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Autore: Il Saggio Trentstiel    27/03/2012    9 recensioni
Si spostò per far passare due uomini vestiti elegantemente, entrambi di pessimo umore a giudicare dalle loro espressioni.
-Meno male che è venerdì...- borbottò uno, scendendo dal mezzo seguito dall'altro.
Noah fece un sorriso amaro.
Venerdì.

Prendete una citazione letta per caso, una buona dose di malinconia e l'ispirazione che arriva a braccetto con le manifestazioni allergiche più forti: benissimo, avete ottenuto questa storia!
[Future!Fic; Lieve OOC di Noah]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Noah, Sorpresa
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Nessun giorno è uguale all'altro, ogni mattina porta con sé un particolare miracolo...

 

Erano giorni che quella frase gli riecheggiava nella testa.
Un lettore accanito come lui aveva sicuramente incontrato aforismi di quel genere a centinaia, ma la sua mente aveva deciso di selezionare quella particolare frase.
Anche se le sue giornate erano invece sempre uguali, quello non era un caso, ne era certo.
Diamine, un QI elevato come il suo non poteva prendere decisioni casuali!
Un Quoziente Intellettivo pari a 180 significa che, su dieci milioni di individui, solo uno ottiene questo o un risultato superiore.
In quel momento, però, gli sarebbe piaciuto chiedere a suddetto QI un aiuto per ritrovare il libro.
Non un libro qualunque, bensì il libro.
Quello che portava sempre con sé, che conosceva a memoria ma che continuava a rileggere, che conteneva quella citazione che avrebbe voluto rivedere e... Che da un po' di tempo aveva imparato a condividere con gli altri.
Sì, proprio lui, il minuto e sarcastico Noah.
Roba da film sdolcinati di serie B, pensò mentre frugava nell'ennesimo cassetto, senza però trovare il libro che cercava.
Dopo altri cinque minuti di ricerche infruttuose, si diede per vinto.
Per quanto gli oggetti non avessero vita propria, quel libro aveva deciso di nascondersi così abilmente da sparire letteralmente da casa sua.
Noah sbuffò e controllò il suo orologio da polso: segnava le sette e mezza.
Questo ticchettio continuo è strano... Hai forse una bomba legata al polso?
Alzò gli occhi al cielo, enunciando la sua frase più tipica e velata di disperazione.
-Vita, perché mi odi così tanto?-
Non solo aveva perso il suo adorato libro, ma stava anche rischiando di arrivare in ritardo al lavoro.
Si infilò rapidamente la giacca, afferrò una cartelletta plastificata piena di test già corretti ed uscì di casa.
Riuscì a prendere per un pelo l'autobus, pieno da scoppiare come al solito e, trovato un comodo angolo di qualche centimetro quadrato, si preparò ad affrontare l'inferno per dieci
fermate.

Ormai la sua vita era così, monotona e regolare: non che a lui dispiacesse, beninteso.
Docente di letteratura presso la University of Toronto, uno stipendio fisso e soddisfacente, il suo adorato golden retriever a fargli compagnia.
Non chiedeva di meglio.
Si spostò per far passare due uomini vestiti elegantemente, entrambi di pessimo umore a giudicare dalle loro espressioni.
-Meno male che è venerdì...- borbottò uno, scendendo dal mezzo seguito dall'altro.
Noah fece un sorriso amaro.
Venerdì.
Venerdì, personaggio creato da Daniel Defoe, può essere considerato come lo stereotipo dell'uomo moderno: pronto a sottostare ai voleri del più ricco, ingenuamente convinto che questo voglia il suo bene.
Si riscosse appena in tempo per scendere dall'autobus, facendosi largo a spintoni tra la folla e corredando il tutto di “Mi scusi!” sarcastici ed insinceri.
Tirò un sospiro di sollievo quando riuscì a fuggire dall'autobus, ritrovandosi davanti al lungo viale che conduceva all'università.
Di lì a cinque minuti stava varcando la monumentale soglia del complesso, e udì alcune ragazze sospirare e parlare tra loro.
-Grazie al cielo è arrivato venerdì!-
Non visto, Noah scosse la testa.
Per lui il venerdì significava soltanto una cosa.
Il granello di sabbia nel meccanismo perfetto delle sue piatte e blande settimane.
Una volta ho messo una manciata di sabbia nel frullatore, e mia madre ha fatto un frullato croccante!
Si massaggiò stancamente le tempie.
Meglio concentrarsi sulla lezione e lasciar perdere le delucidazioni filosofiche, fisiche e quant'altro.
Specialmente se non erano state mai enunciate da lui.
Specialmente se gli rimbombavano nella mente ogni sacrosanto venerdì.

 

 

 

-... Possiamo dunque concludere dicendo che l'influenza della vita quotidiana è presente e forte nelle opere della maggior parte degli autori canadesi moderni.
Fréchette, Drummond e la Crawford sono un valido esempio.-
Il suo orologio da polso segnava ancora le quattro meno dieci, ma le facce tirate e stanche degli studenti lasciavano intendere che altri dieci minuti di lezione sarebbero stati fatali.
Noah sorrise appena.
-Per oggi abbiamo concluso, ci vediamo martedì prossimo.-
In un'altra occasione avrebbe protratto la lezione fino all'ultimo secondo disponibile, a costo di veder collassare sul banco qualche ragazzo dalla mente più debole, ma non quel giorno.
Non di venerdì.
Raccolse le sue cose ed uscì a passo lento dall'aula, simulando una tranquillità che interiormente non provava.
Lungo il corridoio incrociò gli occhi smeraldini di Alejandro, da poco divenuto docente di lingue presso quella stessa università.
Si limitò ad un cenno distratto, preso dai suoi pensieri, ma non poté impedirsi di sentirlo discutere animatamente al cellulare.
-Espera Heather, non erano questi i patti!-
Udì la voce imperiosa della strega replicare qualcosa di indubbiamente malevolo, ma ormai era quasi giunto all'uscita e non sentì la risposta altrettanto piccata di Alejandro.
L'ispanico aveva una vita ben diversa dalla sua, sicuramente più vivace ed interessante.
Aveva una moglie che lo metteva quotidianamente a dura prova -d'altronde Heather avrebbe messo chiunque a dura prova!-, una casa decisamente più lussuosa della sua e l'opportunità di passare dei fine settimana all'insegna del relax e del divertimento.
Non che gliene importasse qualcosa, in effetti, erano solo mere e semplici constatazioni.
La fermata dell'autobus era poco affollata: il sole primaverile aveva spinto la maggior parte delle persone a cimentarsi in passeggiate più o meno lunghe, atte a godersi la giornata tiepida e fragrante.
Sorprendendo se stesso, Noah decise di adeguarsi alla massa e cominciò a camminare verso casa sua.
A piedi, prendendosela comoda, ci avrebbe messo una buona mezz'ora, ma aveva tutto il tempo del mondo.
Il tempo e lo spazio sono legati insieme a formare quello che viene chiamato spaziotempo.
Sbuffò e deviò sulla destra, decidendo di passare per il Queen's Park ed abbreviare il percorso.
La vista che si presentava ai suoi occhi era definibile con un'unica parola: pace.
Facciamo pace, va bene? Dammi il dito, e non tirare troppo forte o potremmo esplodere!
Mugugnò qualcosa di incomprensibile, attirandosi le occhiate interdette di due anziane sedute su una panchina a chiacchierare.
Quelle voci -anzi, quella voce- non avevano smesso di tartassarlo per tutta la giornata, come ogni dannatissimo venerdì.
Cosa poteva esserci di peggio?
-Professor Dasari?-
Ecco, quello.
Un incontro casuale ed inaspettato.
Si voltò, trovandosi davanti una coppia che sorrideva affabilmente.
Il ragazzo era alto, ben piazzato, con luminosi occhi verde prato; la compagna aveva capelli neri raccolti in un'alta coda, era di carnagione piuttosto pallida e sulle labbra aveva un leggero strato di rossetto color verde acqua.
Entrambi avevano al collo due ciondoli singolari: erano davvero due frullatori d'argento?
Noah sorrise: beh, quell'incontro era meno peggio del previsto.
Trent lo strinse in un abbraccio caloroso.
-È tanto che non ci si vede!- esclamò Gwen, abbracciandolo a sua volta -Abbiamo saputo che adesso insegni all'università!-
Annuì e li osservò con attenzione: dunque, alla fine, erano tornati insieme.
Non era mai stato un esperto di queste faccende sentimentali, ma conoscendo Duncan era abbastanza palese che la storia con Gwen non sarebbe mai decollata.
-Ebbene sì. Voi, invece?-
Ascoltò Trent parlare della sua carriera come talent scout in ambito musicale, Gwen raccontare la sua inaspettata trasformazione da semplice disegnatrice in arredatrice di interni, poi i loro progetti, i piani per il futuro...
Si ritrovò a riflettere, come gli accadeva ogni venerdì: lui cosa vedeva nel suo futuro?
Una vita piatta e priva di picchi o avvallamenti, come un encefalogramma piatto?
L'EEG, o elettroencefalografo, venne inventato da Hans Berger, ed in seguito perfezionato da Herbert Jasper.
Strinse gli occhi con espressione sofferente, riaprendoli quando sentì una mano posarglisi sulla spalla.
-Tutto bene?- domandò preoccupato Trent.
Si costrinse a sorridere, massaggiandosi la fronte.
-Uhm, sì, solo un po' di mal di testa. Mi ha fatto molto piacere incontrarvi, alla prossima!-
Salutò rapidamente i due e si allontanò, il fastidioso caos nella sua mente sempre più pressante.
I suoi pensieri turbinavano, costringendolo a scacciare con rabbia ogni interrogativo che gli si presentava: come sarebbe stato il suo futuro? Solitario? Votato all'insegnamento e alla ricerca? E una volta che avesse dovuto abbandonare il lavoro?
A questi pensieri scomodi si univano, non meno fastidiose, le frasi trasudanti cultura e stranezze che accompagnavano ormai da mesi i suoi venerdì.
E sì che era convinto di aver ormai imparato a gestirle...
Cultura? Oh, sì, mia madre cultivava pomodori! Non è divertente?
Il Counseling può, attraverso progetti specifici come il “Six seconds”, aiutare a gestire le emozioni.
... Il proprio momento magico...”
Noah barcollò appena, appoggiandosi ad un lampione.
L'ultima frase... Era la seconda parte della citazione che, da giorni, lo ossessionava.
Quel mattino era stata sopraffatta dal solito, incontrollato afflusso di informazioni, ma adesso era tornata.
Mancava comunque un'ultima parte, Noah lo sapeva, ma non riusciva a ricordarla.
Prese un profondo respiro, poi un altro ancora.
Quando fu certo che le gambe lo avrebbero sorretto ancora, si allontanò dal freddo palo di metallo e continuò la sua camminata verso casa.
Era certo che ci fosse un motivo per il quale quella citazione lo tormentava, lo stesso motivo per cui quel venerdì le solite frasi sembravano più pressanti e violente del solito.
No, non era uno schizofrenico.
Conosceva bene la sintomatologia e i primi segni di insorgenza, e poteva affermare con certezza -e con sollievo- che tale patologia era lontana anni luce dal suo cervello.
Eppure la sua mente razionale lo spingeva a cercare soluzioni logiche a quella situazione sempre più strana.
Tirò fuori le chiavi del portone del suo palazzo in un gesto compiuto mille volte, ancora pensieroso.
Salì le scale fino al suo appartamento come un automa, riscuotendosi solamente quando il suo golden retriever gli saltò addosso non appena ebbe messo piede in casa.
-Buono, bello, buono...- mormorò, controllando l'ora.
Le cinque in punto.
Aveva ancora tre ore prima del suo appuntamento del venerdì.
 

 

 

Mentre il cielo assumeva tonalità via via più cupe, Noah stava seduto in balcone.
Aveva dato da mangiare al suo cane, controllato la posta e risposto a qualche e-mail sorseggiando del tè allo zenzero, il suo preferito.
Osservava le luci artificiali di Toronto accendersi lentamente, come timorose di eclissare gli ultimi raggi di quel sole che, spesso, non si degnava neanche di farsi vedere.
Nel mese di marzo la città di Toronto ha una media di 156 ore di sole.
Quella giornata era stata... Strana, per certi versi.
Le frasi che aggredivano la sua mente erano state decisamente il clou, ma gli incontri...
Non era la prima volta che faceva incontri simili.
La settimana precedente era stato intercettato da Tyler e Lindsay, lui carico di sporte per la spesa, lei con un pancione che sembrava lì lì per esplodere.
-La cicogna mi porterà due gemelli, sai Nelson?- aveva cinguettato, mentre Tyler faceva un sorriso a metà tra l'esasperato e l'orgoglioso.
Però, a pensarci bene, anche l'aver incontrato quella coppia di sempliciotti lo aveva... Colpito, in qualche modo.
Vedeva tutti, o quasi, i suoi amici e conoscenti accasarsi, fare progetti per il futuro, sfornare pargoli in quantità industriale.
Perfino Ezekiel, stando ai racconti confusi di Lindsay, si era trasferito in città e avrebbe ricevuto a breve la visita della cicogna: insomma, aveva messo incinta la sua ragazza.
A lui cosa importava? Non era soddisfatto della sua vita?
Il lavoro che sognava, la tranquillità più completa, nessun problema di altre persone di cui farsi carico...
Si diede mentalmente dello stupido.
Non era esattamente così, e lo sapeva benissimo.
Il telefono squillò, costringendolo ad alzarsi.
Controllò il numero che era apparso sullo schermo del cordless, collegandolo vagamente a qualcuno che conosceva.
-Pronto?-
-Noah, amico, come va?-
Geoff.
La persona che meno era lieto di sentire viste le sue condizioni.
-Ehi. Tutto come al solito.-
-Bene! Senti, stasera stavamo pensando di andare al cinema! Sai, è appena uscito quel nuovo thrilling con John Cusack! Ti va di venire?-
Sospirò stancamente, sperando che Geoff capisse al volo che non era il giorno adatto: trattandosi di Geoff, però, tale speranza era più che vana.
-A parte che si dice thriller... Comunque sono molto stanco, e...-
-Wooh, aspetta amico, c'è Bridgette che vorrebbe parlarti!-
Nei pochi secondi di silenzio che seguirono quella dichiarazione, Noah si rilassò.
Negli anni successivi al reality show aveva conosciuto meglio Bridgette, scoprendo una ragazza sensibile e pronta ad aiutare gli altri, tanto da diventare ottimi amici.
-Charlize, spegni la televisione e vai a tavola, su! Ray, aiuta papà ad apparecchiare! Scusami, Noah...-
-Figurati, immagino che l'ora di cena sia il momento peggiore per le telefonate!-
Bridgette rise.
-Sì, ma Geoff non lo capirà mai! Come stai?- domandò subito dopo, il tono sinceramente preoccupato.
Noah sospirò.
-Come ogni venerdì, forse... Forse anche peggio, stavolta.-
La bionda all'altro capo del telefono tacque per diversi istanti, lasciando intuire a Noah che stava per parlare con estrema serietà.
-Noah... Sei sicuro che questa cosa ti faccia bene? Che sia una vita vera?-
Sapeva dove sarebbe andata a parare Bridgette.
Ormai erano routine anche quelle conversazioni: convenevoli, imbeccata, risposta a tono, saluti.
Noah non si smentì.
-No, Bridgette, non mi fa affatto bene. Ma che alternative ho?-
-Ne hai a dozzine, diamine!- esclamò l'altra, accalorandosi -Goditi i fine settimana, vai al cinema, organizza una cena tra amici... Frequenta qualche ragazza!-
Bingo, erano arrivati alla posta del cuore!
Prevedibile anche quello.
-Non credo che la situazione cambierebbe se mi mettessi in cerca di qualche altro cuore solitario.-
Bridgette sospirò, esasperata dal sarcasmo dell'amico.
-Cerca di staccarti dal passato, almeno un po'...-
Noah non rispose, costringendola a riprendere in mano la conversazione.
-Per stasera non preoccuparti, dirò a Geoff che ti senti poco bene. Niente di più, promesso.-
-Grazie mille, Bridgette.-
-Figurati. Stammi bene, e fatti sentire ogni tanto!-
Si salutarono, poi Noah agganciò proprio mentre la pendola batteva otto rintocchi.
Era quasi il momento.
Entrò in camera e si cambiò, indossando i suoi “vecchi” abiti.
Maglietta bianca, polo azzurra, panciotto cremisi, pantaloni grigi.
Tutti perfettamente lavati e stirati, senza né un foro né uno strappo.
Non li conservava per i “bei ricordi” ad essi legati, ma per un altro motivo, decisamente più importante.
Uscì nuovamente di casa, notando come il tragitto fino alla macchina gli sembrasse quella sera più lungo del solito: le mani gli tremavano appena, facendo tintinnare le chiavi dell'automobile, e aveva il fiatone come se avesse corso.
Respira piano, oppure andrai in iperventilatore, o come si dice!
Guidò lungo le strade ancora poco trafficate ma che a breve, ne era certo, si sarebbero riempite di gente in cerca di svaghi tipici del venerdì sera: discoteche, pub, locali vari, cinema...
Sicuramente tra quella gente ci sarebbero stati i suoi studenti e, perché no? Anche i suoi vecchi compagni di avventura.
Alejandro e Heather, magari, avrebbero discusso fino allo sfinimento, per poi tentare una passeggiata lungo le animate vie della città; Trent e Gwen erano sicuramente stati invitati al cinema da Geoff e Bridgette; Tyler e Lindsay...
-Cristo, sono patetico...- borbottò a denti stretti, inserendo l'indicatore di direzione e svoltando a destra lungo una via fin troppo nota.
Di buono c'era che ogni venerdì, non appena imboccava College Street, le voci che lo infastidivano, semplicemente, svanivano.
Quel giorno, fortunatamente, non fece eccezione.
Noah si sentiva teso, nervoso, ma anche sollevato che il caos avesse abbandonato il suo cervello: parcheggiò l'automobile, scese e camminò a passo sicuro verso il civico 340.
In un gesto che molti avrebbero definito “superstizioso” ma che lui, razionale come sempre, preferiva bollare come “abitudinario”, non alzò lo sguardo finché non ebbe oltrepassato il portone dal colore indefinibile, un misto tra verde e grigio.
Contò i suoi passi fino alla prima sosta obbligata, venti in tutto: qui alzò lo sguardo e sorrise appena.
-Buonasera, signor Dasari!-
-Buonasera, signora Carter. Sono in ritardo?-
La donna, sulla sessantina, con folti ricci color del ferro, sorrise amabilmente e gli porse un cartellino.
-È in perfetto orario come al solito, vada pure. Ah, l'ascensore numero due è in manutenzione, le conviene prendere il primo oppure salire a piedi!-
Noah ringraziò la donna con un cenno, allontanandosi ed appuntandosi il cartellino al petto.
Avvertiva, anche sotto tre strati di abiti, il cuore battergli furioso come una grancassa; le mani avevano ripreso a tremargli, e si rese conto che anche le gambe non sembravano poi così solide.
Non aveva il libro, stavolta.
Pigiò il pulsante di chiamata e, con un tintinnio sonoro, le porte dell'ascensore si aprirono davanti a lui: salì, premette il tasto corrispondente al quarto piano e cominciò a salire.
Saliva l'ascensore, saliva la sua ansia.
La sua tensione.
La sua paura.
Presto, troppo presto aveva raggiunto il quarto piano.
Il corridoio che stava attraversando era deserto ma, anche se ci fosse stato qualcuno, aveva il cartellino: e poi ormai quasi tutti lo conoscevano.
Lo sguardo gli saettava sulle porte delle diverse camere: stanza 401... Stanza 403... Stanza 405...
Stanza 407.
Deglutì, profondamente a disagio, ed allungò una mano per abbassare la maniglia: una voce acuta però lo fermò.
-Mi scusi, cosa sta facendo?-
Una donna sulla trentina era poco dietro di lui, i capelli castani raccolti in una crocchia, le mani posate sui fianchi: subito le si affiancò un'altra donna, più anziana, parecchio in carne, che le posò una mano sulla spalla.
-Tranquilla Janet, può passare.-
La più giovane batté le palpebre un paio di volte, girandosi poi verso la collega in cerca di spiegazioni: mentre Noah entrava nella stanza, sentì chiaramente la donna più corpulenta sussurrare “È quell'uomo di cui ti parlavo, quello che viene qui tutti i venerdì sera, da quel venerdì dell'incidente...”.
Chiuse la porta, tagliando fuori la voce della donna, e si voltò verso l'unica altra persona nella stanza.
Dormiva, o forse fingeva.
Magari stava attendendo che lui si avvicinasse per poi spalancare all'improvviso gli occhi e spaventarlo con qualche strano verso.
Noah si avvicinò cautamente al letto cercando, per quanto possibile, di ignorare la flebo, i mazzolini di fiori e le fialette vuote abbandonate su uno scaffale.
Si accomodò su una sedia accanto al letto, sporgendosi appena sul volto apparentemente addormentato, per...
-Buh!-
Sobbalzò, sebbene si aspettasse una cosa simile.
L'occupante del letto rise sonoramente e, stiracchiandosi, si levò a sedere.
-Sei arrivato! Che bello, Betty cominciava a pensare che non saresti più venuto, ma io le ho detto “No, arriverà, fidati!”, e avevo ragione!-
Noah sorrise automaticamente, lisciando con la mano inesistenti pieghe sul lenzuolo che copriva alla perfezione il corpo magro del suo ciarliero interlocutore.
-La cena non è stata un granché, avrei preferito del tonno vivo, invece... Tonno in scatola, che disdetta!-
Prese un profondo respiro e si voltò verso Noah.
-Esistono otto specie diverse di tonno, delle quali il più grande è il tonno rosso.-
Noah si trattenne a fatica dal roteare gli occhi: aveva passato l'intera giornata preda di informazioni di discutibile utilità, era necessario fornirgliene altre?
-Marshmellow, una montagna di marshmellow.
Ovunque, non li vedi? Stanno schiamazzando, qualcuno dovrebbe dirgli di smetterla!
Potrebbe pensarci quel gatto a quadretti, che ne pensi?-
Anche a seguito di questa bizzarra dichiarazione, Noah continuò a tacere: l'occupante del letto parve incuriosito da questo comportamento e, allungata una mano, andò a posarla sul volto dell'uomo.
-Sei silenzioso, ti ha tagliato la lingua il gamberetto?-
A quell'ultima parola, Noah avvertì un groppo in gola.
Gamberetto... Erano mesi che ormai nessuno lo chiamava più così...
Inspirò profondamente per calmarsi ed incrociò, finalmente, lo sguardo di Izzy.
-Ho... Ho perso il libro... Il nostro libro...-
La rossa sgranò gli occhi, di un verde più spento rispetto a qualche mese prima, per poi sorridere.
-Non lo hai perso, è finito nello spazio! E anche nella mia testa!-
Tossicchiò e, come una bambina che declama una poesia natalizia durante il pranzo della vigilia, cominciò a declamare.
-Nessun giorno è uguale all'altro, ogni mattina porta con sé un particolare miracolo, il proprio momento magico, nel quale i vecchi universi vengono distrutti e si creano nuove stelle.-
Noah boccheggiò, fissando le labbra di Izzy come se non riuscisse a crederci.
Quella frase, quella citazione... No, non era possibile...
-Izzy...- cominciò tentennante -... Dove l'hai letta?-
-Letta? Forse intendevi letto! Potrei spiccare il volo con questo letto!-
L'uomo abbassò lo sguardo, deluso: aveva sinceramente sperato in una spiegazione razionale a quanto era accaduto, anche se era andato a cercarla nel luogo e con la persona sbagliata.
D'un tratto si rese conto di una cosa.
Aveva passato l'intera giornata ad immaginarsi un futuro diverso, a considerare i suoi venerdì come una spina nel fianco, un granello di sabbia in un ingranaggio, ad odiarsi per non essere in grado di mollare tutto e andare a spassarsela... Ma il suo futuro era lì, davanti ai suoi occhi.
Il suo futuro, il suo passato, il suo presente.
Un esserino smunto, con indosso una camicia da notte larga e sfilacciata, con lunghi capelli rossi sempre più disordinati, due ampi occhi verdi pieni di curiosità, ed un cervello irrimediabilmente danneggiato.
All'improvviso Noah si sentì l'uomo più fortunato del mondo.
Non c'era una ragazza preda di deliri e personalità multiple, non c'era un povero essere segnato a vita da un catastrofico incidente.
C'era solo lei, la sua Izzy.
La Izzy di cui, a fatica, combattendo contro se stesso, si era infatuato; e di cui era ancora innamorato.
Sorrise per la prima volta dall'inizio di quel colloquio e strinse una mano della ragazza.
-Grazie...-
Izzy lo guardò sorridendo ed inclinando la testa da un lato, esattamente come una bambina, esattamente come faceva qualche mese prima.
-Prego! Gli autografi dopo, però, che ora sono impegnata!-
Afferrò una rivista dal comodino accanto al letto e cominciò ad utilizzarla come se fosse un volante, emettendo sbuffi e strani rumori.
Noah decise che non si sarebbe mai stancato di guardarla, ma il tempo era tiranno.
Annunciata da un leggero colpo alla porta, fece capolino la grassa infermiera di prima: sorrise tristemente alla scena che le si presentò davanti e si rivolse a Noah.
-Signor Dasari, dovrebbe andare, ora.-
Noah annuì, continuando a fissare Izzy: dopo qualche altro secondo si alzò in piedi, stampò un bacio sulla guancia alla ragazza e le sorrise.
-Ci vediamo venerdì prossimo.-
Uscendo dalla stanza udì Izzy continuare ad imitare i rumori di un'automobile e notò lo sguardo contrito dell'infermiera Janet: rivolse un rapido cenno alle due donne e si allontanò lentamente verso l'ascensore, sparendo dalla loro vista.
Le infermiere chiusero la porta della stanza di Izzy e si allontanarono a loro volta, spegnendo le luci del corridoio.

 

 

 

All'interno della stanza 407, Izzy continuava a rumoreggiare e a viaggiare con l'ausilio della sua mente danneggiata.
Dopo qualche altro minuto si calmò e, guardatasi attorno, si rese conto di essere rimasta sola.
Fece un sorrisino triste ed abbassò lo sguardo, giocherellando con un lembo del candido lenzuolo che la ricopriva.
D'un tratto parve illuminarsi, come colpita da un raggio di sole.
Si girò come una furia, afferrando il cuscino e lanciandolo in mezzo alla stanza: dove prima si trovava il guanciale, c'era adesso un oggetto rettangolare, dal colore violetto, piuttosto usurato.
Izzy sorrise e aprì il libro alla quarta di copertina, dove spiccava la scritta “Property of Noah Dasari”.
Lo strinse al petto ed emise un buffo suono, a metà tra un sospiro ed un risolino.
-Ciao, Gamberetto.-








Note dell'autore (non potete sottrarvi a questa tortura u.u)
Rieccomi qui con una nuova one-shot (decisamente long).
Sempre a causa della primavera e delle allergie -gli antistaminici fanno strani effetti- ho coniato questa storia.
Qualche precisazione.
-La citazione iniziale (ed enunciata poi interamente da Izzy verso la fine) è tratta da "Sulla sponda del fiume Pedra mi sono seduta e ho pianto", di Paulo Coelho.
-Le frasi sottolineate (sia quelle "colte" che quelle "caotiche") sono di Izzy, come si può capire verso la fine: Noah le ricorda dall'incontro del venerdì precedente.
-Per le frasi "colte" mi sono adeguatamente documentato, non c'è nulla lasciato al caso o inventato.
-Il titolo è ovviamente ispirato all'opera di Coelho da cui è tratta anche la citazione.
Spero vi piaccia =)

   
 
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