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Autore: amy_m88    27/03/2012    3 recensioni
Fanfiction partecipante al "Contest Multifandom: Giù La Maschera” indetto su Facebook  
"Il volto è una maschera per celare i nostri pensieri"
Le capitava spesso di pensare al gioco dei se. O almeno, così lo chiamava. Non sapeva mai se riderne o piangerne. Giocava, semplicemente. Anche quella mattina.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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TRUST NO ONE

 
Le lancette dell’orologio segnavano le sette e venticinque. La voce di Rayden risuonò nella stanza: era scattata la sveglia del cellulare.
Allungò il braccio destro verso il comodino, cercando a tentoni di fermare la suoneria. Si rigirò nel letto, chiedendo solo cinque minuti in più di sonno.
 
Alle otto meno cinque, versò il caffè nella tazza, prese un croissant alla crema dalla confezione sul tavolo; e fece colazione osservando fuori dalla finestra. Il cielo terso rendeva il panorama paragonabile a un affresco: non avrebbe piovuto.
Sebbene amasse la pioggia, fu sollevata nel vedere il sole: troppi ricordi legati a gocce semplici e perfette.
Perfette. Quella parola le ricordò una canzone che mai avrebbe creduto potesse piacerle. “Pioggia”: canzone rap; genere che ascoltava ormai da un anno. Il rap.
Un sorriso si fece largo, timidamente, sul viso: la vita era davvero piena di sorprese.
Sorprese continue, come costante era il suo cambiamento grazie all’esperienza. O agli errori. Sempre che la gente cambi davvero.
Le capitava spesso di pensare al gioco dei se. O almeno, così lo chiamava. Non sapeva mai se riderne o piangerne. Giocava, semplicemente. Anche quella mattina.
 
Se avesse mantenuto una promessa, come avrebbe reagito?
Promesse. Come può definirsi una promessa? Impegno, parola, giuramento, garanzia. Molti sinonimi. Dichiarazione con cui ci si impegna a compiere un dato atto o a tenere un dato comportamento.
Questa è la prima delle tre definizioni scritte sul dizionario.  
“Ogni promessa è debito”, dunque? Allora perché esiste il detto “promessa da marinaio”?
Perché se esiste una tesi, deve esistere anche un’antitesi. Perché a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Perché, se esiste l’Io, esiste il Non Io. Ecco perché.
Un secondo sorriso, meno timido del primo, chiese il suo spazio: no, addentrarsi nella filosofia davanti a una tazza di caffè e un croissant alla crema non era una buona idea. Certo, noi siamo ciò che mangiamo, ma sarebbe stato tutto un altro discorso.
Impose il silenzio ai suoi pensieri e diede l’ultimo morso al croissant; prima di riempire e avviare la lavastoviglie.
Se avesse mantenuto una promessa, come avrebbe reagito?
Accettato. Avrebbe accettato all’istante. Se lui avesse mantenuto le promesse espresse, lei sarebbe stata solo felice. O serena.
Avrebbe evitato mesi scostanti, avrebbe avuto certezze su cui basarsi.
Era davvero quello che avrebbe voluto: quattro pilastri su cui costruire un qualcosa? Non era stata forse la sua imprevedibilità, ad attirarla?
Troppe domande. Ordinò nuovamente il silenzio e accese lo stereo, sperando che la musica offuscasse quella filosofia nascente.
 
"Una risposta è il tratto di strada che ti sei lasciato alle spalle. Solo una domanda può puntare oltre."
Così si espresse Jostein Gaarder, filosofo e scrittore norvegese. Aveva comprato alcuni suoi libri, uno le era stato regalato per Natale. Il regalo non aveva messo in moto Curiosità, anzi, rimase chiuso sul comodino per mesi. Fu uno dei suoi libri preferiti.
Non era solo Filosofia né solo Narrativa, come temeva. Il Mondo di Sofia: romanzo sulla storia della filosofia.
La Filosofia raccontata da un misterioso insegnante, se si fosse potuto usare il termine insegnante. Secondo il Corriere della Sera era “Un Thriller filosofico in piena regola… con il vantaggio di un’ elegante e ineccepibile chiarezza”; e lei concordava in pieno con quella definizione.
Altrettanto vera era la critica de L’Espresso “Domanda su domande, storie dentro storie, intrecci contro intrecci, un po’ alla Calvino…”.
Verità. Solo una verità era universalmente riconosciuta, per lei. Il resto era relativo, anche la verità universalmente riconosciuta. Tutto era relativo. Tutto, tranne che Peter Pan fosse destinato a rimanere un bambino.
Bambino.
 
Dimmi, si rimane bimbi un po’… o no?
No. L’evoluzione è una semiretta senza ritorno. Si guarda solo avanti. Non si rimane bambini. Altrimenti si parlerebbe di punto, non si userebbe neanche la parola “segmento”.
Eppure ci sono bambini che hanno fatto scuola … non credi?
Sono solo disegni. Rappresentazioni grafiche, se ti riferisci a Lucy Van Pelt e fratello. Non si rimane bambini. Crescere è il nostro destino, o la nostra condanna.
Metti in dubbio le tue stesse idee. Sai quello che stai dicendo?
Tesi. Antitesi. Argomentazione. Relatività.
Dimmi, si rimane bimbi un po’… o no?
C’era una volta, non molto tempo fa, un film d’animazione che fece più ascolti di un reality. Se non si rimanesse un po’ bambini, potrebbe succedere?
Esistono film d’animazione le cui idee renderebbero invidioso il miglior filosofo.
“Chi sa la vita cos’è, se la fermerai neanche tu, saprai. E non sentirai quel lupo, il suo pregare mai. Almeno fino a che non lo vorrai. Non distinguer dal colore della pelle. E una vita in ogni cosa scoprirai. E la Terra sembrerà solo Terra finché tu, con il vento non dipingerai l’amor!” Pensiero tratto da Pocahontas. Un film d’animazione. Cartone animato, se preferisci. Termine a dir poco riduttivo, secondo il mio modesto parere. Il linguaggio degli adulti, attraverso l’animazione, riesce a raggiungere un bambino. Walt Disney non avrebbe il successo che ha, se in fondo non si rimanesse bambini.
Un tale Antoine, raccontando la storia di un bambino a cui piacciono i tramonti, farebbe commuovere?
Leggere “Le Petit Prince” alle elementari è uno degli errori da evitare.
Saint-Exupery, attraverso gli occhi di un bambino dai riccioli d’oro, lascia un messaggio ai grandi. Sono gli adulti, il vero pubblico del libro. Per ricordare loro che sono stati bambini. Che un cappello può essere visto come un elefante dentro un serpente. 
No! Si rimane bambini più di un po’, cherie.
Se fosse vero il contrario, mi daresti una spiegazione logica ai dati di ascolto del film d’animazione vincitore più di un Premio Oscar? Grazie!
Fissò la sua immagine riflessa nello specchio, annuendo sicura della ragione. Era una donna. Una dama, in attesa di un ballo.
Il ballo!
Scattò in piedi involandosi verso il bagno, si buttò sotto il getto d’acqua calda della doccia e cominciò a cantare.
 
Mora, occhi scuri, fisico asciutto; odiava i balli. Sebbene odiare non fosse il termine adatto; in quel momento non le veniva in mente altro verbo che potesse evidenziare il suo non amore per tali attività.
L’invito era categorico: maschera e coppia erano state sottolineate da una mano decisa.
Non avrebbe certo potuto presentarsi vestita da Belle. Per quanto amasse il classico d’animazione con la quale era cresciuta, il tempo delle fiabe era finito da quando il suo re aveva deciso di retrocedere nel livello di essere umano. E no, non aveva gli occhi blu mare del principe Adam.
Lei, sapeva che tutto poteva essere superato; sapeva che forse si stava comportando come una bambina capricciosa, alla quale era stato rubato il giocattolo preferito. Se ne vergognava, eppure non riusciva a lasciare dietro di sé rancore e rimpianto. Era più forte di lei.
Tutti avevano diritto a sbagliare: era umano; non lui. Lui era il suo Re.
Di una cosa era certa: se il giorno prima non avesse aperto la porta, ora non avrebbe avuto tra le mani l’invito per un ballo in maschera.
Cristina, ragazza di venticinque anni innamorata dell’imprevedibile, odiava i balli.
 
Capello castano, sguardo celeste, fisico da nuotatore. Filippo Magnini? No.
Capello castano, sguardo celeste, fisico da nuotatore: odiava le cravatte; non sopportava che si perdesse tempo per un nodo. Il nodo della cravatta era una perdita di tempo quanto lo era l’attesa del pullman; il pullman che arrivava ogni qualvolta si prendeva la decisione di sedersi.
La sveglia digitale, che vedeva nell’angolo destro dello specchio, indicava le otto e trentacinque. Quella mattina aveva fatto colazione con una tazza di thé al limone, un krapfen alla crema comprato dal fornaio sotto casa, terminando con tre toast imburrati. Meno di un’ora e si sarebbe dovuto presentare in biblioteca: era in ritardo.
Uscì di corsa, impugnò il primo mazzo di chiavi che gli capitò a tiro, e s’involò giù per le scale.
“Ehi, siamo di fretta?” una donna sulla trentina lo stava osservando, forse temendo potesse cadere.
“Già, sono in super ritardo. Il collega mi ammazza, lo sento!” rispose lui, senza fermarsi.
“Spero possa arrivare a stasera allora, arrivederci!” pose le buste della spesa a  terra, in attesa dell’ascensore.
“ ‘derci!” salutò, chiudendo il portone che la donna aveva lasciato aperto.
 
Non resisteva più in biblioteca, doveva uscire, staccare.
Il sole splendeva senza nuvole che ostacolassero il passaggio dei raggi.
Si sentiva soffocare dietro il bancone prestiti.
Due minuti e avrebbe finito il turno.
Uscì, finalmente aria fresca.
Incontrò lei, sotto casa.
Lei passò oltre, senza fissarlo.
Lui attese l’ascensore.
Sotto la porta vide un biglietto.
Matteo, ragazzo ventisettenne con la passione per la musica; era sopravvissuto a quella giornata.
 
Cristina aveva appena finito di correggere alcune schede quando il campanello della porta richiamò la sua attenzione. Chiuse il file, assicurandosi che il lavoro fosse salvato, e aprì la porta.
Il visitatore mostrò la spesa prima che lei potesse parlare, entrò in cucina ponendo il tutto sulla penisola di marmo.
“Ho pensato volessi compagnia per uno spuntino!” si giustificò, qualora avesse avuto bisogno di scuse.
La ragazza lo aveva seguito con uno sguardo curioso. “Cosa hai comprato di buono?”
“Focaccia alle olive per te; pizza margherita per me! Ti va?” propose, invitandola a sedersi sulla sedia girevole.
“Gentile da parte tua invitarmi a sedere, nella mia cucina!” ringraziò, rimarcando l’ultima parte della frase.
“Sono un bravo vicino, potresti ammetterlo almeno una volta!”
“Sì, potrei!” confermò.
Avrebbe potuto. Era davvero un bravo vicino. Solo, amava non dargli la soddisfazione di sentire quelle parole dalla sua voce. Aveva sempre preferito i pensieri alle parole.
E Matteo lo sapeva.
Condividevano lo stesso pianerottolo da anni. Erano amici. Sospesi tra amicizia e amore, in equilibrio. Un equilibrio che stupiva entrambi: complicità, confidenza, affetto, sentimento: sì. Amore nel senso classico del termine: no.
 
L’amore è una forza selvaggia.
Quando tentiamo di controllarlo, ci distrugge.
Quando tentiamo di imprigionarlo, ci rende schiavi.
Quando tentiamo di capirlo, ci lascia smarriti e confusi.
[Paulo Coelho, Lo Zahir]
 
 
Cristina si era trasferita nel palazzo durante il primo anno delle medie. Erano passati tredici anni. Matteo, invece, abitava in quel palazzo da quindici.
Lei ricordava ancora l’occasione del loro primo incontro: il compleanno di un’amica in comune. Ci fu solo una stretta di mano e una gara di quiz vinta dalla squadra di lei. Avevano dieci anni.
Lui, invece, ricordava solo le partite di calcio giocate in giardino.
Amore nel senso classico del termine, forse no; l’amore rimaneva però una forza selvaggia, e lei ne era rimasta incantata.
 “Sei il migliore vicino che potessi desiderare Matteo! Ma sai diventare anche la peggiore persona che potessi conoscere!” fu sorpresa delle sue stesse affermazioni. Cosa aveva appena detto? Perché non era stata in silenzio come tutte le volte? Perché non gli aveva confessato, direttamente, che era stato il ragazzo che aveva risvegliato in lei emozioni assopite, facendogliene scoprire altre sconosciute? Si sedette e cominciò a mangiare la focaccia con le olive, che il suo vicino le aveva comprato con tanto amore.
“Ah!” la sola constatazione del ragazzo, che rimase spiazzato da quella confessione.
La mano destra estrasse dalla tasca il biglietto che aveva trovato sotto la fessura della porta. Ora, tutto cominciava ad avere un senso.
“Non dovevi prendere seriamente i miei messaggi!”
“Perché? Tu hai creduto davvero alle mie parole? Perché? Perché io devo essere sincera mentre tu puoi giocare con tutto e tutti?”
“Perché? Perché tu sei sempre stata sincera con me!”
“Siamo maschere, il viso è una maschera Matteo. Adesso mangia questa pizza!” e finì la sua focaccia in pochi morsi.
 
Egoista. Presuntuoso. Doppiogiochista.
Era stato lui a chiederle di remare insieme nella stessa direzione.
Era stato lui a scriverle che purtroppo non sarebbe mai riuscito a farla innamorare.
Era stato sempre lui a pregarla per un chiarimento sulla loro situazione.
Lei non aveva fatto nulla, era stata al gioco, a quel benedetto gioco.
Lei non aveva fatto nulla, aveva rifiutato l’invito a quel chiarimento.
Lei non aveva fatto nulla, se ne era solo innamorata. Non nel senso classico del termine, ma era stata una forma d’amore il filo che la legava a lui.
Se ne era innamorata, nel senso classico del termine.
 
“Come faresti senza di me, Cri!” continuò lui, con un sorriso che morì poco dopo.
“Vivrei senza problemi: non sei la Nutella!” precisò la ragazza, fulminandolo con sguardo fiero. Era stato la sua luce, quando si era trovata nella nebbia.
“Ma se hai appena detto…”
“Non ho parlato Teo! Se sei tanto presuntuoso da credere di essere il mio fulcro, è un tuo problema.” Aveva fatto dei suoi sogni la realtà.
“Ma…”
“Senti tesoro, stasera ho un ballo per cui non posso perdere tempo con te! Mangia, bevi il caffè e stai zitto!”
“Senti tu cara, me ne frego del tuo ballo. Non stai dimostrando minimamente il senso di ospitalità che tanto dici di avere. Se mi amassi davvero faresti salti mortali per passare del tempo con me e invece… mi vuoi fuori dalla tua vita”
“Supercalifragilistichespiralidoso!” la parola che si dice quando non si sa cosa dire, fu detta.
 
Quando fu sola, le venne quasi da ridere: aveva conosciuto Matteo durante una festa di compleanno; quella sera avrebbe partecipato a una festa di compleanno senza Matteo.
Scosse la testa, come per allontanare quel pensiero; riprendendo la correzione delle schede che la visita del ragazzo aveva interrotto.
Alle diciotto e quaranta, ricevette un sms: la festeggiata le ricordava l’orario di ritrovo per quella sera e il ballo.
Quattro ore per rendersi presentabile.
Ballare non è obbligatorio. Ballare non è obbligatorio. Ballare non è obbligatorio.
 
Accese la Playstation 3, avviò Fifa e allontanò ogni pensiero. Su una rivista aveva letto trenta modi per aumentare l’intelligenza e al decimo posto c’erano i videogiochi: sviluppavano i riflessi. Accese la Playstation 3, avviò Fifa immergendosi nella carriera da allenatore che aveva da poco iniziato. Una partita di calcio poteva essere considerata un ballo di gruppo. Le strategie, il possesso palla, gli schemi, le esultanze per i goal segnati; tutto poteva essere visto come una coreografia: sviluppava quei riflessi fondamentali nel ballo.
Cristina, che odiava il ballo, aveva un sogno: imparare la rovesciata alla Sedinho, così aveva sempre chiamato l’azione in cui il pallone una volta colpito la traversa rientrava nuovamente in campo. Pallone che si ovalizzava, bucava la rete e sfondava il muro, puntualmente.
Roberto Sedinho, a dirla tutta, era il primo personaggio ad aver fatto breccia nel cuore di Cristina bambina.
Matteo, invece, aveva fatto breccia nel cuore della diciottenne. Non era il capitano della New Team né brasiliano né giapponese.
Matteo era semplicemente il suo vicino.
 
Quella sera, alle ventuno e quaranta, Cristina si presentò con una maschera con sfondo dorato nel luogo di ritrovo. Alessia, la festeggiata, le corse incontro; visibilmente contenta di vederla.
“Cri!” la abbracciò. “Sapevo di poter contare su di te!”
“Ti ho mai delusa?” ribattè, divertita.
 
Quando entrò nel pub la sua attenzione fu attirata subito dalla frase che dominava la parete destra del privè: “Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni”. Dubitava fosse stata scelta perché Shakespeare ne era l’autore; era più convinta che la causa fosse stata la pubblicità di una macchina che doveva essere provata.
Cercò con lo sguardo Alessia, sperando potesse eliminare il tarlo del dubbio che si era insidiato in lei; ma la festeggiata aveva raggiunto l’ingresso per dare il benvenuto agli altri invitati.
 
“Concedetemi questo ballo!” chiese qualcuno alle sue spalle. Un ragazzo con una maschera bianca, le si era avvicinato. “Concedetemi questo ballo!” ripeté, una volta che gli sguardi si incrociarono, porgendole il palmo e cingendole il fianco.
Cristina si lasciò trascinare dal ritmo della musica che risuonava nel locale; senza chiedersi chi fosse quel cavaliere apparso all’improvviso.
Lo sguardo che le riservò, bastò perché si fidasse: stava giusto pensando di volerlo incontrare.
“Quali pensieri cela questo volto?” le sussurrò all’orecchio.
Provò una sorta di nostalgia, come se già in passato da qualche parte, avesse sentito quelle stesse identiche parole.
Quali pensieri cela questo volto?
 
Le lancette dell’orologio segnavano le sette e venticinque. La voce di Rayden risuonò nella stanza: la sveglia.
Scattò in piedi involandosi verso il bagno, si buttò sotto il getto d’acqua calda della doccia e cominciò a cantare.
Quando uscì dalla doccia, trovò Matteo seduto alla penisola marmorea, intento a versare il caffè in due tazzine azzurre.
“Buongiorno!”
Se il volto era una maschera per celare i nostri pensieri, il suo sorriso, no: prometteva più di un ballo.
 
Senza maschere.
 
Note:
Questa OS ha partecipato al contest “Giù la maschera” nato da un’idea di Elle, Cinzia e Lela.
Le citazioni/critiche riguardo “Il Mondo di Sofia: romanzo sulla storia della filosofia” si trovano sul retro dell’edizione Longanesi.
“Pioggia” è la quattordicesima traccia di “Commerciale”, disco dei ONEMIC. Rayden è un componente del gruppo torinese citato sopra.
 
   
 
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