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Autore: sese87    26/03/2012    2 recensioni
Proverò a raccontare del passato di Zevran, ovviamente, molte cose saranno inventate!
Genere: Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Prologo




 

Del temporale entrava solo qualche anelito di vento che, di tanto in tanto, leccava la pelle nuda e sudata dei due amanti; mentre i loro gemiti si mischiavano al pianto del cielo.
Un tuono, un forte spasmo.
La donna rise di lussuria al suo apice, e l’uomo intrecciò le proprie dita tra i suoi capelli quasi argentei e le regalò un’ultima spinta.
Nessuno dei due parlò, quando egli rotolò di  fianco in un fruscio di lenzuola. Poi lei sorrise ancora, questa volta soddisfatta, e si avvinghiò al suo torace ben fatto. Fili di braccialetti d’oro tintinnarono, quando sollevò il polso; nel pugno stringeva una manciata d’anni, ma le dita, ancora belle, disegnavano cuori sul petto palpitante del suo compagno.
«Come sei teneramente grottesca», commentò l’elfo con voce suadente.
«Desidero solo farti dono di un cuore», la donna lo baciò in quel punto -dato che ti manca-
«Oh ma non senti come batte?», replicò egli, stringendo la sua mano nella propria.
Lei si liberò da quella presa e si sollevò a sedere, senza coprirsi il seno non più florido; se lo osservò per alcuni istanti, e puntò il gomito contro la spalliera del letto «Mi chiedo solo perché batta per me», fu la domanda per ottenere una ben precisa risposta.
Silenzio.
«Dimmelo» incitò ancora, ottenendo solo un ghigno di sfida.
«Cosa?»
«Dì che mi ami!», elemosinò.
Il suo corpo era ancora umido di lei, «Non te l’ho, forse, appena dimostrato?». Le rivolse uno sguardo pieno di parole che mai le avrebbe detto; che mai avrebbe provato, almeno non per lei.
«Vorrei sentirmelo dire», s’impuntò la nobile, mettendo un broncio che, data l’età, non le si addiceva affatto. «Altrimenti potrei pensare che non mi desideri affatto, Zevran»
L’elfo l’afferrò per i fianchi e la trascinò sotto al suo corpo; le immobilizzò le braccia alla testa, e sulle labbra sottili le sussurrò: «Voi donne, non vi accontentate delle parole e chiedete fatti; e quando ottenete fatti, chiedete parole»
La signora scoppiò in una fresca risata, spirito di ragazza, e se lo tolse di dosso.
Erano mesi, ormai, che accoglieva quel servo nel suo letto. Lo aveva pagato trenta pezzi d’argento: volle subito averlo, non appena i suoi occhi grigi si erano riflessi in quelli di lui, color del miele.
La signora era famosa ad Antiva, per le sue strane preferenze in fatto di uomini. Sceglieva solo servi, reietti e vagabondi, per ottenere da loro l’amore che il marito non era mai stato in grado di darle.
Il teyrn però non era appassionato frequentatore di bordelli, né giovani serve colorivano le sue nottate.
Semplicemente, da sempre tradiva la moglie con una donna di corte: la vedova dell’Arl, odiosa quanto brutta!
Era dunque colpevole di aver bruciato la gioventù di sua moglie, la quale a dispetto delle apparenze amava il marito di un’ossessione non corrisposta. E più lui l’allontanava, più lei lo umiliava, giacendo al fianco degli stessi servi che il giorno dopo gli avrebbero servito il pranzo.
«Non vorrai ricominciare?», trillò lei, «mio marito potrebbe scoprirci.»
«Non è forse per questo che mi accogli, ogni notte?», tentò di stuzzicarla, pur non avendo voglia di riprendere quella danza.
«Mio caro, non sai che il sospetto uccide molto più di un pugnale?», lo istruì Clora, « tra poco sarà l’alba a scoprirci di nuovo», continuò, rannicchiandosi verso la finestra aperta, il cielo nero ancora in tumulto. Un lampo le illuminò la pelle candida.
Era così stanca! Sentiva le palpebre pesanti.
Tuttavia, quando sentì che l’elfo stava per lasciarla, capì di non averne abbastanza, «Raccontami di te, della tua vita, prima che ti prendessi con me.» Volle sapere con voce debole, per compiacersi della sua malata filantropia.
Zevran era fermo, seduto sul bordo del letto; c’era silenzio nel palazzo, quanto fuori imperversava la tempesta.
Tutti zitti.
La sua voce si levò sopra il sonno di tutti, «Quel giorno, faceva caldissimo, e mi comprarono per un pugno di argento!»
«Questa è la nostra storia», lo ammonì la vecchia, sempre più fiacca.
«Lo è…», le concesse, «allora faceva freddissimo»
«Quando?»
«Quando sono nato»
Lo contraddisse un’ultima volta: «E come fai a saperlo?»
«Perché fa sempre freddo quando nasci dalla morte.»

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