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Autore: Yuki Delleran    27/03/2012    4 recensioni
Arthur Kirkland, corsaro di Sua Maestà, solca i mari alla ricerca della Perla Azzurra che custodirà il suo tesoro più prezioso. La troverà ma scoprirà anche che non è esattamente come la profezia aveva predetto.
"«Ovviamente nell’accordo rientrano anche le mie richieste, più nello specifico che tu parta con me. Una piccola clausola che avevo scordato di aggiungere. » le sussurrò con un ghigno per nulla rassicurante.
Lei tremò da capo a piedi, per la paura, sì, ma anche per l’indignazione.
«Questo… questo non era nei patti. La tua parola… »
«È vero che non sono un pirata, ma resto pur sempre un corsaro, la mia parola vale quanto un doblone bucato. »"
Genere: Avventura, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Danimarca, Inghilterra/Arthur Kirkland, Norvegia, Seychelles
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Il destino della Perla Azzurra
Fandom: Axis Powers Hetalia
Rating: giallo
Personaggi: Arthur Kirkland (Inghilterra), Sesel (Seychelles), Lukas (Norvegia), Mathias (Danimarca), Alfred (chibi!America)
Pairings: pre-Inghilterra/Seychelles
Riassunto: Arthur Kirkland, corsaro di Sua Maestà, solca i mari alla ricerca della Perla Azzurra che custodirà il suo tesoro più prezioso. La troverà ma scoprirà anche che non è esattamente come la profezia aveva predetto.
Disclaimer: Hetalia e tutti i personaggi appartengono a Hidekaz Himaruya.
Note: Questa fic fa da prologo ad una delle ruolate che mi da più soddisfazione in assoluto.
Altre note, fonti e terminologia a fine fic.
Beta: Mystofthestars



Con il vento in poppa e la vela maestra spiegata, lo sloop Albion filava spedito sulle acque cristalline dell’Oceano Indiano. Dopo il lungo viaggio che l’aveva portato a circumnavigare l’Africa partendo dalle lontane coste britanniche, l’equipaggio era in fibrillazione all’idea di raggiungere finalmente la tanto agognata meta. Le calde acque equatoriali e le isole paradisiache della costa orientale africana rappresentavano un miraggio da sogno per marinai abituati alle gelide temperature nordiche.
Appoggiato alla barra del timone, Mathias, quartiermastro di bordo, fischiettava un motivetto stonato con aria svagata mentre accanto a lui Lukas, il cartografo, appuntava la rotta sul giornale di bordo.
«Speriamo che questa sia la volta buona. » commentò ad un tratto il primo, un biondo danese dal fisico robusto e ben piazzato e dall’espressione gioviale. «Sono mesi che vaghiamo lungo queste coste alla ricerca di chissà cosa. Fortuna che l’umore dell’equipaggio è alto, ma se stavolta non troviamo un porto degno di questo nome, il capitano non potrà tenerseli buoni solo autorizzando il saccheggio di uno o due mercantili spagnoli. »
Il giovane accanto a lui, un tipo molto più esile e dalle movenze aggraziate che stonavano con i modi bruschi e rozzi di una ciurma di corsari, alzò lo sguardo dalle carte che stava esaminando e gli lanciò un’occhiata perplessa.
«Se stai alludendo ad un possibile ammutinamento, penso che sia un’ipotesi alquanto remota, e comunque nessuno di questi cialtroni riuscirebbe a fare un solo passo verso il capitano. » rispose accarezzando quasi distrattamente la pistola dorata, legata con un nastro alla cintura, dalla quale non si separava mai.
Mathias ghignò.
«Dimenticavo la mira infallibile di Lukas-grilletto facile. »
«Fai poco lo spiritoso, ce n’è anche per te se tiri troppo la corda. » lo rimbeccò l’altro in tono acido. «In ogni caso giungeremo presto alla meta, questo viaggio fa parte di un sogno premonitore inviato al capitano dal Signore dello Stretto e se la sua volontà è quella di condurci lungo queste coste, non possiamo che assecondarla. »
Aveva appena terminato la frase che proprio l’oggetto dei loro discorsi fece la sua comparsa in coperta: capitan Arthur Kirkland, corsaro al servizio di Sua Maestà Elisabetta I d’Inghilterra. Si trattava di un giovane uomo dal fisico asciutto, che indossava, sopra i classici pantaloni e stivali, una camicia bianca con rouches al collo e una giacca rosso sangue bordata d’oro. Sotto il tricorno nero ornato di piume candide spiccava una chioma ribelle biondo chiaro, tipica delle popolazioni del nord, che si allungava oltre le spalle trattenuta da un semplice laccio. Se non fosse stato sufficiente il suo aspetto minaccioso, sarebbe bastato incrociare il suo occhi, verdi, freddi e taglienti come smeraldi grezzi, per chiarire chi comandava su quella nave.
Fu proprio con quello sguardo impenetrabile che Arthur attraversò il ponte e si appoggiò, fintamente noncurante, alla battagliola per osservare le onde sottostanti. Aveva sentito parte dei discorsi fatti da Lukas e Mathias e, anche se riteneva plausibili le preoccupazioni dei suoi sottoposti, non considerava l’argomento degno di essere approfondito anche da lui. Non ci sarebbero stati ammutinamenti sulla sua nave, né ora né mai. Chiunque avesse avuto il coraggio di compiere una tale insensatezza era consapevole di andare incontro, oltre che all’alabarda di Mathias e alla pistola di Lukas, anche alla sua ira, il che aveva come diretta conseguenza l’essere sacrificati come tributo di sangue al Signore dello Stretto. Non sarebbe stata la prima volta che Arthur otteneva dallo spirito assetato venti favorevoli e rotte fruttuose in questo modo.
L’ultima concessione che l’antica divinità marina gli aveva fatto era poi diventata il motivo di quel viaggio apparentemente allo sbaraglio. In pochi ne conoscevano il vero scopo, praticamente solo i fidi Lukas e Mathias, per gli altri era sufficiente godere dei frutti del bottino sottratto alle navi assaltate e sperare in un approdo sicuro. Dal canto suo Arthur era più che certo che nel prossimo porto avrebbe trovato ciò che il Signore dello Stretto gli aveva annunciato in sogno, come un’oscura profezia: in un’isola del sud avrebbe trovato la perla azzurra dei mari, più preziosa di qualunque gioiello, che sarebbe diventata la custode del suo tesoro.
«Terra in vista! »
La voce della vedetta, dalla cima dell’albero maestro, spezzò la momentanea quiete che regnava sul ponte del vascello. Arthur sfilò il piccolo cannocchiale che portava alla cintura e si precipitò sul lato opposto del ponte. Non vi era dubbio, quella che s’intravedeva all’orizzonte era senz’altro un’isola.
«Mathias! » esclamò. « Rotta a tribordo! »
«Agli ordini, capitano! Rotta a tribordo! » tuonò il danese di rimando. «Ammainate la vela di trinchetto! Fuori i remi! Muovetevi, sfaticati! »
Il vascello virò bruscamente prendendo la costa sopravento e avanzando a forza di braccia.
Arthur non aveva dubbi: quello era il luogo predestinato, lì avrebbe trovato la sua perla azzurra.
Nel tardo pomeriggio gettarono l’ancora al largo della coste, calando successivamente le barche. Arthur prese posto in quella di testa, manovrata ai remi da Mathias. Lukas era rimasto a bordo affermando che prendere parte ad un nuovo saccheggio non rientrava nelle sue aspirazioni più immediate e che preferiva trascorrere quel tempo a correggere le mappe in modo da poter poi ritrovare quell’isola. La processione di barche approdò sulle spiagge bianche attirando l’attenzione di alcune persone che si trovavano nei pressi. Non vi era un porto vero e proprio, solo un paio di rozzi pontili accanto ai quali erano ormeggiate piccole imbarcazioni di legno. A breve distanza, in parte occultate dalle folte fronde delle palme, si intravedevano capanne che erano certamente parte di un villaggio.
Il gruppetto che si era riunito, allarmato dallo sbarco degli uomini, era composto da fanciulle dalla pelle scura, coperte di veli leggeri di diversi colori e che, fino ad un attimo prima, erano state occupate a riparare delle reti, ora ammucchiate alla rinfusa per il loro rapido abbandono del lavoro.
«Donne! » esclamò un marinaio con gli occhi che brillavano, come un affamato che non vedeva cibo da giorni.
«Reti! » fece eco un altro, a cui evidentemente l’idea di nuova attrezzatura per l’Albion faceva gola almeno quanto quella di compagnia femminile.
Diversi uomini si lanciarono in avanti e Arthur non mosse un dito per fermarli: se desideravano una ricompensa dopo quei mesi trascorsi per mare, non sarebbe stato lui a negargliela. Inoltre non era minimamente interessato ad un gruppo di ragazzine selvagge e ad un mucchio di reti bucate. Fece segno a Mathias di seguirlo e si stava già incamminando a grandi passi verso il villaggio quando l’urlo improvviso di uno degli uomini lo fece voltare di scatto. Lo spettacolo che si presentò ai suoi occhi per poco non lo fece scoppiare a ridere: il marinaio stringeva una mano sanguinante imprecando tra i denti, mentre davanti a lui una delle ragazze brandiva un affilato coltello da pescatore.
«Ti fai mettere sotto da una ragazzina? » lo prese in giro con feroce sarcasmo, ma la risata gli morì sulle labbra non appena realizzò la figura che aveva davanti.
Apparentemente la fanciulla non aveva nulla di speciale, pelle color caffelatte, lunghi capelli neri scarmigliati, occhi nocciola ora accesi d’ira, eppure Arthur sentì una stretta chiudergli lo stomaco: era vestita di un semplice abito azzurro e al collo portava un filo di perle del medesimo colore.
«Fermatevi! » esclamò improvvisamente, cambiando direzione e facendosi largo nella sua stessa ciurma.
Quando lo vide arrivare, la ragazza sollevò l’arma ponendosi con aria di sfida a difesa del gruppetto.
«Sei tu…» mormorò Arthur non appena incrociò il suo sguardo.
Il quel momento ebbe la certezza di aver finalmente trovato ciò per cui era partito: la perla azzurra dei mari, che avrebbe custodito il suo tesoro, era lì davanti a lui.
«Capisci la mia lingua? » le chiese in tono meno aggressivo.
La ragazza lo fulminò con lo sguardo.
«Certo. Pensi di essere il primo pirata inglese che approda qui? »
Molto bene, sembrava che avesse un caratterino non indifferente e questo era senz’altro un fattore positivo visto quello che intendeva fare di lei. Però ora non poteva certo mettersi a spiegare le sue intenzioni davanti a tutta quella gente, inoltre gli uomini avevano diritto alla loro ricompensa e negargliela sarebbe stato controproducente.
«Se sai già come stanno le cose, allora sarà molto più semplice. » continuò Arthur. «Potremmo depredare le vostre case, rapirvi tutte e fare di voi quello che ci pare, usarvi come svago e poi rivendervi. »
Vide un brivido di orrore percorrere le membra della ragazza e se ne compiacque: lei era consapevole che quelle non fossero solo vuote minacce, probabilmente aveva già visto qualcuno metterle in pratica.
«Ma non lo faremo. Siamo uomini d’onore, non volgari pirati, quindi ti propongo un patto. Fornite ai miei marinai tutto quello che vi chiedono, cibo, acqua, materiali per la nave e piacevole compagnia, in cambio non sarà fatto alcun male a voi e alle vostre famiglie. Cosa ne dici? Mi sembra abbastanza vantaggioso. »
La ragazza lo studiò con diffidenza, sempre stringendo il coltello.
«Vantaggioso per voi, forse. » concluse. «Noi ci troviamo nella condizione di cedere volontariamente i nostri averi o vederceli sottratti con la forza. Il risultato finale cambia di poco. »
«Cambia il fatto che non ci saranno morti e feriti. Allora, abbiamo un accordo? »
Nonostante lo sguardo carico di astio, lei abbassò il coltello e gli strinse la mano.
Mentre i marinai si allontanavano soddisfatti, chi agguantando una delle ragazze tra risa sguaiate, chi pregustando un pasto decente, Arthur afferrò la fanciulla per un braccio e la tenne vicina a sé.
«Ovviamente nell’accordo rientrano anche le mie richieste, più nello specifico che tu parta con me. Una piccola clausola che avevo scordato di aggiungere. » le sussurrò con un ghigno per nulla rassicurante.
Lei tremò da capo a piedi, per la paura, sì, ma anche per l’indignazione.
«Questo… questo non era nei patti. La tua parola… »
«È vero che non sono un pirata, ma resto pur sempre un corsaro, la mia parola vale quanto un doblone bucato. »

La vita a bordo di una nave era molto diversa da come Sesel se l’era immaginata. Vedendo i pirati che periodicamente approdavano sulla sua isola, depredando e incendiando tutto quello che trovavano sul loro cammino, aveva sempre pensato che tra quelle rozze canaglie non esistesse gerarchia e disciplina, ma si era dovuta ricredere non appena aveva messo piede sullo sloop del capitano Kirkland. Per quel poco che aveva potuto vedere prima di rinchiudersi nella cabina che le era stata assegnata, ogni marinaio aveva precisi compiti da svolgere ed era raro che qualcuno oziasse impunemente. L’uomo del nord, grande e biondo, nonostante l’aria gioviale sapeva richiamare all’ordine senza particolari difficoltà quel gruppo di scapestrati, mentre il capitano guidava tutti con il pugno di ferro.
La nave, un vascello agile e veloce dotato di tre alberi e pesantemente armato, necessitava di una costante manutenzione sia per quanto riguardava le vele e il sartiame che per i cannoni. Inoltre il capitano Kirkland non tollerava di vivere nella sporcizia quindi i mozzi erano costantemente intenti a ramazzare il ponte.
Tutto questo l’aveva stupita, sì, ma Sesel non faceva che ripetersi che non doveva interessarle. Il fatto che si occupassero a dovere della loro bagnarola non li giustificava per essere uomini spregevoli, che si erano impossessati delle scorte di cibo del suo villaggio e non diminuiva minimamente la colpa di quel capitano spergiuro per averla rapita. La ragazza era furibonda: quell’uomo ignobile l’aveva messa davanti ad una scelta obbligata, caricandola a bordo contro la sua volontà. Nonostante questo e il fatto che si trovasse su una nave ormai salpata, non aveva la minima intenzione di piegarsi al volere di quel bruto. Gliel’avrebbe fatta pagare, non sarebbe stata riportata alla sua isola ma non avrebbe comunque permesso a nessuno di metterle le mani addosso impunemente.
L’occasione che aspettava si presentò la seconda sera di viaggio. Il capitano le aveva dato libertà di movimento, quasi volesse dimostrarle che non era prigioniera, ma Sesel non aveva la minima intenzione di cascare in un trucco tanto subdolo e si era rifiutata di mettere piede fuori dalla minuscola cabina. Probabilmente esasperato dal suo comportamento, il capitano si era dunque recato a farle visita.
«Perché non esci? La luna stasera è bellissima. » tentò di blandirla parlandole dall’esterno.
Il tono di voce era insolitamente gentile, completamente diverso da quello freddo che aveva usato per contrattare il giorno prima o da quello imperioso con cui gridava ordini ai suoi uomini.
«Sesel? Ti chiami così, vero? Ho sentito le ragazze usare questo nome. » continuò. «Perché ti ostini tanto, Sesel? Se fossi rimasta sull’isola la tua vita sarebbe trascorsa nella banalità e nell’oblio. Io ti sto dando la possibilità di avere una sorte più grande, era destino che c’incontrassimo, il Signore dello Stretto me lo aveva mostrato. Tu avrai l’onore di essere la custode del mio tesoro. Sesel? »
La maniglia si abbassò e il capitano mosse un passo nella cabina in penombra.
«Sesel, mi sen… Uooh! »
Una piccola furia scura gli piombò alle spalle e solo un movimento repentino dettato dall’istinto impedì ad un pugnale di affondare nella sua gola. La ragazza si sentì stringere dolorosamente il polso e lasciò cadere il coltello.
«Oh, no, no, no, milady, non ci siamo. Su una nave questo si chiama ammutinamento e sulla mia nave si paga con il sangue. »
Questa volta la voce di Kirkland la fece tremare, tanto era carica di feroci sottintesi nel suo solo apparentemente leggero tono ironico. Sesel si sforzò di mantenere fermo lo sguardo mentre alzava gli occhi su di lui.
«Allora uccidimi e facciamola finita! » sbottò sull’orlo della disperazione. «Tanto mi ammazzerò comunque prima di diventare la tua sgualdrina e il cane da guardia del tuo oro sporco di sangue! »
Per una frazione di secondo ebbe la soddisfazione di vedere gli occhi verdi del capitano, resi luminosi dal tremolio della fiammella di una candela, spalancarsi per lo stupore, poi l’uomo scoppiò in una risata sguaiata.
«La mia sgualdrina? Il mio oro? Oh, non ci posso credere! Non hai davvero idea di quello che ti aspetta! »
Sesel non trovava ci fosse nulla di divertente in quella situazione dovette imporsi con forza di non compiere qualche gesto inconsulto, come ad esempio affondare i denti nella mano che la tratteneva. Il corsaro fece un ulteriore passo e la suola del suo stivale andò a calpestare la lama del coltello a terra.
«Mi dispiace deluderti, ma non è così semplice sfuggire al destino… e a me. »
Quelle parole suonarono alle sue orecchie come una condanna e quando Kirkland la lasciò, scivolò sul pavimento, troppo angosciata persino per piangere.
Solo diverse ore più tardi, a notte inoltrata, la ragazza osò mettere piede fuori dalla cabina. Sulle prime aveva pensato che qualcuno fosse stato messo di guardia alla porta, per limitare la sua libertà dopo quel colpo di testa, ma non trovò nulla del genere. La nave era silenziosa salvo sporadici scoppi di risa in lontananza, appartenenti con molta probabilità ai marinai che si occupavano di mantenere la rotta anche di notte. Quando fu certa che a quella distanza nessuno si sarebbe accorto di lei, avanzò sul ponte assaporando a fondo l’aria fresca dopo due giorni di reclusione volontaria. Di notte il mare era una tavola argentata sotto la luce della luna, appena increspato da una brezza leggera che gonfiava le vele e sospingeva dolcemente l’imbarcazione, che sembrava scivolare sulle onde. Sesel chiuse gli occhi e respirò a pieni polmoni il profumo della salsedine: amava l’odore del mare e trovava consolante che almeno quello rimanesse sempre lo stesso, in qualunque luogo il destino l’avesse condotta.
Era talmente assorta nella contemplazione incantata delle acque, che non si accorse delle voci che si avvicinavano alle sue spalle.
«Comunque sia, non importa quel che dite, è ingiusto che il capitano si tenga sempre la parte migliore del bottino. »
«Che idiota, è ovvio che lo faccia! È il capitano! Questa volta, poi, devo dire che ha fatto il colpo grosso, la principessina non è affatto male. Non trovi, Lukas? »
«Sei il solito maiale. E comunque a me non importa. »
«Ah, già, dimenticavo che la nostra Regina dei Ghiacci, qui, ha altri gusti…»
«Ripetilo se vuoi trovarti il cervello pieno di piombo. »
«Oh, che paura! Invece di minacciare perché non ti unisci a me quando andrò ad offrirle la mia compagnia? Scommetto che saprò farla gridare di piacere. »
«Io, fossi in te, ci penserei due volte…»
«Adesso ti metti anche tu a fare il codardo, Mathias? Prima lanci il sasso e poi ritiri la mano? Non è così che… Oh, guardate chi c’è! »
Solo quando una mano si posò sulla sua spalla, la ragazza si rese conto della presenza dei tre uomini e si lasciò sfuggire un’esclamazione allarmata.

Arthur sedeva nella sua cabina, a poppa dell’Albion, con i piedi appoggiati sul rozzo tavolo che fungeva da scrivania. Era talmente irritato che, nonostante l’ora tarda, non era riuscito a chiudere occhio. Le cose non stavano andando come previsto e questo lo infastidiva in modo intollerabile. Pensare che il Signore dei Mari gli avesse inviato una visione fasulla rasentava la blasfemia, ma non poteva neanche affermare che quella di prendere a bordo la ragazza fosse stata una decisione ispirata. Già il fatto di portare una donna su una nave era un pessimo auspicio, se poi la donna in questione non era per nulla collaborativa, la situazione rasentava il ridicolo. Cosa avrebbe dovuto fare? Sacrificarla davvero dopo quel tentativo di assassinio? Piegarla al suo volere con la forza? Lasciarla nelle mani della ciurma? No, con quei metodi non avrebbe mai ottenuto ciò che desiderava. Doveva farsi venire un’idea.
In quel momento un grido spezzò la quiete notturna della nave e Arthur balzò in piedi d’istinto, rovesciando la sedia. Non si preoccupò di indossare la giacca cremisi, ma afferrò la sciabola che solitamente teneva alla cintura e in pochi istanti fu sul ponte. Aveva riconosciuto l’urlo come femminile e non poteva permettere, assolutamente e in nessun caso, che succedesse qualcosa a Sesel.
La scena che gli si presentò davanti lo riempì di stupore e rabbia: stupore per l’assurdo ardire del suo sottoposto, rabbia perché il suddetto ardire contravveniva esplicitamente ad un suo ordine. La ragazza si stava dibattendo tra le braccia di uno dei marinai, le cui rozze mani le avevano lacerato il vestito leggero e strappato il nastro che le legava i capelli. Alle spalle dei due, del tutto insensibili alla violenza in atto, Mathias e Lukas assistevano alla scena con espressioni piuttosto scettiche.
Arthur non ci vide più.
«Lasciala immediatamente, vile cane rabbioso! » tuonò sguainando la spada.
Una tale insubordinazione sulla sua nave era totalmente inammissibile.
Al suono della sua voce, l’uomo allontanò bruscamente la ragazza e solo il braccio di Arthur, che attutì l’impatto, le impedì di sbattere violentemente contro la battagliola.
«Capitano…»
Kirkland lasciò scivolare a terra una tremante Sesel e, con gesto fulmineo, trapassò l’uomo con la sua lama.
«Mi sembrava di essere stato chiaro quando ho affermato che non avrei tollerato interferenze con le mie proprietà. » sentenziò freddamente.
Estrasse la spada e lasciò che il cadavere crollasse sul ponte in una pozza di sangue.
«Mathias, occupatene tu. » ordinò. «Sono certo che il Signore dello Stretto apprezzerà il dono e che grazie a questo avremo venti favorevoli. Lukas, riaccompagna la signora ai suoi alloggi. »
Ripulì la lama della spada in un fazzoletto e si allontanò borbottando: «Dannazione, ora mi servirà un nuovo bottaio. Dovrò reclutarne uno al prossimo assalto. »
Mentre si chiudeva la porta della cabina alle spalle, gli giunse la voce di Mathias che esclamava: «Io te l’avevo detto di pensarci due volte. » prima di sollevare il corpo e gettarlo in mare. Il rumore dell’impatto con l’acqua accompagnò quello del chiavistello e Arthur si accomodò di nuovo sulla sedia abbandonata poco prima. Che nottataccia! Urgevano provvedimenti.
Albeggiava ormai quando alcuni colpi leggeri alla porta lo destarono e scoprì di essersi appisolato su quella stessa sedia. La schiena era indolenzita per la posizione scomoda e il braccio sinistro gli faceva male. Solo in quel momento si rese conto che la manica della camicia era macchiata di sangue, ma ignorò il problema con uno sbuffo infastidito e si avviò alla porta. Sesel era immobile sulla soglia, gli occhi bassi e una mano che tratteneva lo strappo del vestito.
«So che è stupido da parte mia, » esordì. «e so che probabilmente me ne pentirò, ma volevo ringraziarti per prima. Anche se non c’era bisogno di uccidere quell’uomo, sei un bruto! »
Arthur rimase a fissarla perplesso: le donne che aveva conosciuto finora si sarebbero gettate tra le sue braccia offrendogli loro stesse come premio, non si sarebbero mai sognate di accusarlo. Quella ragazza era davvero una fonte inesauribile di sorprese, doveva ammettere che iniziava a piacergli. Ma le stranezze non erano finite, infatti un istante dopo si sentì afferrare per il braccio sano all’esclamazione di: «Sei ferito! È successo quando mi hai protetta, vero? Hai qualcosa per disinfettare? Ti medico subito, sbrighiamoci! »
Mai si sarebbe immaginato di venire trascinato nella propria cabina dalla stessa persona che poco prima aveva tentato di ucciderlo e che ora gli imponeva, con assai poca grazia, le sue cure.
«Se te ne vai in giro in quel modo non posso garantire che un episodio del genere non si ripeta. » disse sbirciando oltre lo strappo del vestito, che lasciava ben poco all’immaginazione.
Una pressione maggiore della garza imbevuta di disinfettante sulla ferita gli chiarì che aveva appena pronunciato parole poco gradite.
«Ahi! Intendevo che puoi prendere uno dei vestiti che ho da parte, se non ti disturba che facciano parte di un bottino. »
Un silenzio imbronciato seguì la sua proposta e Arthur fece spallucce, rimanendo ad osservarla mentre s’impegnava a medicarlo al meglio.
Quella ragazza aveva spirito, coraggio e anche compassione, ora era sicuro che il Signore dello Stretto gli avesse indicato la persona adatta. Inoltre il fatto che fosse anche così graziosa, inconvenienti con la ciurma a parte, non poteva essere che positivo e rendere ancora più piacevole la sua compagnia.
«Arthur. » si ritrovò a dire mentre lei, di spalle, riponeva la cassetta dei medicinali.
Ebbe la soddisfazione di vederla voltarsi con un’espressione stupita negli occhi nocciola.
«Cosa? »
«Mi chiamo Arthur. Così, quando vorrai insultarmi saprai almeno a chi rivolgerti. »
La fanciulla tornò a dargli le spalle, quasi scomparendo nel grande armadio della sua cabina e solo dopo qualche istante borbottò: «Sesel. »
Sul volto del corsaro si aprì un sorrisetto a metà tra il sarcastico e il compiaciuto.
«Lo so. »

La traversata si rivelò più lunga di quanto Sesel si aspettasse. Due mesi in cui, oltre le battagliole e anche salendo sul pennone più alto, non si vedeva altro che oceano a perdita d’occhio. Due mesi in cui nulla era andato secondo le sue pessimistiche aspettative. Innanzi tutto Arthur, come aveva iniziato a chiamare il capitano, con una confidenza che scatenava la perplessità della ciurma, le aveva imposto di cambiare cabina e di trasferirsi nella sua. Una precauzione, a suo dire, per evitare altri spiacevoli incidenti. L’alternativa sarebbe stata condividere l’alloggio con il cartografo Lukas, l’unico della ciurma che non le avrebbe messo le mani addosso.
«Lui è un mistico. » le aveva detto Arthur. «Non bada a queste cose. Parla con gli spiriti, sai? E non fare quella faccia, non è affatto uno scherzo. Se qualcuno osasse dargli del pazzo o del bugiardo, si ritroverebbe una pallottola in testa senza colpo ferire. »
Dopo quell’affermazione Sesel aveva deciso che non voleva avere nulla a che fare con uno psicopatico, quindi l’unica alternativa era dividere l’alloggio con il capitano. E anche questa volta i suoi peggiori timori si rivelarono infondati poiché Arthur, per qualche motivo di cui solo lui era a conoscenza, non alzò mai un dito su di lei.
Sesel non aveva idea di come si svolgesse la vita su una nave pirata, anzi, corsara, come Arthur si faceva un punto d’onore di precisare ogni volta, ma aveva  immaginato che arrembaggi e razzie fossero all’ordine del giorno. Invece quei marinai, stranamente,  non sembravano più così ansiosi di attaccare altre navi. Solo Mathias, il quartiermastro, a volte si lamentava brontolando che senza assaltare qualche galeone spagnolo si annoiava a morte, ma veniva prontamente zittito da qualche frecciata di Lukas.
Inoltre, dopo un viaggio così lungo, sarebbe stato logico avere a che fare con uomini esausti, resi nervosi dagli spazi ristretti e dal cibo razionato, invece sempre più spesso le capitava di imbattersi in mozzi che ramazzavano il ponte fischiettando, marinai che rammendavano le vele cantando stonate canzoni di mare o altri ancora che ripulivano i cannoni accarezzandoli con una sorta di inquietante sorriso.
Il perché di quella strana atmosfera le fu chiaro quando avvistarono finalmente terra dopo settimane e l’urlo della vedetta fece voltare tutti di scatto nella direzione indicata.
«Terra! Terra in vista! Avalon a dritta! Siamo a casa, ragazzi! »
In risposta alle sue parole un grido unanime d’entusiasmo si levò da ogni angolo della nave.
Mathias, che si trovava al timone, impresse con decisione la direzione giusta.
«Issare la scotta di randa! Spiegare la vela maestra! » ordinò. «Viriamo di bordo in prua, ammainare la vela di gabbia! Rotta verso le nebbie! »
Sesel si ritrovò a scrutare incuriosita l’orizzonte alla ricerca di un segno che giustificasse tanto entusiasmo, ma il suo sguardo incontrò solo una foschia persistente che rendeva invisibile la costa.
«Avalon, per fare onore al suo nome, è costantemente avvolta nella nebbia. »
La voce al suo fianco la fece sobbalzare e quando si rese conto che Lukas era giunto al suo fianco senza che nemmeno se ne accorgesse, si sentì ancora più intimorita.
«Questa è la residenza segreta del capitano Kirkland. » continuò il giovane. «E anche il luogo dove si trovano le famiglie degli uomini. Solo chi gode del favore degli Spiriti del Mare può varcare le nebbie. »
La ragazza lo osservò mentre il timore lasciava spazio alla sorpresa. Il fatto che quei rozzi marinai avessero un posto da chiamare “casa” e una famiglia, era qualcosa che non aveva mai preso in considerazione. Lukas, in particolare, sembrava quasi trasfigurato: gli occhi violetti socchiusi, il volto rivolto nella direzione del vento, che gli scompigliava le ciocche chiare, e un’espressione quasi estatica.
«La magia pervade questo luogo, la posso sentire nell’aria, nell’acqua. Mi sento rinascere ogni volta che mi avvicino alle sue coste. » lo sentì mormorare.
Il rumore di passi cadenzati alle sue spalle attirò la sua attenzione e Sesel vide Arthur avvicinarsi.
«Benvenuta ai Caraibi. » le disse il corsaro, mostrandole un’espressione che non aveva mai visto. «D’ora in poi questa sarà la tua casa e il luogo dove custodirai il mio tesoro più prezioso. »
Normalmente Sesel si sarebbe ribellata a quelle parole, ma negli occhi di Arthur si era accesa una luce diversa, più calda. Le dava quasi la sensazione che quell’uomo, all’apparenza così insensibile, fosse in grado di provare sentimenti più umani, anche se il fatto che si riferisse in quei termini ad un bottino non era affatto rassicurante. Chissà se anche lui aveva una famiglia sull’isola, qualcuno a cui teneva e che sapesse mitigare la furia crudele che covava sotto le ceneri e che a volte vedeva esplodere in gesti improvvisi? In quel momento, in piedi sul ponte, con la brezza salmastra che gli scompigliava i capelli biondi, la giacca cremisi e il tricorno nero, la spada e la pistola alla cintura, aveva l’aria del più incallito dei criminali, ma anche l’indiscutibile fierezza di chi è padrone del proprio destino. A suo modo era una figura affascinante.
La mattina successiva l’Albion varcò le nebbie, che si aprirono al suo passaggio come il sipario di un teatro pronto a mostrare lo spettacolo più incredibile. Sesel si aspettava di vedere un’isola paradisiaca ma, da quella distanza, non le sembrava avesse nulla di più della sua isoletta nell’Oceano Indiano. Tuttavia per quelle persone significava tornare a casa dopo mesi di lontananza, quindi poteva capirne l’euforia. La nave gettò l’ancora al largo della costa e le barche furono calate in acqua. Arthur prese posto in quella che apriva la fila, invitandola ad unirsi a lui e ai fidi Mathias e Lukas. Il vento gli gonfiava la lunga giacca, rendendola simile ad un mantello, e agitava le candide piume del tricorno facendone tintinnare gli ornamenti: sembrava un condottiero che rientrava vittorioso alla testa del suo esercito.
«Ai remi! » ordinò mentre il suo sguardo smeraldino saettava lungo la linea del molo.
Un nutrito gruppo di persone si era radunato e si sbracciava in direzione delle barche. Sembravano tutti entusiasti e solo quando furono più vicini Sesel riuscì a distinguere le parole mescolate alle grida di giubilo.
«King Arthur è tornato! Evviva! Lunga vita al nostro re! »
La ragazza si voltò stralunata verso il corsaro, che sembrava bearsi delle ovazioni. Re? Erano impazziti? Ecco perché aveva quelle manie di grandezza.
A venirle in soccorso, inaspettatamente, fu di nuovo Lukas.
«L’isola di Avalon vive dei bottini dell’Albion. Il capitano ha riunito qui le famiglie dei marinai, le protegge dalle incursioni di pirati e bucanieri in un luogo inaccessibile, ha dato lavoro alle donne nella sua casa e agli uomini sulla sua nave. È naturale che egli sia il loro signore. »
Sesel era senza parole: finora l’unico lato di Arthur che aveva visto, o che aveva voluto vedere, era quello di feroce uomo di mare. L’idea che potesse nascondere addirittura dei sentimenti caritatevoli la spiazzava.
La sorpresa più grande però giunse quando sbarcarono e la folla festante li circondò. Tra le donne che riabbracciavano i loro mariti, fratelli o figli, un bambino si fece largo agitando le braccia e strillando più degli altri.
«Fratellone! Fratellone, sei tornato! »
Ancora prima di riuscire a dire una parola, Arthur se lo trovò addosso con un tale impeto che per poco non gli fece perdere l’equilibrio. Sesel, alle sue spalle, si preparò al peggio: di certo quello scostante capitano avrebbe reagito bruscamente ad un approccio tanto esuberante. Invece, con suo grande stupore, lo sentì scoppiare in una risata carica di calore, mentre sollevava il bambino e lo faceva volteggiare in aria prima di stringerlo tra le braccia.
«Siamo sempre pieni di energie, eh, Alfred? Ma guarda quanto sei cresciuto! Sei un uomo ormai! »
«Sì, e presto diventerò più alto di te, fratellone! » esclamò il bambino allegramente.
Aveva i capelli biondi come quelli di Arthur, due occhioni azzurri come il cielo d’estate e dal suo atteggiamento traspariva chiaramente un grande affetto per il capitano, che di certo ricambiava. In tutto quel tempo non l’aveva mai visto ridere, nemmeno sorridere, in quel modo. Una luce di pura felicità brillava sul fondo dei suoi occhi, solitamente freddi come l’oceano.
«Cosa mi hai portato, fratellone? » esclamò improvvisamente il piccolo Alfred. «Una spada? Un cappello? Un tesorooo? »
Solo in quel momento Arthur si voltò verso di lei e le sorrise, un sorriso che aveva perso ogni traccia di malizia e di minaccia.
«Oh, molto di più. Questa volta ti ho portato una mamma. »
E gli occhi di Alfred la fissarono con una tale carica d’incredulità che Sesel desiderò abbracciarlo e seppe all’istante che avrebbe adorato quel bambino.
* - * - * - * - * - *

La ragazza rimboccò le lenzuola e accarezzò i capelli del bambino addormentato. Era passato molto tempo dai fatti che gli aveva appena narrato come favola della buonanotte e, se una volta aveva desiderato scappare, ora considerava Avalon come la dimora del suo cuore, il luogo a cui era destinata e in cui aveva trovato legami più forti di quelli che aveva lasciato. Ora sapeva che sarebbe stata capace di tutto per proteggere la serenità di quella casa, del bambino e del giovane uomo che erano diventati la sua nuova famiglia, perché quello era senza dubbio il tesoro più prezioso.
«Ogni volta che gli racconti questa storia, mi fai sembrare un mostro. »
La voce di Arthur la raggiunse dalla porta socchiusa e Sesel si voltò ostentando un’espressione severa.
«Perché lo sei. Sei un pirata che se ne va a zonzo ad assaltare galeoni spagnoli e mercantili francesi, e torna a casa con i vestiti che sanno di sangue. »
«Corsaro, prego. » puntualizzò Arthur, piccato.
«Oh, è lo stesso. E togliti quell’arnese o finirai per svegliare Alfred con tutto questo fracasso. » continuò la ragazza indicando la cintura a cui erano appese la spada, la pistola e un paio di pugnali che producevano un leggero clangore cozzando tra loro.
«Yes, milady. » fece Arthur condiscendente, alzando gli occhi al cielo e reprimendo un sorriso mentre s’incamminava al suo fianco lungo il corridoio in penombra.









Note:
Fonte principale di documentazione: “Storia della pirateria” di David Cordingly

Nave corsara: vascello armato, autorizzato da una licenza o “lettera di corsa” emessa dal governo a catturare i mercantili di una nazione nemica.
Sloop: nel diciottesimo secolo il termine indicava un veliero di piccole dimensioni, armato di quattro-dodici cannoni sul ponte superiore e attrezzato con uno, due o tre alberi.
Quartiermastro: nell’antica marina militare a vela, secondo ufficiale addetto all’assegnazione dei marinai a determinate manovre.
Signore dello Stretto: divinità marina protettrice della Manica che esige tributi e sacrifici per autorizzare il passaggio delle navi. (liberamente tratto dalla Saga di Kushiel di Jaqueline Carey)
Battagliola: tavola di legno posta sul capo di banda lungo le fiancate del veliero.
Tribordo: fiancata destra della nave.
Trinchetto: albero posto a prua della nave.
Costa spravento: costa dalla quale il vento sta soffiando.
Sartiame: insieme di funi che costituiscono il cordame fisso, che sostengono l’albero maestro o di gabbia.
Bottaio: addetto alla costruzione delle botti, figura molto importante a bordo in quanto quelli erano gli unici contenitori in cui era possibile conservare cibo e bevande. Insieme a carpentieri e chirurghi erano le figure più ricercate e venivano arruolati a forza dagli equipaggi delle navi nemiche.
Scotta di randa: fune posta all’angolo inferiore della vela maestra per regolarne la posizione.
Virare di bordo in prua: cambiare direzione alla nave girando la prua al vento finché questo non soffia sull’altro lato dell’imbarcazione.
   
 
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