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Autore: LaMicheCoria    26/03/2012    3 recensioni
Giorgio aveva notato come, la domenica, l’atmosfera in casa fosse un tantino…elettrica.
Il vecchio sembrava un pezzo di stagnola appallottolato, tanto era accartocciato su se stesso: le labbra erano uno stropicciamento livido di rughe e gli occhietti neri, da sotto il cappellaccio strapazzato e i capelli unticci, sembravano pallottole lucide e fredde, pronte ad essere sparate. Genova, al contrario, svolazzava per casa tutta contenta, cinguettando e canticchiando come la donnicciola da marito che non era stata nemmeno nel Cinquecento.

[OC!Liguria - Eugenio "Faber" Vargas] [OC!Genova - Dori "La Grifona" Vargas]
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Principato di Seborga
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Oldin Olidena'
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Disclaimer: Il personaggio di Seborga non mi appartiene
Ma è di proprietà di Hidekaz Himaruya ©,
Così come non mi appartengonoI diritti della canzone
“Â duménega”
Che detiene Dori Ghezzi ©
Però il personaggi di Liguria e di Dori un po’ sì <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

.: Â duménega :.

 

Giorgio aveva notato come, la domenica, l’atmosfera in casa fosse un tantino…elettrica.
Il vecchio sembrava un pezzo di stagnola appallottolato, tanto era accartocciato su se stesso: le labbra erano uno stropicciamento livido di rughe e gli occhietti neri, da sotto il cappellaccio strapazzato e i capelli unticci, sembravano pallottole lucide e fredde, pronte ad essere sparate. Genova, al contrario, svolazzava per casa tutta contenta, cinguettando e canticchiando come la donnicciola da marito che non era stata nemmeno nel Cinquecento. Si sistemava i capelli ricci con mollette e nastri, si truccava le labbra di carminio, sfiorava le palpebre con uno sbuffo di ombretto bianco e rosso e, cosa che lasciava Seborga sempre un po’ allibito, indossava abiti così succinti su quel corpo allampanato da Lanterna, da lasciar ben poco spazio all’immaginazione.
Inutile dire che, quando Dori si presentava in cucina in corsetto infiocchettato o abitino piacente, Liguria si alzava di botto con un stridio della sedia e sbatteva il giornale sul tavolo, gridandole il possibile e l’inimmaginabile.
Più di una volta Seborga l’aveva sentito sibilare “Bagasce sëi e ghe restè” all’indirizzo di Genova. Quella, allora, si fermava sull’uscio e si girava con un sorrisetto sardonico sul volto schiacciato e rispondeva “Al finanziamento del porto ci pensi tu, vero?”. Al che, Liguria stritolava il giornale tra le dita e tornava a sedersi, tra ringhi e silenzi.
-Portami con te!- tentava Giorgio ogni volta che vedeva il vecchio uscire di casa, ma Eugenio, manco a dirlo, gli chiudeva sempre la porta sul naso.
Anche quel giorno, quella domenica uggiosa e impregnata d’umido, si era ripetuta la stessa scena: Genova succinta, Liguria imbestialito, grida e porta in faccia. Seborga sospirava sul terrazzo, le braccia piegate sulla ringhiera e il mento sulle mani: poteva sentire un ribollire di gente qualche quartiere più avanti, un affaccendarsi di commenti e teste, sussurri a mezza voce e ansimi più o meno nascosti dal colletto troppo stretto della camicia.
Giorgio inarcò il sopracciglio, non riuscendo a capire a cosa fosse dovuto tutto quel casino.
-Ehi, ragazzino!- lo chiamò una voce, da sotto casa –Se rimani lì, ti perdi la passeggiata!-
-Ragazzino a chi, lusco?- esclamò, piccato, Seborga –Guarda che son più vecchio di te!-
E, in effetti, il ragazzetto in strada -con quel sorriso sghembo e i capelli tirati di lato- non dimostrava più di diciassette anni.
-Che passeggiata, comunque…?-

 

 

Giorgio strabuzzò gli occhi e cercò di seguire in mezzo alla folla il ragazzetto che l’aveva convinto a saltar giù dal terrazzo. Ma mica era facile sgusciare in quella folla di lardosi che urlavano e agitavano le braccia come scimmie!
Dopo qualche sgomitata e imprecazioni varie e variegate, Seborga riuscì ad issarsi su un muretto e alzare la testa per guardare quello spettacolo tanto interessante: quasi gli si staccò la mascella per la meraviglia. La salivazione ebbe un arresto immediato
Lungo la strada grigia del quartiere Rebecca si scioglieva e si snodava una lingua di colori, una girandola di boccoli, trecce, seni prosperosi, cosce sode fasciate in pezze di tessuto tanto corte da essere facilmente scambiate per cinture.
Se non si prestava attenzione agli insulti vomitati come fango da bocche storte sotto nasi adunchi e arricciati, si sentiva nitidamente lo sbocciare di risate femminili da bocche vermiglie schiuse a guisa di petali, lo schiocco festoso dei tacchi là dove ogni allegria era calpestata dal battere convulso della folla. E in tutto quel ben di Dio di carne e bellezza, a Giorgio dispiacque che gli unici sguardi visibili fossero quelli pieni di indignazione della gente ammassata e grufolante.
Se almeno avessero gridato per lodare il loro innegabile fascino…!
-Belin!- fischiò Seborga, mettendosi in piedi sul muricciolo e cominciando a sbracciarsi per ottenere l’attenzione di una di quelle splendide figge du diàu. Alcune alzavano la testa verso di lui e gli occhi, bassi per l’umiliazione, bagnati della tristezza di chi si vede peccatore per morale comune, si illuminavano di una scintilla divertita.
Fu persino più facile rispondere per le rime al bigottone che s’era fatto largo tra la folla e s’era visto la moglie vestita e accodata alle altre per l’occasione domenicale.
Una delle prostitute si voltò e gli indirizzò un bacio e la ragazza che le era al braccetto fece lo stesso: Giorgio sarebbe caduto lungo disteso in strada non fosse stato per una mano alla collottola.
-E tu che ci fai qui, belinun?!- strillò la voce inorridita di Liguria.
-Vecchio! Vecchio!- esclamò Seborga, mulinando le braccia e indicando tutto emozionato la Madama impomatata e il suo voluttuoso seguito - Damme ë palanche! Veuggiu anâ a casín, veuggiu anâ a casín!-

 

Il ragazzetto di diciassette anni incrociò le braccia al petto e scosse il capo, intonando appena un melodia.
Dori, dietro la Madama, gettò indietro la testa e rise divertita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Informazioni su “Â duménega” e le “Passeggiate”

 

1984. Creuza de mä
De André realizza con Mauro Pagani il pluripremiato LP "Creuza de mâ", che unisce la lingua genovese alle sonorità della tradizione mediterranea e che due referendum tra i critici indicheranno come il miglior album dell'anno e del decennio.
Questo album, senza alcuna enfasi, ha rappresentato la chiave di volta dell'intero panorama musicale italiano.

Il disco è cantato tutto in dialetto genovese e la musica è quasi interamente suonata con strumenti "etnici"; una scommessa controcorrente e decisamente contro ogni regola di mercato.

“Nella mia splendida, amatissima, per quanto perfida città, tre o quattro secoli fa le prostitute erano relegate in un quartiere che si chiamava allora, come oggi, Rebecca. Veniva loro concesso di uscire da questa specie di recinto soltanto nei giorni di festa. Potete immaginare il popolaccio dire loro cose mostruose. Succedevano però dei piccoli incidenti, come nel caso della canzone. Un bigottone, uno di quelli che approfittano delle processioni per caricarsi un cristo di tre quintali sulla schiena, che diceva loro le cose più truci e cattive, improvvisamente si accorse che in mezzo a quelle poveracce, che non avevano altro torto se non quello di guadagnarsi il pane da nude, c'era anche... sua moglie.”

(Preso da QUI).

 

 

“Dal Cinquecento fino alla fine dell’Ottocento era praticamente unì’istituzione genovese (e poi dicono che i genovesi sono della brava gente, lo sono anch’io…) relegare le prostitute in un quartiere cittadino: parte di questo ‘eros center’ veniva dato in mano a persone di sicura fiducia, di fede politica e, dal punto di vista economico, sicuramente paganti. Pare che attraverso il guadagno di queste disgraziate il comune di Genova riuscisse a pagare tutti i lavori portuali per un anno intero. Corrispondentemente a questo loro dovere (chiamiamolo così), c’erano anche dei diritti (chiamiamolo altrettanto così), fra cui quello della passeggiata domenicale.” (Fabrizio de Andrè)

 

“A partire dal Cinquecento la prostituzione in città era stata messa addirittura a servizio del Porto di Genova. Un tempo, dove oggi si apre la celebre via Garibaldi, la ex Via Aurea, in località Monte Albano, sotto le alture di Castelletto, ogni ragazza che si dedicasse alla ‘professione’ doveva pagare una percentuale ad una sorta di ‘podestà’ locale che si era legittimamente aggiudicato un appalto della durata di 5 anni in porto. I tributi riscossi servivano per finanziare i lavori di ampliamento e manutenzione dello scalo cittadino. La consuetudine della ‘passeggiata’ domenicale per le vie cittadine è ancora nella memoria di molti genovesi di veneranda età come una sfilata a mezzo tra il goliardico e la manifestazione pubblica del ‘proibito’, con la maîtresse in pompa magna e l’appariscente corteo delle ragazze al seguito.” (Laura Monferdini)

 

Il 20 Settembre 1958 la legge “Merlin” (O legge 75) decretò la definitiva chiusura delle “case di tolleranza” (Modo elegante per definire i “bordelli”, chiamati anche “casini”)

 

 

 

 

 

Note di Fine Capitolo.

bagasce sëi e ghe restè / figge du diàu/ Fu persino più facile rispondere per le rime al bigottone che s’era fatto largo tra la folla e s’era visto la moglie vestita e accodata alle altre per l’occasione. / Damme ë palanche! Veuggiu anâ a casín, veuggiu anâ a casín! : Sono versi e situazioni presi direttamente dalla canzone.
Come vedete, compare anche un giovane Fabrizio de Andrè.
Poi…ah, sì! Come la fic precendete (a proposito, la birra al basilico esiste veramente, ed è pure buona! XD), partecipa all’iniziativa “Ci sono Anch’io” indetta dall’Hetalia non è
-> The Forum.
QUI per ascoltare la canzone! Se cliccate sulle informazioni c’è anche il testo tradotto!

   
 
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