tempo per farti da babysitter»
«Paura che ti mandi al tappeto per la seconda volta?»
Luke strinse la mascella. Non poteva permettere che quella ragazza lo insultasse in questo modo davanti a tutti i semidei ai quali stava dando lezioni. Fece ruotare la sua spada. «Più che altro volevo risparmiarti un’umiliazione, ma se proprio ci tieni…»
 
VI.
Non voleva mandarla in infermeria. Sul serio, non voleva. Aveva esagerato, se ne rendeva benissimo conto. Non avrebbe dovuto rispondere in modo così violento alle provocazioni di Sei. Aveva rischiato seriamente di tranciarle di netto un braccio.
L’orgoglio provato nell’averla vista a terra disarmata e nell’averla battuta era scemato non appena si era reso conto della gravità della ferita che le aveva inferto. Aveva preso Sei in braccio e l’aveva portata di corsa in infermeria.
«Vai a prendere il mio zaino, razza d’idiota!» gli aveva urlato lei contro quando l’aveva adagiata su uno dei lettini. Tornato Luke con lo zaino, Sei ne tirò fuori una strana pietra piatta e scura che pose poi sulla ferita. Iniziò a grugnire, a contorcersi dal dolore, trattenendo a stento le lacrime. Dopo circa un minuto di supplizio, lasciò cadere la pietra; sul braccio non vi era più alcun taglio.
«Cosa diamine…?»
«È una pietra curativa» ansimò lei in risposta a Luke. «Proviene dal mio pianeta»
«E riesce a curare le ferite?»
«Solo quelle inferte con l’intenzione di fare del male o uccidere»
Luke rimase per qualche istante a bocca aperta. «Non volevo ucciderti. Neanche farti del male»
Sei alzò appena il braccio. «La pietra la dice diversamente»
«E tu credi a una pietra?»
«Una pietra non può mentire. Un uomo sì»
 
VII.
Passò la notte con lei in infermeria. Si sentiva in colpa.
«Fa male quando guarisci?»
«Da morire. Il dolore è due volte superiore a quello provato quando la ferita è stata inferta»
«Deve essere stato orribile»
Sei si voltò, ma Luke riuscì a scorgere il lampo di rabbia e tristezza nei suoi occhi.
«Ho resistito a cose peggiori»
 
VIII.
La mattina dopo la moto di Sei si trovava fuori la cabina di Efesto, aggiustata e tirata a lucido. Quando la ragazza uscì dall’infermeria e la vide le scappò un sorriso, il primo vero sorriso da quando era arrivata al Campo Mezzosangue.
«Quindi hai intenzione di ripartire presto?» le domandò Chirone, avvicinandosi.
Sei accarezzò il suo mezzo di trasporto. «Stasera, credo. Preferisco viaggiare di notte»
Chirone annuì. «Se c’è altro che possiamo fare per te, non esitare a chiedere. Ci piacerebbe sapere di più su questo legame tra i nostri dei e il tuo pianeta. Come si chiama?»
«Lorien» rispose Sei con un sorriso appena accennato. «Ma è stato distrutto. Tanto tempo fa. Quando ero solo una bambina»
Il centauro assunse un’aria imbarazzata e dispiaciuta, e chinò la testa in segno di rispetto. «Mi dispiace tanto, Sei. Deve essere stato difficile per te. Non posso neanche immaginare cosa debba significare cominciare una nuova vita su un pianeta sconosciuto, del tutto sola»
«Non ero sola» mormorò Sei. «Avevo un… un guardiano, se così si può dire. Katarina. Siamo state insieme per qualche anno, poi è stata uccisa»
«Uccisa? Da chi?»
Sei aprì la bocca per parlare, ma non riuscì a spiccicare parola. La sua espressione lasciava intendere che temeva di essersi lasciata scappare troppe cose che sarebbero dovute rimanere personali.
«Oh, andiamo» si intromise Luke, che aveva ascoltato in silenzio la conversazione fino a quel momento. «Ti abbiamo creduta quando hai detto di venire da un altro pianeta, puoi fidarti di noi»
La ragazza gli rivolse uno sguardo penetrante. Alla luce del sole, i suoi occhi acquisivano nuove sfumature grigio celesti. Occhi cangianti, pensò Luke. Con le iridi di questo colore, Sei gli ricordava ancora di più Talia.
«Mogadoriani» disse infine. «Gli alieni che hanno distrutto la mia gente e il mio pianeta. Sono stati loro a uccidere Katarina. Ci hanno seguite qui sulla Terra. Hanno seguito tutti noi»
«Tutti voi?» fece Luke. «Quanti siete?»
Lei sospirò. Si chinò a terra e si scoprì il polpaccio, rivelando una serie di cicatrici che sembravano impresse a fuoco sulla sua pelle olivastra. Luke rabbrividì.
«Eravamo nove. Tre sono morti. Io sono il Numero Sei»

IX.
Luke aveva sempre creduto che la vita di un semidio fosse stato quanto di più orrendo potesse esistere al mondo. Be’, aveva capito di sbagliarsi.
Essere spedito su un altro mondo dopo che il tuo è stato distrutto, sapere di essere braccata da coloro che hanno ucciso la tua gente, perdere il tuo unico punto di riferimento, sapere che la tua vita è solo una lunga partita di nascondino in cui chi perde viene ucciso. In confronto, Luke viveva una vita da sogno.
Certo, adesso sapeva che questi Mogadoriani si trovavano sulla Terra ed erano interessati a farle fare la stessa fine del pianeta di Sei, ma al momento questo passava assurdamente in secondo piano.
Luke aveva trascorso la sua intera esistenza a fronteggiare mostri; un paio di alieni assetati di sangue non erano più preoccupanti di un ciclope che aveva intenzione di mangiarti per cena.
Quel pomeriggio Luke raggiunse Sei sotto l’albero di Talia. Si sedette accanto a lei.
«Un penny per i tuoi pensieri» le disse, con l’intenzione di strapparle un sorriso. Non ci riuscì.
«Sai quando ti ho detto di aver sopportato cose peggiori del dolore della guarigione, Luke?»
Lui annuì, sentendosi a disagio. Era la prima volta che Sei pronunciava il suo nome.
«Non scenderò nei dettagli, sarebbe inutile. Basta dire che i Mogadoriani mi hanno catturata e torturata. Poi ho sviluppato la mia prima Eredità… il mio primo potere» aggiunse, notando lo sguardo confuso di Luke. «L’invisibilità. Sono scappata. E ho ucciso il Mogadoriano che aveva a sua volta eliminato Katarina. Avevo tredici anni. Adesso sono io a dare la caccia a loro, non il contrario»
«Ma perché?» disse Luke. «Perché non trovi semplicemente il modo di andartene su di un altro pianeta e di metterti in salvo?»
«Non posso permettere che prendano anche la Terra, capisci?» Sei accennò un sorriso. «Preferisco morire sapendo che ho lottato per proteggere questo pianeta piuttosto che scappare e lasciare che venga distrutto»
Luke la osservò a lungo, studiando il suo sguardo, i suoi lineamenti, sovrapponendoli ad un altro volto impresso nella sua memoria.
«È assurdo quanto le somigli»
«A chi?»
«A Talia»
 
X.
Gli dei avevano lasciato morire Talia. Lei si era sacrificata per i suoi amici, e gli dei l’avevano lasciata morire. Suo padre, Zeus, avrebbe potuto riportarla in vita, avrebbe potuto addirittura evitare che morisse, e invece cosa aveva fatto? L’aveva trasformata in un albero. Un misero e inutile albero.
E se era vero che quegli stessi dei discendevano da Lorien, perché avevano lasciato che i Mogadoriani lo distruggessero? Perché avevano fatto patire a Sei tutte quelle sofferenze? Nelle loro stupide, egocentriche ed egoistiche preoccupazioni, perché non aveva trovato spazio la sorte di un intero pianeta?
 
XI.
«Allora parti?» le disse Luke, mentre Sei dava un’ultima sistemata alla sua moto. Chirone aveva fatto in modo da procurarle qualcosa da mangiare durante il viaggio e anche per i giorni a seguire.
Sei raccolse il suo zaino da terra e se lo mise in spalla, voltandosi verso Luke. Aveva legato i lunghi capelli castani in una coda di cavallo.
«Già. Sono rimasta ferma anche troppo a lungo» disse lei.
«Ora cosa farai?»
Sei si strinse nelle spalle. «Cercherò gli altri. Te l’ho detto, siamo ancora in sei ad essere vivi. Possono ucciderci solo secondo l’ordine che ci hanno dato, ma se ci uniamo l’incantesimo che ci protegge verrà rotto. Però saremo più forti»
«E sarete voi a dare la caccia a loro»
«Esattamente» sorrise Sei. «Troverò il Numero Quattro. È il prossimo nella lista, magari arriverò in tempo per salvargli il sedere»
«Non ne dubito»
Sei aggrottò le sopracciglia, e osservò Luke. «Che ti prende?» gli domandò. Aveva capito che c’era qualcosa che non andava.
Luke si sentì preso alla sprovvista. A dire il vero, neanche lui sapeva di preciso cos’è che non andava al momento. L’unica cosa di cui era certo era che non voleva che Sei se ne andasse. Non da sola. Non con un’orda di alieni desiderosi di farla fuori.
Sei somigliava troppo a Talia.
Perdere lei sarebbe stato come lasciare che la sua migliore amica si sacrificasse di nuovo per lui.
«Un giorno troverò un modo per aiutarti» disse Luke. «Non ho potuto salvare Talia, ma posso ancora farlo con te»
«Non sono Talia, Luke. E non ho bisogno di essere salvata»
«Certo, come no. Se i Mogadoriani usassero delle spade? Ti ricordo che ci sono voluti meno di tre minuti per metterti al tappeto» la provocò lui, tentando di sviare il discorso. Non funzionò,
Sei assunse un’espressione offesa e si voltò, tornando ad occuparsi della sua moto. Luke strinse i denti e sospirò. Davvero un ottimo modo per salutarla.
«Lo so che non sei Talia. Me ne rendo conto. Tu sei…»
«Maren»
Luke si bloccò e inclinò leggermente la testa. «Prego?»
«Maren Elizabeth. Il primo nome che Katarina mi diede quando arrivammo sulla Terra. Nessuno mi chiama più così da quando lei è morta. Ora sarai l’unico a usare questo nome, se ti andrà»
Luke annuì, conscio della strana sensazione che gli dava l’idea di essere l’unico a conoscere quel nome di Sei, e le si avvicinò di qualche passo. «Maren. D’accordo. Credi che ci rivedremo?»
Lei scosse la testa. «No. È quasi impossibile»
«Ma se avrai bisogno di aiuto, saprai dove trovarmi»
«Così farai a fettine i Mogadoriani con la tua spada? Non vedo l’ora!» sorrise Sei salendo sulla sua moto. Iniziò a dare gas, e Luke si allontanò di qualche passo.
«E ricorda, dimentica di avermi incontrata! Per quanto ne sai tu, gli alieni non esistono»
«Sei non esiste. Maren Elizabeth sì»
Sei sorrise. Si infilò il casco e premette il piede sull’acceleratore. Luke realizzò che nessuno dei due aveva detto all’altro ‘addio’.
Osservò la ragazza superare i confini del Campo Mezzosangue come se questi non fossero neanche esistiti.











Salve! :) Ho avuto in mente questo crossover da quest'estate, ma l'ispirazione per scriverlo mi è arrivata solamente adesso! Questa storia potrebbe essere considerata un prequel di entrambi i libri. E' situata prima che Percy arrivi al campo, prima ancora che Luke passi dalla parte di Crono, e prima che il Numero Sei incontri John (alias Numero Quattro).
ADORO Numero Sei! Sul serio, è fantastica. E anche se la shippo insieme a John, mi piace tantissimo anche con Luke. Il 'mio' Luke in questa fanfiction è ben lontano dal cattivo della saga di PJO. Gli manca da morire Talia, non ha un rapporto con Annabeth (che non ho neanche nominato nella fic ahah!) ma già cova parecchio rancore per gli dei.
Su Sei non c'è nulla da dire, credo '.'
Spero vi piaccia! Se vi va, aggiungetemi sul mio account di Facebook per Efp (:
Baci,
Effie.

  
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