Prologo
Del temporale entrava solo
qualche anelito di vento che, di tanto in tanto, leccava la pelle nuda e sudata
dei due amanti; mentre i loro gemiti si mischiavano al pianto del cielo.
Un tuono, un forte spasmo.
La donna rise di lussuria al suo apice, e l’uomo intrecciò le proprie dita tra
i suoi capelli quasi argentei e le regalò un’ultima spinta.
Nessuno dei due parlò, quando egli rotolò di fianco in un fruscio di
lenzuola. Poi lei sorrise ancora, questa volta soddisfatta, e si avvinghiò al
suo torace ben fatto. Fili di braccialetti d’oro tintinnarono, quando sollevò
il polso; nel pugno stringeva una manciata d’anni, ma le dita, ancora belle,
disegnavano cuori sul petto palpitante del suo compagno.
«Come sei teneramente grottesca», commentò l’elfo con voce suadente.
«Desidero solo farti dono di un cuore», la donna lo baciò in quel punto -dato
che ti manca-
«Oh ma non senti come batte?», replicò egli, stringendo la sua mano nella
propria.
Lei si liberò da quella presa e si sollevò a sedere, senza coprirsi il seno non
più florido; se lo osservò per alcuni istanti, e puntò il gomito contro la
spalliera del letto «Mi chiedo solo perché batta per me», fu la domanda per
ottenere una ben precisa risposta.
Silenzio.
«Dimmelo» incitò ancora, ottenendo solo un ghigno di sfida.
«Cosa?»
«Dì che mi ami!», elemosinò.
Il suo corpo era ancora umido di lei, «Non te l’ho, forse, appena dimostrato?».
Le rivolse uno sguardo pieno di parole che mai le avrebbe detto; che mai
avrebbe provato, almeno non per lei.
«Vorrei sentirmelo dire», s’impuntò la nobile, mettendo un broncio che, data
l’età, non le si addiceva affatto. «Altrimenti potrei pensare che non mi
desideri affatto, Zevran»
L’elfo l’afferrò per i fianchi e la trascinò sotto al suo corpo; le immobilizzò
le braccia alla testa, e sulle labbra sottili le sussurrò: «Voi donne, non vi
accontentate delle parole e chiedete fatti; e quando ottenete fatti, chiedete
parole»
La signora scoppiò in una fresca risata, spirito di ragazza, e se lo tolse di
dosso.
Erano mesi, ormai, che accoglieva quel servo nel suo letto. Lo aveva pagato
trenta pezzi d’argento: volle subito averlo, non appena i suoi occhi grigi si
erano riflessi in quelli di lui, color del miele.
La signora era famosa ad Antiva, per le sue strane preferenze in fatto di
uomini. Sceglieva solo servi, reietti e vagabondi, per ottenere da loro l’amore
che il marito non era mai stato in grado di darle.
Il teyrn però non era appassionato frequentatore di bordelli, né giovani serve
colorivano le sue nottate.
Semplicemente, da sempre tradiva la moglie con una donna di corte: la vedova
dell’Arl, odiosa quanto brutta!
Era dunque colpevole di aver bruciato la gioventù di sua moglie, la quale a
dispetto delle apparenze amava il marito di un’ossessione non corrisposta. E
più lui l’allontanava, più lei lo umiliava, giacendo al fianco degli stessi
servi che il giorno dopo gli avrebbero servito il pranzo.
«Non vorrai ricominciare?», trillò lei, «mio marito potrebbe scoprirci.»
«Non è forse per questo che mi accogli, ogni notte?», tentò di stuzzicarla, pur
non avendo voglia di riprendere quella danza.
«Mio caro, non sai che il sospetto uccide molto più di un pugnale?», lo istruì
Clora, « tra poco sarà l’alba a scoprirci di nuovo», continuò, rannicchiandosi
verso la finestra aperta, il cielo nero ancora in tumulto. Un lampo le illuminò
la pelle candida.
Era così stanca! Sentiva le palpebre pesanti.
Tuttavia, quando sentì che l’elfo stava per lasciarla, capì di non averne
abbastanza, «Raccontami di te, della tua vita, prima che ti prendessi con me.»
Volle sapere con voce debole, per compiacersi della sua malata filantropia.
Zevran era fermo, seduto sul bordo del letto; c’era silenzio nel palazzo,
quanto fuori imperversava la tempesta.
Tutti zitti.
La sua voce si levò sopra il sonno di tutti, «Quel giorno, faceva caldissimo, e
mi comprarono per un pugno di argento!»
«Questa è la nostra storia», lo ammonì la vecchia, sempre più fiacca.
«Lo è…», le concesse, «allora faceva freddissimo»
«Quando?»
«Quando sono nato»
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