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Autore: Ireth_Mezzelfa    26/03/2012    6 recensioni
"Alla fine ho mollato tutto; tutto il resto intendo: ho mollato la scuola, ho mollato la casa, gli amici e il mio paese. Ho seguito lui e per forza di cose, quando ho scelto lui, ho scelto anche la band." Anche quando sei alla deriva, sballottato dalle tue stesse scelte, anche in quel momento, puoi aprire gli occhi e scegliere di decidere ancora tu. Una storia di musica e di domande, una ragazza che si trova immersa fino al collo in una vita che non le appartiene, tra strumenti musicali, notte folli e un amore confuso. Ma in fondo non era tutto ciò che aveva sempre desiderato?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo XI

 

 "I'm gonna try with a little help from my friends!"


Ero davvero scomoda.
Quel marciapiede rugoso e sconnesso su cui ero seduta cominciava proprio a darmi noia, dopotutto era da almeno mezzora che me ne stavo lì, con un libro aperto sulle ginocchia e scrutandomi intorno ogni cinque minuti.
Ormai era diventata una routine da qualche giorno: ogni mattina alle nove in punto partivo da casa, prendevo il mio ice-caffè da asporto e poi mi sedevo lì ad aspettare, sul marciapiede di fronte alla casa di Andrea.
Sì, ero diventata una fottuta stalker, lo ammetto.
Rimanevo lì fino alle undici, a volte fino a mezzogiorno, attendendo di vederlo uscire o rientrare con la tastiera sottobraccio o la tracolla piena di libri, ma finora non avevo avuto fortuna; era come se vivesse chiuso in casa o si fosse trasferito.
Non c’era traccia nemmeno di suo fratello, il vecchio portone scricchiolante non si era mai aperto neanche una volta durante i miei appostamenti. Nemmeno una volta.
Appoggiai il libro per terra e mi stiracchiai le gambe sentendomi davvero una povera matta ossessionata, dopotutto poteva essersene andato in vacanza o in qualsiasi altro posto, ma d’altra parte non riuscivo a togliermi dalla testa che mi stesse evitando e questo mi faceva davvero impazzire.
Forse era la solitudine che mi stava dando alla testa, forse il caldo afoso di quei ultimi giorni, umido, pesante, con un cielo bianco che non dava tregua a un senso d’ansia palpitante, ma mi sentivo irrequieta, dormivo male, sudando e annaspando nel letto, impaurita dal vuoto della casa e da quella mancanza strana che continuava a disturbarmi.
Volevo davvero chiarirmi con Andrea, ricambiare tutto quello che aveva fatto per me e parlargli, vederlo scombinarsi i capelli e ridere. Ma perché poi?
Forse perché l’ unico contatti umano degli ultimi giorni era stato il barista che mi allungava il caffè ed ero diventata un’asociale bisognosa d’attenzioni, ma in realtà se mi lasciavo sprofondare nella mia parte più sincera, in fondo in fondo, sapevo che, semplicemente, senza troppi fronzoli, mi mancava.
Aveva riempito in così poco tempo tutti i miei vuoti, lasciandomene uno ancora più grande adesso che non lo trovavo più.
Era strano, non mi era mai successa una cosa del genere.

Mi guardai intorno sospirando e all’improvviso suonò il cellulare: era un numero sconosciuto.
“Pronto?”
“Ciao cacca, siamo tornati!”
Era Carlotta! Riconobbi subito la voce di una delle mie più care amiche.
“Oddio ciao! Sei a casa? Sei a Venezia? Hai fatto foto? Come stai? Com’era la Tunisia?”
La mia voglia di parlare stava strabordando.
“Porca vacca, sta buona un attimo!” Rise lei. “Comunque no, sono ancora in aeroporto con il Teo. In realtà siamo atterrati qualche ora fa, ma poi Viola mi ha chiamata dicendo che sarebbe tornata oggi anche lei dalla Palestina, così abbiamo deciso di aspettarla e tornare con la sua macchina…”
“Torna anche Viola?”
Pazzesco, all’improvviso sarei passata da eremita a umano socievole.
“Sì! E tu sei ancora a Venezia vero? Perché abbiamo intenzione di venirti a trovare!”
“Certo, cavoli! Vi aspetto, fatemi sapere appena siete arrivate che vi preparo qualcosa e stasera ceniamo insieme.”
“Aggiudicata…Cosa? Sì, un attimo amore, adesso metto giù…Scusa Ceci devo riattaccare ora o il Teo mi picchia, a più tardi!”
“Sì sì, a dopo, ciao!”

Riattaccai sorridendo emozionata, era da almeno due mesi che non vedevo le mie amiche e non stavo nella pelle di incontrarle. Ora la giornata aveva un senso! Dovevo fare la spesa, riordinare la casa, preparami a una lunga nottata di racconti e poi…
“Hei, ma guarda chi si vede! Cecilia!”
Una voce interruppe i miei pensieri all’improvviso, facendomi sussultare; mi voltai e mi trovai davanti la sagoma di Stefano, il batterista dei Found.
“Hei!” Riuscii a dire dopo averlo focalizzato in controluce portandomi la mano davanti agli occhi per proteggermi dal sole.
Per un momento mi venne in mente l’ultima volta che avevo visto quel ragazzo un po’ stempiato, dall’aria simpatica, ridere della macchina sporca di Andrea e offrirsi di lavarla, lasciandoci soli, nella penombra…
Rabbrividii.
“Stai bene?” Chiese lui guardandomi interrogativo, lì seduta su un marciapiede come un’accattona.
“Sì io...bene! Ero qui che…bèh, stavo per andarmene!” Blaterai mentre mi alzavo raccattando le mie cose.
Stefano continuava a guardarmi in modo strano, come se mi avesse colto in flagrante in qualcosa di molto losco. Cosa non del tutto falsa.
“E tu invece che ci fai qui?” Chiesi cercando di deviare l’attenzione dalle mie attività di pedinaggio.
“Per affari, mia cara. Sto appiccicando in giro questi.” Disse sventolandomi davanti agli occhi dei volantini che teneva in mano su cui riconobbi la scritta “Found live concert”.
“Suoniamo sabato prossimo all’Old Bridge e sto cercando di pubblicizzare un po’ per far venire un po’ più di gente dei soliti quattro gatti.” Sospirò fingendosi sconsolato e poi aggiunse: “Anzi, se ti va di distribuire un  po’ di questi alle tue amiche, amici, parenti, sconosciuti per strada…chiunque!”
Mi ritrovai in mano una ventina di locandine mentre Stefano continuava a parlare.
“Mi raccomando, invita più persone che puoi!”
“Userò anche la forza se serve.”  Scherzai io mettendo tutto in borsa.
“Così ti voglio Ceci! Ricordami che ti devo un favore! Ora torno a ridistribuire tutto, ci si vede!”
Mi diede un lieve pacchetta sul braccio e fece per incamminarsi, ma la mia mano gli afferrò il braccio per trattenerlo.
“Ascolta Ste…” Cominciai titubante. “Andrea."
Lui mi guardò 
 con espressione interrogativa attendendo il proseguimento mentre io me ne restai lì ferma e impalata a fissarlo.
Non so, mi dava uno strano effetto pronunciare quel nome che continuava a tamburellarmi nella testa tutto il giorno, era come rivelare un segreto.

"Cos'è? Hai una crisi d'identità? Io Stefano, tu Ceci." Scimmiottò lui imitando un cavernicolo e ridendo da solo. 
"No no!" Scossi la testa decisa, riprendendomi e cercai di spiegarmi meglio:  "Andrea, il tuo cantante...tu sai dove possa essere?”
Il batterista si strinse nelle spalle.
“Il capo? Hmm, non saprei, l’ho visto l’altro ieri alle prove, ma non so dove sia adesso, prova a chiamarlo se lo stai cercando.”
Già, sarebbe stato facile. Se solo le avesse risposto, per una volta.
“Ok, grazie mille lo stesso!”
“Figurati!” Sorrise lui agitando la mano in cenno di saluto ed andandosene.

Quindi era proprio così, mi stava evitando. O per lo meno agli altri rispondeva al telefono e non era né partito, né si era barricato in casa.
Ma allora ero davvero così sfortunata da non riuscire mai ad incrociarlo?
Sospirai cercando di scrollarmi di dosso quella strana sensazione viscosa che mi stava salendo nello stomaco e, con il libro sottobraccio, mi incamminai verso casa, deviando i miei pensieri sulla cena della sera.


-
 
“No ma aspetta…Cosa? Vi siete baciati?”
“Oddio, non direi baciati, cioè sì, ci siamo baciati, circa…”
Giocherellai con la forchetta sul piatto sentendomi più imbarazzata di quanto pensassi.
Ero nel pieno dei miei racconti estivi con le ragazze, avevamo finito di cenare da un pezzo ormai e si era fatto così buio nel mio piccolo giardino sul retro, che avevo dovuto accendere qualche candela per vedere in faccia Carlotta e Viola, sedute di fronte a me.
Ma la notte sicuramente non avrebbe fermato il flusso continuo di parole che erano rimaste imbottigliate per così tanto tempo, eravamo state lontane troppo tempo e niente almondo ci avrebbe fatte alzare da quelle seggioline un po’ scomode, da quell’aria un po’ umida, da quella cascata di frasi e racconti.
“Capisco che ricevere un bacio vero dopo anni passati con quel pistolone bavoso di Alex potrebbe averti un po’ shockato…” Iniziò Carlotta, con il suo solito grande affetto per Alexandros, sistemandosi i lunghi capelli scuri dietro le spalle. “...ma o c’è stato un bacio o non c’è stato.”
“Oppure gli è caduta la faccia sulla tua senza accorgersene.”  Se ne uscì con tono serio Viola da dietro i suoi lunghi capelli ricci mentre faceva colare la cera di una delle candele sulla tovaglia di plastica.
“Probabile…” Sorrisi io cercando di strappargliela dalle mani per evitare il macello totale.
“Bè, in ogni caso dovresti andare al concerto, secondo me. E parlargli.” Riprese Carlotta alzando le spalle e allungandosi per prendere un biscottino dal piatto al centro della tavola.
Mi voltai verso Viola per una sua opinione e lei mi fissò impassibile per qualche secondo con i suoi occhi allungati e taglienti.
“Se mi ridai il mio giochino, saprai.” Disse con calma enigmatica indicando la candela e strappandomi una risata esasperata mentre gliela restituivo. Tutta soddisfatta infilò un dito nella cera calda e sorrise
sentenziando: “Approvo, piccina. Dovresti andare a chiarire le cose!” 
“E se prova a evitarti di nuovo, taglierò via il suo piccolo flauto magico.”
“Approvo, approvo.”
Ridacchiai e mi rilassai sulla sedia osservando le prime stelle di quella notte con la faccia verso il cielo.
“Se mi dite così, devo proprio andare.”
“Ascolta Ceci.” Mi risollevai per ascoltare Carlotta che mi guardava stranamente seria. “Ci tieni proprio tanto a quel coso mingherlino e pappamolla?”
Sorrisi spostando lo sguardo sulle gocce di cera sparse ormai ovunque sulla tovaglia e, piano piano, quasi lasciandomelo sfuggire sovrappensiero mormorai semplicemente: “Sì.”
“Oh merdaccia schifosa!” Viola schizzò via strillando con le mani coperte di cera bollente e saltellando per il giardino.
“Così impari!”
“Ma taci!”
Scoppiai a ridere scuotendo la testa e bevendo l’ennesimo sorso di sangria della serata; quelle due riuscivano sempre a farmi star meglio, potevano sembrare strane o chiassose a volte, ma mi conoscevano meglio di chiunque altro. E tanto bastava.

 
"Non lo so dove fluttuo, non lo so Andrea..." Borbottai qualche ora dopo, mezza sbronza, mezza addormentata, con un piede fuori dalla coperta che tentava di coprirci tutte e tre, ma nè Carlotta nè Viola, addormentate di fianco a me, mi sentirono, e nemmeno io probabilmente mi sentii.



Ok, ho pubblicato.
Non dico altro. E' già un miracolo che ci sia riuscita.
Solo PERDONO e GRAZIE a quelle che hanno aspettato questo capitolo(di cui non sono molto soddisfatta) e che avranno ancora voglia di recensire. Mi sto già mettendo a scrivere il prossimo capitolo, che sarà davvero importante...preparatevi :)

Un bacio,
Ireth




L'immagine all'inizio non mi appartiene, tutti i copyright sono di   http://weheartit.com :)

  
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