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Autore: Ariana_Silente    27/03/2012    0 recensioni
Una vecchia dimora, a due passi dalla stazione, che appare abbandonata e fuoriluogo accanto a palazzine moderne e vicina al passaggio dei treni.
Quali sono i suoi pensieri, se qualcuno le desse voce, alla presenza di un'osservatrice curiosa e dall'immaginazione un po' troppo fervida?
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono storia, non leggenda.

 

 

Non è la prima volta che mi passi accanto, non è la prima volta che ti scorgo.
È inutile che fingi di non essere incuriosita, noto lo sguardo intimidito che mi lanci, cercando di vedere quanto più possibile e immaginando ciò che rimane chiuso al mio interno.
Il tuo sguardo è una carezza rapida e impacciata, una sorta di lieve solletico sul mio corpo massiccio.
Vieni, vieni pure, sosta davanti al mio ingresso, per quanto ti consenta il tuo tempo, osservami: in questo mondo che non mi appartiene più, è piacevole che qualcuno apprezzi la mia mole, il mio parco abbandonato, le mie siepi robuste che mi proteggono dalla vista dei frettolosi.
Sono sempre stata qui, ma una volta non ero contornata da tutte queste case di recente costruzione o da queste innumerevoli strade o dal rumoroso e assordante transito di treni; le mie colonne sonore erano i canti degli uccelli indaffarati, le grida dei bambini irriverenti, qualche raro mezzo a motore e poco altro.
Sosta ancora un po', lascia il tempo alla tua immaginazione di dar forma alla tua idea, dalle spazio, falla sgorgare come fresca fonte di monte.
Lascia che ti racconti la mia storia, mentre in pochi passi vedi e non vedi attraverso la mia siepe e il mio povero cancello. Le mie stanze non erano così buie e polverose, come darebbero a vedere le tristi imposte chiuse, hanno conosciuto la luce e la vita, la cura amorevole di mani amiche, il calore di un focolare acceso, i giochi dei bambini, le gioie e i dolori di giovani e vecchi, di un'intera famiglia che oramai non ha più risorse per me.
No, non farti ingannare dalle illusioni: non celo passaggi segreti né tanto meno armadi all'apparenza dimenticati, ponti su universi generati da fantasie umane: sono storia, non leggenda.
La mia magia è la mia immagine, è ciò che vedi. Sono magia, frutto dell'ingenio e dall'operosità di alcuni: realtà solida e concreta, linee diventate materia.
Le mie siepi non erano così scarse, quando giovane era il mio tempo, e nemmeno così scure le foglie o neri i loro rami: erano folte e rigogliose, piene di vita, e talmente intricate che nemmeno il tuo sguardo sfuggente riusciva a filtrare attraverso. E il cancello cui ti avvicini, allungando il collo, non è sempre stato così come lo vedi, riluceva con il sole e incuteva un timore ben maggiore con le sue sbarre ferree plasmate a formare lance unite da solide sbarre orizzontali, che onoravano trecento uomini e un intero popolo, un tempo. Nessuno osava avvicinarsi con leggerezza, come ora fai tu, ma era un altro tempo.
Avevamo prestigio allora.
Questo giardino, che ai tuoi occhi appare scialbo, era rigoglioso: i miei giardinieri si spaccavano la schiena per mantenere alte le erbette e brillanti i fiorellini bianchi lungo il vialetto di ghiaia che scricchiolava allegro al passaggio delle persone.
Alcuni alberi mi ombreggiavano: un paio di maestosi abeti che ci regalavano brezze ricche di resina al crepuscolo sul retro, mentre proprio a pochi metri da te, accanto a un grazioso gazebo coperto da teneri glicini, danzavano al vento gaie betulle, luminose e delicate che d'autunno cedevano al suolo una pioggia di incantevoli foglioline dorate.
Avevano un bel daffare, i giardinieri, a lottare coi cani con cui i miei padroni si dilettavano a giocare e a far scena: bestie grandi, dagli occhi fieri, cui chiedevano di fare la guardia e di ubbidire senza esitazione, ma nei loro occhi ho sempre e solo visto voglia di giocare e di stare assieme, per questo facevano disperare tanto i custodi del prato perché si divertivano a scavare e nascondere i loro tesori e a marcare il territorio nei posti meno adatti. Ma i cani non avevano tutte le colpe, a dir la verità: i bambini ci hanno messo del loro nel rovinare il lavoro dei giardinieri ed era uno spasso vederli correre da un lato all'altro della casa ridendo o gridando, a nascondersi dietro gli alberi e a scovare il modo migliore per costruire piste per le biglie.
Ti stai chiedendo se ci siano stati anche cavalli? No, cucciola d'uomo: il mio parco non è tanto grande, non ha mai potuto permettersi un tale lusso. Questo l'ho sempre saputo, ma ahimé c'è stato qualche padrone che ha provata a tenersi, per maggior fregio, un paio di esemplari, magnifici, sul serio, ma ben presto hanno dovuto rinunciare.
Coraggio, spingi il tuo sguardo oltre, segui il vialetto e giungi sino a me.
Non temo i tuoi occhi o il tuo giudizio: sono vittima d'abbandono e d'incuria, nulla ho da rimproverarmi.
Mi trovi maestosa eppure ingrigita, affumicata dalle intemperie e ancor più dall'inquinamento.
Vorresti sederti sui gradini del mio ingresso o appoggiarti alle mie colonne stanche, oppure ancora sporgerti dal mio imponente balcone, da una finestra impreziosita da vermigli tendaggi.
Non sei lontana dal vero: un tempo davvero le mie finestre avevano sfarzosi tendaggi, in cui numerosi marmocchi hanno giocato a nascondino o si sono rifugiati, nella speranza di sfuggire alle punizioni che si meritavano. Accanto alle finestre ci sono state comode poltrone di raffinata finitura, mobilia ricercata di mogano od ebano, ho ospitato un'ampia biblioteca, con libri fino al soffitto, dove persino tu ti saresti stancata della loro compagnia, con scrittoi vanitosi pieni di fogli vergini oppure già scritti.
Dalle cucine a ritmi regolari, che seguivano l'andare della giornata, si sarebbero sparsi le fragranze dei cibi, dall'accogliente buongiorno delle brioches appena sfornate o del pane morbido e caldo, alle pietanze più ricercate e speziate del mezzodì accompagnate dall'intenso aroma del caffè. Ti avrebbero richiamato senza ulteriori indugi alla mia superba sala da pranzo, al cospetto del mio imponente tavolo imbandito con quanto di più gustoso tu possa immaginare.
Poi, dopo la cena, ti avrei accolta nel mio salotto con tappeti caldi e morbidi dai ricami persiani, al cospetto del caminetto scoppiettante davanti al quali le tue gote si sarebbero imporporite per il tepore.
La servitù ti avrebbe offerto le ultime leccornie della giornata o semplicemente una calda tisana e infine saresti tornata alla tua stanza da letto, salendo con calma la scalinata di marmo, seguendo col dito il corrimano ombreggiato dalle luci alla pareti e passando lo sguardo da un quadro all'altro di pomposi paesaggi.
Ti avrei offerto un grande letto profumato e candido, sul cui materasso saresti sprofondata e appoggiata la testa al cuscino non avresti nemmeno avuto il tempo di realizzare quanto fossi comoda perché saresti già sprofondata nel sonno.
Oppure, accoccolata su una sedia, accanto alla finestra avresti spiato tra le imposte le ombre del giardino e i gesti lenti dei rami dei miei abeti che mi vegliano, sentinelle silenti e mie compagni fino a quando qualcuno in tempo più recente non ha deciso che andassero eliminati e mi ha lasciata nuda e sola, con un semplice giardinetto che i più non considerano nemmeno.
No, no: non attardarti oltre, i tuoi impegni ti reclamano. I tuoi passi si affrettano per allontanarsi, altrove è richiesta la tua attenzione: fin troppa ne hai dedicata a me, ingrigita memoria di uno sfarzo appassito.
Attenderò il tuo ritorno, il tuo sguardo curioso mi solleva dal torpore di cui sono costretta ad ammantarmi.
Va' mi ritroverai ancora qui, uguale a ieri e all'altro ieri ancora: questo tempo non mi appartiene più e torna a scorrere solo quando ti soffermi innanzi al mio perimetro, perché torno a rammentare il mio tempo che è lento e scandito da ritmi regolari.
C'è stato un tempo in cui ero sfarzosa, in cui ero motivo d'orgoglio. Ero strumento di importanza e ricchezza: nella mia realizzazione molti gentiluomini si sono vantati, facendo foggia della propria gloria.
Nella nostra arroganza, tuttavia, abbiamo dimenticato quanto effimero sia tutto ciò.
E io, antico cimelio di un tempo trascorso, ne sono il monito più eclatante.
No, non è il mio, il tempo cui tu appartieni, cucciola d'uomo.
Infatti esso ha privato di significato il mio essere e ciò che era cagione di gloria, si è mutato in motivo d'abbandono.





§§§

AS's space

non vogliatemene, ma ogni mattina passo davanti a questa villa che mi pare davvero abbandonata a se stessa e che mi piace un sacco. e per la sua struttura sembra proprio fuori luogo, costruita con modi e concezioni totalmente diversi da quelli che sono stati usati dopo.  così ho pensato a questo racconto, per renderla un po' più mia di quello che potrà mai essere!
grazie per averla letta! =)

  
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